Ricorso ex art. 127, secondo comma, della  Costituzione,  per  la
Regione Toscana (p.IVA 01386030488), in persona  del  Presidente  pro
tempore della Giunta regionale, dott. Eugenio Giani, autorizzato  con
deliberazione  della  Giunta  regionale  29  luglio  2024,  n.   923,
rappresentato e difeso, giusta la procura speciale apposta su  foglio
separato da considerarsi in calce al presente atto,  dall'avv.  prof.
Andrea Pertici (c.f. PRTNDR70H01L833P), domiciliato  come  per  legge
presso  la  casella  di  posta  elettronica  del  predetto  difensore
all'indirizzo pec andrea.pertici@pec.avvvocatilucca.it 
    Contro: 
        il Presidente del Consiglio dei ministri pro tempore, per  la
dichiarazione di illegittimita' costituzionale della legge n. 86  del
2024, relativamente a: 
          l'intera legge, nonche',  in  subordine,  gli  articoli  2,
primo, secondo e quarto comma, e 4,  per  violazione  dell'art.  116,
terzo comma, della Costituzione, anche in relazione al  primo  comma,
dell'art. 117, terzo comma, della Costituzione nonche' degli articoli
5 e 138 della Costituzione, nonche' l'intera  legge,  per  violazione
dell'art. 5 anche in relazione all'art. 120 della Costituzione; 
          l'art. 2, quinto e ottavo comma, per  violazione  dell'art.
116, terzo comma, nonche' dell'art. 5 e degli articoli 70 e 72  della
Costituzione; 
          l'art. 2, ottavo comma, per violazione dell'art. 116, terzo
comma, nonche' degli articoli 5 e 120 della Costituzione; 
          l'art. 2, primo e sesto  comma,  per  violazione  dell'art.
116, terzo  comma,  e  121,  secondo  comma,  ultimo  periodo,  della
Costituzione; 
          l'art. 3, primo comma, per violazione  degli  articoli  76,
116, terzo comma,  e  119,  primo,  secondo  e  quarto  comma,  della
Costituzione; 
          l'art. 3, secondo  e  settimo  comma,  per  violazione  del
principio di leale collaborazione di cui agli articoli 5 e 120  della
Costituzione; 
          gli articoli 3, settimo comma,  e  2,  primo  comma,  della
legge n. 86 del 2024, per violazione dell'art.  117,  secondo  comma,
lettera m) della Costituzione e del principio di legalita'  (articoli
23, 97 e 113 della Costituzione); 
          gli articoli 1, secondo comma e 4, primo comma, della legge
n. 86 del 2024, per violazione  degli  articoli  3,  anche  sotto  il
profilo della ragionevolezza, 117, secondo comma, lettera m),  e  119
della Costituzione; 
          gli articoli 5, secondo comma, 8, secondo comma e 9,  primo
comma, della legge n. 86 del  2024,  per  violazione  dell'art.  119,
nonche' degli articoli 2, 3, 5 e 81 della Costituzione; 
          l'art. 10 della legge n. 86 del 2024, per violazione  degli
articoli 116, terzo comma e 119, terzo comma, della Costituzione; 
          l'art. 11, primo comma, della legge n.  86  del  2024,  per
violazione dell'art. 3 della Costituzione,  anche  sotto  il  profilo
della  ragionevolezza,  e   dell'art.   116,   terzo   comma,   della
Costituzione; 
          l'intera legge e, in subordine, gli articoli 4, 5,  secondo
comma, 8, 9, 10, per violazione dell'art.  117,  primo  comma,  della
Costituzione,  in  relazione  al  regolamento   (UE)   2021/241   del
Parlamento europeo e del Consiglio, che istituisce il dispositivo per
la ripresa e la resilienza e alla decisione di esecuzione n. 2021/168
del Consiglio  dell'Unione  europea  e  successive  modificazioni  ed
integrazioni,  che  prevedono  misure  per  la  coesione  sociale   e
territoriale. 
 
                                Fatto 
 
    1.1. Nella Gazzetta Ufficiale n. 150 del 28 giugno 2024 e'  stata
pubblicata la legge 26 giugno 2024, n. 86, recante «Disposizioni  per
l'attuazione dell'autonomia differenziata  delle  regioni  a  statuto
ordinario ai sensi dell'art. 116, terzo comma, della Costituzione». 
    1.2. La legge ha  iniziato  il  proprio  iter  nel  Senato  della
Repubblica, dove e' stato presentato, dal  Ministro  per  gli  affari
regionali e le autonomie, Calderoli, il  disegno  di  legge  n.  615,
comunicato  alla  Presidenza  il  23  marzo  2023,   discusso   nella
Commissione  affari  costituzionali,  congiuntamente  a   due   altre
proposte (poi assorbite), dal 3  maggio  al  21  novembre  2023,  con
l'approvazione di alcuni emendamenti. Successivamente, dal 10  al  23
gennaio 2024, il testo  e'  stato  discusso,  esaminato  e  approvato
dall'aula che ha approvato un ristrettissimo numero  di  emendamenti,
che non hanno in alcun modo modificato l'impianto generale. 
    Quindi, il testo e' stato trasmesso  alla  Camera  dei  deputati,
dove ha assunto  la  numerazione  C.  1665.  Qui  la  trattazione  in
Commissione affari costituzionali si e' svolta dal 14 febbraio al  27
aprile 2024,  essendo  impegnata  fino  al  10  aprile  da  audizioni
informali, e quella in aula dal 29 aprile al  18  giugno,  quando  il
testo e' stato approvato in via definitiva, senza modifiche e  quindi
promulgato dal Presidente della Repubblica. 
    Il testo e' quindi giunto all'approvazione mantenendo  l'impianto
iniziale, con poche e marginali modifiche, nonostante i molti rilievi
emersi dalle ampie audizioni informali meritassero probabilmente  una
maggiore considerazione. 
    1.3. Tale legge  essenzialmente  disciplina  il  procedimento  di
approvazione della legge rinforzata di cui all'art. 116, terzo comma,
della Costituzione, da approvare a maggioranza  assoluta  sulla  base
delle intese tra lo Stato e le regioni richiedenti ulteriori forme  e
condizioni particolari  di  autonomia,  intervenendo  altresi'  sulle
modalita' con cui si perviene alle intese stesse,  disciplinando  poi
gli effetti e la durata delle intese, il monitoraggio sull'attuazione
delle  medesime  e  le  modalita'  di  finanziamento  delle  funzioni
«differenziate». 
    Pur se il regime giuridico applicabile a ciascuna  regione  sara'
definito nei suoi contenuti, con  la  legge  approvata  dalle  Camere
all'esito della procedura delineata dall'art. 116, terzo comma, della
Costituzione, gia' la legge in esame determina regole per  le  future
intese che presentano profili di dubbia legittimita'  costituzionale,
le quali ledono gravemente la sfera di competenza delle regioni,  tra
cui in  particolare  l'odierna  ricorrente,  rendendo  necessaria  la
proposizione del presente ricorso. 
    1.4. Le previsioni  che  piu'  rilevano,  ai  fini  del  presente
ricorso, sono le seguenti: 
        l'art. 1, secondo comma,  relativo  alla  determinazione  dei
livelli   essenziali,   ai   sensi   del   quale,   in   particolare,
«l'attribuzione  di  funzioni  relative  alle   ulteriori   forme   e
condizioni particolari di autonomia di cui all'art. 116, terzo comma,
della Costituzione, relative a materie o ambiti di materie riferibili
ai diritti civili e sociali che devono essere garantiti equamente  su
tutto il territorio nazionale, e'  consentita  subordinatamente  alla
determinazione, nella normativa  vigente  alla  data  di  entrata  in
vigore della presente legge o  sulla  base  della  procedura  di  cui
all'art.  3,  dei  relativi  livelli  essenziali  delle   prestazioni
concernenti i diritti civili e sociali [...]»; 
        l'art. 2, il quale disciplina il procedimento di  conclusione
e deliberazione delle intese e prevede la deliberazione  parlamentare
della legge di cui all'art. 116, terzo comma, della Costituzione; 
        l'art. 3, il quale delega il Governo alla determinazione  dei
livelli  essenziali  delle   prestazioni   («LEP»),   disponendo   in
particolare che essi debbano essere individuati esclusivamente «nelle
materie o negli ambiti di materie» menzionati dal  medesimo  articolo
(cosiddette «materie LEP»), attraverso decreti  legislativi  delegati
da  adottarsi  previa  acquisizione  del  parere   della   Conferenza
unificata e  che  dovranno  essere  aggiornati  tramite  decreti  del
Presidente del Consiglio dei ministri; 
        l'art.  4,  il  quale  disciplina  il   trasferimento   delle
funzioni, consentendo  in  particolare  il  trasferimento  di  quelle
connesse alle materie «non LEP» gia' a partire dall'entrata in vigore
della legge impugnata, mentre con riguardo alle altre «soltanto  dopo
la determinazione dei medesimi LEP e dei relativi costi e  fabbisogni
standard»; 
        l'art.  5,  il  quale  individua  i  principi   relativi   al
conferimento delle risorse necessarie  all'esercizio  delle  funzioni
oggetto di attribuzione di ulteriori forme e  condizioni  particolari
di autonomia; 
        l'art. 8, il quale introduce un meccanismo di monitoraggio in
ordine  agli  «oneri  finanziari  derivanti,  per  ciascuna   regione
interessata, dall'esercizio  delle  funzioni  e  dall'erogazione  dei
servizi connessi alle ulteriori forme  e  condizioni  particolari  di
autonomia»,  nonche'  di  «ricognizione   dell'allineamento   tra   i
fabbisogni di spesa gia'  definiti  e  l'andamento  del  gettito  dei
tributi compartecipati per il finanziamento delle medesime funzioni»,
autorizzando il Ministro dell'economia e delle finanze a  determinare
«le  necessarie  variazioni  delle  aliquote   di   compartecipazione
definite nelle intese  [...],  garantendo  comunque  l'equilibrio  di
bilancio e nei limiti delle risorse disponibili»; 
        l'art. 9, il quale,  nel  dettare  le  clausole  finanziarie,
prevede, inter alia, quanto  segue:  i)  la  clausola  di  invarianza
finanziaria (primo comma); ii) «il finanziamento dei LEP  sulla  base
dei relativi costi e fabbisogni  standard  e'  attuato  nel  rispetto
dell'art. 17 della legge 31 dicembre 2009, n. 196, e degli  equilibri
di bilancio» (secondo comma); iii) «Per le singole  regioni  che  non
siano parte delle intese approvate con legge in attuazione  dell'art.
116, terzo  comma,  della  Costituzione,  e'  garantita  l'invarianza
finanziaria nonche' il finanziamento delle iniziative finalizzate  ad
attuare le previsioni di cui all'art.  119,  terzo,  quinto  e  sesto
comma, della Costituzione. Le  intese,  in  ogni  caso,  non  possono
pregiudicare  l'entita'  e  la  proporzionalita'  delle  risorse   da
destinare a ciascuna delle  altre  Regioni,  anche  in  relazione  ad
eventuali maggiori risorse destinate all'attuazione dei  LEP  di  cui
all'art. 3. E' comunque garantita la perequazione per i territori con
minore capacita' fiscale per abitante» (terzo comma); iv) «Al fine di
garantire il coordinamento della finanza  pubblica,  resta  ferma  la
possibilita' di prevedere anche per le regioni che hanno sottoscritto
le intese, ai sensi  dell'art.  2,  il  concorso  agli  obiettivi  di
finanza pubblica [...]»; 
        l'art. 10, il quale stabilisce che anche  nelle  regioni  che
non stipulano le intese lo  Stato  adotta  misure  perequative  e  di
promozione  dello  sviluppo  economico,  della   coesione   e   della
solidarieta' sociale; 
        l'art. 11, primo comma, il quale, tra le diverse disposizioni
transitorie e finali, dispone  che  «gli  atti  di  iniziativa  delle
regioni gia' presentati al Governo,  di  cui  sia  stato  avviato  il
confronto congiunto tra il Governo e  la  regione  interessata  prima
della data di entrata in vigore della presente legge, sono  esaminati
secondo quanto previsto dalle pertinenti disposizioni della  presente
legge». 
    1.5. In particolare, le impugnate disposizioni della legge n.  86
del 2024 sono lesive della sfera di competenza della Regione  Toscana
risultando incostituzionali per i seguenti motivi di 
 
                               Diritto 
 
1. Illegittimita' costituzionale della legge n. 86 del 2014, nonche',
in subordine, degli articoli 2, primo, secondo e quarto comma,  e  4,
per violazione dell'art. 116, terzo comma, della Costituzione,  anche
in relazione al  primo  comma,  dell'art.  117,  terzo  comma,  della
Costituzione nonche' degli  articoli  5  e  138  della  Costituzione.
Illegittimita'  costituzionale  della  legge  n.  86  del  2014,  per
violazione  dell'art.  5  anche  in  relazione  all'art.  120   della
Costituzione. 
    1.1.  L'art.  116,  terzo  comma,  della  Costituzione  e'  stato
aggiunto con legge costituzionale n. 3  del  2001,  che,  dopo  avere
confermato, al  primo  comma,  «forme  e  condizioni  particolari  di
autonomia, secondo i rispettivi statuti speciali adottati  con  legge
costituzionale»,  per  il  Friuli-Venezia  Giulia,  la  Sardegna,  la
Sicilia, il Trentino-Alto Adige/Sudtirol e  la  Valle  d'Aosta/Vallee
d'Aoste,  ha  previsto  la  possibilita'  di  attribuire,  «ad  altre
regioni», «ulteriori forme e condizioni  particolari  di  autonomia»,
concernenti una serie di materie,  individuate  con  rinvio  all'art.
117,  terzo  comma,  e  secondo  comma,  lettere  l),   limitatamente
all'organizzazione della giustizia di pace, n) e s). 
    A tale  attribuzione  si  puo'  procedere  con  legge  ordinaria,
rafforzata, da un lato, dalla previa necessita' di un'intesa  tra  lo
Stato e la regione e, dall'altro, dalla  approvazione  a  maggioranza
assoluta (questo e' stato, in effetti, uno dei  punti  sui  quali  la
legge costituzionale n. 3 del 2001 si e' maggiormente discostata  dal
progetto della «Bicamerale  D'Alema»,  che  sul  punto  prevedeva  il
ricorso a leggi costituzionali). 
    1.2. Nel primo e terzo comma dell'art. 116 della Costituzione, si
usa, quindi, la medesima espressione, «forme e condizioni particolari
di autonomia», che  possono  essere  attribuite  anche  alle  regioni
diverse dalle cinque ad autonomia speciale, con un  procedimento,  in
realta', meno aggravato, facendosi ricorso  ad  una  legge  ordinaria
rafforzata, dall'approvazione a maggioranza assoluta  sulla  base  di
un'intesa  tra  lo  Stato  e  la  regione,  anziche'  ad  una   legge
costituzionale di approvazione dello statuto. 
    Se quest'ultima circostanza non puo' ragionevolmente che  indurre
a considerare le  attribuzioni  di  cui  al  terzo  comma  come  meno
significative di quelle legate alla specialita' delle cinque  regioni
indicate  al  primo  comma,  deve  considerarsi  che,  comunque,   il
riferimento e' in entrambi i casi a «forme e  condizioni  particolari
di autonomia», che sono, in sostanza, quelle che - dal 1948  -  hanno
determinato la specialita' di alcune  regioni,  in  collegamento  con
particolari «rationes e caratteristiche essenziali»,  secondo  quanto
da tempo sottolineato da S. Bartole (sub  art.  122,  in  Commentario
della Costituzione,  a  cura  di  G.  Branca,  Zanichelli -  Il  Foro
Italiano, 1985, 83). L'Autore evidenzia, per  ciascuna  delle  cinque
regioni  di  cui  all'art.   116,   primo   comma,   le   particolari
caratteristiche  che  hanno  giustificato  il  riconoscimento   della
specialita', ricollegandovi l'assegnazione di specifiche  competenze,
senza che cio' sia smentito dalla presenza  di  attribuzioni  comuni,
legate, quando non ad una vera e  propria  tutela  etnico-linguistica
(Trentino-Alto  Adige  e  Valle   d'Aosta)   comunque   alla   tutela
dell'identita' storica e culturale (negli altri  tre  casi),  che  la
Costituzione (e non una  legge)  ha  individuato,  semmai  anche  con
ripercussioni sul piano delle competenze di politica economica. 
    Queste  cosi'  peculiari  caratteristiche,  che   hanno   portato
all'attribuzione di speciali forme di autonomia - garantita a livello
costituzionale sia dal riconoscimento di cui al primo  e  al  secondo
comma dell'art. 116 della Costituzione sia, poi, dallo stesso Statuto
delle cinque regioni in questione - sono state evidentemente ritenute
ancora sussistenti al momento in cui si e' proceduto ad un pur  assai
ampio  ripensamento  del  sistema  delle  autonomie  territoriali  (e
regionali, in special modo), con legge costituzionale n. 3  del  2001
(non assecondando i dubbi, pur espressi in dottrina, sulla perdurante
attualita' della specialita', ulteriormente riproposti alla  luce  di
una differenziazione diffusa). 
    In tale  contesto,  tuttavia,  su  un  piano  gradato,  e'  stato
previsto che «ulteriori forme e condizioni particolari di  autonomia»
possano essere  riconosciute,  nell'ambito  di  determinate  materie,
anche  alle  altre  regioni.  Del  resto,  l'autonomia  ha  lo  scopo
principale di organizzare l'autogoverno delle comunita'  territoriali
(ai diversi livelli in cui la stessa e' organizzata), valorizzando le
specificita',  che  richiedono  una  differenziazione,  al  fine   di
garantire  la  migliore  amministrazione  delle   comunita'   stesse,
naturalmente nel rispetto dei principi di solidarieta' e  uguaglianza
nel godimento dei diritti, senza i quali e' messa in  crisi  l'unita'
della Repubblica (su questi ultimi temi, v. G. Rivosecchi,  Ulteriori
forme e condizioni particolari di autonomia  e  norme  costituzionali
sulla finanza territoriale (art. 119 della  Costituzione),  in  Nuove
autonomie n. speciale I/2024, 63 ss.). 
    E, in effetti, la Corte costituzionale - nella  sentenza  n.  173
del 2023 - ha evidenziato come alle «forme e  condizioni  particolari
di autonomia» sia coessenziale la limitazione  territoriale,  essendo
in quell'ambito territoriale che sorge la specificita'. 
    Sulla  base  del  quadro  cosi'  tracciato,  quindi,  a   seguito
dell'entrata in vigore della legge  costituzionale  n.  3  del  2001,
anche per le altre regioni, in deroga  a  quello  che  e'  il  comune
modello di  riparto  di  competenze  disegnato  dal  titolo  V  della
Costituzione (sul punto anche M. Cecchetti, La differenziazione delle
forme e condizioni particolari di autonomia,  in  Oss.  Fonti,  2002,
137), nel caso in cui la differenziazione per cosi' dire  «ordinaria»
sia  ritenuta,  nel  caso  specifico,   inadeguata   possono   essere
introdotte «forme e  condizioni  particolari  di  autonomia»  che  si
leghino a «caratteristiche essenziali» della regione. 
    Se, invece, a tutte  le  regioni  potessero  essere  riconosciute
«forme e condizioni particolari di autonomia», relativamente a  tutte
le materie astrattamente  individuate  dall'art.  116,  terzo  comma,
della Costituzione, come la  legge  n.  86  del  2024  (o  almeno  le
disposizioni specificamente  censurate:  art.  2,  primo,  secondo  e
quarto  comma,  e  art.  4)  intende   che   avvenga,   la   suddetta
particolarita' verrebbe meno, dando vita a uno  Stato  con  autonomie
regionali paradossalmente anche  piu'  forti  di  quelle  attualmente
riconosciute come speciali (tanto  che  l'art.  11  della  legge,  in
aperto  contrasto  con  lo  stesso  art.  116,  terzo  comma,   della
Costituzione ha esteso la  possibilita'  di  fare  ricorso  a  questa
modalita' anche per le cinque  regioni  ad  autonomia  speciale,  che
rischiavano di trovarsi in una condizione deteriore). 
    Tale ultima configurazione dell'autonomia, che trova  la  propria
base di realizzazione nella legge impugnata, prima ancora  che  nelle
singole leggi da approvare in base all'art. 116, terzo  comma,  della
Costituzione, potrebbe giungere, in definitiva, al punto  da  mettere
in crisi lo stesso  principio  di  unita'  della  Repubblica  di  cui
all'art. 5 della Costituzione, consentendo  a  tutte  le  regioni  di
attrarre anche tutte le materie indicate, facendo  perdere  di  senso
alla stessa idea di regionalismo «differenziato» o «asimmetrico». 
    In sostanza,  un'interpretazione  che  permettesse  di  concedere
ulteriori forme di autonomia anche in tutte  le  materie  alle  quali
rinvia  l'art.  116,  terzo  comma,  senza  alcun  collegamento   con
effettive specificita' - e potenzialmente senza alcuna  asimmetria  o
differenziazione (se tutte le regioni vi accedessero) - realizzerebbe
semplicemente una forma di Stato  nuova  che  lascerebbe  al  livello
centrale meno di quanto generalmente gli e' attribuito in ordinamenti
federali, senza, tuttavia, una  serie  di  garanzie  normalmente  ivi
previste a tutela dell'unita' del Paese e del raccordo tra il livello
centrale e i dotatissimi livelli  periferici.  Tale  mutamento  della
forma di Stato sarebbe peraltro realizzato senza  passare  attraverso
le forme previste dall'art. 138 della Costituzione per  la  revisione
costituzionale  (ammesso  che  cio'   fosse   comunque   praticabile,
considerato il possibile contrasto di una siffatta revisione  con  lo
stesso  principio  supremo  dell'unita'   e   indivisibilita'   della
Repubblica di cui all'art. 5 della Costituzione). 
    1.3. Orbene, se il significato dell'art. 116, terzo comma,  della
Costituzione non puo' che essere quello di attribuire - in una logica
derogatoria della differenziazione «ordinaria»  -  alcune  competenze
corrispondenti a «particolarita'» della regione (presenti  in  almeno
una parte del suo territorio) e' chiaro che la legge n. 86  del  2024
avrebbe dovuto dare attuazione a questo aspetto. 
    Invece, la legge nel suo complesso non prevede alcun collegamento
della richiesta alle specificita' della regione, ne', quindi,  alcuna
necessita' di una motivazione in merito. 
    Tale vizio, nella denegata e non creduta ipotesi non si ritenesse
riferibile  all'intera  legge,  e'  almeno  da  riscontrare  per   le
disposizioni che fanno riferimento alla richiesta di attribuzione  di
«ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia»,  in  «una  o
piu' materie o ambiti di materie» ed al relativo negoziato  (art.  2,
primo e secondo comma), fino  ad  arrivare  allo  «schema  di  intesa
preliminare» (art. 2, quarto comma) e quindi al  trasferimento  delle
relative funzioni (art. 4) non prevedendo  alcun  collegamento  della
richiesta  alle  specificita'  della  regione,  ne',  quindi,  alcuna
necessita' di una motivazione in merito. 
    Cio' e' reso ulteriormente evidente dalla  previsione,  contenuta
nell'art. 2, primo comma, per cui, nelle materie riferibili (in  base
a questa legge) ai livelli essenziali di prestazioni,  il  Presidente
del Consiglio dei ministri o il Ministro per gli affari  regionali  e
le autonomie svolge il  «negoziato»  con  la  regione  «per  ciascuna
singola  materia  o  ambito  di  materia»,  mentre  per  le  altre  -
evidentemente - si puo' procedere anche «in blocco». 
    Da tutto cio' emerge che tutte le regioni (e,  in  base  all'art.
11, in contrasto aperto con il  116,  terzo  comma,  anche  quelle  a
statuto speciale), in forza  di  questa  legge,  potrebbero  chiedere
ulteriori attribuzioni in modo  totalmente  arbitrario,  giungendo  a
farlo anche per tutte  le  ventitre'  materie  che  costituiscono  il
paniere all'interno del quale - ai sensi dell'art. 116, terzo  comma,
della Costituzione - e' possibile avanzare la richiesta,  senza  dare
benche' minima considerazione alla circostanza per cui cio'  sarebbe,
invece, possibile soltanto  ove  le  specificita'  della  regione  lo
richiedano (o almeno lo consentano). 
    Proprio la necessaria specificita' da porre  a  fondamento  della
richiesta di ulteriori competenze si lega anche al fatto  che  queste
ultime non riguardino (necessariamente) l'intero ambito delle diverse
materie  elencate   (ad   esempio   tutto   l'ambito   della   tutela
dell'ambiente,  dell'ecosistema  e  dei  beni   culturali),   ma   si
riferiscano, invece, a particolari settori, «concernenti  le  materie
di cui ...» (come e', in effetti, scritto nell'art. 116, terzo comma,
della Costituzione). Infatti, la  richiesta  di  competenze  potrebbe
avvenire anche in un settore trasversale a piu'  materie  tra  quelle
elencate, purche' di specifico rilievo in quella regione. 
    Cosi', ad esempio, e' chiaro che la Toscana potrebbe  chiedere  -
motivatamente, in ragione delle proprie specificita'  territoriali  -
forme e condizioni particolari di autonomia relativamente all'energia
geotermica, presente in modo unico o comunque non comune nel panorama
nazionale (tanto che sono presenti,  nel  territorio  regionale,  ben
trentatre' centrali geotermiche, come  agevolmente  verificabile  sul
sito di ARPAT), cosi' come in materia di  cave  di  marmo,  che,  del
pari, rappresentano un unicum, o in relazione alla valorizzazione dei
beni  culturali,  considerata  la  particolare  concentrazione  degli
stessi in alcune sue citta', a partire  da  Firenze,  il  cui  centro
storico e' uno dei sette luoghi della Toscana  inseriti  nella  lista
dei siti dichiarati Patrimonio  dell'Umanita'  da  parte  dell'Unesco
(assieme a Piazza del Duomo a Pisa, ai centri storici di  Siena,  San
Gimignano e Pienza, al paesaggio della Val d'Orcia  e  alle  ville  e
giardini   medicei,   che   sono   ben   quattrodici:    https://www.
regione.toscana.it/la-toscana-e-i-suoi-patrimoniunesco). 
    Viceversa, la stessa  Toscana  non  si  trova  attualmente  nella
condizione di avanzare, ad esempio, richieste di  ulteriori  forme  e
condizioni particolari di autonomia relative alla giustizia di  pace,
cosa che potrebbe accadere in una regione  in  cui,  in  ipotesi,  si
registrasse un particolare aumento sul territorio di controversie  di
modesta importanza. 
    Naturalmente, il fatto che, in  un  determinato  momento,  alcune
delle ventitre' materie alle  quali  complessivamente  rinvia  l'art.
116, terzo comma, della Costituzione  non  sembrino  rispondere  alla
specificita' di nessuna regione non  costituisce  in  alcun  modo  un
argomento  per  negare  che  esse  possano  esserlo  successivamente.
Infatti,  l'art.  116,  terzo  comma,  della  Costituzione  e'  stato
concepito come  astrattamente  facoltizzante  rispetto  ad  un  ampio
novero di materie, ma da  delimitare  poi  rispetto  a  specifiche  e
concrete esigenze, che mutano non solo rispetto ai territori ma anche
nel tempo. 
    1.4. Giova, in effetti, ricordare che, sulla  previsione  di  una
legge di attuazione dell'art. 116, terzo comma,  della  Costituzione,
si sono confrontate posizioni diverse, la  grande  maggioranza  delle
quali volte, comunque,  ad  escluderne  la  necessita',  che  ricorre
soltanto   quando   e'   il   testo   costituzionale   a   prevederlo
espressamente, cosa che, in questo caso non avviene. 
    Il Dossier preparato  dal  Servizio  studi  della  Camera  del  5
febbraio  2024  evidenzia  come,  in  effetti,  nel  caso,  la  norma
costituzionale non preveda la necessita' di un intervento legislativo
per definire i principi generali per l'attribuzione alle  regioni  di
ulteriori  funzioni,  essendo  la  stessa  legge  rafforzata   (dalla
presenza di una  previa  intesa  e  dall'approvazione  a  maggioranza
assoluta) ex art.  116,  terzo  comma,  della  Costituzione  a  poter
attribuire  le  «ulteriori  forme   e   condizioni   particolari   di
autonomia». 
    Tuttavia, nello stesso Dossier, si evidenzia come  una  legge  di
attuazione, anche ove non espressamente prevista dalla  Costituzione,
sia comunque sempre possibile, «ferma restando ovviamente  l'esigenza
di valutare  in  modo  specifico  la  compatibilita'  con  il  quadro
costituzionale  delle  singole  disposizioni  di   volta   in   volta
considerate». 
    La legge di attuazione, in sostanza, mirerebbe  -  anche  secondo
l'analisi tecnico-normativa che accompagna il  disegno  di  legge  in
commento (v. Dossier, cit., p. 7-8) - «a costruire percorsi  costanti
e organici attorno ai processi di accesso all'autonomia differenziata
di cui alle citate disposizioni costituzionali dell'art.  116,  terzo
comma, della Costituzione ... in  ogni  caso  attestandosi  sui  soli
segmenti della complessa procedura esulanti dalla sfera di competenza
riservata  all'autonomia  regolamentare  del  Parlamento   ai   sensi
dell'art. 64 della Costituzione». 
    Ferma restando la dubbia utilita',  in  termini  generali,  delle
leggi ordinarie con cui il legislatore cerca di autovincolarsi per il
futuro (si pensi, per fare un solo esempio, al caso  della  legge  n.
400 del 1988, relativamente ai limiti della decretazione  d'urgenza),
una legge come quella in parola deve - come gia' detto  -  porsi  nel
rigoroso rispetto della Costituzione  (ed  in  particolare  dell'art.
116, terzo comma, anche, pero', nella sua combinazione con  le  altre
norme e principi) e chiarire efficacemente i  profili  attuativi  per
regolare i quali e' stata introdotta. 
    Rispetto alla questione in  esame,  quindi,  considerato  che  le
«ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia» presuppongono
specificita' territoriali (alla base - come  abbiamo  detto  -  anche
dell'autonomia  speciale,  seppure   essa   passi   per   una   legge
costituzionale), secondo la stessa  previsione  costituzionale,  come
sopra argomentato, la legge di attuazione avrebbe dovuto disciplinare
le modalita' e la procedura per la loro individuazione. 
    Al contrario, non soltanto questo non avviene, ma sembra emergere
un disegno  opposto,  di  «powers  shopping»,  in  virtu'  del  quale
ciascuna regione, a proprio gusto o comunque arbitrio, puo'  decidere
di chiedere alcune o tutte le materie possibili, ottenendo  da  parte
del Governo una maggiore o minore adesione, anche in questo  caso  in
modo del tutto arbitrario, non essendovi  parametri  di  riferimento,
cio'  finendo,  quindi,  probabilmente,  per   dipendere   (anche   o
soprattutto) dalla maggiore o minore vicinanza politica. 
    Infatti,  la  legge  impugnata  -  in  particolare  nelle   norme
richiamate - non richiede  alcuna  motivazione  per  l'individuazione
delle  materie,  questo  essendo,  invece,  uno  dei  punti  su   cui
l'attuazione risultava, se non necessaria, almeno molto utile,  anche
in considerazione  dell'impostazione  seguita  con  i  primi  accordi
preliminari (c.d. «pre-intese») avviati gia' nel 2018  (v.  anche  il
punto 11), volte, soprattutto nell'impostazione del  Veneto  e  della
Lombardia, a fare incetta di  (quasi)  tutte  le  materie  possibili,
senza alcun collegamento con le specificita' territoriali. 
    Peraltro, come gia' evidenziato, se la  differenziazione  non  si
legasse a specificita' regionali, l'attribuzione delle  materie  -  e
potenzialmente anche di tutte  le  materie  -  finirebbe  per  essere
rimessa all'arbitrarieta' dei Governi  pro  tempore,  tanto  piu'  in
considerazione  del  fatto  che  la  possibilita'  di  incidere   del
Parlamento (in cui il Governo comunque ha la maggioranza) pare  molto
limitata (v. infra, punto 2). 
    Per lo stesso motivo, una regione potrebbe trovarsi ad  avere,  a
seconda delle maggioranze temporaneamente presenti al suo interno e/o
a  livello  nazionale,   competenze   diverse,   non,   appunto,   in
considerazione di elementi obiettivi, quanto piuttosto di valutazioni
politiche  del  tutto  contingenti  ed  arbitrarie,  che   potrebbero
sfociare in una conflittualita' non solo in sede politica ma anche di
fronte a questa Corte, nella forma del conflitto tra lo  Stato  e  le
regioni. 
    1.5. In sintesi, quindi, da tutto quanto sopra argomentato emerge
una violazione da parte della legge nel suo complesso dell'art.  116,
terzo comma, della Costituzione, perche' ad essere attuato non e'  il
modello di autonomia ivi previsto e dell'art. 5  della  Costituzione,
perche'  dall'attuazione  di  cui  alla  legge   impugnata   potrebbe
determinarsi un vero e proprio mutamento della forma di Stato, fino a
compromettere l'unita' dello stesso, alla  quale  ultima  la  regione
ricorrente   ha   certamente   interesse,   considerandola   garanzia
indefettibile  della  sua  autonomia,  senza  la  quale  le   proprie
competenze risulterebbero certamente lese. 
    Ove si ritenesse che le suddette censure non possano inficiare la
validita'   dell'intera   legge,   esse   determinerebbero   comunque
illegittimita' costituzionale degli articoli  che  fanno  riferimento
alla richiesta di  attribuzione  di  «ulteriori  forme  e  condizioni
particolari di autonomia»,  in  «una  o  piu'  materie  o  ambiti  di
materie» ed al relativo negoziato (art. 2, primo  e  secondo  comma),
fino ad arrivare allo «schema di intesa preliminare» (art. 2,  quarto
comma) e quindi al trasferimento delle  relative  funzioni  (art.  4)
senza prevedere alcun collegamento con le specificita' della regione. 
    1.6. La possibilita'  che  la  legge  n.  86  del  2024  nel  suo
complesso e, in particolare, gli articoli 2, primo, secondo e  quarto
comma, e 4, offrono, di chiedere «forme e condizioni  particolari  di
autonomia» pure in tutte le materie a cui rinvia  l'art.  116,  terzo
comma,  della  Costituzione,  senza  nessun   collegamento   con   la
specificita' della regione interessata,  secondo  quanto  argomentato
nel precedente motivo di ricorso, determina, poi, un ulteriore  vizio
di legittimita' costituzionale, rispetto all'art. 117,  terzo  comma,
nonche' (ancora) all'art. 138 della Costituzione. 
    Infatti, se, come la legge impugnata presuppone, tutte le regioni
possono chiedere l'esercizio della funzione legislativa in  tutte  le
materie di cui all'art. 117,  terzo  comma,  della  Costituzione,  la
potesta' legislativa concorrente puo' venire meno, cio' incidendo  in
modo  costituzionalmente  illegittimo  sul  sistema  di  riparto   di
competenze, che  puo'  essere  modificato  soltanto  dal  legislatore
costituzionale (come si proponeva  di  fare  la  legge  di  revisione
costituzionale approvata dalle Camere nella XVII  legislatura  e  poi
respinta con il  referendum  del  4  dicembre  2016,  che  eliminava,
appunto, la potesta' legislativa concorrente). 
    La  potesta'  legislativa  concorrente,  introdotta  nel   nostro
ordinamento sin dal 1948, in  effetti,  contribuisce  a  delineare  i
rapporti tra lo Stato  e  le  regioni  ed  e'  stata  particolarmente
valorizzata, con la  revisione  costituzionale  del  2001,  cioe'  la
stessa che ha introdotto l'art. 116, terzo comma, della Costituzione. 
    Sarebbe, quindi, in primo luogo del tutto contraddittorio che  il
legislatore costituzionale abbia voluto  togliere,  con  l'art.  116,
terzo comma, cio' che con l'art. 117, terzo comma,  si  apprestava  a
dare. Infatti, se, come abbiamo appena detto, la potesta' legislativa
concorrente e' prevista in  Costituzione  dal  1948  (all'epoca  come
unica possibile modalita' di  esercizio  del  potere  legislativo  da
parte delle regioni),  avendo  trovato  spazio  anche  negli  statuti
speciali, nel  2001  essa  ha  assunto  particolare  rilevo,  essendo
riferita ad un cospicuo novero di materie,  alla  cui  ridefinizione,
peraltro, questa Corte ha dedicato ampia giurisprudenza. 
    Attraverso il  ricorso  alla  potesta'  legislativa  concorrente,
infatti, il  legislatore  costituzionale  del  2001,  particolarmente
sensibile alla valorizzazione del principio autonomista  (soprattutto
con  riferimento  all'ente  regionale),  ha  inteso  consentire  alle
regioni di intervenire su numerose materie, anche tradizionalmente di
competenza statale, ponendo una condizione, o meglio  una  «riserva»,
in capo allo Stato di determinare i principi  fondamentali.  Come  e'
stato rilevato (v. L. Antonini, sub art. 117, secondo, terzo e quarto
comma, in Commentario della costituzione, a cura di  R.  Bifulco,  A.
Celotto, M. Olivetti,  Utet,  2006,  2246),  nella  «nuova»  potesta'
legislativa  concorrente,  a  fronte   di   una   maggiore   ampiezza
dell'ambito di intervento delle regioni, vi e'  una  vera  e  propria
«riserva» allo Stato nella individuazione dei principi  fondamentali.
Cio' e' coerente con la volonta' di potenziare l'autonomia regionale,
anche e soprattutto a livello  legislativo,  mantenendo  pero'  salda
l'unita'  della  Repubblica,  espressione  di  un  principio  supremo
dell'ordinamento. 
    In effetti, la potesta' legislativa  concorrente  e'  espressione
del principio di sussidiarieta', letto  congiuntamente  a  quello  di
leale  collaborazione,  in  materie  che  per  le  loro  peculiarita'
presuppongono un intervento congiunto dello Stato e delle regioni. 
    Le leggi rinforzate approvate sulla base delle intese,  ai  sensi
dell'art.  116,  terzo  comma,  della  Costituzione  possono   quindi
ritenersi autorizzate  esclusivamente  a  concedere  alla  competenza
legislativa regionale  specifiche  materie  o  sub-materie,  che,  in
virtu' della specificita' del territorio e del contesto  economico  e
sociale,  giustificano  una  regolazione  integrale  da  parte  delle
regioni stesse. 
    In questo senso la legge n. 86 del 2024,  e  in  particolare  gli
articoli 2  e  4,  ammettendo  la  possibilita'  di  attribuire  alla
competenza legislativa regionale interi blocchi di  materie,  tra  le
quali in particolare tutte le competenze  concorrenti,  permette,  in
assenza delle garanzie previste dall'art. 138 della Costituzione,  la
radicale  soppressione  della   potesta'   legislativa   concorrente,
espressione di un sistema di autonomia basato sulla cooperazione  tra
il livello statale e quello regionale che consente  alle  regioni  di
introdurre discipline di dettaglio differenziate, pur  in  un  quadro
uniforme di norme generali in materie  di  particolare  importanza  e
rilievo anche nazionale. 
    Ne discende  che  essa,  consentendo  l'alterazione  del  modello
regionalistico  italiano,  viene  ad  essere  affetta  da  un   vizio
d'illegittimita'  costituzionale  radicale,  non  superabile  nemmeno
procedendo  ad   una   interpretazione   conforme   a   Costituzione,
coincidente con la violazione degli articoli  117,  comma  3,  e  138
della Costituzione, quest'ultimo evidentemente afferente, nel caso di
specie, ad una questione di riparto di competenze. 
    1.7. Puo' da ultimo constatarsi  come  l'autonomia  differenziata
prenda forma, con questa legge di  attuazione  dell'art.  116,  terzo
comma, in modo piuttosto centralistico, in dispregio del principio di
leale collaborazione, individuabile secondo  costante  giurisprudenza
costituzionale, nel combinato disposto degli articoli 5 e  120  della
Costituzione. Se cio' emergera' da una serie di elementi relativi  al
procedimento,  che  saranno   di   seguito   sottolineati,   in   via
preliminare, pero', pare da evidenziare come l'intera legge censurata
sia viziata in tal senso sin dalla sua genesi. 
    Essa nasce, infatti,  su  iniziativa  governativa,  senza  alcuna
consultazione con le regioni, neppure in sede di Conferenza,  ne'  un
particolare  coinvolgimento  delle  stesse   risulta   essere   stato
realizzato successivamente, neppure attraverso le pur ampie  indagini
conoscitive, che  hanno  visto  le  audizioni  della  Conferenza  dei
Presidenti  delle  Assemblee  legislative  e  del  Presidente   della
Conferenza delle regioni e delle province autonome,  preceduta  dalla
trasmissione di  un  documento  da  parte  della  Conferenza  stessa,
risultando diluite in una enorme quantita' di contributi senza essere
state particolarmente ascoltate (basti evidenziare, ad  esempio,  che
la  Conferenza  dei  Presidenti  delle  Assemblee  legislative  aveva
suggerito la attuazione dell'art. 11 della legge costituzionale n.  3
del 2011, con  l'integrazione  della  Commissione  per  le  questioni
regionali  con  i  rappresentanti  delle   autonomie,   che   avrebbe
certamente  potuto  svolgere  un  utile  ruolo  nel  corso  dell'iter
parlamentare di approvazione della legge  sulla  base  delle  intese;
mentre nel documento della Conferenza delle regioni e delle  province
autonome vi e', tra l'altro, da un lato,  un  importante  riferimento
alla necessita' che  «sia  assicurata  la  realizzazione  sull'intero
territorio nazionale, attraverso azioni coordinate, di condizioni  di
effettiva uniformita' nel godimento dei diritti fondamentali da parte
di tutti i cittadini», che risulta del tutto trascurato  dalla  legge
impugnata -  come  vedremo  meglio  nei  motivi  che  seguono  ed  in
particolare 7, 8, 9, 10 e 12 - e, d'altro lato, un  riferimento  alla
«necessita' della  determinazione  dei  LEP  da  parte  dello  Stato,
secondo tempistiche certe e stringenti, e con il pieno coinvolgimento
delle regioni e delle  province  autonome»,  che  risulta  ampiamente
smentito sia in relazione alla determinazione in se' - e  soprattutto
alla garanzia degli stessi - sia in relazione al coinvolgimento delle
autonomie). 
    Pare, quindi, questo un primo elemento che indica  la  violazione
del principio di leale  collaborazione,  espresso,  secondo  costante
giurisprudenza, dal combinato disposto degli articoli 5 e  120  della
Costituzione,  da  cui  deriva  indirettamente  una   lesione   delle
competenze regionali. 
2. Illegittimita' costituzionale dell'art. 2, quinto e ottavo  comma,
per violazione dell'art. 116 terzo comma, nonche' dell'art. 5 e degli
articoli 70 e 72 della Costituzione. 
    2.1. La legge impugnata - come emerge in particolare all'art.  2,
quinto e ottavo comma - in contrasto con  quanto  stabilito  all'art.
116, terzo comma, della Costituzione,  relega  il  Parlamento  ad  un
ruolo marginale a  tutto  vantaggio  del  Governo,  che  e'  il  vero
protagonista dell'intero procedimento descritto  all'art.  2,  in  un
rapporto sostanzialmente esclusivo con l'Esecutivo regionale. 
    Cio'  risulta  dal  fatto  che  le  Camere,  dopo  essere   state
semplicemente «informate» (comma 2) dell'avvio del negoziato (al pari
della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e
le Province autonome di Trento e Bolzano), sono chiamate,  attraverso
i «competenti organi parlamentari»  all'espressione  di  un  semplice
«parere» (comma 4), ne' necessario (dovendo essere richiesto  ma  non
atteso oltre novanta giorni), ne' vincolante, in quanto  -  ai  sensi
del quinto comma - il Presidente  del  Consiglio  dei  ministri  puo'
benissimo non conformarsi allo stesso, in  tal  caso  essendo  tenuto
semplicemente a «riferire alle Camere con apposita  relazione,  nella
quale fornisce adeguata motivazione della scelta effettuata». 
    La centralita' che al Parlamento e' invece riconosciuta dall'art.
116, terzo comma, della Costituzione, che lo individua come  l'organo
costituzionale  chiamato  a  valutare  e   deliberare   gli   estremi
dell'autonomia differenziata, avrebbe richiesto sin  da  queste  fasi
iniziali il riconoscimento di ben altro ruolo, con  l'espressione  di
atti necessari e vincolanti (ad esempio, valorizzando la  Commissione
bicamerale per le questioni regionali,  magari  procedendo  alla  sua
integrazione con i rappresentanti delle autonomie, come  consente  di
fare l'art. 11 della legge costituzionale n. 3  del  2001,  come  era
stato anche suggerito dalla Conferenza dei Presidenti della Assemblee
legislative), anche in vista dell'approvazione con  legge,  che  pure
avrebbe richiesto di seguire un procedimento di piena  valorizzazione
della funzione legislativa delle Camere che non trova  corrispondenza
nell'art. 2, ottavo comma. 
    2.2. Infatti, l'art. 2,  ottavo  comma,  della  legge  impugnata,
prevede che «il disegno di legge di cui al comma 6, cui  e'  allegata
l'intesa,  e'   immediatamente   trasmesso   alle   Camere   per   la
deliberazione,  ai  sensi   dell'art.   116,   terzo   comma,   della
Costituzione». 
    La norma, scritta  non  senza  ambiguita',  fa  riferimento  alla
(sola) «deliberazione», termine con il quale si indica  la  decisione
presa, che corrisponde,  quindi,  all'approvazione  finale,  in  cio'
differenziandosi dalla previsione di cui all'art. 116,  terzo  comma,
della  Costituzione,  che  prevede  l'approvazione   (a   maggioranza
assoluta,  sulla  base  di  un'intesa  tra  lo  Stato  e  la  regione
interessata) di una legge di iniziativa regionale  (v.  infra,  punto
4), con il successivo sviluppo di un ordinario iter legis. 
    Cio'  determinerebbe,  quindi,  il  passaggio   in   Commissione,
richiesto dall'art. 72 della Costituzione, con le relative  attivita'
(illustrazione della proposta, svolgimento  della  fase  istruttoria,
definizione del testo base su cui presentare, discutere e votare  gli
emendamenti, arrivando a un testo su cui  chiedere  il  parere  delle
commissioni «filtro» per poi  votare  il  mandato  al  relatore  o  i
relatori), per passare, poi, alla fase in aula, che si  apre  con  la
discussione generale, che coinvolge l'intero Parlamento, favorendo il
confronto tra maggioranza e opposizioni  e  realizza  -  grazie  alla
pubblicita' dei lavori - il  coinvolgimento  dell'opinione  pubblica,
che assume particolare rilievo a fronte di leggi d'interesse generale
come  quelle  per  attribuire  forme  e  condizioni  particolari   di
autonomia. A conclusione della  discussione  generale,  quindi,  come
noto, possono essere  votate  questioni  pregiudiziali  o  sospensive
(anch'esse assai rilevanti in casi come quello che ci  occupa,  ricco
di insidie dal punto di vista del rispetto della  Costituzione),  per
passare, quindi, all'esame degli articoli e dei relativi  emendamenti
(con i relativi pareri) e al voto  degli  stessi  e  poi  di  ciascun
articolo e, infine, alla deliberazione, appunto, dell'intero testo. 
    Diversamente, l'art. 2, ottavo comma, della legge n. 86 del  2024
sembra fare riferimento soltanto ad una deliberazione complessiva  (a
maggioranza assoluta) sull'intesa  raggiunta  dagli  Esecutivi  dello
Stato e della regione interessata, con una sorta di  «ratifica»,  che
pero' non consentirebbe al Parlamento di  svolgere  adeguatamente  il
suo ruolo, in evidente contrasto con l'art.  116,  terzo  comma,  che
pone piu' che una riserva  di  fonte,  una  vera  e  propria  riserva
d'organo. 
    Infatti, come gia'  a  suo  tempo  evidenziato  nell'«Appello  di
trenta costituzionalisti su  Regionalismo  differenziato,  ruolo  del
Parlamento e unita' del  Paese»,  tra  cui  figurano  tre  Presidenti
emeriti della Corte costituzionale, poi sottoscritto da  molti  altri
(e pubblicato sulla Rivista federalismi.it - e reperibile - alla data
di   redazione   del    presente    atto    -    all'indirizzo    web
https://www.federalismi.it/nv14/articolo-documento.cfm?Artid=38182),
«i parlamentari, come rappresentanti  della  nazione,  devono  essere
chiamati a intervenire, qualora lo riterranno, anche con  emendamenti
sostanziali che possono incidere sulle intese, in modo  da  ritrovare
un nuovo accordo, prima della definitiva votazione sulla legge». 
    Soltanto l'intervento del Parlamento,  nell'esercizio  della  sua
funzione  legislativa,  senza  alcuna   limitazione,   consente,   in
sostanza, un'adeguata sintesi e garantisce l'unita' della Repubblica,
sancita dall'art. 5 della Costituzione, come «uno di quegli  elementi
cosi' essenziali dell'ordinamento costituzionale da essere  sottratti
persino al potere di revisione costituzionale» (sentenza n. 1146  del
1988; sentenza n. 118 del 2015). Tale principio  supremo,  nel  caso,
assicura a ciascuna regione la salvaguardia del suo ruolo, delle  sue
competenze e funzioni e del loro  adeguato  finanziamento  (v.  anche
infra, punto 9), con la conseguenza che la sua violazione - come, per
i motivi suddetti quella degli articoli 70 e  72,  in  considerazione
della compressione  dell'  esercizio  della  funzione  legislativa  -
«ridonda» in una violazione delle competenze stesse,  determinando  a
cascata una lesione degli articoli 117, 118 e 119 della Costituzione. 
    Infatti, la regione ricorrente  -  pur  nella  convinzione  della
centralita' delle autonomie regionali e favorevole, nei limiti di cui
si e' detto, anche a «forme e condizioni particolari di autonomia» in
settori nei quali le sue specificita' possano trovare cosi'  migliore
risposta - ritiene necessario che tutto  cio'  avvenga  nel  rigoroso
rispetto dei principi dell'unita' nazionale, della solidarieta' tra i
territori e tra i cittadini italiani,  assicurando  a  questi  ultimi
condizioni di pari dignita' ed uguaglianza, che  solo  attraverso  il
pieno  coinvolgimento  del  Parlamento,  che  sfocia  in  una   legge
approvata a maggioranza assoluta, secondo  quanto  previsto  all'art.
116, terzo comma, della Costituzione, possono essere garantiti. 
    2.3. In sostanza, tra il modello dell'art. 116,  terzo  comma,  e
quello della legge n. 86 del 2024 non vi e' coerenza. 
    Infatti, la Costituzione rimette chiaramente la definizione delle
«forme  e  condizioni  particolari  di  autonomia»   al   Parlamento,
attraverso una legge, che, per l'importanza e  la  delicatezza  della
scelta che compie, deve essere approvata a maggioranza  assoluta  (la
stessa  prevista   per   la   seconda   deliberazione   delle   leggi
costituzionali, allo scopo di  assicurare  un  solido  sostegno,  non
frutto di maggioranze casuali). 
    In  virtu'  della  gia'  richiamata  riserva  d'organo,  a   tale
approvazione  non  puo'  che  giungersi  -  in  assenza  di   diverse
indicazioni - a seguito di un procedimento legislativo che non limiti
il ruolo delle Camere, chiamate alla mera espressione di  pareri  non
vincolanti fino alla deliberazione  finale,  in  contraddizione,  tra
l'altro, proprio con il «rafforzamento» della  maggioranza  richiesta
per l'approvazione stessa. 
    La previsione di un'intesa alla base della legge di  approvazione
non puo' certamente avere l'effetto di  determinare  la  compressione
dei poteri delle Camere,  alle  quali  spetta  comunque  la  sintesi,
proprio in funzione della suddetta garanzia dell'unita' nazionale. Le
modifiche apportate in sede parlamentare, semmai,  determineranno  la
necessita'  di  rimodulare  l'intesa,  con  il  coinvolgimento  della
regione interessata prima della deliberazione  finale  (v.  anche  il
successivo motivo di ricorso). 
    Un'accurata  definizione  di  questi  passaggi  -  in   effettiva
attuazione dell'art. 116, terzo comma, della  Costituzione  -  poteva
certamente essere utilmente realizzata dalla legge n.  86  del  2024,
che,  invece,  si  e'  allontanata  dal   modello   disegnato   dalla
Costituzione fino a entrarvi in contrasto. 
    In questo senso,  la  legge  n.  86  del  2024  sostituisce  alla
centralita' della legge, quella dell'intesa, che si  realizza  tra  i
due Esecutivi, quello statale e quello  regionale.  Tutti  gli  altri
soggetti coinvolti,  compreso  il  Parlamento,  essendo  chiamati  ad
esprimere  semplici  «pareri»,  dai  quali  ci  si  puo'  distaccare.
Infatti, l'art. 2, quinto  comma,  della  legge,  stabilisce  che  il
Presidente del Consiglio puo'  non  conformarsi  ai  pareri  espressi
dagli  organi  parlamentari  ai  sensi  del  quarto  comma,  fornendo
semplicemente «adeguata motivazione della scelta effettuata». 
    Quindi, il Parlamento non ha alcuna reale capacita'  di  incidere
fino alla «deliberazione»  finale,  che  risulta  costruita  come  un
«prendere o lasciare»,  che  impedisce  l'effettivo  esercizio  della
funzione parlamentare di sintesi nell'interesse dell'unita' nazionale
(potendosi  solo  arrivare  ad  utilizzare  l'«arma   finale»   della
bocciatura completa). 
    In sostanza, la legge qui censurata, ed in particolare l'art.  2,
quinto e ottavo comma  (in  realta'  anticipati  dal  quarto  che  fa
riferimento   soltanto   ad   un   parere   dei   competenti   organi
parlamentari), determinano  una  marginalizzazione  del  ruolo  delle
Camere e della stessa legge, che si limita  a  fungere  da  involucro
dell'intesa. 
    In effetti, la previsione di una mera  «deliberazione,  ai  sensi
dell'art. 116, terzo comma, della Costituzione»,  fa  riferimento  ad
una approvazione - o no - con un unico voto (a maggioranza  assoluta)
del testo dell'intesa. Cio' ha suggerito, in alcune ricostruzioni, un
parallelo con  le  intese  di  cui  all'art.  8  della  Costituzione,
sottolineandone, pero', le  profonde  differenze.  Infatti,  come  ha
precisato N. Colaianni, Autonomia differenziata: ovvero privilegiata,
in Questione giustizia, 20 marzo 2024, «quelle intese non privano ne'
menomano poteri dello Stato, come invece quelle con  le  regioni,  ma
sono finalizzate a rendere effettiva la liberta' di  religione  e  di
culto dei cittadini aventi parte nelle confessioni  stipulanti  e  ad
estendere loro, in aderenza  al  principio  dell'uguale  liberta'  di
tutte  le  confessioni  religiose  ex  art.  8,  primo  comma,  norme
favoritive (efficacia civile del matrimonio religioso, otto per mille
ecc.) riconosciute alle altre confessioni  e,  in  particolare,  alla
chiesa  cattolica».  Diversamente,  le   intese   che   ci   occupano
coinvolgono i rapporti tra enti costitutivi della  Repubblica  e,  di
conseguenza,  l'articolazione  delle   competenze   all'interno   del
relativo ordinamento. 
    Ugualmente del  tutto  improprio  sarebbe  un  parallelo  con  la
ratifica dei trattati internazionali. In questo caso,  infatti,  sono
coinvolti rapporti  con  altri  ordinamenti  sovrani,  per  cui  fare
riferimento  a  questa  ipotesi  finirebbe  per  evidenziare  proprio
l'effetto disgregativo  che  la  legge  puo'  produrre,  giungendo  a
sottintendere, in sostanza, un rapporto tra ordinamenti sovrani,  del
tutto estraneo a quello tra lo Stato  e  le  regioni,  le  quali,  in
quanto espressione di autonomia, sono prive di sovranita',  come  ben
evidenziato dalla stessa Corte costituzionale (v. sentenza n. 365 del
2007),  la  quale  ha  anche  sottolineato  come  non  possa  esservi
omogeneita' di posizione tra  Stato,  regioni  ed  enti  territoriali
(sentenza n. 274 del 2003). 
    2.4. In conclusione, quindi, le disposizioni censurate  (art.  2,
quinto e ottavo comma,  della  legge  n.  86  del  2024)  privano  di
qualsiasi effettiva rilevanza il ruolo del Parlamento, ridotto a mero
soggetto ratificatore di scelte gia' materialmente assunte  in  altra
sede. Cio' appare in palese contrasto con quanto  disposto  dall'art.
116, terzo comma, della Costituzione, disposizione che, si ribadisce,
non puo' formare oggetto di una lettura  atomistica  ma  deve  essere
interpretata alla luce dell'intero testo costituzionale. 
    Il  Parlamento  costituisce,  in  definitiva,  l'unico   soggetto
costituzionalmente autorizzato a individuare un punto di raccordo tra
le istanze unitarie di cui e' portatore lo Stato e quelle particolari
di cui sono portatrici  le  singole  regioni  e  cio'  e'  del  resto
confermato dallo stesso art. 116, terzo comma, della Costituzione, il
quale, infatti, sancisce una riserva d'organo e impone la maggioranza
assoluta per l'approvazione della legge atipica ivi contemplata. Tale
previsione appare del tutto illogica e insensata se posta a confronto
con la privazione di qualsiasi incidenza effettiva delle  Camere  nel
processo di negoziazione ed elaborazione degli schemi d'intesa. 
    E' il Parlamento, e non  l'Esecutivo,  l'organo  investito  della
rappresentanza nazionale (cfr., ex multis, Corte  costituzionale,  25
giugno  2015,  n.  118)  e  spetta  quindi  ad  esso  esprimere,  sia
formalmente sia materialmente, la decisione di  attribuire  ulteriori
forme e condizioni particolari di autonomia, rafforzando la  potesta'
legislativa regionale, ma stando ben attento ad evitare che  essa  si
risolva nella frammentazione dell'ordinamento  e  nella  dissoluzione
dell'unita' nazionale. 
    Le    disposizioni    impugnate    devono    quindi     ritenersi
costituzionalmente illegittime per violazione non solo dell'art. 116,
terzo  comma,   proponendo   un   diverso   percorso   per   giungere
all'autonomia differenziata, ma anche degli articoli 5, 70 e 72 della
Costituzione. 
    Infatti, la suddetta violazione puo' mettere  in  crisi  l'unita'
nazionale (art. 5), potenziando irragionevolmente  le  competenze  di
alcune regioni e ledendo quindi le competenze di altre, tra le  quali
l'odierna  ricorrente,  cio'  finendo,   quindi,   per   riverberarsi
sull'assetto   definito   dall'art.   117   della   Costituzione   ed
eventualmente anche sugli articoli 118 e 119. 
    Analogamente,   la   limitazione   dei   poteri   delle    Camere
nell'esercizio della loro funzione legislativa, in contrasto con  gli
articoli 70  e  72,  esclude  il  Parlamento  dalla  possibilita'  di
garantire   l'unita'   nazionale   anche    attraverso    un'adeguata
attribuzione delle competenze, che si riverbera  in  una  lesione  di
quelle regionali ed in particolare dell'odierna ricorrente. 
3. Illegittimita'  costituzionale  dell'art.  2,  ottavo  comma,  per
violazione dell'art. 116, terzo comma, nonche' degli articoli 5 e 120
della Costituzione. 
    3.1. L'art. 2, ottavo comma, della legge  impugnata  presenta  un
ulteriore limite, censurabile rispetto all'art. 116, terzo comma, non
prevedendo   alcun   coinvolgimento   della   regione   nella    fase
parlamentare. 
    Cio' e', in qualche  modo,  conseguenza  dell'impostazione  della
legge n. 86 del  2024  ed  in  particolare  dell'art.  2,  come  piu'
specificamente risulta dall'ottavo comma - gia'  oggetto  di  censura
anche nei termini di cui motivo precedente -  secondo  cui  tutto  si
svolge sostanzialmente nel negoziato tra i due Esecutivi,  statale  e
regionale, con il Parlamento ridotto a organo di «ratifica»,  mentre,
nell'impostazione dell'art.  116,  terzo  comma,  della  Costituzione
l'interlocuzione dovrebbe  essere  (anche  e/o  soprattutto)  con  il
Parlamento, al quale - come dicevamo - e' poi affidata la sintesi, al
fine di garantire adeguatamente l'unita' nazionale. 
    In assenza di qualunque  coinvolgimento  della  regione,  quindi,
quest'ultima - ancorche' in casi plausibilmente  estremi  -  potrebbe
perfino assistere ad una mancata approvazione della  legge  alla  cui
base c'e'  l'intesa,  proprio  perche'  questa  non  e'  radicalmente
condivisa dalle Camere (che a questa  soluzione  estrema  potrebbero,
tra l'altro, essere spinte dalla logica del «prendere  o  lasciare»).
Tuttavia, la regione in questo caso non potrebbe  fare  piu'  niente,
non essendo in alcun modo coinvolta e non  potendo,  in  particolare,
rivedere,  pure  volendo,  le  proprie  richieste  in  modo  tale  da
consentirne l'approvazione. 
    In effetti, se e' vero che l'art. 2 della legge n.  86  del  2024
cerca di evitare  che  il  Parlamento  bocci  la  legge  in  sede  di
approvazione, «consentendogli» (al  quarto  comma)  l'espressione  di
«atti d'indirizzo», attraverso i  «competenti  organi  parlamentari»,
cio' non puo' comunque essere assicurato, anche  considerato  che  il
Governo si puo' discostare da tali  atti  di  indirizzo,  che  questi
ultimi potrebbero comunque essere stati formulati da  organi  diversi
dall'assemblea e che, in ogni caso, le Camere potrebbero avere mutato
orientamento. 
    Da tutto cio' deriva, quindi, una violazione sia  dell'art.  116,
terzo  comma,  della  Costituzione,  sia  del  principio   di   leale
collaborazione tra lo  Stato  e  le  regioni  (art.  5  e  120  della
Costituzione), in virtu' del quale la  regione  interessata  dovrebbe
poter  adattare  la   propria   intesa   in   modo   da   consentirne
l'approvazione. E' chiaro che queste violazioni finiscono per  ledere
le  competenze  della  regione  la  cui  intesa  non   sia   valutata
favorevolmente dalle Camere e che quindi se ne troverebbe privata. 
    3.2. Rimane da constatare che  la  presente  violazione,  che  si
concretizza nel  mancato  coinvolgimento  della  regione  nella  fase
parlamentare, rimarrebbe tale anche nell'ipotesi in cui si  ritenesse
- diversamente da quanto si ritiene di poter fare secondo  il  tenore
letterale del testo, come  sopra  argomentato  (punto  2)  -  che  il
Parlamento,  nell'esercizio  dei  suoi  poteri   legislativi,   possa
intervenire a modificare l'intesa. 
    Se,   infatti,   secondo   quanto   sopra    argomentato,    cio'
corrisponderebbe  al   ruolo   del   Parlamento   come   sede   della
rappresentanza nazionale, a fronte della possibilita' per  lo  stesso
di apportare modifiche, non potrebbero che essere previste  forme  di
coinvolgimento della regione, che dovrebbe comunque  essere  chiamata
ad esprimersi sulle modifiche dell'intesa,  con  la  possibilita'  di
chiedere ulteriori aggiustamenti o  comunque  di  pronunciarsi  sulle
modifiche, eventualmente potendo  giungere  anche  a  manifestare  la
perdita del proprio interesse per le  ulteriori  forme  e  condizioni
particolari di autonomia come configurate a  seguito  dell'intervento
parlamentare. 
    Se,  quindi,  la  presente  censura  e'  certamente  legata  alla
precedente, essa manterrebbe, in  realta',  validita'  anche  ove  la
precedente non venisse accolta, ritenendo che l'art. 2, ottavo comma,
fosse interpretabile - come certamente non risulta  -  nel  senso  di
consentire comunque al  Parlamento  un  pieno  esercizio  del  potere
legislativo, non limitato alla mera ratifica - o no - dell'intesa. 
4. Illegittimita' costituzionale dell'art. 2, primo  e  sesto  comma,
per violazione dell'art. 116, terzo  comma,  e  121,  secondo  comma,
ultimo periodo, della Costituzione. 
    4.1.  L'iniziativa  di  cui  all'art.  116,  terzo  comma,  della
Costituzione, in quanto riferita ad  una  legge  dello  Stato  e'  da
intendersi come  iniziativa  legislativa  in  senso  proprio,  ovvero
quella prevista all'art. 121, secondo comma,  ultimo  periodo,  della
Costituzione,  che  attribuisce   a   ciascun   Consiglio   regionale
l'iniziativa legislativa. 
    In effetti, la stessa Corte costituzionale, quando ha ricostruito
il procedimento di cui all'art. 116, terzo comma, della  Costituzione
(decisioni  nn.  118  e  202  del  2015)  ha  fatto   riferimento   a
«l'approvazione di una legge dello Stato, su iniziativa della regione
interessata». 
    Diversamente - ed in contrasto con l'art. 116, terzo comma, della
Costituzione - l'art. 2, primo comma, della legge n. 86 del 2014  non
individua l'iniziativa della  Regione  propriamente  come  iniziativa
legislativa, questa essendo poi rimessa, invece, al Governo dal sesto
comma   dello   stesso   articolo,   mentre   quella   regionale   e'
essenzialmente relegata alla sola iniziativa politica. 
    4.2. Tale patente violazione discende dalla presente  legge,  non
potendosi riferire alla legge di stabilita' per il 2014, con la quale
il Parlamento  aveva  approvato  alcune  disposizioni  di  attuazione
dell'art. 116, terzo comma, della Costituzione,  relative  alla  fase
iniziale del procedimento per il riconoscimento di forme di  maggiore
autonomia alle regioni a statuto ordinario. 
    In particolare, la legge  ha  previsto  un  termine  di  sessanta
giorni entro il  quale  il  Governo  e'  tenuto  ad  attivarsi  sulle
iniziative delle regioni presentate al Presidente del  Consiglio  dei
ministri e al Ministro per gli affari regionali ai  fini  dell'intesa
(art. 1, comma 571, della legge n. 147 del 2013). Il termine  decorre
dalla  data  del  ricevimento  delle  iniziative   e   l'obbligo   di
attivazione si  traduce  nel  dare  seguito  all'impulso  conseguente
all'iniziativa  regionale  finalizzata   all'intesa.   Quindi,   tali
disposizioni  si  collocano  «a  monte»  del  procedimento  delineato
dall'art. 116, terzo comma, della Costituzione, ferma restando, a tal
fine, la fonte ivi prevista, costituita da una legge  rinforzata,  il
cui contenuto e' determinato in base ad un'intesa tra regione e Stato
e al parere degli enti locali interessati,  approvata  a  maggioranza
assoluta dalle Camere. 
    Diversamente, il secondo e il sesto comma dell'art. 2 della legge
n. 86 del 2024 contraddicono apertamente  l'art.  116,  terzo  comma,
della  Costituzione,  che  -  come  dicevamo,  confortati  anche   da
specifica giurisprudenza di questa  Corte  -  prevede  una  legge  di
iniziativa del Consiglio regionale interessato. 
5.  Illegittimita'  costituzionale  dell'art.  3,  primo  comma,  per
violazione degli articoli 76, 116, terzo comma, e 119, primo, secondo
e quarto comma, della Costituzione. 
    5.1. Nel processo di attuazione dell'autonomia differenziata,  la
determinazione dei livelli  essenziali  delle  prestazioni  (LEP)  e'
essenziale, perche' il trasferimento delle funzioni, con  le  risorse
umane, strumentali e finanziarie puo' essere effettuato solo dopo  la
determinazione dei medesimi LEP e dei  relativi  costi  e  fabbisogni
standard, seppure nelle (sole) materie  indicate  all'art.  3,  terzo
comma (a) norme generali sull'istruzione;  b)  tutela  dell'ambiente,
dell'ecosistema e dei beni  culturali;  c)  tutela  e  sicurezza  del
lavoro;  d)  istruzione;  e)  ricerca  scientifica  e  tecnologica  e
sostegno all'innovazione per i settori produttivi;  j)  tutela  della
salute; g) alimentazione; h) ordinamento  sportivo;  i)  governo  del
territorio; l) porti e aeroporti civili; m) grandi reti di  trasporto
e di navigazione; n) ordinamento della comunicazione; o)  produzione,
trasporto e distribuzione nazionale dell'energia;  p)  valorizzazione
dei beni culturali e ambientali  e  promozione  e  organizzazione  di
attivita' culturali). 
    Quest'opera di individuazione dei LEP e'  rimessa,  dall'art.  3,
primo comma, della legge impugnata, a uno o piu' decreti legislativi,
che il Governo e' chiamato a adottare, entro ventiquattro mesi  dalla
data di entrata in vigore della legge,  sulla  base  dei  principi  e
criteri direttivi della delega con un rinvio all'art. 1, commi da 791
a 801-bis, della legge 29 dicembre 2022 n. 197. 
    5.2. In proposito, tuttavia, deve rilevarsi che i commi da 791  a
801-bis  dell'art.  1  della  citata   legge   hanno   un   contenuto
essenzialmente   organizzativo   e   procedurale,   delineando,    in
particolare, la procedura per l'emanazione del decreto del Presidente
del Consiglio dei ministri di determinazione dei LEP,  presentati  da
una «Cabina di regia» all'uopo istituita  presso  la  Presidenza  del
Consiglio dei ministri, oppure, nel caso in cui la «Cabina di  regia»
non riesca a concludere la sua attivita' nei tempi stabiliti,  da  un
Commissario appositamente  nominato.  Alla  «Cabina  di  regia»  sono
altresi'  assegnati  una  serie  di   compiti   per   giungere   alla
determinazione dei LEP stessi. 
    Dunque, e' evidente che le richiamate disposizioni non contengono
principi  e  criteri   direttivi   per   l'esercizio   della   delega
legislativa, che finisce, in sostanza, per  essere  «in  bianco»,  in
patente violazione dell'art. 76 della Costituzione, al  cui  rigoroso
rispetto questa Eccellentissima Corte ha fatto riferimento sin da una
delle sue prime sentenze (n.  3  del  1957)  fino  ad  oggi  (v.,  ad
esempio, sentenza n. 166 del 2023,  attraverso  numerose  altre,  tra
cui, le nn. 158 del 1985 e 87 del 1989). 
    Tali  criticita'  erano  state  segnalate  dal  Comitato  per  la
legislazione della Camera dei deputati, nel parere reso  sul  disegno
di legge che ha poi portato alla legge in esame, nella seduta del  23
aprile 2024. Esso merita di essere riportato, avendo evidenziato  con
completezza le suddette criticita'. Infatti, nel parere si legge che,
nel  caso,  «sembra  venire  in  rilievo,  quindi,  una  delega   per
relationem,  in  cui  la  norma  di  legge  che  delega  il   Governo
all'esercizio della funzione legislativa rimanda  ad  un  altro  atto
normativo primario per  la  determinazione  dei  principi  e  criteri
direttivi; in proposito si rileva  che  i  commi  da  791  a  801-bis
dell'art.  1  della  legge  di  bilancio  2023  hanno  un   contenuto
prevalentemente organizzativo e procedurale, in quanto  delineano  la
procedura per l'emanazione di una fonte secondaria  -  i  D.P.C.M.  -
presentati da una Cabina di regia a tale scopo  istituita  presso  la
Presidenza del Consiglio dei ministri, oppure, nel  caso  in  cui  la
Cabina di regia non riesca a concludere la sua  attivita'  nei  tempi
stabiliti, da un Commissario appositamente nominato; al tempo stesso,
nell'ambito di questa procedura si prevede,  al  comma  793,  che  la
Cabina di regia  effettui,  con  il  supporto  delle  amministrazioni
competenti per materia, con riferimento alle materie di cui  all'art.
116, terzo comma, della Costituzione una ricognizione della normativa
statale e delle funzioni esercitate dallo Stato  e  dalle  regioni  a
statuto ordinario nonche' una  ricognizione  della  spesa  storica  a
carattere permanente dell'ultimo triennio; individui le materie o gli
ambiti di materie che  sono  riferibili  ai  LEP,  sulla  base  delle
ipotesi tecniche formulate dalla Commissione tecnica per i fabbisogni
standard e determini i medesimi LEP nell'ambito degli stanziamenti di
bilancio a legislazione vigente e sulla base delle  ipotesi  tecniche
formulate dalla Commissione tecnica  per  i  fabbisogni  standard  ed
elaborate con l'ausilio della societa' SOSE Spa in collaborazione con
l'ISTAT e con il Centro  interregionale  di  studi  e  documentazione
(CINSEDO); in proposito si ricorda che la Corte  costituzionale,  con
la sentenza n. 158  del  1985,  ha  chiarito  che  «le  direttive,  i
principi ed i criteri servono, da un verso, a circoscrivere il  campo
della delega, si' da  evitare  che  essa  venga  esercitata  in  modo
divergente dalle finalita' che l'hanno determinata,  ma,  dall'altro,
devono consentire al potere delegato la possibilita' di  valutare  le
particolari situazioni giuridiche da regolamentare.  In  particolare,
la norma di delega non deve contenere enunciazioni troppo generiche o
troppo generali,  riferibili  indistintamente  ad  ambiti  vastissimi
della  normazione  oppure  enunciazioni  di  finalita',  inidonee   o
insufficienti ad indirizzare l'attivita'  normativa  del  legislatore
delegato»; la piu' recente sentenza n. 166 del 2023 ha  poi  rilevato
che «la legge delega»  e'  dunque  fondamento  e  limite  del  potere
legislativo delegato; essa, se, da  una  parte,  non  deve  contenere
enunciazioni troppo generali o comunque non  idonee  ad  indirizzarne
l'attivita', dall'altra, puo' essere abbastanza ampia  da  preservare
un margine di discrezionalita', e un corrispondente spazio  entro  il
quale il Governo possa agevolmente svolgere la propria  attivita'  di
«riempimento» normativo, la quale e' pur sempre esercizio delegato di
una funzione «legislativa» essendo il legislatore  delegato  chiamato
«a sviluppare, e non solo ad eseguire, le previsioni della  legge  di
delega»; al tempo stesso, in linea generale la Corte  ammette  che  i
principi e criteri direttivi possano essere  ricavati  per  implicito
(sentenza n. 48 del 1986) o essere enucleati, per relationem ad altri
atti normativi purche' sufficientemente specifici (sentenze  nn.  156
del 1987 e 87 del 1989)». 
    Pertanto, la norma di delega  contiene  enunciazioni  eterogenee,
generiche e del tutto inidonee ad indirizzare  l'attivita'  normativa
del legislatore delegato, ponendosi cosi' in contrasto con l'art.  76
della   Costituzione,   anche   alla   luce   della    giurisprudenza
costituzionale in merito. 
    5.3. Orbene, se consideriamo che la determinazione e la  garanzia
dei LEP hanno lo scopo di assicurare un corretto trasferimento  delle
funzioni, di interesse sia per la regione nei confronti  della  quale
questo  e'  disposto  sia  delle  altre  che  comunque  ne  subiscono
conseguenze, e' evidente che l'erronea configurazione  della  delega,
in assenza, in particolare, di principi e criteri direttivi a  tutela
delle  autonomie  regionali,   con   possibile   compressione   delle
specifiche attribuzioni (anche) della  Toscana  ridonderebbe  in  una
lesione delle sue competenze come individuate agli art.  117,  118  e
119 della Costituzione, al cui contrasto e'  funzionale  il  presente
giudizio. 
    A cio' di aggiunga  che  l'erronea  determinazione  dei  LEP  che
discende  dalla  norma  impugnata  determina  anche  una   violazione
dell'art. 116, terzo comma, della Costituzione, perche' non  consente
una corretta  attribuzione  di  forme  e  condizioni  particolari  di
autonomia e dell'art.  119,  primo,  secondo  e  quarto  comma  della
Costituzione, non consentendo un adeguato  e  armonico  finanziamento
delle funzioni trasferite. 
    Infatti, la fissazione dei LEP che concernono  diritti  civili  e
sociali, posti a garanzia  dell'uguaglianza  di  tutti  i  cittadini,
rappresenta  necessariamente  il   presupposto   dell'operazione   di
trasferimento delle funzioni dallo Stato alle autonomie territoriali:
la determinazione dei  LEP,  quindi,  incide  sull'estensione  e  sui
limiti delle funzioni attribuibili alle regioni. 
    Questo  trova  ulteriore  conferma  nel   fatto   che,   con   la
determinazione dei LEP, devono essere stabiliti anche i  costi  ed  i
fabbisogni  standard,   necessari   per   precisare   l'entita'   del
finanziamento delle funzioni trasferite, con la conseguenza che  tale
determinazione ha un riflesso  decisivo  sulle  entrate  riconosciute
alle regioni per l'esercizio dell'autonomia differenziata. 
6. Illegittimita'  costituzionale  dell'art.  3,  secondo  e  settimo
comma, per violazione del principio di leale  collaborazione  di  cui
agli articoli 5 e 120 della Costituzione. 
    6.1. Il secondo comma dell'art. 3 della legge  impugnata  prevede
che i decreti legislativi di cui al primo comma (per l'individuazione
dei LEP) siano adottati su proposta del Presidente del Consiglio  dei
ministri e del Ministro per gli affari regionali e le  autonomie,  di
concerto con i Ministri competenti e previa acquisizione  del  parere
della Conferenza unificata di cui all'art. 8 del decreto  legislativo
28 agosto 1997, n. 281, che era  stata  precedentemente  -  ai  sensi
dell'art. 2, quarto comma - chiamata  ad  esprimere  un  parere,  ne'
obbligatorio, ne' vincolante,  sullo  schema  di  intesa  preliminare
negoziato tra lo Stato e la regione. 
    Gli schemi di ciascun decreto legislativo di  determinazione  dei
LEP sono successivamente trasmessi alle Camere per l'espressione  dei
pareri da parte delle Commissioni parlamentari competenti per materia
e per i profili finanziari, che si pronunciano entro  il  termine  di
quarantacinque giorni dalla data di trasmissione, decorso il quale il
decreto legislativo puo' essere comunque adottato. 
    Considerata   la   particolare   rilevanza    che,    nell'ambito
dell'attribuzione di forme e  condizioni  particolari  di  autonomia,
assume la definizione dei  LEP,  alla  quale  i  decreti  legislativi
devono procedere,  nonche'  l'incidenza  di  tale  definizione  sulla
puntuale  delimitazione  delle  competenze   oggetto   dell'autonomia
differenziata, e' certo che il procedimento di approvazione  di  tali
decreti  legislativi  avrebbe  dovuto  prevedere  l'intesa   con   la
Conferenza  unificata,  secondo  quanto  era  stato   in   precedenza
previsto, sempre per la determinazione dei LEP (ancorche' con decreto
del Presidente del Consiglio dei ministri), dall'art. 1,  comma  796,
della legge 29 dicembre 2022, n. 197 (legge di bilancio per il 2023). 
    Quest'ultimo,  in  particolare,  dispone,  infatti,  che  ciascun
decreto del Presidente  del  Consiglio  dei  ministri  con  cui  sono
determinati, anche  distintamente,  i  LEP  e  i  correlati  costi  e
fabbisogni standard, nelle materie di cui all'art. 116, terzo  comma,
della Costituzione, sia adottato su proposta  del  Ministro  per  gli
affari  regionali  e  le  autonomie,  di  concerto  con  il  Ministro
dell'economia e delle finanze, previa deliberazione del Consiglio dei
ministri e che sullo schema di decreto sia «acquisita l'intesa  della
Conferenza unificata ai sensi dell'art. 3 del decreto legislativo  28
agosto 1997, n. 281». 
    Nella norma impugnata, invece, l'intesa e' stata degradata ad  un
mero parere, depotenziando il ruolo della  Conferenza,  in  contrasto
con il principio di leale collaborazione, anche per  come  risultante
dalla giurisprudenza della  Corte  costituzionale,  la  quale  -  con
sentenza n. 251 del 2016 - ha rilevato che «la' dove  il  legislatore
delegato si accinge a riformare istituti che incidono  su  competenze
statali e regionali, inestricabilmente connesse, sorge la  necessita'
del ricorso all'intesa. Quest'ultima si impone, dunque, quale cardine
della  leale   collaborazione   anche   quando   l'attuazione   delle
disposizioni dettate dal legislatore statale  e'  rimessa  a  decreti
legislativi delegati, adottati dal Governo sulla  base  dell'art.  76
della Costituzione». 
    L'intesa e' quindi necessaria in tutti quei casi in cui vi sia un
concorso  di  competenze  inestricabilmente  connesse  tra  Stato   e
regioni, giacche' essa, a differenza del parere, e' la sola ad essere
«contraddistinta da una procedura  che  consenta  lo  svolgimento  di
genuine trattative  e  garantisca  un  reale  coinvolgimento»  (Corte
costituzionale, 13 dicembre 2017, n. 261). 
    Tale intreccio, con la  sentenza  poc'anzi  ricordata,  e'  stato
ritenuto (in  modo  condivisibile)  sussistente  a  proposito  di  un
intervento legislativo di riordino della legislazione amministrativa,
ma  a  maggior  ragione  ricorre  nel   caso   in   esame,   relativo
all'attribuzione  di  un'autonomia  differenziata,  che   concernera'
materie normalmente di competenza esclusiva statale o  di  competenza
concorrente tra lo Stato e le regioni. 
    Percio' l'intervento del legislatore statale  deve  muoversi  nel
rispetto del principio di leale collaborazione, indispensabile  anche
in questo caso a guidare i rapporti tra lo Stato e il  sistema  delle
autonomie (ex plurimis, sentenze nn. 1 e 26  del  2016,  n.  140  del
2015, n. 44 del 2014, n. 237 del 2009, nn. 50 e 168 del 2008). 
    A tal riguardo, Codesta Eccellentissima Corte  ha  gia'  chiarito
come la chiamata  in  sussidiarieta'  puo'  «superare  il  vaglio  di
legittimita' costituzionale solo in presenza di  una  disciplina  che
prefiguri un iter in cui assumano  il  dovuto  risalto  le  attivita'
concertative e di coordinamento orizzontale,  ovverossia  le  intese,
che devono essere condotte in base al principio di lealta'» (sentenza
n. 303 del 2003). 
    L'attribuzione alle regioni di ulteriori competenze, disposta  ai
sensi dell'art. 116, terzo comma, della Costituzione, rappresenta, in
questo  senso,  una  vera  e   propria   ipotesi   di   chiamata   in
sussidiarieta' «rovesciata», pur se non relativa a (sole)  competenze
di natura amministrativa, poiche', per  le  ragioni  gia'  ampiamente
esposte, essa, non puo' intervenire all'esito di una mera espressione
della  volonta'  politica  di  acquisire   le   competenze   che   si
preferiscono, ma presuppone l'esistenza di rilevanti specificita' del
contesto territoriale, economico e sociale  della  regione,  tali  da
giustificare l'ampliamento delle competenze. 
    In questo  senso,  l'intesa  -  e  non  certamente  il  parere  -
costituisce il modulo procedurale nell'ambito del quale devono essere
valutati  e  ponderati  gli  elementi   che   possono   eventualmente
determinare l'attribuzione della competenza legislativa alla regione. 
    Per tali motivi il secondo comma  dell'art.  3  in  esame  appare
incostituzionale, nella parte in  cui  prevede  il  parere,  anziche'
l'intesa, della Conferenza unificata, per  violazione  del  combinato
disposto degli articoli 5 e 120 della Costituzione, prescrivendo, per
l'adozione dei decreti legislativi  delegati  di  determinazione  dei
LEP, una forma di raccordo con le regioni - il parere  in  Conferenza
unificata - da ritenersi lesiva del principio di leale collaborazione
in quanto non idonea a  realizzare  un  confronto  autentico  con  le
autonomie regionali, necessario a contemperare la compressione  delle
loro competenze. Solo l'intesa da raggiungere in sede  di  Conferenza
unificata,  contraddistinta  da  una  procedura   che   consente   lo
svolgimento   di   effettive   trattative,   garantisce   un    reale
coinvolgimento  delle  autonomie  regionali  e,  quindi,   la   leale
collaborazione. 
    6.2. Per gli stessi motivi e negli stessi limiti sopra  indicati,
risulta incostituzionale anche l'art. 3, settimo comma,  della  legge
impugnata, che disciplina il procedimento di aggiornamento  dei  LEP:
anche in tal caso si prevede, infatti, che i decreti  del  Presidente
del  Consiglio,  che  adottano  tali  aggiornamenti,  siano   assunti
(soltanto) previo  parere  della  Conferenza  unificata,  per  giunta
prevedendo che il parere debba essere espresso nel ristretto  termine
di soli venti  giorni,  decorsi  i  quali  gli  stessi  decreti  sono
trasmessi  alle  Camere  senza  che  via  sia  piu'  possibilita'  di
espressione da parte della Conferenza. 
    In  disparte  i  vizi  attinenti  alla   fonte   utilizzata   per
l'aggiornamento (su cui si rinvia al successivo motivo  di  ricorso),
anche in questo caso e' violato il combinato disposto degli  articoli
5  e  120  della  Costituzione,  perche'  la  norma  prescrive,   per
l'adozione dei decreti legislativi delegati per  l'aggiornamento  dei
LEP, una forma di raccordo con le regioni - il parere  in  Conferenza
unificata, anziche' l'intesa - da ritenersi lesiva del  principio  di
leale collaborazione in quanto non idonea a realizzare  un  confronto
autentico con le autonomie regionali, necessario  a  contemperare  la
compressione delle loro competenze. 
    Il Governo  deve  farsi  carico  delle  esigenze  unitarie  della
Repubblica, che assumono certamente centralita' allorquando si  vanno
a individuare i LEP, che determinano conseguenze anche sulle  regioni
diverse da quella con cui si sta  portando  avanti  l'intesa,  e  che
pertanto debbono essere adeguatamente coinvolte. 
    6.3. In sostanza, tutto il procedimento previsto viola un disegno
complessivo, organico e unitario, di  ripartizione  delle  competenze
tra lo Stato e le regioni, ponendosi cosi' in contrasto con l'art.  5
della Costituzione, anche nel combinato disposto con l'art. 120 della
stessa, essendo evidente come tutto cio' incida  negativamente  sulle
competenze regionali, il cui esercizio, vuoi negli ambiti in  cui  si
e' scelto di chiedere forme e condizioni  particolari  di  autonomia,
vuoi in quelle in cui e' mantenuta la forma «ordinaria» di autonomia,
dipende proprio dalla determinazione dei LEP, che  potrebbe  cambiare
anche significativamente a seguito di un pieno apporto delle  regioni
attraverso l'intesa. 
7. Illegittimita' costituzionale degli articoli 3, settimo  comma,  e
2, primo comma, della legge n. 86 del 2024, per violazione  dell'art.
117, secondo comma, lettera m) della Costituzione e del principio  di
legalita' (articoli 23, 97 e 113 della Costituzione). 
    7.1. Come abbiamo visto poc'anzi, l'art. 3, settimo comma,  della
legge  impugnata  prevede  che  i  LEP,   individuati   con   decreto
legislativo ai sensi del  precedente  primo  comma,  «possono  essere
aggiornati  periodicamente  [...]  con  decreti  del  Presidente  del
Consiglio dei ministri». 
    Pertanto, dopo che - superando quanto stabilito  dalla  legge  n.
197 del 2022 - il primo comma ha previsto la  (prima)  determinazione
con fonte primaria (decreto legislativo), il successivo aggiornamento
e'  stato  nuovamente  rimesso  ai  DPCM.  Cio',  ad   avviso   della
ricorrente, in violazione del principio di riserva di legge stabilito
all'art. 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione, ai sensi
del quale la «determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni
concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su
tutto il territorio nazionale» deve avvenire con legge dello Stato. 
    Si tratta di una scelta ben coerente con il complessivo  impianto
costituzionale. Infatti, riservando  la  determinazione  dei  livelli
essenziali delle prestazioni ad una fonte di  rango  legislativo,  si
richiede il  passaggio  attraverso  il  Parlamento  (almeno  in  modo
parziale come avviene quando si fa ricorso ai  decreti  legislativi),
quale sede della rappresentanza della nazione e si evita di rimettere
tale compito al Governo,  il  cui  operato  -  come  noto  -  non  e'
assistito  da  altrettante  garanzie  di  pluralismo,  trasparenza  e
capacita' di sintesi nel rispetto dell'unita' nazionale. 
    Infatti, come ha messo bene in luce il  professor  Viesti,  nella
propria  audizione  informale  di  fronte  alla  Commissione   Affari
costituzionali della Camera dei deputati,  «la  definizione  dei  LEP
implica essenziali mediazioni politiche fra gli interessi dei diversi
territori: puo' essere infatti interesse delle comunita' piu'  ricche
del paese, e delle  loro  espressioni  politiche,  tenere  i  LEP  al
livello piu' basso  possibile,  in  modo  da  non  impegnare  risorse
pubbliche nei territori dove essi  non  sono  raggiunti.  L'interesse
delle  comunita'  meno  ricche  e'  opposto.  Le  condizioni  per  un
confronto politico e  una  mediazione  alta  di  questi  contrapposti
interessi non si possono ritrovare che in Parlamento». 
    In effetti, la Corte costituzionale, sin dai primi interventi sul
Titolo V della parte seconda della Costituzione,  ha  avuto  modo  di
precisare che quella di cui all'art. 117, secondo comma, lettera  m),
e' «una competenza  del  legislatore  idonea  a  investire  tutte  le
materie, rispetto alle quali il legislatore stesso deve  poter  porre
le norme necessarie per assicurare a  tutti,  sull'intero  territorio
nazionale, il godimento  di  prestazioni  garantite,  come  contenuto
essenziale dei diritti, senza che  la  legislazione  regionale  possa
limitarle o condizionarle» (sentenza n. 282 del 2002). 
    Anche piu' recentemente la  medesima  Corte  costituzionale,  con
sentenza n. 91 del 2020, ha precisato che che «la determinazione  dei
livelli essenziali delle prestazioni,  attraverso  l'esercizio  della
competenza legislativa esclusiva di cui all'art. 117, secondo  comma,
lettera  m),  della  Costituzione,  non   comporta   la   regolazione
dell'intera  disciplina  delle  materie  cui  essa  possa  di   fatto
accedere, e dunque non  esclude,  come  piu'  volte  sottolineato  da
questa Corte anche successivamente alla modifica del Titolo  V  della
Costituzione, che le regioni e gli  enti  locali  possano  garantire,
nell'ambito delle proprie competenze, livelli  ulteriori  di  tutela.
[...] Se,  difatti,  l'azione  trasversale  della  normativa  statale
individua, ai sensi del parametro evocato, la prestazione  essenziale
da assicurare su tutto il territorio dello Stato, oltre  tale  limite
si riespande la generale  competenza  della  regione  sulla  materia,
residuale, oggetto di disciplina (sentenza n. 222 del 2013)». 
    Come  si  vede,  quindi,  anche  in  base   alla   giurisprudenza
costituzionale,  in  alcun  modo  si   potrebbe   ritenere   che   la
determinazione  dei  livelli  essenziali  delle   prestazioni   possa
avvenire con una fonte secondaria e tantomeno con i DPCM, atti di  un
organo monocratico  (ancorche'  adottato  su  proposta  dei  ministri
competenti e comunque di concerto con  il  Ministro  per  gli  affari
regionali  e  le  autonomie  e  il  Ministro  dell'economia  e  delle
finanze),  sottoposti  a  ridotti  controlli,  se  consideriamo   che
permangono ambiguita' circa la necessita' del parere del Consiglio di
Stato, e  che  non  vi  e'  la  sottoposizione  al  Presidente  della
Repubblica che si realizza, invece, con i regolamenti che sono  dallo
stesso emanati. 
    E'  chiaro,  quindi,  che  la  disposizione  impugnata  viola  il
principio di legalita', rectius della  riserva  di  legge  (ancorche'
relativa  a  quanto  sembra  emergere  dalla  sentenza  della   Corte
costituzionale n. 91 del 2020). 
    7.2. La violazione della riserva di legge e' tanto piu' grave  in
considerazione del fatto che alla  determinazione  dei  LEP,  che  la
Corte richiede esservi per tutte le  materie  (sentenza  n.  282  del
2002), e' totalmente assente -  in  base  alla  legge  -  per  alcune
materie trasferibili, che, quindi, potrebbero  passare  alla  regione
anche in assenza della suddetta determinazione. 
    Infatti, l'impugnato  art.  2,  primo  comma,  gia'  oggetto  del
presente ricorso anche sotto altri profili, distingue tra le  materie
e gli ambiti di  materie  «riferibili  ai  livelli  essenziali  delle
prestazioni di cui all'art. 3» (poi elencate all'art. 3, terzo comma)
e le altre materie, come in  realta'  gia'  anticipato  dall'art.  1,
secondo comma. 
    Per le materie e gli ambiti di  materie  «riferibili  ai  livelli
essenziali delle prestazioni», come abbiamo detto,  e'  richiesta  la
previa individuazione dei LEP,  che,  ai  sensi  dell'art.  3,  primo
comma, della legge n. 86 del 2024,  deve  avvenire  con  uno  o  piu'
decreti  legislativi,  nel  rispetto,  quindi,  del  principio  della
riserva di legge di cui all'art.  117,  secondo  comma,  lettera  m),
ancorche' in violazione dell'art. 76 della  Costituzione  (v.  supra,
punto  5),  almeno  nel  momento  della  prima  individuazione,   con
violazione della medesima  riserva  di  legge,  invece,  in  sede  di
aggiornamento (v. poco sopra, punto 7.1.). Viceversa, per le  materie
non ritenute «riferibili ai livelli essenziali delle  prestazioni  di
cui all'art. 3», la violazione della riserva di legge di cui all'art.
117,  secondo  comma,   lettera   m)   della   Costituzione   avviene
immediatamente,  non   essendovi   in   alcun   modo   la   richiesta
individuazione dei LEP (con legge o atto avente valore di legge). 
    7.3.  Tali  violazione  pregiudicano,  ovviamente,   la   regione
ricorrente sulla base di considerazioni analoghe a quelle gia' svolte
per precedenti motivi di ricorso: soltanto il  Parlamento  garantisce
(come  del   resto   presupposto   dal   legislatore   di   revisione
costituzionale con l'introduzione dell'art. 116, terzo  comma,  della
Costituzione) che l'attribuzione delle forme e condizioni particolari
di autonomia avvenga in modo da non  pregiudicare  gli  interessi  di
alcune regioni a discapito di altre,  con  un  solido  ancoraggio  al
rispetto dell'unita' nazionale. A tali obiettivi e'  volta  anche  la
riserva di legge che trova la propria base negli articoli  23,  97  e
113 della  Costituzione  e  con  particolare  riguardo  a  quanto  ci
concerne nello specifico nell'art. 117,  secondo  comma,  lettera  m)
della Costituzione. Con la violazione di tale complesso di norme sono
certamente  lese  le  competenze  regionali,  secondo  quanto   sopra
esposto. 
8. Illegittimita' costituzionale degli articoli 1, secondo comma e 4,
primo comma, della  legge  n.  86  del  2024,  per  violazione  degli
articoli 3, anche sotto il profilo della ragionevolezza, 117, secondo
comma, lettera m), e 119 della Costituzione. 
    8.1. L'inquadramento del presente  motivo  di  ricorso,  volto  a
censurare il trasferimento delle funzioni solo previa  determinazione
del LEP senza che  questi  siano  pero'  garantiti,  richiede  alcune
considerazioni  preliminari,  utili  anche  per   lo   sviluppo   dei
successivi motivi (nn. 9 e 10). 
    Le norme costituzionali sul  c.d.  «federalismo  fiscale»,  cosi'
come quelle di legislazione ordinaria che si proponevano l'attuazione
del medesimo (legge n. 42 del 2009), rimangono, ad  oggi,  largamente
inattuate,  proprio  a  partire   dall'individuazione   dei   livelli
essenziali delle prestazioni nelle  funzioni  concernenti  i  diritti
civili e sociali che devono essere garantiti su tutto  il  territorio
nazionale  e  che  sono  centrali  per   tutto   il   meccanismo   di
finanziamento. 
    La Corte costituzionale, con la sentenza n. 220 del 2021 (ma  v.,
in precedenza, ad esempio, anche la sentenza n. 62 del 2020),  si  e'
espressa in modo assai critico al riguardo, affermando  che  «la  non
fondatezza della questione peraltro non esime la Corte costituzionale
dal valutare negativamente il  perdurante  ritardo  dello  Stato  nel
definire   i   LEP,   i   quali   indicano   la   soglia   di   spesa
costituzionalmente necessaria per erogare le prestazioni  sociali  di
natura fondamentale,  nonche'  il  nucleo  invalicabile  di  garanzie
minime per rendere effettivi tali diritti». 
    Soltanto  per  la  spesa  sanitaria  e'  stato   individuato   un
meccanismo, seppure inadeguato, in quanto,  in  virtu'  di  esso,  il
complessivo  fabbisogno  nazionale   e'   definito   in   base   alle
disponibilita' esistenti nel bilancio dello Stato e i  fondi  vengono
successivamente  distribuiti  tra  le  regioni   in   ragione   della
dimensione della popolazione, in parte ponderata  per  l'eta',  senza
considerare tutti i fabbisogni di salute. Peraltro, la  legge  n.  42
del 2009 prevedeva la determinazione delle differenze nelle dotazioni
infrastrutturali necessarie per erogare i servizi e la  creazione  di
un fondo per la loro riduzione attraverso  nuovi  investimenti  nelle
aree con dotazioni  inferiori,  che  non  vi  e'  stato.  Le  attuali
disparita' - come sottolineato in non poche delle audizioni informali
svoltesi  presso  entrambe   le   Camere   -   per   essere   ridotte
richiederebbero l'immissione di (rilevanti) risorse  ulteriori  e  la
definizione di meccanismi tecnici di  allocazione  di  risorse  assai
complessi e la cui implementazione richiede pertanto molto tempo. 
    8.2. E' in questo contesto che vede la luce la  legge  impugnata,
di cui, con il presente motivo,  si  censurano,  in  particolare,  le
disposizioni che prevedono «l'attribuzione di  funzioni»  relative  a
«forme e condizioni particolari di autonomia» (art. 1, secondo comma)
e il trasferimento delle funzioni stesse  «con  le  relative  risorse
umane, strumentali e finanziarie», nelle materie o ambiti di  materie
riferibili ai LEP (v. punto  7.2)  previa  «determinazione»  dei  LEP
stessi (art. 4, primo comma). 
    Si tratta di una previsione in chiaro contrasto con  l'art.  117,
secondo comma, lettera m), della Costituzione, in base  al  quale  la
legge dello Stato deve determinare i LEP, che devono  essere,  pero',
«garantiti» su tutto il territorio nazionale, peraltro - in base alla
richiamata giurisprudenza costituzionale (sentenza n. 282 del 2002) -
in tutte le materie, diversamente da  quanto  avviene  in  base  alla
legge impugnata (v. punto 7.2). 
    Infatti,  l'art.  117,  secondo  comma,  lettera  m),  anche   in
combinato disposto con l'art. 119  della  Costituzione,  relativo  al
c.d. «federalismo fiscale», e' volto  a  realizzare  un  regionalismo
avanzato, con elementi di virtuosa  competitivita'  tra  le  regioni,
che,  tuttavia,  non  rompa  l'unita'  nazionale,   sacrificando   la
solidarieta' tra i territori e la piena ed effettiva uguaglianza  tra
i cittadini. In tale contesto, ecco che l'art.  117,  secondo  comma,
lettera  m)  impone  che  i  livelli  essenziali  delle   prestazioni
concernenti i diritti civili e sociali non siano soltanto determinati
ma anche finanziati e garantiti uniformemente su tutto il  territorio
nazionale. 
    8.3. La mancata «garanzia», risultante dal tenore  letterale  del
testo delle disposizioni richiamate, e' ulteriormente confermata  dal
fatto che manca qualunque riferimento ad  un  esame  dei  dati  reali
relativi al godimento dei  diritti  civili  e  sociali  su  tutto  il
territorio nazionale. 
    In effetti, prima  di  procedere  all'attuazione  dell'art.  116,
terzo comma, della Costituzione, si dovrebbe porre in  essere  una  -
concreta e  specifica  -  verifica  di  quale  sia,  allo  stato,  la
situazione concernente la fruizione dei diritti civili e sociali  sul
territorio della Repubblica, soltanto successivamente - assicurato un
minimo applicabile a tutti, a prescindere dalla regione di  residenza
- sarebbe possibile trasferire le materie, con  la  conseguenza  che,
per alcune di esse, potrebbero esservi elementi  di  differenziazione
nelle diverse regioni, cio' potendo  eventualmente  realizzare  anche
una sana competizione, che non lascia pero' nessuno al di sotto della
garanzia dei livelli essenziali di prestazione. 
    La  centralita'  di  tale  verifica,  per  arrivare  a  garantire
effettivamente i LEP, in  realta',  sembrava  in  parte  riconosciuta
nella stessa relazione illustrativa del disegno di  legge  presentato
dal Governo il 23 marzo 2023, che  ha  poi  portato  all'approvazione
della legge impugnata. In essa si ricorda, infatti, che  «per  quanto
riguarda la determinazione dei LEP nelle materie che  possono  essere
oggetto di autonomia differenziata, la legge di bilancio  per  l'anno
2023 (legge 29 dicembre 2022, n. 197, art. 1, commi da 791 a 801)  ha
istituito  una  Cabina  di  regia,  composta  da  tutti  i   Ministri
competenti» e che «questa dovra' provvedere a  una  ricognizione  del
quadro normativo in  relazione  a  ciascuna  funzione  amministrativa
statale  e  delle  regioni  a  statuto  ordinario,   con   successiva
individuazione delle materie o degli ambiti di materie riferibili  ai
livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti  civili  e
sociali che devono essere garantiti in tutto il territorio nazionale.
La ricognizione dovra' estendersi  alla  spesa  storica  a  carattere
permanente dell'ultimo triennio, sostenuta dallo Stato sul territorio
di  ogni  regione,  per  ciascuna  propria  funzione  amministrativa.
Successivamente  saranno  determinati  i  livelli  essenziali   delle
prestazioni e dei costi e fabbisogni standard nelle  materie  di  cui
alla citata disposizione costituzionale,  sulla  base  delle  ipotesi
tecniche  formulate  dalla  Commissione  tecnica  per  i   fabbisogni
standard. Al termine di tale iter, entro un anno, la Cabina di  regia
predisporra'  uno  o  piu'  schemi  di  decreto  del  Presidente  del
Consiglio  dei  ministri  recanti,  anche  distintamente  tra  le  23
materie, la determinazione dei LEP e dei relativi costi e  fabbisogni
standard». 
    Tuttavia, la legge non contiene specifiche  previsioni  circa  la
effettiva garanzia dei LEP. 
    In effetti, questo lavoro della  Cabina  di  regia  -  che  nella
relazione illustrativa e' indicato  come  parallelo  all'approvazione
della  legge  di  attuazione  dell'art.  116,  terzo   comma,   della
Costituzione - non puo' considerarsi completato. 
    D'altronde, il CLEP (Comitato tecnico  scientifico  con  funzioni
istruttorie  per  l'individuazione  dei  livelli   essenziali   delle
prestazioni)  si  e'  limitato  a  predisporre  un  rapporto  in  cui
ricostruisce il complesso degli atti con cui oggi  si  provvede  alla
determinazione o  alla  ricognizione  dei  livelli  essenziali  delle
prestazioni in alcune delle materie o ambiti di materie  interessati,
con l'individuazione di alcuni  problemi  connessi  all'attivita'  di
determinazione dei LEP, senza fissare  il  livello  minimo  che  deve
essere comune su  tutto  il  territorio  nazionale  e  stabilirne  il
finanziamento, con la conseguenza che i LEP non sono garantiti. 
    Infatti, il Governatore della Banca d'Italia, Ignazio Visco, poco
prima della scadenza del suo mandato, il 10 ottobre 2023, ha  inviato
al CLEP una lettera nella quale  ha  segnalato  che  «le  prestazioni
qualificate come LEP effettivi nel documento del 25  settembre  [...]
sono nella  maggior  parte  dei  casi  formulate  in  termini  troppo
generici, in  buona  parte  riconducibili  a  mere  dichiarazioni  di
principio. Gli stessi criteri di misurabilita' tendono a misurare  la
platea dei potenziali beneficiari delle prestazioni, ma non  appaiono
collegati con il contenuto specifico di queste ultime, che rimane  in
larga    parte    indeterminato.     Sembra     cosi'     conseguirne
un'interpretazione  (restrittiva)  del  mandato  del  CLEP  colta   a
limitarlo  a  una  ricognizione  sistematizzata  della   legislazione
vigente, senza entrare nella formulazione di  possibili  declinazioni
operative delle disposizioni connesse con diritti civili e  sociali».
A queste considerazioni, peraltro, il Governatore faceva seguire  una
serie di critiche specifiche in ordine all'individuazione dei LEP  in
diversi settori, sottolineando, in particolare, per alcuni di essi  -
in settori centrali come quelli dell'istruzione e  della  tutela  del
lavoro - la  eccessiva  genericita'  o  la  formulazione  in  termini
eccessivamente astratti, mentre significative inadeguatezze  venivano
riscontrate anche rispetto alla tutela della salute. 
    In effetti, la stessa Corte costituzionale, con  sentenza  n.  62
del  2020,  ha  evidenziato  che  «la  stretta  interdipendenza   dei
parametri costituzionali evocati e delle norme attuative configura il
diritto alla salute come diritto sociale di primaria importanza e  ne
conforma il contenuto attraverso la determinazione dei LEA, di cui il
finanziamento  adeguato  costituisce  condizione  necessaria  ma  non
sufficiente per assicurare prestazioni direttamente riconducibili  al
fondamentale diritto alla salute. E' in questo senso che deve  essere
ribadito  il  principio  secondo  cui,  «una   volta   normativamente
identificato, il nucleo invalicabile di garanzie minime  per  rendere
effettivo  [il   diritto   alla   prestazione   sociale   di   natura
fondamentale, esso] non puo' essere finanziariamente condizionato  in
termini assoluti e generali» (sentenza n. 275 del 2016). 
    E'  evidente  che  se  un  programmato,  corretto  e   aggiornato
finanziamento costituisce condizione necessaria per il  rispetto  dei
citati parametri costituzionali, la piena realizzazione dei doveri di
solidarieta' e di tutela della dignita' umana deve essere  assicurata
attraverso   la   qualita'   e   l'indefettibilita'   del   servizio,
ogniqualvolta un individuo  dimorante  sul  territorio  regionale  si
trovi in condizioni di bisogno rispetto alla  salute.  E'  in  quanto
riferito alla persona che questo diritto deve essere  garantito,  sia
individualmente, sia nell'ambito della collettivita' di  riferimento.
Infatti, il servizio sanitario e ospedaliero in ambito locale e',  in
alcuni  casi,  l'unico  strumento  utilizzabile  per  assicurare   il
fondamentale diritto alla salute. 
    In  definitiva,  l'intreccio   tra   profili   costituzionali   e
organizzativi comporta  che  la  funzione  sanitaria  pubblica  venga
esercitata su due  livelli  di  governo:  quello  statale,  il  quale
definisce le prestazioni  che  il  Servizio  sanitario  nazionale  e'
tenuto a fornire  ai  cittadini  -  cioe'  i  livelli  essenziali  di
assistenza -  e  l'ammontare  complessivo  delle  risorse  economiche
necessarie al loro finanziamento; quello regionale, cui  pertiene  il
compito di  organizzare  sul  territorio  il  rispettivo  servizio  e
garantire l'erogazione delle prestazioni nel rispetto degli  standard
costituzionalmente conformi. La presenza di due  livelli  di  governo
rende necessaria la definizione  di  un  sistema  di  regole  che  ne
disciplini  i  rapporti  di  collaborazione,   nel   rispetto   delle
reciproche competenze. Cio' al fine di realizzare una gestione  della
funzione sanitaria pubblica efficiente e capace  di  rispondere  alle
istanze dei cittadini coerentemente con le  regole  di  bilancio,  le
quali prevedono la separazione dei costi «necessari»,  inerenti  alla
prestazione dei LEA, dalle altre spese sanitarie, assoggettate invece
al principio della sostenibilita' economica». 
    In sostanza, come e' stato sintetizzato dal  prof.  Viesti  nella
gia' citata audizione informale di  fronte  alla  Commissione  affari
costituzionali della Camera  dei  deputati,  «definire  i  LEP  senza
prefigurare i percorsi, le modalita' e le risorse finanziarie per  il
loro  raggiungimento  appare  un'operazione   di   facciata,   specie
considerando la  clausola  di  invarianza  della  spesa  complessiva.
Fissare i LEP non determina il  loro  finanziamento»,  ne'  tantomeno
assicura che essi siano «garantiti», come la Costituzione  esige  che
siano. 
    Sul punto, sempre in sede  di  audizioni  presso  la  Commissione
affari costituzionali della Camera dei deputati,  e'  intervenuta  la
Banca d'Italia, nella cui memoria si legge che  «la  definizione  dei
LEP  non  implica  tuttavia  che  le  prestazioni  individuate   come
essenziali siano adeguatamente finanziate ed  effettivamente  erogate
su tutto il territorio nazionale.  Data  la  clausola  di  invarianza
della spesa, la convergenza a un livello  uniforme  di  servizi  puo'
avvenire solo attraverso una  rimodulazione  della  spesa  statale  a
favore delle regioni in cui l'offerta di prestazioni e' inferiore  ai
LEP. Se, in alternativa, si assumesse che  la  spesa  storica  sinora
sostenuta dallo Stato in ciascuna regione sia  quella  implicitamente
necessaria   a   finanziare   i    LEP,    si    determinerebbe    la
«cristallizzazione» degli attuali divari nell'offerta di  prestazioni
pubbliche sul territorio». 
    Quindi, la legge impugnata avrebbe  dovuto  richiedere  non  solo
l'individuazione (peraltro non sulla base della  spesa  storica),  ma
poi il finanziamento  e,  appunto,  soprattutto,  la  garanzia  degli
stessi nei confronti delle persone, prima che si potesse procedere al
trasferimento delle funzioni. 
    8.4. Sulla base di  quanto  appena  detto,  e'  quindi  per  mero
scrupolo che possiamo precisare come la garanzia dei  LEP  non  possa
considerarsi sussistente pur  a  fronte  della  previsione  contenuta
nello stesso art.  4,  primo  comma,  secondo  periodo,  per  cui  il
trasferimento delle funzioni puo' avvenire soltanto  «successivamente
all'entrata in vigore dei provvedimenti legislativi  di  stanziamento
delle risorse finanziare  volte  ad  assicurare  i  medesimi  livelli
essenziali  di  prestazioni  sull'intero  territorio  nazionale,  ivi
comprese le regioni che non hanno sottoscritto le intese». 
    Infatti, come abbiamo detto - anche in base  alla  giurisprudenza
costituzionale sopra evocata - occorre che i LEP siano effettivamente
garantiti, cio' non avvenendo  certamente  in  base  alla  loro  mera
individuazione e, ancorche' cio' costituisca un passaggio essenziale,
neppure ove siano finanziati. 
    Inoltre, e' del tutto inverosimile  -  in  una  situazione  nella
quale le differenze territoriali nel Paese sul  piano  del  godimento
dei diritti (in particolare evidentemente dei diritti  sociali)  sono
talmente ampie - che possa  essere  sufficiente  lo  stanziamento  di
fondi in un solo provvedimento legislativo perche' quel divario possa
essere superato. 
    Infatti, l'Ufficio parlamentare di bilancio, nella risposta  alla
richiesta di approfondimenti del 20  giugno  2023,  indirizzata  alla
Commissione affari costituzionali del  Senato  della  Repubblica,  ha
fatto presente (p. 8)  che  «i  livelli  dei  servizi  effettivamente
prestati sono caratterizzati da una forte eterogeneita' che  riflette
non solo la differenziazione dei bisogni  sul  territorio,  ma  anche
profonde   disparita'   nelle   dotazioni   finanziarie,    derivanti
soprattutto dal sovrapporsi nel corso  del  tempo  di  interventi  di
finanziamento non  coordinati.  La  determinazione  dei  LEP  farebbe
pertanto  probabilmente  emergere  significative  discrepanze  fra  i
fabbisogni standard e la spesa  storica  che  andrebbero  colmate  da
interventi perequativi ed eventualmente da maggiori finanziamenti». 
    8.5. Dalle notazioni esposte emerge  il  contrasto  dell'art.  1,
settimo comma, e dell'art. 4, primo comma, della legge n. 86 del 2024
non  solo  con  l'art.  117,  secondo  comma,   lettera   m),   della
Costituzione, che impone la garanzia su tutto il territorio nazionale
dei livelli essenziali di prestazione concernenti i diritti civili  e
politici e con l'art. 119 della Costituzione, la cui piena attuazione
e' condizione necessaria per introdurre, nel sistema del regionalismo
italiano, elementi di differenziazione e competizione, ma  anche  con
l'art. 3 della Costituzione, sia sotto il  profilo  dell'uguaglianza,
creando una evidente disparita' di trattamento  tra  le  regioni  sia
sotto il profilo della ragionevolezza, perche' la Costituzione impone
che la Repubblica ponga in essere azioni concrete  per  garantire  un
livello  essenziale  delle  prestazioni  su   tutto   il   territorio
nazionale, soltanto dopo il raggiungimento  del  quale  e'  possibile
inserire  elementi  di  differenziazione  e  competitivita'   tra   i
territori. 
    La  lesione  dell'art.  3   sotto   i   profili   indicati   lede
evidentemente le competenze regionali della ricorrente.  Infatti,  il
trasferimento di funzioni, con le relative risorse umane, strumentali
e  finanziarie,  prima  che  siano  determinati  i  LEP  finisce  per
accrescere le gia' esistenti disparita' tra i diversi territori,  che
possono ricadere negativamente  su  tutte  le  regioni,  compresa  la
ricorrente. 
9. Illegittimita' costituzionale degli articoli 5, secondo comma,  8,
secondo comma e 9, primo comma, della  legge  n.  86  del  2024,  per
violazione dell'art. 119, nonche' degli articoli 2, 3, 5 e  81  della
Costituzione. 
    9.1. L'art. 5, secondo comma, della  legge  impugnata  stabilisce
che il finanziamento  delle  funzioni  trasferite  alle  regioni  che
stipulano   le   intese   debba   essere    realizzato    «attraverso
compartecipazioni al gettito di uno o piu' tributi erariali  maturato
nel territorio regionale» e comunque «nel rispetto dell'art. 17 della
legge 31 dicembre 2009,  n.  196,  nonche'  nel  rispetto  di  quanto
previsto dall'art. 119, quarto comma, della Costituzione». 
    L'art. 8, secondo comma, della medesima  legge  affida  poi  alla
Commissione  paritetica  la  ricognizione  «dell'allineamento  tra  i
fabbisogni di spesa gia'  definiti  e  l'andamento  del  gettito  dei
tributi compartecipati per il finanziamento delle medesime funzioni».
Quindi, qualora detta ricognizione evidenzi  uno  scostamento  dovuto
alla variazione dei fabbisogni ovvero all'andamento del  gettito,  il
Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con  il  Ministro
per gli affari regionali e le autonomie, previa  intesa  in  sede  di
Conferenza unificata, puo' adottare, su  proposta  della  Commissione
paritetica,   «le   necessarie   variazioni   delle    aliquote    di
compartecipazione definite nelle intese ai sensi dell'art.  5,  comma
2, garantendo comunque l'equilibrio di bilancio e  nei  limiti  delle
risorse disponibili». 
    L'art. 9, primo comma, pone infine  una  clausola  di  invarianza
finanziaria, disponendo che «dall'applicazione della presente legge e
di ciascuna intesa non devono  derivare  nuovi  o  maggiori  oneri  a
carico della finanza pubblica». 
    9.2. L'art. 5, secondo comma, poco sopra  richiamato  delinea  un
sistema di  finanziamento  delle  funzioni  trasferibili  censurabile
sotto diversi aspetti,  anzitutto  per  violazione  dei  principi  di
solidarieta' e di eguaglianza di  cui  agli  articoli  2  e  3  della
Costituzione. 
    La scelta del  legislatore  di  vincolare  il  reperimento  delle
risorse  economico-finanziarie   per   l'esercizio   delle   funzioni
trasferibili alla  sola  compartecipazione  al  gettito  dei  tributi
erariali, senza la  previsione  di  specifici  correttivi,  determina
infatti un'illegittima disparita'  di  trattamento  tra  regioni,  in
ragione della loro maggiore o minore capacita' fiscale pro capite. 
    Il legislatore avrebbe invece dovuto seguire l'esempio  di  altri
ordinamenti, come ad esempio quello svedese, dove in  particolare  la
compartecipazione all'imposta sul reddito si limita all'aliquota  del
primo scaglione e, quindi, ai  redditi  che  si  collocano  entro  il
limite del primo scaglione. E' infatti evidente che nelle regioni con
capacita' fiscale ridotta il reddito medio difficilmente  si  colloca
negli scaglioni piu' elevati, di talche' le entrate  derivanti  dalla
compartecipazione sono nettamente inferiori rispetto a  quelle  delle
regioni piu' «abbienti». In un contesto come quello italiano, segnato
da profonde sperequazioni tra regioni, molte delle quali non riescono
a  garantire  nemmeno  i  livelli   essenziali   delle   prestazioni,
l'introduzione di un meccanismo di  compartecipazione  «puro»,  senza
correttivi,  deve  ritenersi  incostituzionale  per  violazione   dei
principi di solidarieta' ed eguaglianza. 
    Questa conclusione risulta tanto piu' evidente ove  si  consideri
che il criterio attualmente impiegato per quantificare il  fabbisogno
di spesa relativo alle singole funzioni trasferibili e' quello  della
spesa storica che, come noto, riflette e perpetua  le  diseguaglianze
territoriali emerse nel recente passato, posto che, nei territori con
maggiore capacita' fiscale, la spesa  per  le  medesime  funzioni  e'
stata di gran lunga piu' elevata rispetto a quella  realizzata  nelle
regioni meno «abbienti». Tale criterio impedisce a queste  ultime  di
ottenere  maggiori  risorse  per  il  finanziamento  delle  funzioni,
attraverso  il   riconoscimento   di   una   maggiore   aliquota   di
compartecipazione. 
    D'altra parte, le regioni con una ridotta capacita'  fiscale,  le
quali  hanno  comunque  diritto  di  ottenere  «forme  e   condizioni
particolari di autonomia», in  assenza  di  canali  di  finanziamento
diversi e ulteriori rispetto alla compartecipazione  al  gettito  dei
tributi erariali maturati nel territorio  regionale,  potrebbero  non
riuscire  a  coprire  integralmente  le  spese  connesse  alle  nuove
funzioni  trasferite,  a  differenza  di  altre  che,  al  contrario,
potrebbero finanche maturare un extra-gettito (i.e. il saldo positivo
derivante  dalla  differenza   tra   le   entrate   derivanti   dalle
compartecipazioni  al  gettito  dei  tributi  erariali  e  le  uscite
necessarie ai fini dell'esercizio delle funzioni attribuite). 
    Tale  extra-gettito,  il  quale  puo'  derivare   da   un'erronea
quantificazione iniziale del fabbisogno di spesa, da  una  variazione
al ribasso del fabbisogno  di  spesa  ovvero  da  un  esercizio  piu'
efficiente da  parte  delle  medesime  regioni  delle  funzioni  loro
trasferite rispetto a quello posto  in  essere  fino  ad  oggi  dallo
Stato, restera', senza vincoli di destinazione, nella  disponibilita'
delle   regioni   stesse.   E'   questo    il    logico    corollario
dell'implementazione  di  un  modello  di  regionalismo  competitivo,
quanto meno con riguardo all'ipotesi  di  esercizio  piu'  efficiente
delle funzioni da parte delle regioni, il quale, pero',  allo  stato,
non puo' essere trasposto de plano nell'ordinamento italiano, poiche'
in molte  aree  del  Paese  non  sono  garantiti  nemmeno  i  livelli
essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili  e  sociali
di cui all'art. 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione. 
    Senza  un   meccanismo   di   perequazione   interregionale   che
redistribuisca continuamente le  risorse,  il  bilancio  dello  Stato
sarebbe chiamato a intervenire continuamente per sostenere le regioni
i cui gettiti  compartecipati  dovessero  risultare  insufficienti  a
finanziare le funzioni, senza poter recuperare risorse laddove ve  ne
siano in eccedenza (cfr. anche il motivo n. 10). 
    L'impossibilita' per lo Stato di procedere  alla  redistribuzione
dell'eventuale  extra-gettito  maturato  dalle  singole  regioni   ad
autonomia particolare, nonche' l'assenza di  un  efficace  meccanismo
perequativo  (cfr.  infra,  motivo  di  ricorso  n.  10),  di   fatto
determinano  l'illegittimita'  costituzionale  dell'art.  5,  secondo
comma, della legge impugnata per violazione  degli  articoli  2  e  3
della Costituzione. 
    9.3. L'incostituzionalita'  del  riferimento  al  solo  strumento
della compartecipazione e' ulteriormente evidenziata dalla scelta del
legislatore di escludere, invece,  dalle  tecniche  di  finanziamento
delle funzioni trasferibili la c.d.  riserva  di  aliquota  (comunque
riconducibile al concetto di compartecipazione di  cui  all'art.  119
della Costituzione), che  avrebbe  consentito  altresi'  un  maggiore
rispetto del principio di territorialita' del tributo di cui all'art.
119  della  Costituzione,   espressamente   richiamato   -   dobbiamo
ricordarlo - dall'art. 116, terzo comma. 
    Tanto la riserva  di  aliquota  quanto  la  compartecipazione  al
gettito dei  tributi  erariali  consistono  nel  riconoscimento  alle
regioni  di  quote  di  tributi  erariali,  ma  mentre  la  prima  e'
costituita da una parte dell'aliquota del tributo erariale che  viene
«riservata» alla  regione  e  calcolata  sulla  base  imponibile  del
tributo, la seconda prevede, invece, l'attribuzione  alla  stessa  di
una quota del  gettito  del  tributo  erariale,  commisurata  ad  una
determinata aliquota. 
    La  riserva  di  aliquota,  la  quale,   secondo   l'orientamento
assolutamente prevalente, non costituisce un tributo  proprio  ma  e'
assimilabile alle compartecipazioni, tanto da poter essere ricondotta
al concetto di «compartecipazioni  al  gettito  di  tributi  erariali
riferibile al loro territorio» di cui all'art.  119,  secondo  comma,
della Costituzione, non garantisce alle regioni soltanto una quota di
gettito di un tributo erariale, ma anche la facolta' di modificare le
aliquote per quanto attiene  alla  componente  regionale  nei  limiti
fissati dalla legge  statale,  cosi'  garantendo,  da  un  lato,  una
maggiore manovrabilita'  del  tributo  e,  dall'altro  lato,  risorse
maggiormente    «certe»    in     quanto,     contrariamente     alle
compartecipazioni, risulta insensibile rispetto a eventuali modifiche
delle aliquote dei tributi erariali e  non  dipende  dalla  capacita'
fiscale del territorio. 
    In questo senso, l'aver escluso l'aliquota di riserva dai  canali
di   finanziamento   del   regionalismo   differenziato   rappresenta
un'ingiustificata  e  illegittima   violazione   del   principio   di
territorialita' del tributo. 
    9.4. Deve poi osservarsi, in termini piu' generali,  come  l'art.
5, secondo comma, della legge impugnata finisce con il  delineare  un
modello di federalismo  fiscale  manifestamente  difforme  da  quello
disegnato dagli  articoli  5  e  119  della  Costituzione,  il  quale
risponde  al  generale  canone  della   democrazia   rappresentativa,
sintetizzato nella nota formula «no taxation without representation». 
    La corrispondenza tra il reperimento  delle  risorse  e  il  loro
impiego   e',   come   noto,    presupposto    indefettibile    della
responsabilita' politica degli eletti nei confronti  degli  elettori.
Si tratta di un principio che e' stato espresso a piu' riprese  dalla
Corte costituzionale. 
    Sotto questo aspetto  l'art.  119  della  Costituzione  individua
nella compartecipazione al gettito dei tributi erariali solo uno  tra
i diversi canali di finanziamento ordinario delle funzioni attribuite
alle regioni, cosi' come emerge  assai  chiaramente  soprattutto  dal
quarto comma, la' dove si afferma che «[l]e risorse  derivanti  dalle
fonti di cui ai commi precedenti consentono ai comuni, alle province,
alle Citta' metropolitane e alle regioni di finanziare  integralmente
le funzioni pubbliche loro attribuite». Le  regioni  possono  infatti
istituire entrate e  tributi  propri  e  rispetto  ad  essi  vige  la
responsabilita' politica dinanzi ai cittadini  ai  quali  sono  state
prelevate le risorse. Non considerare cio', come sembra fare la legge
impugnata,  assegnando  alle  regioni  soltanto  quote  del   gettito
erariale, rompe il vincolo della responsabilita' politica. 
    9.5.  D'altra  parte,  lo  stesso  meccanismo   di   monitoraggio
introdotto dall'art. 8, secondo comma, della legge impugnata comprova
ulteriormente il vantaggio strutturale  delle  regioni  con  maggiore
capacita' fiscale pro capite, determinando quindi la  violazione  dei
principi di solidarieta' ed eguaglianza di cui agli articoli  2  e  3
della Costituzione. 
    Inoltre,  e  soprattutto,  tale   disposizione,   vincolando   la
variazione delle aliquote di compartecipazione definite nelle  intese
alle «risorse disponibili», viola specificamente l'art.  119,  quarto
comma della Costituzione, poiche', di  fatto,  si  sostanzia  in  una
potenziale violazione del principio di corrispondenza tra  risorse  e
funzioni trasferite, a piu' riprese ribadito da questa  Corte  (cfr.,
ex multis, sentenze nn. 155 del 2020, 137 del 2018, 10 del 2016,  188
del 2015). Infatti, se  in  futuro  lo  Stato  dovesse  disporre  una
compressione del gettito dei tributi  erariali  compartecipati,  cio'
automaticamente determinerebbe  una  riduzione  delle  entrate  delle
regioni  ad  autonomia  particolare,  eventualmente   tale   da   non
consentire loro di coprire le spese necessarie per l'esercizio  delle
funzioni trasferite. Qualora poi lo Stato  non  dovesse  reperire  le
risorse  per  coprire  detto  disavanzo,  a  quel  punto  emergerebbe
inevitabilmente la violazione del  principio  di  corrispondenza  tra
risorse e funzioni trasferite. 
    Questa criticita' poteva essere in parte  attenuata  individuando
tra le tecniche di finanziamento delle  funzioni  trasferibili  anche
l'aliquota di riserva, la quale consente alle  regioni  una  notevole
manovrabilita'  del  tributo  e  garantisce  loro  risorse   «certe»,
giacche' come gia' esposto essa e' insensibile rispetto  a  eventuali
modifiche delle aliquote dei tributi erariali. 
    D'altra parte, volendosi ragionare a contrario, la violazione del
principio di corrispondenza potrebbe altresi'  derivare  dall'aumento
della  base  imponibile  dei   tributi   compartecipati,   il   quale
determinerebbe l'automatica acquisizione  ai  bilanci  delle  regioni
beneficiarie della differenziazione di risorse finanziarie  eccedenti
il  fabbisogno  finanziario  per  lo   svolgimento   delle   funzioni
trasferite (c.d. extra-gettito), cosi' violando  l'art.  119,  quarto
comma,  della  Costituzione.  Si  realizzerebbe,  in  tal  modo,   la
violazione del principio di corrispondenza, in quanto alcune  regioni
finirebbero con  avere  maggiori  risorse  di  quelle  effettivamente
necessarie per l'esercizio delle funzioni trasferite. 
    9.6. Deve infine essere censurata la previsione di  cui  all'art.
9, primo comma, della legge impugnata, la quale pone la  clausola  di
invarianza  finanziaria.  Essa  e'  ad  ogni  evidenza  in  manifesto
contrasto con l'art. 81 della Costituzione. 
    Il trasferimento delle funzioni  alle  regioni  che  ne  facciano
richiesta non puo' infatti essere «a costo zero», e cio' in quanto la
garanzia dei livelli essenziali delle prestazioni (art. 4 della legge
impugnata), l'istituzione del fondo  perequativo  (art.  10,  secondo
comma, della legge impugnata), gli interventi speciali e di  coesione
sociali (art. 10, primo  comma,  lettera  a),  c),  d),  della  legge
impugnata) e la garanzia dell'invarianza finanziaria delle regioni ad
autonomia  ordinaria  che  non  intendano   richiedere   e   ottenere
l'ampliamento della propria potesta'  legislativa  (art.  9,  secondo
comma,  della  legge   impugnata)   presuppone   necessariamente   il
reperimento  di  ingenti  risorse,  il   quale   e'   tuttavia   solo
«annunciato» nella legge n. 86  del  2024,  ove  non  e'  individuata
alcuna adeguata copertura finanziaria. 
10. Illegittimita' costituzionale dell'art. 10 della legge n. 86  del
2024, per violazione degli articoli 116, terzo comma,  e  119,  terzo
comma, della Costituzione. 
    10.1. Con il presente motivo di ricorso si intende contestare  la
legittimita' costituzionale dell'art. 10 della legge n. 86 del  2024,
relativo alle «misure perequative  e  di  promozione  dello  sviluppo
economico,  della  coesione  e  della  solidarieta'   sociale»,   per
violazione degli articoli 116, terzo comma e 119, terzo comma,  della
Costituzione. 
    L'art. 116, terzo comma, della Costituzione dispone  infatti  che
«ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia [...]  possono
essere attribuite  ad  altre  regioni,  con  legge  dello  Stato,  su
iniziativa della regione interessata, sentiti gli  enti  locali,  nel
rispetto dei principi di cui all'art. 119». 
    L'art. 119 della Costituzione, come gia'  evidenziato,  individua
tre canali di finanziamento ordinario  delle  funzioni  attribuite  a
comuni, province, Citta' metropolitane e regioni: i) i tributi  e  le
entrate proprie (secondo comma); ii) le compartecipazioni al  gettito
di tributi erariali riferibile al loro  territorio  (secondo  comma);
iii) il fondo di perequazione (terzo  comma),  aggiungendo,  poi,  un
canale di finanziamento  straordinario  rappresentato  dalle  risorse
aggiuntive e dagli interventi speciali (quinto comma). 
    La funzione del fondo di perequazione  e'  quella  di  consentire
agli enti territoriali e, per quanto piu' interessa in  questa  sede,
alle regioni, di far fronte alle spese connesse  all'esercizio  delle
pubbliche funzioni loro attribuite laddove non risultino  sufficienti
le risorse raccolte attraverso i primi due  canali  di  finanziamento
ordinario gia' richiamati, e cio' in ragione del  carattere  unitario
della Repubblica. 
    L'art. 119,  terzo  comma,  della  Costituzione,  d'altra  parte,
impone che al fondo perequativo non possano essere apposti vincoli di
destinazione, per quanto tale previsione normativa debba fare i conti
con la composizione degli attuali bilanci regionali, ove oltre  l'80%
delle uscite copre il finanziamento delle prestazioni essenziali, tra
le quali, in particolare, quelle di natura lato sensu sanitaria. 
    L'art. 119 della Costituzione delinea, comunque, un  disegno  ben
preciso, esattamente sintetizzato dalla Corte costituzionale  con  la
sentenza n. 370 del 2003, in cui si legge  che  «il  nuovo  art.  119
della Costituzione, prevede espressamente, al quarto  comma,  che  le
funzioni pubbliche regionali e locali debbano essere  "integralmente"
finanziate  tramite  i  proventi   delle   entrate   proprie   e   la
compartecipazione al  gettito  dei  tributi  erariali  riferibili  al
territorio dell'ente interessato, di cui al  secondo  comma,  nonche'
con quote del «fondo perequativo senza vincoli di  destinazione»,  di
cui al terzo  comma.  [...]  Pertanto,  nel  nuovo  sistema,  per  il
finanziamento delle normali funzioni di regioni ed  enti  locali,  lo
Stato  puo'  erogare  solo   fondi   senza   vincoli   specifici   di
destinazione, in particolare tramite  il  fondo  perequativo  di  cui
all'art. 119, terzo comma, della Costituzione». 
    Cio'   riflette   l'esigenza   di   evitare   il    rischio    di
«sovrapposizione di politiche e di indirizzi governati  centralmente»
(ex multis, gia' sentenza n. 16 del 2004; ma, piu' di recente,  nello
stesso senso, sentenze n. 187 del  2021  e  n.  40  del  2022)  e  di
garantire l'autonomia di spesa degli enti sub-statali,  i  quali,  in
virtu'  della  maggiore  vicinanza  ai  cittadini  e  della  inerente
responsabilita' politica, dovrebbe tendenzialmente garantire una piu'
efficace allocazione delle risorse. 
    Tanto premesso, si deve prendere in considerazione la  previsione
di cui all'art. 10, secondo comma, della legge n.  86  del  2024,  ai
sensi della quale «in attuazione dell'art. 119,  terzo  comma,  della
Costituzione, trova  comunque  applicazione  l'art.  15  del  decreto
legislativo 6 maggio 2011, n. 68, in conformita' con le  disposizioni
di cui all'art. 2 della legge 9 agosto 2023, n.  111,  e  nel  quadro
dell'attuazione della milestone del  Piano  nazionale  di  ripresa  e
resilienza relativa alla  Riforma  del  quadro  fiscale  subnazionale
(Missione 1, Componente 1, Riforma 1.14)». 
    L'art. 15, quinto comma, del decreto legislativo n. 68  del  2011
dispone che «e' istituito, dall'anno 2027 o da  un  anno  antecedente
ove ricorrano le condizioni di cui al presente  decreto  legislativo,
un  fondo  perequativo  alimentato  dal  gettito  prodotto   da   una
compartecipazione al gettito dell'IVA determinata  in  modo  tale  da
garantire in ogni regione il finanziamento integrale delle  spese  di
cui all'art. 14, primo comma  [i.e.  le  spese  relative  ai  livelli
essenziali delle prestazioni]. Nel primo anno  di  funzionamento  del
fondo perequativo, le suddette spese sono computate in base ai valori
di spesa storica e dei costi standard, ove stabiliti; nei  successivi
quattro anni devono gradualmente convergere verso  i  costi  standard
[...]». 
    Gia' da una semplice lettura delle disposizioni appena richiamate
emerge la palese illegittimita' costituzionale dell'art. 10,  secondo
comma, della legge n. 86 del 2024, il quale,  nel  rinviare  all'art.
15, quinto comma, del decreto legislativo n. 68 del  2011,  consente,
di fatto, l'ampliamento della potesta' legislativa delle regioni  che
stipulano le intese e delle correlate entrate a danno  delle  Regioni
con capacita' fiscale ridotta, e cio' in assenza dell'istituzione del
fondo  perequativo  di  cui  all'art.   119,   terzo   comma,   della
Costituzione, che, in base al medesimo decreto legislativo n. 68  del
2011, e' prevista  per  il  2027  (termine  che,  peraltro,  potrebbe
eventualmente essere  nuovamente  rinviato),  mentre  alcune  regioni
hanno gia' avviato o potranno comunque avviare a breve  la  procedura
per il trasferimento di ulteriori forme e condizioni  particolari  di
autonomia. 
    Questa Corte ha ribadito che, «ai  sensi  dell'art.  119,  quarto
comma, della Costituzione, le funzioni degli enti territoriali devono
essere assicurate in concreto mediante le risorse menzionate ai primi
tre commi del medesimo art. 119  della  Costituzione,  attraverso  un
criterio perequativo trasparente e  ostensibile,  in  attuazione  dei
principi fissati dall'art. 17, comma 1, lettera a), della legge n. 42
del 2009» (sentenza 26 novembre 2021, n. 220). 
    La  perequazione  costituisce  in  tal  senso  l'unico  strumento
veramente idoneo a garantire la copertura  delle  spese  relative  ai
livelli essenziali delle  prestazioni  nelle  regioni  con  capacita'
fiscale ridotta. 
    Il  trasferimento  delle  funzioni  alle  regioni  ad   autonomia
«differenziata» e la  conseguente  piu'  rilevante  compartecipazione
delle stesse al gettito dei tributi erariali  determina  un'ulteriore
riduzione delle risorse disponibili per il finanziamento dei  livelli
essenziali nelle regioni ad autonomia ordinaria che non sono in grado
di procedere in autonomia, di  talche'  la  tardiva  istituzione  del
fondo perequativo (peraltro  per  ancora  diversi  anni  fondato  sul
criterio  della  spesa  storica)  produce  un'ulteriore   illegittima
disparita' di trattamento tra regioni  in  ragione  delle  condizioni
economiche del territorio, in palese violazione degli  articoli  116,
terzo comma e 119 della Costituzione. 
    10.2. Infine, e soprattutto, occorre considerare che  l'art.  10,
quinto comma, del decreto legislativo n. 68  del  2011,  al  fine  di
quantificare le spese  che  dovranno  essere  coperte  attraverso  il
meccanismo della perequazione, consente  di  preservare  il  criterio
della   spesa   storica   per   ulteriori   quattro   anni   rispetto
all'istituzione del fondo (i.e. fino  al  2031).  Successivamente  il
sistema dovra',  invece,  convergere  verso  il  criterio  dei  costi
standard. 
    Tuttavia, il criterio della spesa storica  riflette  e  perpetua,
come noto e gia' evidenziato al punto precedente,  le  diseguaglianze
nell'erogazione delle prestazioni, poiche' in passato  nei  territori
delle regioni con capacita' fiscale piu' elevata sono state destinate
maggiori  risorse  per  finanziare  l'esercizio  delle  funzioni.  Ne
discende che, per ancora molti anni, all'ampliamento  della  potesta'
legislativa delle regioni piu' abbienti che stipuleranno le intese  e
al rafforzamento della loro capacita' di spesa  si  accompagnera'  un
meccanismo  perequativo  radicalmente  inidoneo  ad   assicurare   la
copertura  delle  spese   effettivamente   necessarie   a   garantire
l'esercizio delle funzioni nelle altre regioni. 
    Tutto cio' si pone, quindi, in evidente contrasto con l'art.  119
per i motivi evidenziati, nonche'  con  lo  stesso  art.  116,  terzo
comma, della  Costituzione  che  deve  essere  letto  alla  luce  dei
principi supremi dell'ordinamento e che non puo' essere  interpretato
nel senso di consentire che alcune regioni vengano lasciate senza  le
risorse sufficienti per esercitare le funzioni loro attribuite. 
11. Illegittimita' costituzionale dell'art. 11,  primo  comma,  della
legge n. 86 del 2024, per violazione dell'art. 3 della  Costituzione,
anche sotto il profilo della ragionevolezza, e dell'art.  116,  terzo
comma della Costituzione. 
    11.1. L'art. 11, primo comma, della legge n. 86 del 2024  prevede
che «Gli atti di iniziativa delle regioni gia' presentati al Governo,
di cui sia stato avviato il confronto congiunto tra il Governo  e  la
regione interessata prima della  data  di  entrata  in  vigore  della
presente  legge,  sono  esaminati  secondo  quanto   previsto   dalle
pertinenti disposizioni della presente legge». 
    Il riferimento e' anzitutto agli accordi preliminari (pre-intese)
sottoscritti,  nel  2018,  dalle   Regioni   Veneto,   Lombardia   ed
Emilia-Romagna (nei  primi  due  casi  a  seguito  di  un  referendum
popolare di tipo consultivo, svoltosi il  22  ottobre  2017)  con  il
Governo Gentiloni e alle interlocuzioni che vi sono state, poi, con i
Governi  che  si   sono   susseguiti,   che   hanno   portato   anche
all'elaborazione di bozze di intesa, prima che la legge di attuazione
qui impugnata venisse approvata. 
    La disposizione che si censura con il presente motivo di ricorso,
quindi, intende fare salvi i  suddetti  atti,  considerati  «atti  di
iniziativa» della regione, ai sensi dell'art. 2, primo  comma,  della
legge n. 86 del 2024. 
    Ora, se e' vero che - come sopra ricordato ed  evidenziato  anche
nel Dossier della Camera dei deputati preparato  dal  Servizio  studi
della Camera, datato 5 febbraio 2024 - l'art. 116, terzo comma, della
Costituzione non prevede la necessita' di un  intervento  legislativo
per definire i principi generali per l'attribuzione alle  regioni  di
ulteriori  funzioni,  essendo  la  stessa   legge   (rafforzata)   di
approvazione dell'intesa a poter attribuire  le  ulteriori  forme  di
autonomia, tale legge di attuazione puo' comunque essere  (utilmente)
prevista, come a questo punto e'.  L'obiettivo  della  legge,  pero',
mirerebbe «a  costruire  percorsi  costanti  e  organici  attorno  ai
processi di accesso all'autonomia differenziata di  cui  alle  citate
disposizioni  costituzionali  dell'art.  116,  terzo   comma,   della
Costituzione» (v. Dossier, p. 7-8). 
    Se questo e' l'obiettivo, e' evidentemente che esso e' tradito da
una norma che fa salvi i primi passaggi di  un  percorso  avviato  in
assenza della legge di attuazione e inevitabilmente al di  fuori  del
perimetro   dalla   stessa   tracciato,    rompendo    immediatamente
l'uniformita' del percorso di  attribuzione  di  forme  e  condizioni
particolari di autonomia, che costituisce una garanzia per  tutte  le
regioni di accedere alla possibilita' offerta  dall'art.  116,  terzo
comma, della Costituzione in condizioni  di  parita'.  Garantire  una
«fuga in avanti» ad alcune  regioni,  tanto  piu'  in  considerazione
degli effetti che si producono sulle  altre  (v.  anche  punti  8-10)
pregiudicherebbe queste ultime. 
    Di conseguenza, in primo luogo, verrebbe violato il principio  di
uguaglianza in senso stretto, consentendo ad alcune regioni una sorta
di «corsia  preferenziale».  Considerato  che  una  volta  trasferite
competenze ad alcune  regioni  potrebbero  non  esservi  risorse  per
trasferirne ad altre e' evidente che la violazione del  principio  di
uguaglianza ridonderebbe nel caso in una lesione di  competenze  alla
cui tutela e' preposto il presente giudizio. 
    D'altronde,  la  norma  violerebbe  altresi'  il   principio   di
ragionevolezza, rischiando di rimettere ad una  «corsa»,  in  cui  ad
alcuni e' stato consentito di avviarsi, la effettiva possibilita'  di
attribuzione di ulteriori forme di autonomia, cio' avendo, del  pari,
conseguenze sulla lesione delle competenze. 
    Infine, per quanto appena detto,  la  norma  risulta,  ancora  in
violazione dell'art. 3 della Costituzione, irrazionale. Infatti, essa
smentisce proprio lo scopo della legge che e'  quello  di  assicurare
uniformita' ai trasferimenti  di  ulteriori  forme  e  condizioni  di
autonomia, anche questo finendo per riverberarsi  sulla  attribuzione
delle competenze. 
    11.2. A cio' si aggiunga che il modello seguito dalle tre regioni
che hanno avviato il percorso di autonomia differenziata  e'  diverso
da quello che - come argomentato con il  primo  motivo  del  presente
ricorso - costituirebbe  corretta  attuazione  dell'art.  116,  terzo
comma, della Costituzione. 
    Infatti, tutte e tre le regioni, seppure  con  differenze,  hanno
rastrellato un amplissimo novero di materie, senza alcun collegamento
con la specificita' territoriale ma solo sulla  base  di  un  «powers
shopping»,  in  cui  ciascuno  prende  cio'  che  vuole,   cio'   non
consentendo neppure un'adeguata interlocuzione con il  Governo,  che,
nella  trattativa,  quindi,  non  ha  riferimenti  per  stabilire  se
convergere sulle richieste o meno, non potendo che  compiere,  a  sua
volta,  scelte  arbitrarie,  che  potrebbero  essere  dettate   dalla
maggiore o minore consonanza politica. 
    Pertanto, l'art. 11, primo comma, viola altresi', al  pari  delle
altre norme indicate nel primo motivo di ricorso, l'art.  116,  terzo
comma, della Costituzione. 
12. Illegittimita' costituzionale dell'intera legge e, in  subordine,
degli articoli  4,  5,  secondo  comma,  8,  9,  10,  per  violazione
dell'art. 117, primo  comma,  della  Costituzione,  in  relazione  al
regolamento (UE) 2021/241 del Parlamento europeo e del Consiglio, che
istituisce il dispositivo per la  ripresa  e  la  resilienza  e  alla
decisione di esecuzione n. 2021/168 del Consiglio dell'Unione europea
e successive modificazioni ed integrazioni, che prevedono misure  per
la coesione sociale e territoriale. 
    12.1. Come risulta dai motivi che precedono, la legge  impugnata,
mette a rischio l'uniformita' delle condizioni di vita nel  Paese  e,
conseguentemente, la coesione territoriale. 
    Cio' risulta determinato dalla legge nel suo complesso, per  come
le funzioni possono essere individuate, trasferite  e  finanziate,  e
piu' in particolare dall'art. 4, sul trasferimento di  funzioni,  sia
perche' fa riferimento a materie non riferibili ai  LEP  sia  perche'
anche per le altre prevede che essi debbano essere determinati ma non
garantiti,  sia  perche'  il  finanziamento  delle  funzioni  avviene
attraverso compartecipazioni al gettito (art. 5, secondo comma),  sia
per  un  inadeguato  monitoraggio  (art.  8),   per   la   previsione
dell'invarianza finanziaria (art. 9) e per l'assenza di reali  misure
perequative (art. 10), secondo quanto argomentato al punto 10. 
    Da tutto questo emerge, quindi, un netto contrasto con uno  degli
obiettivi del Piano nazionale di ripresa  e  resilienza  e,  piu'  in
generale, del Dispositivo per la ripresa e  la  resilienza  istituito
dal regolamento  (UE)  2021/241,  che  pone  la  coesione  economica,
sociale e territoriale tra i sei pilastri fondanti,  violando  cosi',
in particolare, l'art. 117, primo comma, della Costituzione. 
    12.2. Peraltro, il pilastro della coesione territoriale assume un
ruolo trasversale nel Piano italiano, che si  propone  di  affrontare
«in modo concreto le  sfide  territoriali  profondamente  radicate  e
promuovendo uno sviluppo equilibrato» (v. il  considerando  36  della
decisione di  esecuzione  del  Consiglio,  relativa  all'approvazione
della  valutazione  del  piano  per  la  ripresa  e   la   resilienza
dell'Italia), e si traduce in un target puntuale corrispondente  alla
«Riforma 1. 14 - Riforma del quadro fiscale subnazionale». 
    In relazione ad essa, la decisione di esecuzione n. 2021/0168 del
Consiglio prevede che, entro il primo trimestre del 2026, si pervenga
al completamento del federalismo fiscale previsto dalla legge  n.  42
del  2009,  «con  l'obiettivo  di  migliorare  la  trasparenza  delle
relazioni fiscali tra i diversi  livelli  di  governo,  assegnare  le
risorse alle  amministrazioni  subnazionali  sulla  base  di  criteri
oggettivi e incentivare un uso efficiente delle risorse medesime.  La
riforma dovra' definire in  particolare  i  parametri  applicabili  e
attuare il federalismo fiscale per le regioni a statuto ordinario, le
province e le citta' metropolitane». 
    E' chiaro, quindi,  come  i  meccanismi  di  trasferimento  delle
risorse previsti dalla  legge  n.  86  del  2024  non  consentono  di
implementare un quadro di regole chiaro che  effettivamente  migliori
«la trasparenza delle relazioni fiscali  tra  i  diversi  livelli  di
governo» e attribuisca «le risorse alle amministrazioni  subnazionali
sulla base di criteri oggettivi». 
    L'implementazione di tali  meccanismi  -  contraria  ad  uno  dei
pilastri fondamentali del Dispositivo per la ripresa e la  resilienza
- ha, pertanto, l'ulteriore effetto di compromettere la  possibilita'
di accedere ai fondi previsti dal PNRR, dal momento che l'art. 24 del
regolamento  (UE)  n.   241   del   2021   prevede   la   sospensione
dell'erogazione  dei  contributi  finanziari  in  caso   di   mancato
conseguimento degli obiettivi o quando siano messe in atto di  azioni
che si pongono in contrasto con ulteriori obiettivi gia' raggiunti  o
da raggiungere. 
    Tutto cio', oltre determinare un danno  ingente  per  le  finanze
pubbliche, finisce per riverberarsi anche sulla sfera di attribuzione
dei  soggetti  attuatori  del  Piano,  fra  cui   le   regioni,   che
rischierebbero  di  perdere  le  risorse  per  il  finanziamento   di
attivita' gia'  messe  in  atto  e  per  implementare  gli  ulteriori
investimenti previsti dal medesimo Piano.