TRIBUNALE DI MACERATA 
 
 
          Ordinanza di rimessione alla Corte costituzionale 
 
    Proc. n. 3198/23 RGNR 
        2450/23 RGGIP 
        Il tribunale  penale  di  Macerata,  ufficio  GIP-GUP,  nella
persona del dott. Giovanni M. Manzoni. 
 
                            Premesso che 
 
    In data 22 novembre 2023 il  GIP  emetteva  decreto  di  giudizio
immediato nei confronti di S M in relazione al reato di cui  all'art.
73, comma I e IV del  decreto  del  Presidente  della  Repubblica  n.
309/1990, per aver l'imputato detenuto al di fuori della abitazione a
fini di spaccio 126.9 gr di hashish e 2.2 gr di cocaina. 
    A seguito della notifica del decreto  di  giudizio  immediato  la
difesa  chiedeva  ammissione  della  messa  alla  prova  del  proprio
assistito previa riqualificazione del fatto (sub art. 73, comma V del
decreto del Presidente della Repubblica n. 309/1990) e, in subordine,
definizione del processo con rito abbreviato. 
    Alla udienza del 6 marzo 2024 questo  giudice,  «ritenuto  che  i
fatti possano ricondursi  sub  art.  73,  comma  V  del  decreto  del
Presidente della Repubblica n. 309/1990» (e pertanto riqualificati  i
fatti sotto differente titolo di  reato)  ammetteva  l'imputato  alla
messa alla prova. 
    Alla udienza del 19 giugno  2024,  preso  atto  che  il  S  aveva
dichiarato all'UEPE di non essere piu' interessato  allo  svolgimento
della messa alla prova, questo GIP revocava la messa alla prova e  la
difesa insisteva per la definizione del processo con rito  abbreviato
(possibilita' processualmente ritenuta ammissibile da questo giudice,
alla luce del favore del sistema per la definizione del processo  con
riti alternativi; cfr. anche Corte di cassazione 13747/21). 
    In data  19  giugno  2024  questo  giudice  avanzava  istanza  di
astensione,  avendo  in  precedenza  ritenuto  in  sede  di  MAP   la
riconducibilita' dei fatti sub art.  73,  comma  V  del  decreto  del
Presidente della Repubblica n. 309/1990. 
    Tale istanza era  rigettata  con  provvedimento  25  giugno  2024
«trattandosi di decisione avanzata nella stessa  fase  processuale  e
che non implica comunque  una  approfondita  valutazione  sul  merito
della accusa ma unicamente una  delibazione  sulla  insussistenza  di
causa di proscioglimento ex art. 129 del codice di procedura penale». 
    Che con nota 29 giugno 2024 questo GIP invitava il Presidente  di
sezione delegato a rivalutare la  propria  decisione,  in  quanto  si
trattava di fasi diverse e non  si  era  fatta  solo  valutazione  di
insussistenza di cause di proscioglimento ex art. 129 del  codice  di
procedura penale quella,  ben  piu'  pregnante,  di  riconducibilita'
delle condotte sub art. 73, comma V del decreto del Presidente  della
Repubblica n. 309/1990. 
    Che con provvedimento 2 luglio  2024  il  Presidente  di  sezione
delegato «conferma(va) il provvedimento adottato». 
    Tanto premesso questo giudice, 
 
                               Osserva 
 
    Ritiene questo GUP la possibile incostituzionalita' dell'art.  34
del codice di procedura penale nella parte  in  cui  non  prevede  la
incompatibilita' a  decidere  in  sede  di  giudizio  abbreviato  del
giudice che abbia in precedenza ammesso l'imputato  alla  messa  alla
prova  in  tale  sede  esprimendosi  espressamente  in  ordine   alla
qualificazione  giuridica  dei  fatti  e  riqualificando  la  ipotesi
originariamente contestata. 
    L'art. 34, comma 2 del codice di procedura penale  non  contempla
infatti l'ipotesi considerata tra  i  casi  di  incompatibilita'  del
giudice, ne' essa potrebbe neppure costituire motivo di ricusazione a
norma dell'art. 37, comma 1,  lettera  b)  del  codice  di  procedura
penale,  non  trattandosi  di   una   manifestazione   indebita   del
convincimento del giudice sui fatti oggetto dell'imputazione. 
    Nemmeno,  d'altra  parte  d'altra  parte,  risulta  appagante  il
ricorso  all'istituto   dell'astensione   per   «gravi   ragioni   di
convenienza» (art. 36, comma 1, lettera h) del  codice  di  procedura
penale), non potendo essere rimessa alla discrezionalita' del singolo
magistrato la autovalutazione della propria  capacita'  professionale
di non lasciarsi influenzare da  giudizi  gia'  espressi  ritualmente
(peraltro  nel  caso  di  specie  istanza  di  astensione  e'   stata
ritualmente avanzata, riproposta e iteratamente rigettata). 
    Sovviene pertanto, la motivazione  della  pronuncia  16/22  della
Corte adita che ha  ritenuto  che  «Per  costante  giurisprudenza  di
questa Corte, le norme sulla incompatibilita' del giudice,  derivante
da atti compiuti nel procedimento, sono poste  a  tutela  dei  valori
della terzieta' e della imparzialita' della giurisdizione, presidiati
dagli articoli 3, 24, secondo  comma,  e  111,  secondo  comma  della
Costituzione, risultando finalizzate ad evitare che la decisione  sul
merito della causa possa essere o apparire condizionata  dalla  forza
della prevenzione - ossia dalla naturale tendenza  a  confermare  una
decisione gia' presa o mantenere  un  atteggiamento  gia'  assunto  -
scaturente da valutazioni cui il giudice  sia  stato  precedentemente
chiamato in ordine alla medesima res iudicanda (ex plurimis, sentenze
n. 183 del 2013, n. 153 del 2012, n. 177 del 2010 e n. 224 del 2001). 
    L'imparzialita' del giudice richiede, in specie, che "la funzione
del giudicare sia assegnata a un soggetto 'terzo', non solo scevro di
interessi propri che possano far velo alla rigorosa applicazione  del
diritto ma anche sgombro da convinzioni precostituite in ordine  alla
materia da decidere,  formatesi  in  diverse  fasi  del  giudizio  in
occasione di funzioni decisorie ch'egli sia stato chiamato a svolgere
in precedenza" (sentenza n. 155 del 1996). 
    In quest'ottica, l'art. 34 del codice di procedura penale -  dopo
aver  regolato,  al   comma   1,   la   cosiddetta   incompatibilita'
"verticale", determinata dall'articolazione e  dalla  consecutio  dei
diversi gradi di giudizio - si occupa, al comma 2  (oggi  censurato),
della  cosiddetta  incompatibilita'  "orizzontale",  attinente   alla
relazione tra la fase del giudizio e  quella  che  immediatamente  la
precede. 
    La disposizione, costruita secondo  la  tecnica  della  casistica
tassativa ("[n]on puo' partecipare al  giudizio  il  giudice  che  ha
emesso il provvedimento  conclusivo  dell'udienza  preliminare  o  ha
disposto il giudizio immediato o ha emesso decreto penale di condanna
o ha deciso sull'impugnazione avverso la  sentenza  di  non  luogo  a
procedere"), e' stata oggetto,  nel  corso  del  tempo,  di  numerose
declaratorie di illegittimita' costituzionale di tipo  additivo,  che
hanno  significativamente  ampliato   l'elenco   delle   ipotesi   di
operativita' dell'istituto. 
    4.2.-  In  linea  generale,  l'incompatibilita'  presuppone   una
relazione  tra  due  termini:  una  "fonte  di  pregiudizio"   (ossia
un'attivita'  giurisdizionale  atta  a  generare   la   forza   della
prevenzione) e una  "sede  pregiudicata"  (vale  a  dire  un  compito
decisorio, al quale il giudice, che abbia posto in essere l'attivita'
pregiudicante, non risulta piu' idoneo). 
    4.2.1. - Per quanto attiene alla "sede pregiudicata" - che l'art.
34,  comma  2  del  codice  di  procedura  penale   individua   nella
"partecipa[zione] al giudizio" - questa Corte, fin  dalle  sue  prime
pronunce in materia, ha posto in evidenza come per  "giudizio"  debba
intendersi ogni processo che in base a un esame delle prove  pervenga
a una decisione di merito (sentenze n. 155 e n. 131 del 1996, n.  453
del 1994, n. 439 del 1993, n. 261, n. 186 e n. 124 del 1992). 
    La  nozione  comprende,  pertanto,  non  soltanto   il   giudizio
dibattimentale, ma anche il giudizio abbreviato (sentenza n. 401  del
1991), l'applicazione della pena su richiesta delle parti  (ordinanza
n. 151 del 2004), e, per quanto qui interessa, l'udienza  preliminare
(almeno nell'attuale configurazione, sentenza n. 224 del 2001) ... 
    4.2.2.- Quanto,  invece,  all'"attivita'  pregiudicante",  questa
Corte ha da tempo precisato le condizioni in presenza delle quali  la
previsione   dell'incompatibilita'   del   giudice   deve   ritenersi
costituzionalmente necessaria. 
    In   primo   luogo,   presupposto   di   ogni    incompatibilita'
endoprocessuale e' la preesistenza di valutazioni  che  cadono  sulla
medesima res iudicanda. In secondo luogo - benche' l'architettura del
nuovo rito penale richieda, in linea di principio, che le  conoscenze
probatorie del giudice si formino nella fase del dibattimento  -  non
basta a generare l'incompatibilita' la semplice  conoscenza  di  atti
anteriormente compiuti, ma occorre che il giudice sia stato  chiamato
a compiere una valutazione di essi, strumentale all'assunzione di una
decisione. In terzo luogo,  tale  decisione  deve  avere  natura  non
"formale",  ma  "di  contenuto":   essa   deve   comportare,   cioe',
valutazioni che attengono al merito dell'ipotesi dell'accusa,  e  non
gia' al mero svolgimento del processo. Da ultimo,  affinche'  insorga
l'incompatibilita', e' necessario che la  precedente  valutazione  si
collochi in una diversa fase  del  procedimento,  essendo  del  tutto
ragionevole che, all'interno di ciascuna delle fasi, resti preservata
"l'esigenza di continuita' e di globalita'": prospettiva nella  quale
il  giudice  chiamato  al  giudizio  di   merito   non   incorre   in
incompatibilita' allorche' compia valutazioni preliminari,  anche  di
merito,  destinate  a  sfociare  in  quella   conclusiva,   venendosi
altrimenti   a   determinare   una   "assurda   frammentazione"   del
procedimento, che implicherebbe la necessita'  di  disporre,  per  la
medesima fase del giudizio, di tanti giudici diversi quanti sono  gli
atti da compiere (sentenze n. 153 del 2012 e n. 131 del 1996)». 
    Ad avviso di questo GUP, tenuto conto delle  indicazioni  di  cui
sopra, deve rilevarsi che: 
        questo GIP sarebbe ora chiamato univocamente a  una  funzione
di giudizio (decisione del processo con rito abbreviato), in sede che
si ritiene sarebbe pregiudicata dalle precedenti determinazioni  gia'
assunte; 
        vi sono preesistenti valutazioni che  cadono  sulla  medesima
res iudicanda (la qualificazione dei fatti contestati, sub  art.  73,
comma I e  IV  o  73,  comma  V  del  decreto  del  Presidente  della
Repubblica n. 309/1990); 
        questo  giudice  gia'  in  precedenza  e'  stato  chiamato  a
compiere  una  valutazione  in  ordine   alla   ipotesi   di   accusa
(qualificazione dei fatti sub art. 73, comma I e IV o 73, comma V del
decreto del Presidente della  Repubblica  n.  309/1990),  strumentale
all'assunzione di una decisione (ammissibilita' o  meno  della  messa
alla prova, non applicabile in caso di  permanenza  della  originaria
imputazione); 
        tale  decisione  ha  avuto  natura  non  "formale",  ma   "di
contenuto," con valutazioni  che  attengono  al  merito  dell'ipotesi
dell'accusa, e non gia' al mero svolgimento del  processo,  essendosi
proceduto a vaglio di merito della qualificazione giuridica del fatto
contestato, derubricando la stessa rispetto a quella  originariamente
formulata; 
        la precedente valutazione si e' collocata in una diversa fase
del procedimento, atteso che (non configurabile unitarieta'  di  fase
per il sol fatto che genericamente si sia post emissione  di  decreto
di giudizio immediato, con richiesta di riti alternativi)  una  prima
fase  e'  stata  relativa  al  rito  della  messa  alla  prova  (fase
conclusasi con la revoca della stessa), mentre ora si passa ad  altra
fase del tutto autonoma  e  separata  dalla  prima  (trattazione  del
processo con rito abbreviato). 
    La  questione  appare  poi  evidentemente  rilevante,   dovendosi
decidere se questo giudice possa/debba o meno trattare e decidere  il
giudizio abbreviato richiesto dalla difesa  a  seguito  della  revoca
della messa alla prova, rigettata (in assenza di espressa  previsione
di incompatibilita' in ordine al caso che oggi occupa)  la  richiesta
di astensione gia' avanzata.