Ricorso ex art. 127, secondo comma, della Costituzione, per la Regione Toscana (p.IVA 01386030488), in persona del Presidente pro tempore della Giunta regionale, dott. Eugenio Giani, autorizzato con deliberazione della Giunta regionale 29 luglio 2024, n. 923, rappresentato e difeso, giusta la procura speciale apposta su foglio separato da considerarsi in calce al presente atto, dall'avv. prof. Andrea Pertici (c.f. PRTNDR70H01L833P), domiciliato come per legge presso la casella di posta elettronica del predetto difensore all'indirizzo pec andrea.pertici@pec.avvvocatilucca.it Contro: il Presidente del Consiglio dei ministri pro tempore, per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale della legge n. 86 del 2024, relativamente a: l'intera legge, nonche', in subordine, gli articoli 2, primo, secondo e quarto comma, e 4, per violazione dell'art. 116, terzo comma, della Costituzione, anche in relazione al primo comma, dell'art. 117, terzo comma, della Costituzione nonche' degli articoli 5 e 138 della Costituzione, nonche' l'intera legge, per violazione dell'art. 5 anche in relazione all'art. 120 della Costituzione; l'art. 2, quinto e ottavo comma, per violazione dell'art. 116, terzo comma, nonche' dell'art. 5 e degli articoli 70 e 72 della Costituzione; l'art. 2, ottavo comma, per violazione dell'art. 116, terzo comma, nonche' degli articoli 5 e 120 della Costituzione; l'art. 2, primo e sesto comma, per violazione dell'art. 116, terzo comma, e 121, secondo comma, ultimo periodo, della Costituzione; l'art. 3, primo comma, per violazione degli articoli 76, 116, terzo comma, e 119, primo, secondo e quarto comma, della Costituzione; l'art. 3, secondo e settimo comma, per violazione del principio di leale collaborazione di cui agli articoli 5 e 120 della Costituzione; gli articoli 3, settimo comma, e 2, primo comma, della legge n. 86 del 2024, per violazione dell'art. 117, secondo comma, lettera m) della Costituzione e del principio di legalita' (articoli 23, 97 e 113 della Costituzione); gli articoli 1, secondo comma e 4, primo comma, della legge n. 86 del 2024, per violazione degli articoli 3, anche sotto il profilo della ragionevolezza, 117, secondo comma, lettera m), e 119 della Costituzione; gli articoli 5, secondo comma, 8, secondo comma e 9, primo comma, della legge n. 86 del 2024, per violazione dell'art. 119, nonche' degli articoli 2, 3, 5 e 81 della Costituzione; l'art. 10 della legge n. 86 del 2024, per violazione degli articoli 116, terzo comma e 119, terzo comma, della Costituzione; l'art. 11, primo comma, della legge n. 86 del 2024, per violazione dell'art. 3 della Costituzione, anche sotto il profilo della ragionevolezza, e dell'art. 116, terzo comma, della Costituzione; l'intera legge e, in subordine, gli articoli 4, 5, secondo comma, 8, 9, 10, per violazione dell'art. 117, primo comma, della Costituzione, in relazione al regolamento (UE) 2021/241 del Parlamento europeo e del Consiglio, che istituisce il dispositivo per la ripresa e la resilienza e alla decisione di esecuzione n. 2021/168 del Consiglio dell'Unione europea e successive modificazioni ed integrazioni, che prevedono misure per la coesione sociale e territoriale. Fatto 1.1. Nella Gazzetta Ufficiale n. 150 del 28 giugno 2024 e' stata pubblicata la legge 26 giugno 2024, n. 86, recante «Disposizioni per l'attuazione dell'autonomia differenziata delle regioni a statuto ordinario ai sensi dell'art. 116, terzo comma, della Costituzione». 1.2. La legge ha iniziato il proprio iter nel Senato della Repubblica, dove e' stato presentato, dal Ministro per gli affari regionali e le autonomie, Calderoli, il disegno di legge n. 615, comunicato alla Presidenza il 23 marzo 2023, discusso nella Commissione affari costituzionali, congiuntamente a due altre proposte (poi assorbite), dal 3 maggio al 21 novembre 2023, con l'approvazione di alcuni emendamenti. Successivamente, dal 10 al 23 gennaio 2024, il testo e' stato discusso, esaminato e approvato dall'aula che ha approvato un ristrettissimo numero di emendamenti, che non hanno in alcun modo modificato l'impianto generale. Quindi, il testo e' stato trasmesso alla Camera dei deputati, dove ha assunto la numerazione C. 1665. Qui la trattazione in Commissione affari costituzionali si e' svolta dal 14 febbraio al 27 aprile 2024, essendo impegnata fino al 10 aprile da audizioni informali, e quella in aula dal 29 aprile al 18 giugno, quando il testo e' stato approvato in via definitiva, senza modifiche e quindi promulgato dal Presidente della Repubblica. Il testo e' quindi giunto all'approvazione mantenendo l'impianto iniziale, con poche e marginali modifiche, nonostante i molti rilievi emersi dalle ampie audizioni informali meritassero probabilmente una maggiore considerazione. 1.3. Tale legge essenzialmente disciplina il procedimento di approvazione della legge rinforzata di cui all'art. 116, terzo comma, della Costituzione, da approvare a maggioranza assoluta sulla base delle intese tra lo Stato e le regioni richiedenti ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, intervenendo altresi' sulle modalita' con cui si perviene alle intese stesse, disciplinando poi gli effetti e la durata delle intese, il monitoraggio sull'attuazione delle medesime e le modalita' di finanziamento delle funzioni «differenziate». Pur se il regime giuridico applicabile a ciascuna regione sara' definito nei suoi contenuti, con la legge approvata dalle Camere all'esito della procedura delineata dall'art. 116, terzo comma, della Costituzione, gia' la legge in esame determina regole per le future intese che presentano profili di dubbia legittimita' costituzionale, le quali ledono gravemente la sfera di competenza delle regioni, tra cui in particolare l'odierna ricorrente, rendendo necessaria la proposizione del presente ricorso. 1.4. Le previsioni che piu' rilevano, ai fini del presente ricorso, sono le seguenti: l'art. 1, secondo comma, relativo alla determinazione dei livelli essenziali, ai sensi del quale, in particolare, «l'attribuzione di funzioni relative alle ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia di cui all'art. 116, terzo comma, della Costituzione, relative a materie o ambiti di materie riferibili ai diritti civili e sociali che devono essere garantiti equamente su tutto il territorio nazionale, e' consentita subordinatamente alla determinazione, nella normativa vigente alla data di entrata in vigore della presente legge o sulla base della procedura di cui all'art. 3, dei relativi livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali [...]»; l'art. 2, il quale disciplina il procedimento di conclusione e deliberazione delle intese e prevede la deliberazione parlamentare della legge di cui all'art. 116, terzo comma, della Costituzione; l'art. 3, il quale delega il Governo alla determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni («LEP»), disponendo in particolare che essi debbano essere individuati esclusivamente «nelle materie o negli ambiti di materie» menzionati dal medesimo articolo (cosiddette «materie LEP»), attraverso decreti legislativi delegati da adottarsi previa acquisizione del parere della Conferenza unificata e che dovranno essere aggiornati tramite decreti del Presidente del Consiglio dei ministri; l'art. 4, il quale disciplina il trasferimento delle funzioni, consentendo in particolare il trasferimento di quelle connesse alle materie «non LEP» gia' a partire dall'entrata in vigore della legge impugnata, mentre con riguardo alle altre «soltanto dopo la determinazione dei medesimi LEP e dei relativi costi e fabbisogni standard»; l'art. 5, il quale individua i principi relativi al conferimento delle risorse necessarie all'esercizio delle funzioni oggetto di attribuzione di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia; l'art. 8, il quale introduce un meccanismo di monitoraggio in ordine agli «oneri finanziari derivanti, per ciascuna regione interessata, dall'esercizio delle funzioni e dall'erogazione dei servizi connessi alle ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia», nonche' di «ricognizione dell'allineamento tra i fabbisogni di spesa gia' definiti e l'andamento del gettito dei tributi compartecipati per il finanziamento delle medesime funzioni», autorizzando il Ministro dell'economia e delle finanze a determinare «le necessarie variazioni delle aliquote di compartecipazione definite nelle intese [...], garantendo comunque l'equilibrio di bilancio e nei limiti delle risorse disponibili»; l'art. 9, il quale, nel dettare le clausole finanziarie, prevede, inter alia, quanto segue: i) la clausola di invarianza finanziaria (primo comma); ii) «il finanziamento dei LEP sulla base dei relativi costi e fabbisogni standard e' attuato nel rispetto dell'art. 17 della legge 31 dicembre 2009, n. 196, e degli equilibri di bilancio» (secondo comma); iii) «Per le singole regioni che non siano parte delle intese approvate con legge in attuazione dell'art. 116, terzo comma, della Costituzione, e' garantita l'invarianza finanziaria nonche' il finanziamento delle iniziative finalizzate ad attuare le previsioni di cui all'art. 119, terzo, quinto e sesto comma, della Costituzione. Le intese, in ogni caso, non possono pregiudicare l'entita' e la proporzionalita' delle risorse da destinare a ciascuna delle altre Regioni, anche in relazione ad eventuali maggiori risorse destinate all'attuazione dei LEP di cui all'art. 3. E' comunque garantita la perequazione per i territori con minore capacita' fiscale per abitante» (terzo comma); iv) «Al fine di garantire il coordinamento della finanza pubblica, resta ferma la possibilita' di prevedere anche per le regioni che hanno sottoscritto le intese, ai sensi dell'art. 2, il concorso agli obiettivi di finanza pubblica [...]»; l'art. 10, il quale stabilisce che anche nelle regioni che non stipulano le intese lo Stato adotta misure perequative e di promozione dello sviluppo economico, della coesione e della solidarieta' sociale; l'art. 11, primo comma, il quale, tra le diverse disposizioni transitorie e finali, dispone che «gli atti di iniziativa delle regioni gia' presentati al Governo, di cui sia stato avviato il confronto congiunto tra il Governo e la regione interessata prima della data di entrata in vigore della presente legge, sono esaminati secondo quanto previsto dalle pertinenti disposizioni della presente legge». 1.5. In particolare, le impugnate disposizioni della legge n. 86 del 2024 sono lesive della sfera di competenza della Regione Toscana risultando incostituzionali per i seguenti motivi di Diritto 1. Illegittimita' costituzionale della legge n. 86 del 2014, nonche', in subordine, degli articoli 2, primo, secondo e quarto comma, e 4, per violazione dell'art. 116, terzo comma, della Costituzione, anche in relazione al primo comma, dell'art. 117, terzo comma, della Costituzione nonche' degli articoli 5 e 138 della Costituzione. Illegittimita' costituzionale della legge n. 86 del 2014, per violazione dell'art. 5 anche in relazione all'art. 120 della Costituzione. 1.1. L'art. 116, terzo comma, della Costituzione e' stato aggiunto con legge costituzionale n. 3 del 2001, che, dopo avere confermato, al primo comma, «forme e condizioni particolari di autonomia, secondo i rispettivi statuti speciali adottati con legge costituzionale», per il Friuli-Venezia Giulia, la Sardegna, la Sicilia, il Trentino-Alto Adige/Sudtirol e la Valle d'Aosta/Vallee d'Aoste, ha previsto la possibilita' di attribuire, «ad altre regioni», «ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia», concernenti una serie di materie, individuate con rinvio all'art. 117, terzo comma, e secondo comma, lettere l), limitatamente all'organizzazione della giustizia di pace, n) e s). A tale attribuzione si puo' procedere con legge ordinaria, rafforzata, da un lato, dalla previa necessita' di un'intesa tra lo Stato e la regione e, dall'altro, dalla approvazione a maggioranza assoluta (questo e' stato, in effetti, uno dei punti sui quali la legge costituzionale n. 3 del 2001 si e' maggiormente discostata dal progetto della «Bicamerale D'Alema», che sul punto prevedeva il ricorso a leggi costituzionali). 1.2. Nel primo e terzo comma dell'art. 116 della Costituzione, si usa, quindi, la medesima espressione, «forme e condizioni particolari di autonomia», che possono essere attribuite anche alle regioni diverse dalle cinque ad autonomia speciale, con un procedimento, in realta', meno aggravato, facendosi ricorso ad una legge ordinaria rafforzata, dall'approvazione a maggioranza assoluta sulla base di un'intesa tra lo Stato e la regione, anziche' ad una legge costituzionale di approvazione dello statuto. Se quest'ultima circostanza non puo' ragionevolmente che indurre a considerare le attribuzioni di cui al terzo comma come meno significative di quelle legate alla specialita' delle cinque regioni indicate al primo comma, deve considerarsi che, comunque, il riferimento e' in entrambi i casi a «forme e condizioni particolari di autonomia», che sono, in sostanza, quelle che - dal 1948 - hanno determinato la specialita' di alcune regioni, in collegamento con particolari «rationes e caratteristiche essenziali», secondo quanto da tempo sottolineato da S. Bartole (sub art. 122, in Commentario della Costituzione, a cura di G. Branca, Zanichelli - Il Foro Italiano, 1985, 83). L'Autore evidenzia, per ciascuna delle cinque regioni di cui all'art. 116, primo comma, le particolari caratteristiche che hanno giustificato il riconoscimento della specialita', ricollegandovi l'assegnazione di specifiche competenze, senza che cio' sia smentito dalla presenza di attribuzioni comuni, legate, quando non ad una vera e propria tutela etnico-linguistica (Trentino-Alto Adige e Valle d'Aosta) comunque alla tutela dell'identita' storica e culturale (negli altri tre casi), che la Costituzione (e non una legge) ha individuato, semmai anche con ripercussioni sul piano delle competenze di politica economica. Queste cosi' peculiari caratteristiche, che hanno portato all'attribuzione di speciali forme di autonomia - garantita a livello costituzionale sia dal riconoscimento di cui al primo e al secondo comma dell'art. 116 della Costituzione sia, poi, dallo stesso Statuto delle cinque regioni in questione - sono state evidentemente ritenute ancora sussistenti al momento in cui si e' proceduto ad un pur assai ampio ripensamento del sistema delle autonomie territoriali (e regionali, in special modo), con legge costituzionale n. 3 del 2001 (non assecondando i dubbi, pur espressi in dottrina, sulla perdurante attualita' della specialita', ulteriormente riproposti alla luce di una differenziazione diffusa). In tale contesto, tuttavia, su un piano gradato, e' stato previsto che «ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia» possano essere riconosciute, nell'ambito di determinate materie, anche alle altre regioni. Del resto, l'autonomia ha lo scopo principale di organizzare l'autogoverno delle comunita' territoriali (ai diversi livelli in cui la stessa e' organizzata), valorizzando le specificita', che richiedono una differenziazione, al fine di garantire la migliore amministrazione delle comunita' stesse, naturalmente nel rispetto dei principi di solidarieta' e uguaglianza nel godimento dei diritti, senza i quali e' messa in crisi l'unita' della Repubblica (su questi ultimi temi, v. G. Rivosecchi, Ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia e norme costituzionali sulla finanza territoriale (art. 119 della Costituzione), in Nuove autonomie n. speciale I/2024, 63 ss.). E, in effetti, la Corte costituzionale - nella sentenza n. 173 del 2023 - ha evidenziato come alle «forme e condizioni particolari di autonomia» sia coessenziale la limitazione territoriale, essendo in quell'ambito territoriale che sorge la specificita'. Sulla base del quadro cosi' tracciato, quindi, a seguito dell'entrata in vigore della legge costituzionale n. 3 del 2001, anche per le altre regioni, in deroga a quello che e' il comune modello di riparto di competenze disegnato dal titolo V della Costituzione (sul punto anche M. Cecchetti, La differenziazione delle forme e condizioni particolari di autonomia, in Oss. Fonti, 2002, 137), nel caso in cui la differenziazione per cosi' dire «ordinaria» sia ritenuta, nel caso specifico, inadeguata possono essere introdotte «forme e condizioni particolari di autonomia» che si leghino a «caratteristiche essenziali» della regione. Se, invece, a tutte le regioni potessero essere riconosciute «forme e condizioni particolari di autonomia», relativamente a tutte le materie astrattamente individuate dall'art. 116, terzo comma, della Costituzione, come la legge n. 86 del 2024 (o almeno le disposizioni specificamente censurate: art. 2, primo, secondo e quarto comma, e art. 4) intende che avvenga, la suddetta particolarita' verrebbe meno, dando vita a uno Stato con autonomie regionali paradossalmente anche piu' forti di quelle attualmente riconosciute come speciali (tanto che l'art. 11 della legge, in aperto contrasto con lo stesso art. 116, terzo comma, della Costituzione ha esteso la possibilita' di fare ricorso a questa modalita' anche per le cinque regioni ad autonomia speciale, che rischiavano di trovarsi in una condizione deteriore). Tale ultima configurazione dell'autonomia, che trova la propria base di realizzazione nella legge impugnata, prima ancora che nelle singole leggi da approvare in base all'art. 116, terzo comma, della Costituzione, potrebbe giungere, in definitiva, al punto da mettere in crisi lo stesso principio di unita' della Repubblica di cui all'art. 5 della Costituzione, consentendo a tutte le regioni di attrarre anche tutte le materie indicate, facendo perdere di senso alla stessa idea di regionalismo «differenziato» o «asimmetrico». In sostanza, un'interpretazione che permettesse di concedere ulteriori forme di autonomia anche in tutte le materie alle quali rinvia l'art. 116, terzo comma, senza alcun collegamento con effettive specificita' - e potenzialmente senza alcuna asimmetria o differenziazione (se tutte le regioni vi accedessero) - realizzerebbe semplicemente una forma di Stato nuova che lascerebbe al livello centrale meno di quanto generalmente gli e' attribuito in ordinamenti federali, senza, tuttavia, una serie di garanzie normalmente ivi previste a tutela dell'unita' del Paese e del raccordo tra il livello centrale e i dotatissimi livelli periferici. Tale mutamento della forma di Stato sarebbe peraltro realizzato senza passare attraverso le forme previste dall'art. 138 della Costituzione per la revisione costituzionale (ammesso che cio' fosse comunque praticabile, considerato il possibile contrasto di una siffatta revisione con lo stesso principio supremo dell'unita' e indivisibilita' della Repubblica di cui all'art. 5 della Costituzione). 1.3. Orbene, se il significato dell'art. 116, terzo comma, della Costituzione non puo' che essere quello di attribuire - in una logica derogatoria della differenziazione «ordinaria» - alcune competenze corrispondenti a «particolarita'» della regione (presenti in almeno una parte del suo territorio) e' chiaro che la legge n. 86 del 2024 avrebbe dovuto dare attuazione a questo aspetto. Invece, la legge nel suo complesso non prevede alcun collegamento della richiesta alle specificita' della regione, ne', quindi, alcuna necessita' di una motivazione in merito. Tale vizio, nella denegata e non creduta ipotesi non si ritenesse riferibile all'intera legge, e' almeno da riscontrare per le disposizioni che fanno riferimento alla richiesta di attribuzione di «ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia», in «una o piu' materie o ambiti di materie» ed al relativo negoziato (art. 2, primo e secondo comma), fino ad arrivare allo «schema di intesa preliminare» (art. 2, quarto comma) e quindi al trasferimento delle relative funzioni (art. 4) non prevedendo alcun collegamento della richiesta alle specificita' della regione, ne', quindi, alcuna necessita' di una motivazione in merito. Cio' e' reso ulteriormente evidente dalla previsione, contenuta nell'art. 2, primo comma, per cui, nelle materie riferibili (in base a questa legge) ai livelli essenziali di prestazioni, il Presidente del Consiglio dei ministri o il Ministro per gli affari regionali e le autonomie svolge il «negoziato» con la regione «per ciascuna singola materia o ambito di materia», mentre per le altre - evidentemente - si puo' procedere anche «in blocco». Da tutto cio' emerge che tutte le regioni (e, in base all'art. 11, in contrasto aperto con il 116, terzo comma, anche quelle a statuto speciale), in forza di questa legge, potrebbero chiedere ulteriori attribuzioni in modo totalmente arbitrario, giungendo a farlo anche per tutte le ventitre' materie che costituiscono il paniere all'interno del quale - ai sensi dell'art. 116, terzo comma, della Costituzione - e' possibile avanzare la richiesta, senza dare benche' minima considerazione alla circostanza per cui cio' sarebbe, invece, possibile soltanto ove le specificita' della regione lo richiedano (o almeno lo consentano). Proprio la necessaria specificita' da porre a fondamento della richiesta di ulteriori competenze si lega anche al fatto che queste ultime non riguardino (necessariamente) l'intero ambito delle diverse materie elencate (ad esempio tutto l'ambito della tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali), ma si riferiscano, invece, a particolari settori, «concernenti le materie di cui ...» (come e', in effetti, scritto nell'art. 116, terzo comma, della Costituzione). Infatti, la richiesta di competenze potrebbe avvenire anche in un settore trasversale a piu' materie tra quelle elencate, purche' di specifico rilievo in quella regione. Cosi', ad esempio, e' chiaro che la Toscana potrebbe chiedere - motivatamente, in ragione delle proprie specificita' territoriali - forme e condizioni particolari di autonomia relativamente all'energia geotermica, presente in modo unico o comunque non comune nel panorama nazionale (tanto che sono presenti, nel territorio regionale, ben trentatre' centrali geotermiche, come agevolmente verificabile sul sito di ARPAT), cosi' come in materia di cave di marmo, che, del pari, rappresentano un unicum, o in relazione alla valorizzazione dei beni culturali, considerata la particolare concentrazione degli stessi in alcune sue citta', a partire da Firenze, il cui centro storico e' uno dei sette luoghi della Toscana inseriti nella lista dei siti dichiarati Patrimonio dell'Umanita' da parte dell'Unesco (assieme a Piazza del Duomo a Pisa, ai centri storici di Siena, San Gimignano e Pienza, al paesaggio della Val d'Orcia e alle ville e giardini medicei, che sono ben quattrodici: https://www. regione.toscana.it/la-toscana-e-i-suoi-patrimoniunesco). Viceversa, la stessa Toscana non si trova attualmente nella condizione di avanzare, ad esempio, richieste di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia relative alla giustizia di pace, cosa che potrebbe accadere in una regione in cui, in ipotesi, si registrasse un particolare aumento sul territorio di controversie di modesta importanza. Naturalmente, il fatto che, in un determinato momento, alcune delle ventitre' materie alle quali complessivamente rinvia l'art. 116, terzo comma, della Costituzione non sembrino rispondere alla specificita' di nessuna regione non costituisce in alcun modo un argomento per negare che esse possano esserlo successivamente. Infatti, l'art. 116, terzo comma, della Costituzione e' stato concepito come astrattamente facoltizzante rispetto ad un ampio novero di materie, ma da delimitare poi rispetto a specifiche e concrete esigenze, che mutano non solo rispetto ai territori ma anche nel tempo. 1.4. Giova, in effetti, ricordare che, sulla previsione di una legge di attuazione dell'art. 116, terzo comma, della Costituzione, si sono confrontate posizioni diverse, la grande maggioranza delle quali volte, comunque, ad escluderne la necessita', che ricorre soltanto quando e' il testo costituzionale a prevederlo espressamente, cosa che, in questo caso non avviene. Il Dossier preparato dal Servizio studi della Camera del 5 febbraio 2024 evidenzia come, in effetti, nel caso, la norma costituzionale non preveda la necessita' di un intervento legislativo per definire i principi generali per l'attribuzione alle regioni di ulteriori funzioni, essendo la stessa legge rafforzata (dalla presenza di una previa intesa e dall'approvazione a maggioranza assoluta) ex art. 116, terzo comma, della Costituzione a poter attribuire le «ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia». Tuttavia, nello stesso Dossier, si evidenzia come una legge di attuazione, anche ove non espressamente prevista dalla Costituzione, sia comunque sempre possibile, «ferma restando ovviamente l'esigenza di valutare in modo specifico la compatibilita' con il quadro costituzionale delle singole disposizioni di volta in volta considerate». La legge di attuazione, in sostanza, mirerebbe - anche secondo l'analisi tecnico-normativa che accompagna il disegno di legge in commento (v. Dossier, cit., p. 7-8) - «a costruire percorsi costanti e organici attorno ai processi di accesso all'autonomia differenziata di cui alle citate disposizioni costituzionali dell'art. 116, terzo comma, della Costituzione ... in ogni caso attestandosi sui soli segmenti della complessa procedura esulanti dalla sfera di competenza riservata all'autonomia regolamentare del Parlamento ai sensi dell'art. 64 della Costituzione». Ferma restando la dubbia utilita', in termini generali, delle leggi ordinarie con cui il legislatore cerca di autovincolarsi per il futuro (si pensi, per fare un solo esempio, al caso della legge n. 400 del 1988, relativamente ai limiti della decretazione d'urgenza), una legge come quella in parola deve - come gia' detto - porsi nel rigoroso rispetto della Costituzione (ed in particolare dell'art. 116, terzo comma, anche, pero', nella sua combinazione con le altre norme e principi) e chiarire efficacemente i profili attuativi per regolare i quali e' stata introdotta. Rispetto alla questione in esame, quindi, considerato che le «ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia» presuppongono specificita' territoriali (alla base - come abbiamo detto - anche dell'autonomia speciale, seppure essa passi per una legge costituzionale), secondo la stessa previsione costituzionale, come sopra argomentato, la legge di attuazione avrebbe dovuto disciplinare le modalita' e la procedura per la loro individuazione. Al contrario, non soltanto questo non avviene, ma sembra emergere un disegno opposto, di «powers shopping», in virtu' del quale ciascuna regione, a proprio gusto o comunque arbitrio, puo' decidere di chiedere alcune o tutte le materie possibili, ottenendo da parte del Governo una maggiore o minore adesione, anche in questo caso in modo del tutto arbitrario, non essendovi parametri di riferimento, cio' finendo, quindi, probabilmente, per dipendere (anche o soprattutto) dalla maggiore o minore vicinanza politica. Infatti, la legge impugnata - in particolare nelle norme richiamate - non richiede alcuna motivazione per l'individuazione delle materie, questo essendo, invece, uno dei punti su cui l'attuazione risultava, se non necessaria, almeno molto utile, anche in considerazione dell'impostazione seguita con i primi accordi preliminari (c.d. «pre-intese») avviati gia' nel 2018 (v. anche il punto 11), volte, soprattutto nell'impostazione del Veneto e della Lombardia, a fare incetta di (quasi) tutte le materie possibili, senza alcun collegamento con le specificita' territoriali. Peraltro, come gia' evidenziato, se la differenziazione non si legasse a specificita' regionali, l'attribuzione delle materie - e potenzialmente anche di tutte le materie - finirebbe per essere rimessa all'arbitrarieta' dei Governi pro tempore, tanto piu' in considerazione del fatto che la possibilita' di incidere del Parlamento (in cui il Governo comunque ha la maggioranza) pare molto limitata (v. infra, punto 2). Per lo stesso motivo, una regione potrebbe trovarsi ad avere, a seconda delle maggioranze temporaneamente presenti al suo interno e/o a livello nazionale, competenze diverse, non, appunto, in considerazione di elementi obiettivi, quanto piuttosto di valutazioni politiche del tutto contingenti ed arbitrarie, che potrebbero sfociare in una conflittualita' non solo in sede politica ma anche di fronte a questa Corte, nella forma del conflitto tra lo Stato e le regioni. 1.5. In sintesi, quindi, da tutto quanto sopra argomentato emerge una violazione da parte della legge nel suo complesso dell'art. 116, terzo comma, della Costituzione, perche' ad essere attuato non e' il modello di autonomia ivi previsto e dell'art. 5 della Costituzione, perche' dall'attuazione di cui alla legge impugnata potrebbe determinarsi un vero e proprio mutamento della forma di Stato, fino a compromettere l'unita' dello stesso, alla quale ultima la regione ricorrente ha certamente interesse, considerandola garanzia indefettibile della sua autonomia, senza la quale le proprie competenze risulterebbero certamente lese. Ove si ritenesse che le suddette censure non possano inficiare la validita' dell'intera legge, esse determinerebbero comunque illegittimita' costituzionale degli articoli che fanno riferimento alla richiesta di attribuzione di «ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia», in «una o piu' materie o ambiti di materie» ed al relativo negoziato (art. 2, primo e secondo comma), fino ad arrivare allo «schema di intesa preliminare» (art. 2, quarto comma) e quindi al trasferimento delle relative funzioni (art. 4) senza prevedere alcun collegamento con le specificita' della regione. 1.6. La possibilita' che la legge n. 86 del 2024 nel suo complesso e, in particolare, gli articoli 2, primo, secondo e quarto comma, e 4, offrono, di chiedere «forme e condizioni particolari di autonomia» pure in tutte le materie a cui rinvia l'art. 116, terzo comma, della Costituzione, senza nessun collegamento con la specificita' della regione interessata, secondo quanto argomentato nel precedente motivo di ricorso, determina, poi, un ulteriore vizio di legittimita' costituzionale, rispetto all'art. 117, terzo comma, nonche' (ancora) all'art. 138 della Costituzione. Infatti, se, come la legge impugnata presuppone, tutte le regioni possono chiedere l'esercizio della funzione legislativa in tutte le materie di cui all'art. 117, terzo comma, della Costituzione, la potesta' legislativa concorrente puo' venire meno, cio' incidendo in modo costituzionalmente illegittimo sul sistema di riparto di competenze, che puo' essere modificato soltanto dal legislatore costituzionale (come si proponeva di fare la legge di revisione costituzionale approvata dalle Camere nella XVII legislatura e poi respinta con il referendum del 4 dicembre 2016, che eliminava, appunto, la potesta' legislativa concorrente). La potesta' legislativa concorrente, introdotta nel nostro ordinamento sin dal 1948, in effetti, contribuisce a delineare i rapporti tra lo Stato e le regioni ed e' stata particolarmente valorizzata, con la revisione costituzionale del 2001, cioe' la stessa che ha introdotto l'art. 116, terzo comma, della Costituzione. Sarebbe, quindi, in primo luogo del tutto contraddittorio che il legislatore costituzionale abbia voluto togliere, con l'art. 116, terzo comma, cio' che con l'art. 117, terzo comma, si apprestava a dare. Infatti, se, come abbiamo appena detto, la potesta' legislativa concorrente e' prevista in Costituzione dal 1948 (all'epoca come unica possibile modalita' di esercizio del potere legislativo da parte delle regioni), avendo trovato spazio anche negli statuti speciali, nel 2001 essa ha assunto particolare rilevo, essendo riferita ad un cospicuo novero di materie, alla cui ridefinizione, peraltro, questa Corte ha dedicato ampia giurisprudenza. Attraverso il ricorso alla potesta' legislativa concorrente, infatti, il legislatore costituzionale del 2001, particolarmente sensibile alla valorizzazione del principio autonomista (soprattutto con riferimento all'ente regionale), ha inteso consentire alle regioni di intervenire su numerose materie, anche tradizionalmente di competenza statale, ponendo una condizione, o meglio una «riserva», in capo allo Stato di determinare i principi fondamentali. Come e' stato rilevato (v. L. Antonini, sub art. 117, secondo, terzo e quarto comma, in Commentario della costituzione, a cura di R. Bifulco, A. Celotto, M. Olivetti, Utet, 2006, 2246), nella «nuova» potesta' legislativa concorrente, a fronte di una maggiore ampiezza dell'ambito di intervento delle regioni, vi e' una vera e propria «riserva» allo Stato nella individuazione dei principi fondamentali. Cio' e' coerente con la volonta' di potenziare l'autonomia regionale, anche e soprattutto a livello legislativo, mantenendo pero' salda l'unita' della Repubblica, espressione di un principio supremo dell'ordinamento. In effetti, la potesta' legislativa concorrente e' espressione del principio di sussidiarieta', letto congiuntamente a quello di leale collaborazione, in materie che per le loro peculiarita' presuppongono un intervento congiunto dello Stato e delle regioni. Le leggi rinforzate approvate sulla base delle intese, ai sensi dell'art. 116, terzo comma, della Costituzione possono quindi ritenersi autorizzate esclusivamente a concedere alla competenza legislativa regionale specifiche materie o sub-materie, che, in virtu' della specificita' del territorio e del contesto economico e sociale, giustificano una regolazione integrale da parte delle regioni stesse. In questo senso la legge n. 86 del 2024, e in particolare gli articoli 2 e 4, ammettendo la possibilita' di attribuire alla competenza legislativa regionale interi blocchi di materie, tra le quali in particolare tutte le competenze concorrenti, permette, in assenza delle garanzie previste dall'art. 138 della Costituzione, la radicale soppressione della potesta' legislativa concorrente, espressione di un sistema di autonomia basato sulla cooperazione tra il livello statale e quello regionale che consente alle regioni di introdurre discipline di dettaglio differenziate, pur in un quadro uniforme di norme generali in materie di particolare importanza e rilievo anche nazionale. Ne discende che essa, consentendo l'alterazione del modello regionalistico italiano, viene ad essere affetta da un vizio d'illegittimita' costituzionale radicale, non superabile nemmeno procedendo ad una interpretazione conforme a Costituzione, coincidente con la violazione degli articoli 117, comma 3, e 138 della Costituzione, quest'ultimo evidentemente afferente, nel caso di specie, ad una questione di riparto di competenze. 1.7. Puo' da ultimo constatarsi come l'autonomia differenziata prenda forma, con questa legge di attuazione dell'art. 116, terzo comma, in modo piuttosto centralistico, in dispregio del principio di leale collaborazione, individuabile secondo costante giurisprudenza costituzionale, nel combinato disposto degli articoli 5 e 120 della Costituzione. Se cio' emergera' da una serie di elementi relativi al procedimento, che saranno di seguito sottolineati, in via preliminare, pero', pare da evidenziare come l'intera legge censurata sia viziata in tal senso sin dalla sua genesi. Essa nasce, infatti, su iniziativa governativa, senza alcuna consultazione con le regioni, neppure in sede di Conferenza, ne' un particolare coinvolgimento delle stesse risulta essere stato realizzato successivamente, neppure attraverso le pur ampie indagini conoscitive, che hanno visto le audizioni della Conferenza dei Presidenti delle Assemblee legislative e del Presidente della Conferenza delle regioni e delle province autonome, preceduta dalla trasmissione di un documento da parte della Conferenza stessa, risultando diluite in una enorme quantita' di contributi senza essere state particolarmente ascoltate (basti evidenziare, ad esempio, che la Conferenza dei Presidenti delle Assemblee legislative aveva suggerito la attuazione dell'art. 11 della legge costituzionale n. 3 del 2011, con l'integrazione della Commissione per le questioni regionali con i rappresentanti delle autonomie, che avrebbe certamente potuto svolgere un utile ruolo nel corso dell'iter parlamentare di approvazione della legge sulla base delle intese; mentre nel documento della Conferenza delle regioni e delle province autonome vi e', tra l'altro, da un lato, un importante riferimento alla necessita' che «sia assicurata la realizzazione sull'intero territorio nazionale, attraverso azioni coordinate, di condizioni di effettiva uniformita' nel godimento dei diritti fondamentali da parte di tutti i cittadini», che risulta del tutto trascurato dalla legge impugnata - come vedremo meglio nei motivi che seguono ed in particolare 7, 8, 9, 10 e 12 - e, d'altro lato, un riferimento alla «necessita' della determinazione dei LEP da parte dello Stato, secondo tempistiche certe e stringenti, e con il pieno coinvolgimento delle regioni e delle province autonome», che risulta ampiamente smentito sia in relazione alla determinazione in se' - e soprattutto alla garanzia degli stessi - sia in relazione al coinvolgimento delle autonomie). Pare, quindi, questo un primo elemento che indica la violazione del principio di leale collaborazione, espresso, secondo costante giurisprudenza, dal combinato disposto degli articoli 5 e 120 della Costituzione, da cui deriva indirettamente una lesione delle competenze regionali. 2. Illegittimita' costituzionale dell'art. 2, quinto e ottavo comma, per violazione dell'art. 116 terzo comma, nonche' dell'art. 5 e degli articoli 70 e 72 della Costituzione. 2.1. La legge impugnata - come emerge in particolare all'art. 2, quinto e ottavo comma - in contrasto con quanto stabilito all'art. 116, terzo comma, della Costituzione, relega il Parlamento ad un ruolo marginale a tutto vantaggio del Governo, che e' il vero protagonista dell'intero procedimento descritto all'art. 2, in un rapporto sostanzialmente esclusivo con l'Esecutivo regionale. Cio' risulta dal fatto che le Camere, dopo essere state semplicemente «informate» (comma 2) dell'avvio del negoziato (al pari della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano), sono chiamate, attraverso i «competenti organi parlamentari» all'espressione di un semplice «parere» (comma 4), ne' necessario (dovendo essere richiesto ma non atteso oltre novanta giorni), ne' vincolante, in quanto - ai sensi del quinto comma - il Presidente del Consiglio dei ministri puo' benissimo non conformarsi allo stesso, in tal caso essendo tenuto semplicemente a «riferire alle Camere con apposita relazione, nella quale fornisce adeguata motivazione della scelta effettuata». La centralita' che al Parlamento e' invece riconosciuta dall'art. 116, terzo comma, della Costituzione, che lo individua come l'organo costituzionale chiamato a valutare e deliberare gli estremi dell'autonomia differenziata, avrebbe richiesto sin da queste fasi iniziali il riconoscimento di ben altro ruolo, con l'espressione di atti necessari e vincolanti (ad esempio, valorizzando la Commissione bicamerale per le questioni regionali, magari procedendo alla sua integrazione con i rappresentanti delle autonomie, come consente di fare l'art. 11 della legge costituzionale n. 3 del 2001, come era stato anche suggerito dalla Conferenza dei Presidenti della Assemblee legislative), anche in vista dell'approvazione con legge, che pure avrebbe richiesto di seguire un procedimento di piena valorizzazione della funzione legislativa delle Camere che non trova corrispondenza nell'art. 2, ottavo comma. 2.2. Infatti, l'art. 2, ottavo comma, della legge impugnata, prevede che «il disegno di legge di cui al comma 6, cui e' allegata l'intesa, e' immediatamente trasmesso alle Camere per la deliberazione, ai sensi dell'art. 116, terzo comma, della Costituzione». La norma, scritta non senza ambiguita', fa riferimento alla (sola) «deliberazione», termine con il quale si indica la decisione presa, che corrisponde, quindi, all'approvazione finale, in cio' differenziandosi dalla previsione di cui all'art. 116, terzo comma, della Costituzione, che prevede l'approvazione (a maggioranza assoluta, sulla base di un'intesa tra lo Stato e la regione interessata) di una legge di iniziativa regionale (v. infra, punto 4), con il successivo sviluppo di un ordinario iter legis. Cio' determinerebbe, quindi, il passaggio in Commissione, richiesto dall'art. 72 della Costituzione, con le relative attivita' (illustrazione della proposta, svolgimento della fase istruttoria, definizione del testo base su cui presentare, discutere e votare gli emendamenti, arrivando a un testo su cui chiedere il parere delle commissioni «filtro» per poi votare il mandato al relatore o i relatori), per passare, poi, alla fase in aula, che si apre con la discussione generale, che coinvolge l'intero Parlamento, favorendo il confronto tra maggioranza e opposizioni e realizza - grazie alla pubblicita' dei lavori - il coinvolgimento dell'opinione pubblica, che assume particolare rilievo a fronte di leggi d'interesse generale come quelle per attribuire forme e condizioni particolari di autonomia. A conclusione della discussione generale, quindi, come noto, possono essere votate questioni pregiudiziali o sospensive (anch'esse assai rilevanti in casi come quello che ci occupa, ricco di insidie dal punto di vista del rispetto della Costituzione), per passare, quindi, all'esame degli articoli e dei relativi emendamenti (con i relativi pareri) e al voto degli stessi e poi di ciascun articolo e, infine, alla deliberazione, appunto, dell'intero testo. Diversamente, l'art. 2, ottavo comma, della legge n. 86 del 2024 sembra fare riferimento soltanto ad una deliberazione complessiva (a maggioranza assoluta) sull'intesa raggiunta dagli Esecutivi dello Stato e della regione interessata, con una sorta di «ratifica», che pero' non consentirebbe al Parlamento di svolgere adeguatamente il suo ruolo, in evidente contrasto con l'art. 116, terzo comma, che pone piu' che una riserva di fonte, una vera e propria riserva d'organo. Infatti, come gia' a suo tempo evidenziato nell'«Appello di trenta costituzionalisti su Regionalismo differenziato, ruolo del Parlamento e unita' del Paese», tra cui figurano tre Presidenti emeriti della Corte costituzionale, poi sottoscritto da molti altri (e pubblicato sulla Rivista federalismi.it - e reperibile - alla data di redazione del presente atto - all'indirizzo web https://www.federalismi.it/nv14/articolo-documento.cfm?Artid=38182), «i parlamentari, come rappresentanti della nazione, devono essere chiamati a intervenire, qualora lo riterranno, anche con emendamenti sostanziali che possono incidere sulle intese, in modo da ritrovare un nuovo accordo, prima della definitiva votazione sulla legge». Soltanto l'intervento del Parlamento, nell'esercizio della sua funzione legislativa, senza alcuna limitazione, consente, in sostanza, un'adeguata sintesi e garantisce l'unita' della Repubblica, sancita dall'art. 5 della Costituzione, come «uno di quegli elementi cosi' essenziali dell'ordinamento costituzionale da essere sottratti persino al potere di revisione costituzionale» (sentenza n. 1146 del 1988; sentenza n. 118 del 2015). Tale principio supremo, nel caso, assicura a ciascuna regione la salvaguardia del suo ruolo, delle sue competenze e funzioni e del loro adeguato finanziamento (v. anche infra, punto 9), con la conseguenza che la sua violazione - come, per i motivi suddetti quella degli articoli 70 e 72, in considerazione della compressione dell' esercizio della funzione legislativa - «ridonda» in una violazione delle competenze stesse, determinando a cascata una lesione degli articoli 117, 118 e 119 della Costituzione. Infatti, la regione ricorrente - pur nella convinzione della centralita' delle autonomie regionali e favorevole, nei limiti di cui si e' detto, anche a «forme e condizioni particolari di autonomia» in settori nei quali le sue specificita' possano trovare cosi' migliore risposta - ritiene necessario che tutto cio' avvenga nel rigoroso rispetto dei principi dell'unita' nazionale, della solidarieta' tra i territori e tra i cittadini italiani, assicurando a questi ultimi condizioni di pari dignita' ed uguaglianza, che solo attraverso il pieno coinvolgimento del Parlamento, che sfocia in una legge approvata a maggioranza assoluta, secondo quanto previsto all'art. 116, terzo comma, della Costituzione, possono essere garantiti. 2.3. In sostanza, tra il modello dell'art. 116, terzo comma, e quello della legge n. 86 del 2024 non vi e' coerenza. Infatti, la Costituzione rimette chiaramente la definizione delle «forme e condizioni particolari di autonomia» al Parlamento, attraverso una legge, che, per l'importanza e la delicatezza della scelta che compie, deve essere approvata a maggioranza assoluta (la stessa prevista per la seconda deliberazione delle leggi costituzionali, allo scopo di assicurare un solido sostegno, non frutto di maggioranze casuali). In virtu' della gia' richiamata riserva d'organo, a tale approvazione non puo' che giungersi - in assenza di diverse indicazioni - a seguito di un procedimento legislativo che non limiti il ruolo delle Camere, chiamate alla mera espressione di pareri non vincolanti fino alla deliberazione finale, in contraddizione, tra l'altro, proprio con il «rafforzamento» della maggioranza richiesta per l'approvazione stessa. La previsione di un'intesa alla base della legge di approvazione non puo' certamente avere l'effetto di determinare la compressione dei poteri delle Camere, alle quali spetta comunque la sintesi, proprio in funzione della suddetta garanzia dell'unita' nazionale. Le modifiche apportate in sede parlamentare, semmai, determineranno la necessita' di rimodulare l'intesa, con il coinvolgimento della regione interessata prima della deliberazione finale (v. anche il successivo motivo di ricorso). Un'accurata definizione di questi passaggi - in effettiva attuazione dell'art. 116, terzo comma, della Costituzione - poteva certamente essere utilmente realizzata dalla legge n. 86 del 2024, che, invece, si e' allontanata dal modello disegnato dalla Costituzione fino a entrarvi in contrasto. In questo senso, la legge n. 86 del 2024 sostituisce alla centralita' della legge, quella dell'intesa, che si realizza tra i due Esecutivi, quello statale e quello regionale. Tutti gli altri soggetti coinvolti, compreso il Parlamento, essendo chiamati ad esprimere semplici «pareri», dai quali ci si puo' distaccare. Infatti, l'art. 2, quinto comma, della legge, stabilisce che il Presidente del Consiglio puo' non conformarsi ai pareri espressi dagli organi parlamentari ai sensi del quarto comma, fornendo semplicemente «adeguata motivazione della scelta effettuata». Quindi, il Parlamento non ha alcuna reale capacita' di incidere fino alla «deliberazione» finale, che risulta costruita come un «prendere o lasciare», che impedisce l'effettivo esercizio della funzione parlamentare di sintesi nell'interesse dell'unita' nazionale (potendosi solo arrivare ad utilizzare l'«arma finale» della bocciatura completa). In sostanza, la legge qui censurata, ed in particolare l'art. 2, quinto e ottavo comma (in realta' anticipati dal quarto che fa riferimento soltanto ad un parere dei competenti organi parlamentari), determinano una marginalizzazione del ruolo delle Camere e della stessa legge, che si limita a fungere da involucro dell'intesa. In effetti, la previsione di una mera «deliberazione, ai sensi dell'art. 116, terzo comma, della Costituzione», fa riferimento ad una approvazione - o no - con un unico voto (a maggioranza assoluta) del testo dell'intesa. Cio' ha suggerito, in alcune ricostruzioni, un parallelo con le intese di cui all'art. 8 della Costituzione, sottolineandone, pero', le profonde differenze. Infatti, come ha precisato N. Colaianni, Autonomia differenziata: ovvero privilegiata, in Questione giustizia, 20 marzo 2024, «quelle intese non privano ne' menomano poteri dello Stato, come invece quelle con le regioni, ma sono finalizzate a rendere effettiva la liberta' di religione e di culto dei cittadini aventi parte nelle confessioni stipulanti e ad estendere loro, in aderenza al principio dell'uguale liberta' di tutte le confessioni religiose ex art. 8, primo comma, norme favoritive (efficacia civile del matrimonio religioso, otto per mille ecc.) riconosciute alle altre confessioni e, in particolare, alla chiesa cattolica». Diversamente, le intese che ci occupano coinvolgono i rapporti tra enti costitutivi della Repubblica e, di conseguenza, l'articolazione delle competenze all'interno del relativo ordinamento. Ugualmente del tutto improprio sarebbe un parallelo con la ratifica dei trattati internazionali. In questo caso, infatti, sono coinvolti rapporti con altri ordinamenti sovrani, per cui fare riferimento a questa ipotesi finirebbe per evidenziare proprio l'effetto disgregativo che la legge puo' produrre, giungendo a sottintendere, in sostanza, un rapporto tra ordinamenti sovrani, del tutto estraneo a quello tra lo Stato e le regioni, le quali, in quanto espressione di autonomia, sono prive di sovranita', come ben evidenziato dalla stessa Corte costituzionale (v. sentenza n. 365 del 2007), la quale ha anche sottolineato come non possa esservi omogeneita' di posizione tra Stato, regioni ed enti territoriali (sentenza n. 274 del 2003). 2.4. In conclusione, quindi, le disposizioni censurate (art. 2, quinto e ottavo comma, della legge n. 86 del 2024) privano di qualsiasi effettiva rilevanza il ruolo del Parlamento, ridotto a mero soggetto ratificatore di scelte gia' materialmente assunte in altra sede. Cio' appare in palese contrasto con quanto disposto dall'art. 116, terzo comma, della Costituzione, disposizione che, si ribadisce, non puo' formare oggetto di una lettura atomistica ma deve essere interpretata alla luce dell'intero testo costituzionale. Il Parlamento costituisce, in definitiva, l'unico soggetto costituzionalmente autorizzato a individuare un punto di raccordo tra le istanze unitarie di cui e' portatore lo Stato e quelle particolari di cui sono portatrici le singole regioni e cio' e' del resto confermato dallo stesso art. 116, terzo comma, della Costituzione, il quale, infatti, sancisce una riserva d'organo e impone la maggioranza assoluta per l'approvazione della legge atipica ivi contemplata. Tale previsione appare del tutto illogica e insensata se posta a confronto con la privazione di qualsiasi incidenza effettiva delle Camere nel processo di negoziazione ed elaborazione degli schemi d'intesa. E' il Parlamento, e non l'Esecutivo, l'organo investito della rappresentanza nazionale (cfr., ex multis, Corte costituzionale, 25 giugno 2015, n. 118) e spetta quindi ad esso esprimere, sia formalmente sia materialmente, la decisione di attribuire ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, rafforzando la potesta' legislativa regionale, ma stando ben attento ad evitare che essa si risolva nella frammentazione dell'ordinamento e nella dissoluzione dell'unita' nazionale. Le disposizioni impugnate devono quindi ritenersi costituzionalmente illegittime per violazione non solo dell'art. 116, terzo comma, proponendo un diverso percorso per giungere all'autonomia differenziata, ma anche degli articoli 5, 70 e 72 della Costituzione. Infatti, la suddetta violazione puo' mettere in crisi l'unita' nazionale (art. 5), potenziando irragionevolmente le competenze di alcune regioni e ledendo quindi le competenze di altre, tra le quali l'odierna ricorrente, cio' finendo, quindi, per riverberarsi sull'assetto definito dall'art. 117 della Costituzione ed eventualmente anche sugli articoli 118 e 119. Analogamente, la limitazione dei poteri delle Camere nell'esercizio della loro funzione legislativa, in contrasto con gli articoli 70 e 72, esclude il Parlamento dalla possibilita' di garantire l'unita' nazionale anche attraverso un'adeguata attribuzione delle competenze, che si riverbera in una lesione di quelle regionali ed in particolare dell'odierna ricorrente. 3. Illegittimita' costituzionale dell'art. 2, ottavo comma, per violazione dell'art. 116, terzo comma, nonche' degli articoli 5 e 120 della Costituzione. 3.1. L'art. 2, ottavo comma, della legge impugnata presenta un ulteriore limite, censurabile rispetto all'art. 116, terzo comma, non prevedendo alcun coinvolgimento della regione nella fase parlamentare. Cio' e', in qualche modo, conseguenza dell'impostazione della legge n. 86 del 2024 ed in particolare dell'art. 2, come piu' specificamente risulta dall'ottavo comma - gia' oggetto di censura anche nei termini di cui motivo precedente - secondo cui tutto si svolge sostanzialmente nel negoziato tra i due Esecutivi, statale e regionale, con il Parlamento ridotto a organo di «ratifica», mentre, nell'impostazione dell'art. 116, terzo comma, della Costituzione l'interlocuzione dovrebbe essere (anche e/o soprattutto) con il Parlamento, al quale - come dicevamo - e' poi affidata la sintesi, al fine di garantire adeguatamente l'unita' nazionale. In assenza di qualunque coinvolgimento della regione, quindi, quest'ultima - ancorche' in casi plausibilmente estremi - potrebbe perfino assistere ad una mancata approvazione della legge alla cui base c'e' l'intesa, proprio perche' questa non e' radicalmente condivisa dalle Camere (che a questa soluzione estrema potrebbero, tra l'altro, essere spinte dalla logica del «prendere o lasciare»). Tuttavia, la regione in questo caso non potrebbe fare piu' niente, non essendo in alcun modo coinvolta e non potendo, in particolare, rivedere, pure volendo, le proprie richieste in modo tale da consentirne l'approvazione. In effetti, se e' vero che l'art. 2 della legge n. 86 del 2024 cerca di evitare che il Parlamento bocci la legge in sede di approvazione, «consentendogli» (al quarto comma) l'espressione di «atti d'indirizzo», attraverso i «competenti organi parlamentari», cio' non puo' comunque essere assicurato, anche considerato che il Governo si puo' discostare da tali atti di indirizzo, che questi ultimi potrebbero comunque essere stati formulati da organi diversi dall'assemblea e che, in ogni caso, le Camere potrebbero avere mutato orientamento. Da tutto cio' deriva, quindi, una violazione sia dell'art. 116, terzo comma, della Costituzione, sia del principio di leale collaborazione tra lo Stato e le regioni (art. 5 e 120 della Costituzione), in virtu' del quale la regione interessata dovrebbe poter adattare la propria intesa in modo da consentirne l'approvazione. E' chiaro che queste violazioni finiscono per ledere le competenze della regione la cui intesa non sia valutata favorevolmente dalle Camere e che quindi se ne troverebbe privata. 3.2. Rimane da constatare che la presente violazione, che si concretizza nel mancato coinvolgimento della regione nella fase parlamentare, rimarrebbe tale anche nell'ipotesi in cui si ritenesse - diversamente da quanto si ritiene di poter fare secondo il tenore letterale del testo, come sopra argomentato (punto 2) - che il Parlamento, nell'esercizio dei suoi poteri legislativi, possa intervenire a modificare l'intesa. Se, infatti, secondo quanto sopra argomentato, cio' corrisponderebbe al ruolo del Parlamento come sede della rappresentanza nazionale, a fronte della possibilita' per lo stesso di apportare modifiche, non potrebbero che essere previste forme di coinvolgimento della regione, che dovrebbe comunque essere chiamata ad esprimersi sulle modifiche dell'intesa, con la possibilita' di chiedere ulteriori aggiustamenti o comunque di pronunciarsi sulle modifiche, eventualmente potendo giungere anche a manifestare la perdita del proprio interesse per le ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia come configurate a seguito dell'intervento parlamentare. Se, quindi, la presente censura e' certamente legata alla precedente, essa manterrebbe, in realta', validita' anche ove la precedente non venisse accolta, ritenendo che l'art. 2, ottavo comma, fosse interpretabile - come certamente non risulta - nel senso di consentire comunque al Parlamento un pieno esercizio del potere legislativo, non limitato alla mera ratifica - o no - dell'intesa. 4. Illegittimita' costituzionale dell'art. 2, primo e sesto comma, per violazione dell'art. 116, terzo comma, e 121, secondo comma, ultimo periodo, della Costituzione. 4.1. L'iniziativa di cui all'art. 116, terzo comma, della Costituzione, in quanto riferita ad una legge dello Stato e' da intendersi come iniziativa legislativa in senso proprio, ovvero quella prevista all'art. 121, secondo comma, ultimo periodo, della Costituzione, che attribuisce a ciascun Consiglio regionale l'iniziativa legislativa. In effetti, la stessa Corte costituzionale, quando ha ricostruito il procedimento di cui all'art. 116, terzo comma, della Costituzione (decisioni nn. 118 e 202 del 2015) ha fatto riferimento a «l'approvazione di una legge dello Stato, su iniziativa della regione interessata». Diversamente - ed in contrasto con l'art. 116, terzo comma, della Costituzione - l'art. 2, primo comma, della legge n. 86 del 2014 non individua l'iniziativa della Regione propriamente come iniziativa legislativa, questa essendo poi rimessa, invece, al Governo dal sesto comma dello stesso articolo, mentre quella regionale e' essenzialmente relegata alla sola iniziativa politica. 4.2. Tale patente violazione discende dalla presente legge, non potendosi riferire alla legge di stabilita' per il 2014, con la quale il Parlamento aveva approvato alcune disposizioni di attuazione dell'art. 116, terzo comma, della Costituzione, relative alla fase iniziale del procedimento per il riconoscimento di forme di maggiore autonomia alle regioni a statuto ordinario. In particolare, la legge ha previsto un termine di sessanta giorni entro il quale il Governo e' tenuto ad attivarsi sulle iniziative delle regioni presentate al Presidente del Consiglio dei ministri e al Ministro per gli affari regionali ai fini dell'intesa (art. 1, comma 571, della legge n. 147 del 2013). Il termine decorre dalla data del ricevimento delle iniziative e l'obbligo di attivazione si traduce nel dare seguito all'impulso conseguente all'iniziativa regionale finalizzata all'intesa. Quindi, tali disposizioni si collocano «a monte» del procedimento delineato dall'art. 116, terzo comma, della Costituzione, ferma restando, a tal fine, la fonte ivi prevista, costituita da una legge rinforzata, il cui contenuto e' determinato in base ad un'intesa tra regione e Stato e al parere degli enti locali interessati, approvata a maggioranza assoluta dalle Camere. Diversamente, il secondo e il sesto comma dell'art. 2 della legge n. 86 del 2024 contraddicono apertamente l'art. 116, terzo comma, della Costituzione, che - come dicevamo, confortati anche da specifica giurisprudenza di questa Corte - prevede una legge di iniziativa del Consiglio regionale interessato. 5. Illegittimita' costituzionale dell'art. 3, primo comma, per violazione degli articoli 76, 116, terzo comma, e 119, primo, secondo e quarto comma, della Costituzione. 5.1. Nel processo di attuazione dell'autonomia differenziata, la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni (LEP) e' essenziale, perche' il trasferimento delle funzioni, con le risorse umane, strumentali e finanziarie puo' essere effettuato solo dopo la determinazione dei medesimi LEP e dei relativi costi e fabbisogni standard, seppure nelle (sole) materie indicate all'art. 3, terzo comma (a) norme generali sull'istruzione; b) tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali; c) tutela e sicurezza del lavoro; d) istruzione; e) ricerca scientifica e tecnologica e sostegno all'innovazione per i settori produttivi; j) tutela della salute; g) alimentazione; h) ordinamento sportivo; i) governo del territorio; l) porti e aeroporti civili; m) grandi reti di trasporto e di navigazione; n) ordinamento della comunicazione; o) produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia; p) valorizzazione dei beni culturali e ambientali e promozione e organizzazione di attivita' culturali). Quest'opera di individuazione dei LEP e' rimessa, dall'art. 3, primo comma, della legge impugnata, a uno o piu' decreti legislativi, che il Governo e' chiamato a adottare, entro ventiquattro mesi dalla data di entrata in vigore della legge, sulla base dei principi e criteri direttivi della delega con un rinvio all'art. 1, commi da 791 a 801-bis, della legge 29 dicembre 2022 n. 197. 5.2. In proposito, tuttavia, deve rilevarsi che i commi da 791 a 801-bis dell'art. 1 della citata legge hanno un contenuto essenzialmente organizzativo e procedurale, delineando, in particolare, la procedura per l'emanazione del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri di determinazione dei LEP, presentati da una «Cabina di regia» all'uopo istituita presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, oppure, nel caso in cui la «Cabina di regia» non riesca a concludere la sua attivita' nei tempi stabiliti, da un Commissario appositamente nominato. Alla «Cabina di regia» sono altresi' assegnati una serie di compiti per giungere alla determinazione dei LEP stessi. Dunque, e' evidente che le richiamate disposizioni non contengono principi e criteri direttivi per l'esercizio della delega legislativa, che finisce, in sostanza, per essere «in bianco», in patente violazione dell'art. 76 della Costituzione, al cui rigoroso rispetto questa Eccellentissima Corte ha fatto riferimento sin da una delle sue prime sentenze (n. 3 del 1957) fino ad oggi (v., ad esempio, sentenza n. 166 del 2023, attraverso numerose altre, tra cui, le nn. 158 del 1985 e 87 del 1989). Tali criticita' erano state segnalate dal Comitato per la legislazione della Camera dei deputati, nel parere reso sul disegno di legge che ha poi portato alla legge in esame, nella seduta del 23 aprile 2024. Esso merita di essere riportato, avendo evidenziato con completezza le suddette criticita'. Infatti, nel parere si legge che, nel caso, «sembra venire in rilievo, quindi, una delega per relationem, in cui la norma di legge che delega il Governo all'esercizio della funzione legislativa rimanda ad un altro atto normativo primario per la determinazione dei principi e criteri direttivi; in proposito si rileva che i commi da 791 a 801-bis dell'art. 1 della legge di bilancio 2023 hanno un contenuto prevalentemente organizzativo e procedurale, in quanto delineano la procedura per l'emanazione di una fonte secondaria - i D.P.C.M. - presentati da una Cabina di regia a tale scopo istituita presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, oppure, nel caso in cui la Cabina di regia non riesca a concludere la sua attivita' nei tempi stabiliti, da un Commissario appositamente nominato; al tempo stesso, nell'ambito di questa procedura si prevede, al comma 793, che la Cabina di regia effettui, con il supporto delle amministrazioni competenti per materia, con riferimento alle materie di cui all'art. 116, terzo comma, della Costituzione una ricognizione della normativa statale e delle funzioni esercitate dallo Stato e dalle regioni a statuto ordinario nonche' una ricognizione della spesa storica a carattere permanente dell'ultimo triennio; individui le materie o gli ambiti di materie che sono riferibili ai LEP, sulla base delle ipotesi tecniche formulate dalla Commissione tecnica per i fabbisogni standard e determini i medesimi LEP nell'ambito degli stanziamenti di bilancio a legislazione vigente e sulla base delle ipotesi tecniche formulate dalla Commissione tecnica per i fabbisogni standard ed elaborate con l'ausilio della societa' SOSE Spa in collaborazione con l'ISTAT e con il Centro interregionale di studi e documentazione (CINSEDO); in proposito si ricorda che la Corte costituzionale, con la sentenza n. 158 del 1985, ha chiarito che «le direttive, i principi ed i criteri servono, da un verso, a circoscrivere il campo della delega, si' da evitare che essa venga esercitata in modo divergente dalle finalita' che l'hanno determinata, ma, dall'altro, devono consentire al potere delegato la possibilita' di valutare le particolari situazioni giuridiche da regolamentare. In particolare, la norma di delega non deve contenere enunciazioni troppo generiche o troppo generali, riferibili indistintamente ad ambiti vastissimi della normazione oppure enunciazioni di finalita', inidonee o insufficienti ad indirizzare l'attivita' normativa del legislatore delegato»; la piu' recente sentenza n. 166 del 2023 ha poi rilevato che «la legge delega» e' dunque fondamento e limite del potere legislativo delegato; essa, se, da una parte, non deve contenere enunciazioni troppo generali o comunque non idonee ad indirizzarne l'attivita', dall'altra, puo' essere abbastanza ampia da preservare un margine di discrezionalita', e un corrispondente spazio entro il quale il Governo possa agevolmente svolgere la propria attivita' di «riempimento» normativo, la quale e' pur sempre esercizio delegato di una funzione «legislativa» essendo il legislatore delegato chiamato «a sviluppare, e non solo ad eseguire, le previsioni della legge di delega»; al tempo stesso, in linea generale la Corte ammette che i principi e criteri direttivi possano essere ricavati per implicito (sentenza n. 48 del 1986) o essere enucleati, per relationem ad altri atti normativi purche' sufficientemente specifici (sentenze nn. 156 del 1987 e 87 del 1989)». Pertanto, la norma di delega contiene enunciazioni eterogenee, generiche e del tutto inidonee ad indirizzare l'attivita' normativa del legislatore delegato, ponendosi cosi' in contrasto con l'art. 76 della Costituzione, anche alla luce della giurisprudenza costituzionale in merito. 5.3. Orbene, se consideriamo che la determinazione e la garanzia dei LEP hanno lo scopo di assicurare un corretto trasferimento delle funzioni, di interesse sia per la regione nei confronti della quale questo e' disposto sia delle altre che comunque ne subiscono conseguenze, e' evidente che l'erronea configurazione della delega, in assenza, in particolare, di principi e criteri direttivi a tutela delle autonomie regionali, con possibile compressione delle specifiche attribuzioni (anche) della Toscana ridonderebbe in una lesione delle sue competenze come individuate agli art. 117, 118 e 119 della Costituzione, al cui contrasto e' funzionale il presente giudizio. A cio' di aggiunga che l'erronea determinazione dei LEP che discende dalla norma impugnata determina anche una violazione dell'art. 116, terzo comma, della Costituzione, perche' non consente una corretta attribuzione di forme e condizioni particolari di autonomia e dell'art. 119, primo, secondo e quarto comma della Costituzione, non consentendo un adeguato e armonico finanziamento delle funzioni trasferite. Infatti, la fissazione dei LEP che concernono diritti civili e sociali, posti a garanzia dell'uguaglianza di tutti i cittadini, rappresenta necessariamente il presupposto dell'operazione di trasferimento delle funzioni dallo Stato alle autonomie territoriali: la determinazione dei LEP, quindi, incide sull'estensione e sui limiti delle funzioni attribuibili alle regioni. Questo trova ulteriore conferma nel fatto che, con la determinazione dei LEP, devono essere stabiliti anche i costi ed i fabbisogni standard, necessari per precisare l'entita' del finanziamento delle funzioni trasferite, con la conseguenza che tale determinazione ha un riflesso decisivo sulle entrate riconosciute alle regioni per l'esercizio dell'autonomia differenziata. 6. Illegittimita' costituzionale dell'art. 3, secondo e settimo comma, per violazione del principio di leale collaborazione di cui agli articoli 5 e 120 della Costituzione. 6.1. Il secondo comma dell'art. 3 della legge impugnata prevede che i decreti legislativi di cui al primo comma (per l'individuazione dei LEP) siano adottati su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri e del Ministro per gli affari regionali e le autonomie, di concerto con i Ministri competenti e previa acquisizione del parere della Conferenza unificata di cui all'art. 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, che era stata precedentemente - ai sensi dell'art. 2, quarto comma - chiamata ad esprimere un parere, ne' obbligatorio, ne' vincolante, sullo schema di intesa preliminare negoziato tra lo Stato e la regione. Gli schemi di ciascun decreto legislativo di determinazione dei LEP sono successivamente trasmessi alle Camere per l'espressione dei pareri da parte delle Commissioni parlamentari competenti per materia e per i profili finanziari, che si pronunciano entro il termine di quarantacinque giorni dalla data di trasmissione, decorso il quale il decreto legislativo puo' essere comunque adottato. Considerata la particolare rilevanza che, nell'ambito dell'attribuzione di forme e condizioni particolari di autonomia, assume la definizione dei LEP, alla quale i decreti legislativi devono procedere, nonche' l'incidenza di tale definizione sulla puntuale delimitazione delle competenze oggetto dell'autonomia differenziata, e' certo che il procedimento di approvazione di tali decreti legislativi avrebbe dovuto prevedere l'intesa con la Conferenza unificata, secondo quanto era stato in precedenza previsto, sempre per la determinazione dei LEP (ancorche' con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri), dall'art. 1, comma 796, della legge 29 dicembre 2022, n. 197 (legge di bilancio per il 2023). Quest'ultimo, in particolare, dispone, infatti, che ciascun decreto del Presidente del Consiglio dei ministri con cui sono determinati, anche distintamente, i LEP e i correlati costi e fabbisogni standard, nelle materie di cui all'art. 116, terzo comma, della Costituzione, sia adottato su proposta del Ministro per gli affari regionali e le autonomie, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, previa deliberazione del Consiglio dei ministri e che sullo schema di decreto sia «acquisita l'intesa della Conferenza unificata ai sensi dell'art. 3 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281». Nella norma impugnata, invece, l'intesa e' stata degradata ad un mero parere, depotenziando il ruolo della Conferenza, in contrasto con il principio di leale collaborazione, anche per come risultante dalla giurisprudenza della Corte costituzionale, la quale - con sentenza n. 251 del 2016 - ha rilevato che «la' dove il legislatore delegato si accinge a riformare istituti che incidono su competenze statali e regionali, inestricabilmente connesse, sorge la necessita' del ricorso all'intesa. Quest'ultima si impone, dunque, quale cardine della leale collaborazione anche quando l'attuazione delle disposizioni dettate dal legislatore statale e' rimessa a decreti legislativi delegati, adottati dal Governo sulla base dell'art. 76 della Costituzione». L'intesa e' quindi necessaria in tutti quei casi in cui vi sia un concorso di competenze inestricabilmente connesse tra Stato e regioni, giacche' essa, a differenza del parere, e' la sola ad essere «contraddistinta da una procedura che consenta lo svolgimento di genuine trattative e garantisca un reale coinvolgimento» (Corte costituzionale, 13 dicembre 2017, n. 261). Tale intreccio, con la sentenza poc'anzi ricordata, e' stato ritenuto (in modo condivisibile) sussistente a proposito di un intervento legislativo di riordino della legislazione amministrativa, ma a maggior ragione ricorre nel caso in esame, relativo all'attribuzione di un'autonomia differenziata, che concernera' materie normalmente di competenza esclusiva statale o di competenza concorrente tra lo Stato e le regioni. Percio' l'intervento del legislatore statale deve muoversi nel rispetto del principio di leale collaborazione, indispensabile anche in questo caso a guidare i rapporti tra lo Stato e il sistema delle autonomie (ex plurimis, sentenze nn. 1 e 26 del 2016, n. 140 del 2015, n. 44 del 2014, n. 237 del 2009, nn. 50 e 168 del 2008). A tal riguardo, Codesta Eccellentissima Corte ha gia' chiarito come la chiamata in sussidiarieta' puo' «superare il vaglio di legittimita' costituzionale solo in presenza di una disciplina che prefiguri un iter in cui assumano il dovuto risalto le attivita' concertative e di coordinamento orizzontale, ovverossia le intese, che devono essere condotte in base al principio di lealta'» (sentenza n. 303 del 2003). L'attribuzione alle regioni di ulteriori competenze, disposta ai sensi dell'art. 116, terzo comma, della Costituzione, rappresenta, in questo senso, una vera e propria ipotesi di chiamata in sussidiarieta' «rovesciata», pur se non relativa a (sole) competenze di natura amministrativa, poiche', per le ragioni gia' ampiamente esposte, essa, non puo' intervenire all'esito di una mera espressione della volonta' politica di acquisire le competenze che si preferiscono, ma presuppone l'esistenza di rilevanti specificita' del contesto territoriale, economico e sociale della regione, tali da giustificare l'ampliamento delle competenze. In questo senso, l'intesa - e non certamente il parere - costituisce il modulo procedurale nell'ambito del quale devono essere valutati e ponderati gli elementi che possono eventualmente determinare l'attribuzione della competenza legislativa alla regione. Per tali motivi il secondo comma dell'art. 3 in esame appare incostituzionale, nella parte in cui prevede il parere, anziche' l'intesa, della Conferenza unificata, per violazione del combinato disposto degli articoli 5 e 120 della Costituzione, prescrivendo, per l'adozione dei decreti legislativi delegati di determinazione dei LEP, una forma di raccordo con le regioni - il parere in Conferenza unificata - da ritenersi lesiva del principio di leale collaborazione in quanto non idonea a realizzare un confronto autentico con le autonomie regionali, necessario a contemperare la compressione delle loro competenze. Solo l'intesa da raggiungere in sede di Conferenza unificata, contraddistinta da una procedura che consente lo svolgimento di effettive trattative, garantisce un reale coinvolgimento delle autonomie regionali e, quindi, la leale collaborazione. 6.2. Per gli stessi motivi e negli stessi limiti sopra indicati, risulta incostituzionale anche l'art. 3, settimo comma, della legge impugnata, che disciplina il procedimento di aggiornamento dei LEP: anche in tal caso si prevede, infatti, che i decreti del Presidente del Consiglio, che adottano tali aggiornamenti, siano assunti (soltanto) previo parere della Conferenza unificata, per giunta prevedendo che il parere debba essere espresso nel ristretto termine di soli venti giorni, decorsi i quali gli stessi decreti sono trasmessi alle Camere senza che via sia piu' possibilita' di espressione da parte della Conferenza. In disparte i vizi attinenti alla fonte utilizzata per l'aggiornamento (su cui si rinvia al successivo motivo di ricorso), anche in questo caso e' violato il combinato disposto degli articoli 5 e 120 della Costituzione, perche' la norma prescrive, per l'adozione dei decreti legislativi delegati per l'aggiornamento dei LEP, una forma di raccordo con le regioni - il parere in Conferenza unificata, anziche' l'intesa - da ritenersi lesiva del principio di leale collaborazione in quanto non idonea a realizzare un confronto autentico con le autonomie regionali, necessario a contemperare la compressione delle loro competenze. Il Governo deve farsi carico delle esigenze unitarie della Repubblica, che assumono certamente centralita' allorquando si vanno a individuare i LEP, che determinano conseguenze anche sulle regioni diverse da quella con cui si sta portando avanti l'intesa, e che pertanto debbono essere adeguatamente coinvolte. 6.3. In sostanza, tutto il procedimento previsto viola un disegno complessivo, organico e unitario, di ripartizione delle competenze tra lo Stato e le regioni, ponendosi cosi' in contrasto con l'art. 5 della Costituzione, anche nel combinato disposto con l'art. 120 della stessa, essendo evidente come tutto cio' incida negativamente sulle competenze regionali, il cui esercizio, vuoi negli ambiti in cui si e' scelto di chiedere forme e condizioni particolari di autonomia, vuoi in quelle in cui e' mantenuta la forma «ordinaria» di autonomia, dipende proprio dalla determinazione dei LEP, che potrebbe cambiare anche significativamente a seguito di un pieno apporto delle regioni attraverso l'intesa. 7. Illegittimita' costituzionale degli articoli 3, settimo comma, e 2, primo comma, della legge n. 86 del 2024, per violazione dell'art. 117, secondo comma, lettera m) della Costituzione e del principio di legalita' (articoli 23, 97 e 113 della Costituzione). 7.1. Come abbiamo visto poc'anzi, l'art. 3, settimo comma, della legge impugnata prevede che i LEP, individuati con decreto legislativo ai sensi del precedente primo comma, «possono essere aggiornati periodicamente [...] con decreti del Presidente del Consiglio dei ministri». Pertanto, dopo che - superando quanto stabilito dalla legge n. 197 del 2022 - il primo comma ha previsto la (prima) determinazione con fonte primaria (decreto legislativo), il successivo aggiornamento e' stato nuovamente rimesso ai DPCM. Cio', ad avviso della ricorrente, in violazione del principio di riserva di legge stabilito all'art. 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione, ai sensi del quale la «determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale» deve avvenire con legge dello Stato. Si tratta di una scelta ben coerente con il complessivo impianto costituzionale. Infatti, riservando la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni ad una fonte di rango legislativo, si richiede il passaggio attraverso il Parlamento (almeno in modo parziale come avviene quando si fa ricorso ai decreti legislativi), quale sede della rappresentanza della nazione e si evita di rimettere tale compito al Governo, il cui operato - come noto - non e' assistito da altrettante garanzie di pluralismo, trasparenza e capacita' di sintesi nel rispetto dell'unita' nazionale. Infatti, come ha messo bene in luce il professor Viesti, nella propria audizione informale di fronte alla Commissione Affari costituzionali della Camera dei deputati, «la definizione dei LEP implica essenziali mediazioni politiche fra gli interessi dei diversi territori: puo' essere infatti interesse delle comunita' piu' ricche del paese, e delle loro espressioni politiche, tenere i LEP al livello piu' basso possibile, in modo da non impegnare risorse pubbliche nei territori dove essi non sono raggiunti. L'interesse delle comunita' meno ricche e' opposto. Le condizioni per un confronto politico e una mediazione alta di questi contrapposti interessi non si possono ritrovare che in Parlamento». In effetti, la Corte costituzionale, sin dai primi interventi sul Titolo V della parte seconda della Costituzione, ha avuto modo di precisare che quella di cui all'art. 117, secondo comma, lettera m), e' «una competenza del legislatore idonea a investire tutte le materie, rispetto alle quali il legislatore stesso deve poter porre le norme necessarie per assicurare a tutti, sull'intero territorio nazionale, il godimento di prestazioni garantite, come contenuto essenziale dei diritti, senza che la legislazione regionale possa limitarle o condizionarle» (sentenza n. 282 del 2002). Anche piu' recentemente la medesima Corte costituzionale, con sentenza n. 91 del 2020, ha precisato che che «la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni, attraverso l'esercizio della competenza legislativa esclusiva di cui all'art. 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione, non comporta la regolazione dell'intera disciplina delle materie cui essa possa di fatto accedere, e dunque non esclude, come piu' volte sottolineato da questa Corte anche successivamente alla modifica del Titolo V della Costituzione, che le regioni e gli enti locali possano garantire, nell'ambito delle proprie competenze, livelli ulteriori di tutela. [...] Se, difatti, l'azione trasversale della normativa statale individua, ai sensi del parametro evocato, la prestazione essenziale da assicurare su tutto il territorio dello Stato, oltre tale limite si riespande la generale competenza della regione sulla materia, residuale, oggetto di disciplina (sentenza n. 222 del 2013)». Come si vede, quindi, anche in base alla giurisprudenza costituzionale, in alcun modo si potrebbe ritenere che la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni possa avvenire con una fonte secondaria e tantomeno con i DPCM, atti di un organo monocratico (ancorche' adottato su proposta dei ministri competenti e comunque di concerto con il Ministro per gli affari regionali e le autonomie e il Ministro dell'economia e delle finanze), sottoposti a ridotti controlli, se consideriamo che permangono ambiguita' circa la necessita' del parere del Consiglio di Stato, e che non vi e' la sottoposizione al Presidente della Repubblica che si realizza, invece, con i regolamenti che sono dallo stesso emanati. E' chiaro, quindi, che la disposizione impugnata viola il principio di legalita', rectius della riserva di legge (ancorche' relativa a quanto sembra emergere dalla sentenza della Corte costituzionale n. 91 del 2020). 7.2. La violazione della riserva di legge e' tanto piu' grave in considerazione del fatto che alla determinazione dei LEP, che la Corte richiede esservi per tutte le materie (sentenza n. 282 del 2002), e' totalmente assente - in base alla legge - per alcune materie trasferibili, che, quindi, potrebbero passare alla regione anche in assenza della suddetta determinazione. Infatti, l'impugnato art. 2, primo comma, gia' oggetto del presente ricorso anche sotto altri profili, distingue tra le materie e gli ambiti di materie «riferibili ai livelli essenziali delle prestazioni di cui all'art. 3» (poi elencate all'art. 3, terzo comma) e le altre materie, come in realta' gia' anticipato dall'art. 1, secondo comma. Per le materie e gli ambiti di materie «riferibili ai livelli essenziali delle prestazioni», come abbiamo detto, e' richiesta la previa individuazione dei LEP, che, ai sensi dell'art. 3, primo comma, della legge n. 86 del 2024, deve avvenire con uno o piu' decreti legislativi, nel rispetto, quindi, del principio della riserva di legge di cui all'art. 117, secondo comma, lettera m), ancorche' in violazione dell'art. 76 della Costituzione (v. supra, punto 5), almeno nel momento della prima individuazione, con violazione della medesima riserva di legge, invece, in sede di aggiornamento (v. poco sopra, punto 7.1.). Viceversa, per le materie non ritenute «riferibili ai livelli essenziali delle prestazioni di cui all'art. 3», la violazione della riserva di legge di cui all'art. 117, secondo comma, lettera m) della Costituzione avviene immediatamente, non essendovi in alcun modo la richiesta individuazione dei LEP (con legge o atto avente valore di legge). 7.3. Tali violazione pregiudicano, ovviamente, la regione ricorrente sulla base di considerazioni analoghe a quelle gia' svolte per precedenti motivi di ricorso: soltanto il Parlamento garantisce (come del resto presupposto dal legislatore di revisione costituzionale con l'introduzione dell'art. 116, terzo comma, della Costituzione) che l'attribuzione delle forme e condizioni particolari di autonomia avvenga in modo da non pregiudicare gli interessi di alcune regioni a discapito di altre, con un solido ancoraggio al rispetto dell'unita' nazionale. A tali obiettivi e' volta anche la riserva di legge che trova la propria base negli articoli 23, 97 e 113 della Costituzione e con particolare riguardo a quanto ci concerne nello specifico nell'art. 117, secondo comma, lettera m) della Costituzione. Con la violazione di tale complesso di norme sono certamente lese le competenze regionali, secondo quanto sopra esposto. 8. Illegittimita' costituzionale degli articoli 1, secondo comma e 4, primo comma, della legge n. 86 del 2024, per violazione degli articoli 3, anche sotto il profilo della ragionevolezza, 117, secondo comma, lettera m), e 119 della Costituzione. 8.1. L'inquadramento del presente motivo di ricorso, volto a censurare il trasferimento delle funzioni solo previa determinazione del LEP senza che questi siano pero' garantiti, richiede alcune considerazioni preliminari, utili anche per lo sviluppo dei successivi motivi (nn. 9 e 10). Le norme costituzionali sul c.d. «federalismo fiscale», cosi' come quelle di legislazione ordinaria che si proponevano l'attuazione del medesimo (legge n. 42 del 2009), rimangono, ad oggi, largamente inattuate, proprio a partire dall'individuazione dei livelli essenziali delle prestazioni nelle funzioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale e che sono centrali per tutto il meccanismo di finanziamento. La Corte costituzionale, con la sentenza n. 220 del 2021 (ma v., in precedenza, ad esempio, anche la sentenza n. 62 del 2020), si e' espressa in modo assai critico al riguardo, affermando che «la non fondatezza della questione peraltro non esime la Corte costituzionale dal valutare negativamente il perdurante ritardo dello Stato nel definire i LEP, i quali indicano la soglia di spesa costituzionalmente necessaria per erogare le prestazioni sociali di natura fondamentale, nonche' il nucleo invalicabile di garanzie minime per rendere effettivi tali diritti». Soltanto per la spesa sanitaria e' stato individuato un meccanismo, seppure inadeguato, in quanto, in virtu' di esso, il complessivo fabbisogno nazionale e' definito in base alle disponibilita' esistenti nel bilancio dello Stato e i fondi vengono successivamente distribuiti tra le regioni in ragione della dimensione della popolazione, in parte ponderata per l'eta', senza considerare tutti i fabbisogni di salute. Peraltro, la legge n. 42 del 2009 prevedeva la determinazione delle differenze nelle dotazioni infrastrutturali necessarie per erogare i servizi e la creazione di un fondo per la loro riduzione attraverso nuovi investimenti nelle aree con dotazioni inferiori, che non vi e' stato. Le attuali disparita' - come sottolineato in non poche delle audizioni informali svoltesi presso entrambe le Camere - per essere ridotte richiederebbero l'immissione di (rilevanti) risorse ulteriori e la definizione di meccanismi tecnici di allocazione di risorse assai complessi e la cui implementazione richiede pertanto molto tempo. 8.2. E' in questo contesto che vede la luce la legge impugnata, di cui, con il presente motivo, si censurano, in particolare, le disposizioni che prevedono «l'attribuzione di funzioni» relative a «forme e condizioni particolari di autonomia» (art. 1, secondo comma) e il trasferimento delle funzioni stesse «con le relative risorse umane, strumentali e finanziarie», nelle materie o ambiti di materie riferibili ai LEP (v. punto 7.2) previa «determinazione» dei LEP stessi (art. 4, primo comma). Si tratta di una previsione in chiaro contrasto con l'art. 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione, in base al quale la legge dello Stato deve determinare i LEP, che devono essere, pero', «garantiti» su tutto il territorio nazionale, peraltro - in base alla richiamata giurisprudenza costituzionale (sentenza n. 282 del 2002) - in tutte le materie, diversamente da quanto avviene in base alla legge impugnata (v. punto 7.2). Infatti, l'art. 117, secondo comma, lettera m), anche in combinato disposto con l'art. 119 della Costituzione, relativo al c.d. «federalismo fiscale», e' volto a realizzare un regionalismo avanzato, con elementi di virtuosa competitivita' tra le regioni, che, tuttavia, non rompa l'unita' nazionale, sacrificando la solidarieta' tra i territori e la piena ed effettiva uguaglianza tra i cittadini. In tale contesto, ecco che l'art. 117, secondo comma, lettera m) impone che i livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali non siano soltanto determinati ma anche finanziati e garantiti uniformemente su tutto il territorio nazionale. 8.3. La mancata «garanzia», risultante dal tenore letterale del testo delle disposizioni richiamate, e' ulteriormente confermata dal fatto che manca qualunque riferimento ad un esame dei dati reali relativi al godimento dei diritti civili e sociali su tutto il territorio nazionale. In effetti, prima di procedere all'attuazione dell'art. 116, terzo comma, della Costituzione, si dovrebbe porre in essere una - concreta e specifica - verifica di quale sia, allo stato, la situazione concernente la fruizione dei diritti civili e sociali sul territorio della Repubblica, soltanto successivamente - assicurato un minimo applicabile a tutti, a prescindere dalla regione di residenza - sarebbe possibile trasferire le materie, con la conseguenza che, per alcune di esse, potrebbero esservi elementi di differenziazione nelle diverse regioni, cio' potendo eventualmente realizzare anche una sana competizione, che non lascia pero' nessuno al di sotto della garanzia dei livelli essenziali di prestazione. La centralita' di tale verifica, per arrivare a garantire effettivamente i LEP, in realta', sembrava in parte riconosciuta nella stessa relazione illustrativa del disegno di legge presentato dal Governo il 23 marzo 2023, che ha poi portato all'approvazione della legge impugnata. In essa si ricorda, infatti, che «per quanto riguarda la determinazione dei LEP nelle materie che possono essere oggetto di autonomia differenziata, la legge di bilancio per l'anno 2023 (legge 29 dicembre 2022, n. 197, art. 1, commi da 791 a 801) ha istituito una Cabina di regia, composta da tutti i Ministri competenti» e che «questa dovra' provvedere a una ricognizione del quadro normativo in relazione a ciascuna funzione amministrativa statale e delle regioni a statuto ordinario, con successiva individuazione delle materie o degli ambiti di materie riferibili ai livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti in tutto il territorio nazionale. La ricognizione dovra' estendersi alla spesa storica a carattere permanente dell'ultimo triennio, sostenuta dallo Stato sul territorio di ogni regione, per ciascuna propria funzione amministrativa. Successivamente saranno determinati i livelli essenziali delle prestazioni e dei costi e fabbisogni standard nelle materie di cui alla citata disposizione costituzionale, sulla base delle ipotesi tecniche formulate dalla Commissione tecnica per i fabbisogni standard. Al termine di tale iter, entro un anno, la Cabina di regia predisporra' uno o piu' schemi di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri recanti, anche distintamente tra le 23 materie, la determinazione dei LEP e dei relativi costi e fabbisogni standard». Tuttavia, la legge non contiene specifiche previsioni circa la effettiva garanzia dei LEP. In effetti, questo lavoro della Cabina di regia - che nella relazione illustrativa e' indicato come parallelo all'approvazione della legge di attuazione dell'art. 116, terzo comma, della Costituzione - non puo' considerarsi completato. D'altronde, il CLEP (Comitato tecnico scientifico con funzioni istruttorie per l'individuazione dei livelli essenziali delle prestazioni) si e' limitato a predisporre un rapporto in cui ricostruisce il complesso degli atti con cui oggi si provvede alla determinazione o alla ricognizione dei livelli essenziali delle prestazioni in alcune delle materie o ambiti di materie interessati, con l'individuazione di alcuni problemi connessi all'attivita' di determinazione dei LEP, senza fissare il livello minimo che deve essere comune su tutto il territorio nazionale e stabilirne il finanziamento, con la conseguenza che i LEP non sono garantiti. Infatti, il Governatore della Banca d'Italia, Ignazio Visco, poco prima della scadenza del suo mandato, il 10 ottobre 2023, ha inviato al CLEP una lettera nella quale ha segnalato che «le prestazioni qualificate come LEP effettivi nel documento del 25 settembre [...] sono nella maggior parte dei casi formulate in termini troppo generici, in buona parte riconducibili a mere dichiarazioni di principio. Gli stessi criteri di misurabilita' tendono a misurare la platea dei potenziali beneficiari delle prestazioni, ma non appaiono collegati con il contenuto specifico di queste ultime, che rimane in larga parte indeterminato. Sembra cosi' conseguirne un'interpretazione (restrittiva) del mandato del CLEP colta a limitarlo a una ricognizione sistematizzata della legislazione vigente, senza entrare nella formulazione di possibili declinazioni operative delle disposizioni connesse con diritti civili e sociali». A queste considerazioni, peraltro, il Governatore faceva seguire una serie di critiche specifiche in ordine all'individuazione dei LEP in diversi settori, sottolineando, in particolare, per alcuni di essi - in settori centrali come quelli dell'istruzione e della tutela del lavoro - la eccessiva genericita' o la formulazione in termini eccessivamente astratti, mentre significative inadeguatezze venivano riscontrate anche rispetto alla tutela della salute. In effetti, la stessa Corte costituzionale, con sentenza n. 62 del 2020, ha evidenziato che «la stretta interdipendenza dei parametri costituzionali evocati e delle norme attuative configura il diritto alla salute come diritto sociale di primaria importanza e ne conforma il contenuto attraverso la determinazione dei LEA, di cui il finanziamento adeguato costituisce condizione necessaria ma non sufficiente per assicurare prestazioni direttamente riconducibili al fondamentale diritto alla salute. E' in questo senso che deve essere ribadito il principio secondo cui, «una volta normativamente identificato, il nucleo invalicabile di garanzie minime per rendere effettivo [il diritto alla prestazione sociale di natura fondamentale, esso] non puo' essere finanziariamente condizionato in termini assoluti e generali» (sentenza n. 275 del 2016). E' evidente che se un programmato, corretto e aggiornato finanziamento costituisce condizione necessaria per il rispetto dei citati parametri costituzionali, la piena realizzazione dei doveri di solidarieta' e di tutela della dignita' umana deve essere assicurata attraverso la qualita' e l'indefettibilita' del servizio, ogniqualvolta un individuo dimorante sul territorio regionale si trovi in condizioni di bisogno rispetto alla salute. E' in quanto riferito alla persona che questo diritto deve essere garantito, sia individualmente, sia nell'ambito della collettivita' di riferimento. Infatti, il servizio sanitario e ospedaliero in ambito locale e', in alcuni casi, l'unico strumento utilizzabile per assicurare il fondamentale diritto alla salute. In definitiva, l'intreccio tra profili costituzionali e organizzativi comporta che la funzione sanitaria pubblica venga esercitata su due livelli di governo: quello statale, il quale definisce le prestazioni che il Servizio sanitario nazionale e' tenuto a fornire ai cittadini - cioe' i livelli essenziali di assistenza - e l'ammontare complessivo delle risorse economiche necessarie al loro finanziamento; quello regionale, cui pertiene il compito di organizzare sul territorio il rispettivo servizio e garantire l'erogazione delle prestazioni nel rispetto degli standard costituzionalmente conformi. La presenza di due livelli di governo rende necessaria la definizione di un sistema di regole che ne disciplini i rapporti di collaborazione, nel rispetto delle reciproche competenze. Cio' al fine di realizzare una gestione della funzione sanitaria pubblica efficiente e capace di rispondere alle istanze dei cittadini coerentemente con le regole di bilancio, le quali prevedono la separazione dei costi «necessari», inerenti alla prestazione dei LEA, dalle altre spese sanitarie, assoggettate invece al principio della sostenibilita' economica». In sostanza, come e' stato sintetizzato dal prof. Viesti nella gia' citata audizione informale di fronte alla Commissione affari costituzionali della Camera dei deputati, «definire i LEP senza prefigurare i percorsi, le modalita' e le risorse finanziarie per il loro raggiungimento appare un'operazione di facciata, specie considerando la clausola di invarianza della spesa complessiva. Fissare i LEP non determina il loro finanziamento», ne' tantomeno assicura che essi siano «garantiti», come la Costituzione esige che siano. Sul punto, sempre in sede di audizioni presso la Commissione affari costituzionali della Camera dei deputati, e' intervenuta la Banca d'Italia, nella cui memoria si legge che «la definizione dei LEP non implica tuttavia che le prestazioni individuate come essenziali siano adeguatamente finanziate ed effettivamente erogate su tutto il territorio nazionale. Data la clausola di invarianza della spesa, la convergenza a un livello uniforme di servizi puo' avvenire solo attraverso una rimodulazione della spesa statale a favore delle regioni in cui l'offerta di prestazioni e' inferiore ai LEP. Se, in alternativa, si assumesse che la spesa storica sinora sostenuta dallo Stato in ciascuna regione sia quella implicitamente necessaria a finanziare i LEP, si determinerebbe la «cristallizzazione» degli attuali divari nell'offerta di prestazioni pubbliche sul territorio». Quindi, la legge impugnata avrebbe dovuto richiedere non solo l'individuazione (peraltro non sulla base della spesa storica), ma poi il finanziamento e, appunto, soprattutto, la garanzia degli stessi nei confronti delle persone, prima che si potesse procedere al trasferimento delle funzioni. 8.4. Sulla base di quanto appena detto, e' quindi per mero scrupolo che possiamo precisare come la garanzia dei LEP non possa considerarsi sussistente pur a fronte della previsione contenuta nello stesso art. 4, primo comma, secondo periodo, per cui il trasferimento delle funzioni puo' avvenire soltanto «successivamente all'entrata in vigore dei provvedimenti legislativi di stanziamento delle risorse finanziare volte ad assicurare i medesimi livelli essenziali di prestazioni sull'intero territorio nazionale, ivi comprese le regioni che non hanno sottoscritto le intese». Infatti, come abbiamo detto - anche in base alla giurisprudenza costituzionale sopra evocata - occorre che i LEP siano effettivamente garantiti, cio' non avvenendo certamente in base alla loro mera individuazione e, ancorche' cio' costituisca un passaggio essenziale, neppure ove siano finanziati. Inoltre, e' del tutto inverosimile - in una situazione nella quale le differenze territoriali nel Paese sul piano del godimento dei diritti (in particolare evidentemente dei diritti sociali) sono talmente ampie - che possa essere sufficiente lo stanziamento di fondi in un solo provvedimento legislativo perche' quel divario possa essere superato. Infatti, l'Ufficio parlamentare di bilancio, nella risposta alla richiesta di approfondimenti del 20 giugno 2023, indirizzata alla Commissione affari costituzionali del Senato della Repubblica, ha fatto presente (p. 8) che «i livelli dei servizi effettivamente prestati sono caratterizzati da una forte eterogeneita' che riflette non solo la differenziazione dei bisogni sul territorio, ma anche profonde disparita' nelle dotazioni finanziarie, derivanti soprattutto dal sovrapporsi nel corso del tempo di interventi di finanziamento non coordinati. La determinazione dei LEP farebbe pertanto probabilmente emergere significative discrepanze fra i fabbisogni standard e la spesa storica che andrebbero colmate da interventi perequativi ed eventualmente da maggiori finanziamenti». 8.5. Dalle notazioni esposte emerge il contrasto dell'art. 1, settimo comma, e dell'art. 4, primo comma, della legge n. 86 del 2024 non solo con l'art. 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione, che impone la garanzia su tutto il territorio nazionale dei livelli essenziali di prestazione concernenti i diritti civili e politici e con l'art. 119 della Costituzione, la cui piena attuazione e' condizione necessaria per introdurre, nel sistema del regionalismo italiano, elementi di differenziazione e competizione, ma anche con l'art. 3 della Costituzione, sia sotto il profilo dell'uguaglianza, creando una evidente disparita' di trattamento tra le regioni sia sotto il profilo della ragionevolezza, perche' la Costituzione impone che la Repubblica ponga in essere azioni concrete per garantire un livello essenziale delle prestazioni su tutto il territorio nazionale, soltanto dopo il raggiungimento del quale e' possibile inserire elementi di differenziazione e competitivita' tra i territori. La lesione dell'art. 3 sotto i profili indicati lede evidentemente le competenze regionali della ricorrente. Infatti, il trasferimento di funzioni, con le relative risorse umane, strumentali e finanziarie, prima che siano determinati i LEP finisce per accrescere le gia' esistenti disparita' tra i diversi territori, che possono ricadere negativamente su tutte le regioni, compresa la ricorrente. 9. Illegittimita' costituzionale degli articoli 5, secondo comma, 8, secondo comma e 9, primo comma, della legge n. 86 del 2024, per violazione dell'art. 119, nonche' degli articoli 2, 3, 5 e 81 della Costituzione. 9.1. L'art. 5, secondo comma, della legge impugnata stabilisce che il finanziamento delle funzioni trasferite alle regioni che stipulano le intese debba essere realizzato «attraverso compartecipazioni al gettito di uno o piu' tributi erariali maturato nel territorio regionale» e comunque «nel rispetto dell'art. 17 della legge 31 dicembre 2009, n. 196, nonche' nel rispetto di quanto previsto dall'art. 119, quarto comma, della Costituzione». L'art. 8, secondo comma, della medesima legge affida poi alla Commissione paritetica la ricognizione «dell'allineamento tra i fabbisogni di spesa gia' definiti e l'andamento del gettito dei tributi compartecipati per il finanziamento delle medesime funzioni». Quindi, qualora detta ricognizione evidenzi uno scostamento dovuto alla variazione dei fabbisogni ovvero all'andamento del gettito, il Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro per gli affari regionali e le autonomie, previa intesa in sede di Conferenza unificata, puo' adottare, su proposta della Commissione paritetica, «le necessarie variazioni delle aliquote di compartecipazione definite nelle intese ai sensi dell'art. 5, comma 2, garantendo comunque l'equilibrio di bilancio e nei limiti delle risorse disponibili». L'art. 9, primo comma, pone infine una clausola di invarianza finanziaria, disponendo che «dall'applicazione della presente legge e di ciascuna intesa non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica». 9.2. L'art. 5, secondo comma, poco sopra richiamato delinea un sistema di finanziamento delle funzioni trasferibili censurabile sotto diversi aspetti, anzitutto per violazione dei principi di solidarieta' e di eguaglianza di cui agli articoli 2 e 3 della Costituzione. La scelta del legislatore di vincolare il reperimento delle risorse economico-finanziarie per l'esercizio delle funzioni trasferibili alla sola compartecipazione al gettito dei tributi erariali, senza la previsione di specifici correttivi, determina infatti un'illegittima disparita' di trattamento tra regioni, in ragione della loro maggiore o minore capacita' fiscale pro capite. Il legislatore avrebbe invece dovuto seguire l'esempio di altri ordinamenti, come ad esempio quello svedese, dove in particolare la compartecipazione all'imposta sul reddito si limita all'aliquota del primo scaglione e, quindi, ai redditi che si collocano entro il limite del primo scaglione. E' infatti evidente che nelle regioni con capacita' fiscale ridotta il reddito medio difficilmente si colloca negli scaglioni piu' elevati, di talche' le entrate derivanti dalla compartecipazione sono nettamente inferiori rispetto a quelle delle regioni piu' «abbienti». In un contesto come quello italiano, segnato da profonde sperequazioni tra regioni, molte delle quali non riescono a garantire nemmeno i livelli essenziali delle prestazioni, l'introduzione di un meccanismo di compartecipazione «puro», senza correttivi, deve ritenersi incostituzionale per violazione dei principi di solidarieta' ed eguaglianza. Questa conclusione risulta tanto piu' evidente ove si consideri che il criterio attualmente impiegato per quantificare il fabbisogno di spesa relativo alle singole funzioni trasferibili e' quello della spesa storica che, come noto, riflette e perpetua le diseguaglianze territoriali emerse nel recente passato, posto che, nei territori con maggiore capacita' fiscale, la spesa per le medesime funzioni e' stata di gran lunga piu' elevata rispetto a quella realizzata nelle regioni meno «abbienti». Tale criterio impedisce a queste ultime di ottenere maggiori risorse per il finanziamento delle funzioni, attraverso il riconoscimento di una maggiore aliquota di compartecipazione. D'altra parte, le regioni con una ridotta capacita' fiscale, le quali hanno comunque diritto di ottenere «forme e condizioni particolari di autonomia», in assenza di canali di finanziamento diversi e ulteriori rispetto alla compartecipazione al gettito dei tributi erariali maturati nel territorio regionale, potrebbero non riuscire a coprire integralmente le spese connesse alle nuove funzioni trasferite, a differenza di altre che, al contrario, potrebbero finanche maturare un extra-gettito (i.e. il saldo positivo derivante dalla differenza tra le entrate derivanti dalle compartecipazioni al gettito dei tributi erariali e le uscite necessarie ai fini dell'esercizio delle funzioni attribuite). Tale extra-gettito, il quale puo' derivare da un'erronea quantificazione iniziale del fabbisogno di spesa, da una variazione al ribasso del fabbisogno di spesa ovvero da un esercizio piu' efficiente da parte delle medesime regioni delle funzioni loro trasferite rispetto a quello posto in essere fino ad oggi dallo Stato, restera', senza vincoli di destinazione, nella disponibilita' delle regioni stesse. E' questo il logico corollario dell'implementazione di un modello di regionalismo competitivo, quanto meno con riguardo all'ipotesi di esercizio piu' efficiente delle funzioni da parte delle regioni, il quale, pero', allo stato, non puo' essere trasposto de plano nell'ordinamento italiano, poiche' in molte aree del Paese non sono garantiti nemmeno i livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali di cui all'art. 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione. Senza un meccanismo di perequazione interregionale che redistribuisca continuamente le risorse, il bilancio dello Stato sarebbe chiamato a intervenire continuamente per sostenere le regioni i cui gettiti compartecipati dovessero risultare insufficienti a finanziare le funzioni, senza poter recuperare risorse laddove ve ne siano in eccedenza (cfr. anche il motivo n. 10). L'impossibilita' per lo Stato di procedere alla redistribuzione dell'eventuale extra-gettito maturato dalle singole regioni ad autonomia particolare, nonche' l'assenza di un efficace meccanismo perequativo (cfr. infra, motivo di ricorso n. 10), di fatto determinano l'illegittimita' costituzionale dell'art. 5, secondo comma, della legge impugnata per violazione degli articoli 2 e 3 della Costituzione. 9.3. L'incostituzionalita' del riferimento al solo strumento della compartecipazione e' ulteriormente evidenziata dalla scelta del legislatore di escludere, invece, dalle tecniche di finanziamento delle funzioni trasferibili la c.d. riserva di aliquota (comunque riconducibile al concetto di compartecipazione di cui all'art. 119 della Costituzione), che avrebbe consentito altresi' un maggiore rispetto del principio di territorialita' del tributo di cui all'art. 119 della Costituzione, espressamente richiamato - dobbiamo ricordarlo - dall'art. 116, terzo comma. Tanto la riserva di aliquota quanto la compartecipazione al gettito dei tributi erariali consistono nel riconoscimento alle regioni di quote di tributi erariali, ma mentre la prima e' costituita da una parte dell'aliquota del tributo erariale che viene «riservata» alla regione e calcolata sulla base imponibile del tributo, la seconda prevede, invece, l'attribuzione alla stessa di una quota del gettito del tributo erariale, commisurata ad una determinata aliquota. La riserva di aliquota, la quale, secondo l'orientamento assolutamente prevalente, non costituisce un tributo proprio ma e' assimilabile alle compartecipazioni, tanto da poter essere ricondotta al concetto di «compartecipazioni al gettito di tributi erariali riferibile al loro territorio» di cui all'art. 119, secondo comma, della Costituzione, non garantisce alle regioni soltanto una quota di gettito di un tributo erariale, ma anche la facolta' di modificare le aliquote per quanto attiene alla componente regionale nei limiti fissati dalla legge statale, cosi' garantendo, da un lato, una maggiore manovrabilita' del tributo e, dall'altro lato, risorse maggiormente «certe» in quanto, contrariamente alle compartecipazioni, risulta insensibile rispetto a eventuali modifiche delle aliquote dei tributi erariali e non dipende dalla capacita' fiscale del territorio. In questo senso, l'aver escluso l'aliquota di riserva dai canali di finanziamento del regionalismo differenziato rappresenta un'ingiustificata e illegittima violazione del principio di territorialita' del tributo. 9.4. Deve poi osservarsi, in termini piu' generali, come l'art. 5, secondo comma, della legge impugnata finisce con il delineare un modello di federalismo fiscale manifestamente difforme da quello disegnato dagli articoli 5 e 119 della Costituzione, il quale risponde al generale canone della democrazia rappresentativa, sintetizzato nella nota formula «no taxation without representation». La corrispondenza tra il reperimento delle risorse e il loro impiego e', come noto, presupposto indefettibile della responsabilita' politica degli eletti nei confronti degli elettori. Si tratta di un principio che e' stato espresso a piu' riprese dalla Corte costituzionale. Sotto questo aspetto l'art. 119 della Costituzione individua nella compartecipazione al gettito dei tributi erariali solo uno tra i diversi canali di finanziamento ordinario delle funzioni attribuite alle regioni, cosi' come emerge assai chiaramente soprattutto dal quarto comma, la' dove si afferma che «[l]e risorse derivanti dalle fonti di cui ai commi precedenti consentono ai comuni, alle province, alle Citta' metropolitane e alle regioni di finanziare integralmente le funzioni pubbliche loro attribuite». Le regioni possono infatti istituire entrate e tributi propri e rispetto ad essi vige la responsabilita' politica dinanzi ai cittadini ai quali sono state prelevate le risorse. Non considerare cio', come sembra fare la legge impugnata, assegnando alle regioni soltanto quote del gettito erariale, rompe il vincolo della responsabilita' politica. 9.5. D'altra parte, lo stesso meccanismo di monitoraggio introdotto dall'art. 8, secondo comma, della legge impugnata comprova ulteriormente il vantaggio strutturale delle regioni con maggiore capacita' fiscale pro capite, determinando quindi la violazione dei principi di solidarieta' ed eguaglianza di cui agli articoli 2 e 3 della Costituzione. Inoltre, e soprattutto, tale disposizione, vincolando la variazione delle aliquote di compartecipazione definite nelle intese alle «risorse disponibili», viola specificamente l'art. 119, quarto comma della Costituzione, poiche', di fatto, si sostanzia in una potenziale violazione del principio di corrispondenza tra risorse e funzioni trasferite, a piu' riprese ribadito da questa Corte (cfr., ex multis, sentenze nn. 155 del 2020, 137 del 2018, 10 del 2016, 188 del 2015). Infatti, se in futuro lo Stato dovesse disporre una compressione del gettito dei tributi erariali compartecipati, cio' automaticamente determinerebbe una riduzione delle entrate delle regioni ad autonomia particolare, eventualmente tale da non consentire loro di coprire le spese necessarie per l'esercizio delle funzioni trasferite. Qualora poi lo Stato non dovesse reperire le risorse per coprire detto disavanzo, a quel punto emergerebbe inevitabilmente la violazione del principio di corrispondenza tra risorse e funzioni trasferite. Questa criticita' poteva essere in parte attenuata individuando tra le tecniche di finanziamento delle funzioni trasferibili anche l'aliquota di riserva, la quale consente alle regioni una notevole manovrabilita' del tributo e garantisce loro risorse «certe», giacche' come gia' esposto essa e' insensibile rispetto a eventuali modifiche delle aliquote dei tributi erariali. D'altra parte, volendosi ragionare a contrario, la violazione del principio di corrispondenza potrebbe altresi' derivare dall'aumento della base imponibile dei tributi compartecipati, il quale determinerebbe l'automatica acquisizione ai bilanci delle regioni beneficiarie della differenziazione di risorse finanziarie eccedenti il fabbisogno finanziario per lo svolgimento delle funzioni trasferite (c.d. extra-gettito), cosi' violando l'art. 119, quarto comma, della Costituzione. Si realizzerebbe, in tal modo, la violazione del principio di corrispondenza, in quanto alcune regioni finirebbero con avere maggiori risorse di quelle effettivamente necessarie per l'esercizio delle funzioni trasferite. 9.6. Deve infine essere censurata la previsione di cui all'art. 9, primo comma, della legge impugnata, la quale pone la clausola di invarianza finanziaria. Essa e' ad ogni evidenza in manifesto contrasto con l'art. 81 della Costituzione. Il trasferimento delle funzioni alle regioni che ne facciano richiesta non puo' infatti essere «a costo zero», e cio' in quanto la garanzia dei livelli essenziali delle prestazioni (art. 4 della legge impugnata), l'istituzione del fondo perequativo (art. 10, secondo comma, della legge impugnata), gli interventi speciali e di coesione sociali (art. 10, primo comma, lettera a), c), d), della legge impugnata) e la garanzia dell'invarianza finanziaria delle regioni ad autonomia ordinaria che non intendano richiedere e ottenere l'ampliamento della propria potesta' legislativa (art. 9, secondo comma, della legge impugnata) presuppone necessariamente il reperimento di ingenti risorse, il quale e' tuttavia solo «annunciato» nella legge n. 86 del 2024, ove non e' individuata alcuna adeguata copertura finanziaria. 10. Illegittimita' costituzionale dell'art. 10 della legge n. 86 del 2024, per violazione degli articoli 116, terzo comma, e 119, terzo comma, della Costituzione. 10.1. Con il presente motivo di ricorso si intende contestare la legittimita' costituzionale dell'art. 10 della legge n. 86 del 2024, relativo alle «misure perequative e di promozione dello sviluppo economico, della coesione e della solidarieta' sociale», per violazione degli articoli 116, terzo comma e 119, terzo comma, della Costituzione. L'art. 116, terzo comma, della Costituzione dispone infatti che «ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia [...] possono essere attribuite ad altre regioni, con legge dello Stato, su iniziativa della regione interessata, sentiti gli enti locali, nel rispetto dei principi di cui all'art. 119». L'art. 119 della Costituzione, come gia' evidenziato, individua tre canali di finanziamento ordinario delle funzioni attribuite a comuni, province, Citta' metropolitane e regioni: i) i tributi e le entrate proprie (secondo comma); ii) le compartecipazioni al gettito di tributi erariali riferibile al loro territorio (secondo comma); iii) il fondo di perequazione (terzo comma), aggiungendo, poi, un canale di finanziamento straordinario rappresentato dalle risorse aggiuntive e dagli interventi speciali (quinto comma). La funzione del fondo di perequazione e' quella di consentire agli enti territoriali e, per quanto piu' interessa in questa sede, alle regioni, di far fronte alle spese connesse all'esercizio delle pubbliche funzioni loro attribuite laddove non risultino sufficienti le risorse raccolte attraverso i primi due canali di finanziamento ordinario gia' richiamati, e cio' in ragione del carattere unitario della Repubblica. L'art. 119, terzo comma, della Costituzione, d'altra parte, impone che al fondo perequativo non possano essere apposti vincoli di destinazione, per quanto tale previsione normativa debba fare i conti con la composizione degli attuali bilanci regionali, ove oltre l'80% delle uscite copre il finanziamento delle prestazioni essenziali, tra le quali, in particolare, quelle di natura lato sensu sanitaria. L'art. 119 della Costituzione delinea, comunque, un disegno ben preciso, esattamente sintetizzato dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 370 del 2003, in cui si legge che «il nuovo art. 119 della Costituzione, prevede espressamente, al quarto comma, che le funzioni pubbliche regionali e locali debbano essere "integralmente" finanziate tramite i proventi delle entrate proprie e la compartecipazione al gettito dei tributi erariali riferibili al territorio dell'ente interessato, di cui al secondo comma, nonche' con quote del «fondo perequativo senza vincoli di destinazione», di cui al terzo comma. [...] Pertanto, nel nuovo sistema, per il finanziamento delle normali funzioni di regioni ed enti locali, lo Stato puo' erogare solo fondi senza vincoli specifici di destinazione, in particolare tramite il fondo perequativo di cui all'art. 119, terzo comma, della Costituzione». Cio' riflette l'esigenza di evitare il rischio di «sovrapposizione di politiche e di indirizzi governati centralmente» (ex multis, gia' sentenza n. 16 del 2004; ma, piu' di recente, nello stesso senso, sentenze n. 187 del 2021 e n. 40 del 2022) e di garantire l'autonomia di spesa degli enti sub-statali, i quali, in virtu' della maggiore vicinanza ai cittadini e della inerente responsabilita' politica, dovrebbe tendenzialmente garantire una piu' efficace allocazione delle risorse. Tanto premesso, si deve prendere in considerazione la previsione di cui all'art. 10, secondo comma, della legge n. 86 del 2024, ai sensi della quale «in attuazione dell'art. 119, terzo comma, della Costituzione, trova comunque applicazione l'art. 15 del decreto legislativo 6 maggio 2011, n. 68, in conformita' con le disposizioni di cui all'art. 2 della legge 9 agosto 2023, n. 111, e nel quadro dell'attuazione della milestone del Piano nazionale di ripresa e resilienza relativa alla Riforma del quadro fiscale subnazionale (Missione 1, Componente 1, Riforma 1.14)». L'art. 15, quinto comma, del decreto legislativo n. 68 del 2011 dispone che «e' istituito, dall'anno 2027 o da un anno antecedente ove ricorrano le condizioni di cui al presente decreto legislativo, un fondo perequativo alimentato dal gettito prodotto da una compartecipazione al gettito dell'IVA determinata in modo tale da garantire in ogni regione il finanziamento integrale delle spese di cui all'art. 14, primo comma [i.e. le spese relative ai livelli essenziali delle prestazioni]. Nel primo anno di funzionamento del fondo perequativo, le suddette spese sono computate in base ai valori di spesa storica e dei costi standard, ove stabiliti; nei successivi quattro anni devono gradualmente convergere verso i costi standard [...]». Gia' da una semplice lettura delle disposizioni appena richiamate emerge la palese illegittimita' costituzionale dell'art. 10, secondo comma, della legge n. 86 del 2024, il quale, nel rinviare all'art. 15, quinto comma, del decreto legislativo n. 68 del 2011, consente, di fatto, l'ampliamento della potesta' legislativa delle regioni che stipulano le intese e delle correlate entrate a danno delle Regioni con capacita' fiscale ridotta, e cio' in assenza dell'istituzione del fondo perequativo di cui all'art. 119, terzo comma, della Costituzione, che, in base al medesimo decreto legislativo n. 68 del 2011, e' prevista per il 2027 (termine che, peraltro, potrebbe eventualmente essere nuovamente rinviato), mentre alcune regioni hanno gia' avviato o potranno comunque avviare a breve la procedura per il trasferimento di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia. Questa Corte ha ribadito che, «ai sensi dell'art. 119, quarto comma, della Costituzione, le funzioni degli enti territoriali devono essere assicurate in concreto mediante le risorse menzionate ai primi tre commi del medesimo art. 119 della Costituzione, attraverso un criterio perequativo trasparente e ostensibile, in attuazione dei principi fissati dall'art. 17, comma 1, lettera a), della legge n. 42 del 2009» (sentenza 26 novembre 2021, n. 220). La perequazione costituisce in tal senso l'unico strumento veramente idoneo a garantire la copertura delle spese relative ai livelli essenziali delle prestazioni nelle regioni con capacita' fiscale ridotta. Il trasferimento delle funzioni alle regioni ad autonomia «differenziata» e la conseguente piu' rilevante compartecipazione delle stesse al gettito dei tributi erariali determina un'ulteriore riduzione delle risorse disponibili per il finanziamento dei livelli essenziali nelle regioni ad autonomia ordinaria che non sono in grado di procedere in autonomia, di talche' la tardiva istituzione del fondo perequativo (peraltro per ancora diversi anni fondato sul criterio della spesa storica) produce un'ulteriore illegittima disparita' di trattamento tra regioni in ragione delle condizioni economiche del territorio, in palese violazione degli articoli 116, terzo comma e 119 della Costituzione. 10.2. Infine, e soprattutto, occorre considerare che l'art. 10, quinto comma, del decreto legislativo n. 68 del 2011, al fine di quantificare le spese che dovranno essere coperte attraverso il meccanismo della perequazione, consente di preservare il criterio della spesa storica per ulteriori quattro anni rispetto all'istituzione del fondo (i.e. fino al 2031). Successivamente il sistema dovra', invece, convergere verso il criterio dei costi standard. Tuttavia, il criterio della spesa storica riflette e perpetua, come noto e gia' evidenziato al punto precedente, le diseguaglianze nell'erogazione delle prestazioni, poiche' in passato nei territori delle regioni con capacita' fiscale piu' elevata sono state destinate maggiori risorse per finanziare l'esercizio delle funzioni. Ne discende che, per ancora molti anni, all'ampliamento della potesta' legislativa delle regioni piu' abbienti che stipuleranno le intese e al rafforzamento della loro capacita' di spesa si accompagnera' un meccanismo perequativo radicalmente inidoneo ad assicurare la copertura delle spese effettivamente necessarie a garantire l'esercizio delle funzioni nelle altre regioni. Tutto cio' si pone, quindi, in evidente contrasto con l'art. 119 per i motivi evidenziati, nonche' con lo stesso art. 116, terzo comma, della Costituzione che deve essere letto alla luce dei principi supremi dell'ordinamento e che non puo' essere interpretato nel senso di consentire che alcune regioni vengano lasciate senza le risorse sufficienti per esercitare le funzioni loro attribuite. 11. Illegittimita' costituzionale dell'art. 11, primo comma, della legge n. 86 del 2024, per violazione dell'art. 3 della Costituzione, anche sotto il profilo della ragionevolezza, e dell'art. 116, terzo comma della Costituzione. 11.1. L'art. 11, primo comma, della legge n. 86 del 2024 prevede che «Gli atti di iniziativa delle regioni gia' presentati al Governo, di cui sia stato avviato il confronto congiunto tra il Governo e la regione interessata prima della data di entrata in vigore della presente legge, sono esaminati secondo quanto previsto dalle pertinenti disposizioni della presente legge». Il riferimento e' anzitutto agli accordi preliminari (pre-intese) sottoscritti, nel 2018, dalle Regioni Veneto, Lombardia ed Emilia-Romagna (nei primi due casi a seguito di un referendum popolare di tipo consultivo, svoltosi il 22 ottobre 2017) con il Governo Gentiloni e alle interlocuzioni che vi sono state, poi, con i Governi che si sono susseguiti, che hanno portato anche all'elaborazione di bozze di intesa, prima che la legge di attuazione qui impugnata venisse approvata. La disposizione che si censura con il presente motivo di ricorso, quindi, intende fare salvi i suddetti atti, considerati «atti di iniziativa» della regione, ai sensi dell'art. 2, primo comma, della legge n. 86 del 2024. Ora, se e' vero che - come sopra ricordato ed evidenziato anche nel Dossier della Camera dei deputati preparato dal Servizio studi della Camera, datato 5 febbraio 2024 - l'art. 116, terzo comma, della Costituzione non prevede la necessita' di un intervento legislativo per definire i principi generali per l'attribuzione alle regioni di ulteriori funzioni, essendo la stessa legge (rafforzata) di approvazione dell'intesa a poter attribuire le ulteriori forme di autonomia, tale legge di attuazione puo' comunque essere (utilmente) prevista, come a questo punto e'. L'obiettivo della legge, pero', mirerebbe «a costruire percorsi costanti e organici attorno ai processi di accesso all'autonomia differenziata di cui alle citate disposizioni costituzionali dell'art. 116, terzo comma, della Costituzione» (v. Dossier, p. 7-8). Se questo e' l'obiettivo, e' evidentemente che esso e' tradito da una norma che fa salvi i primi passaggi di un percorso avviato in assenza della legge di attuazione e inevitabilmente al di fuori del perimetro dalla stessa tracciato, rompendo immediatamente l'uniformita' del percorso di attribuzione di forme e condizioni particolari di autonomia, che costituisce una garanzia per tutte le regioni di accedere alla possibilita' offerta dall'art. 116, terzo comma, della Costituzione in condizioni di parita'. Garantire una «fuga in avanti» ad alcune regioni, tanto piu' in considerazione degli effetti che si producono sulle altre (v. anche punti 8-10) pregiudicherebbe queste ultime. Di conseguenza, in primo luogo, verrebbe violato il principio di uguaglianza in senso stretto, consentendo ad alcune regioni una sorta di «corsia preferenziale». Considerato che una volta trasferite competenze ad alcune regioni potrebbero non esservi risorse per trasferirne ad altre e' evidente che la violazione del principio di uguaglianza ridonderebbe nel caso in una lesione di competenze alla cui tutela e' preposto il presente giudizio. D'altronde, la norma violerebbe altresi' il principio di ragionevolezza, rischiando di rimettere ad una «corsa», in cui ad alcuni e' stato consentito di avviarsi, la effettiva possibilita' di attribuzione di ulteriori forme di autonomia, cio' avendo, del pari, conseguenze sulla lesione delle competenze. Infine, per quanto appena detto, la norma risulta, ancora in violazione dell'art. 3 della Costituzione, irrazionale. Infatti, essa smentisce proprio lo scopo della legge che e' quello di assicurare uniformita' ai trasferimenti di ulteriori forme e condizioni di autonomia, anche questo finendo per riverberarsi sulla attribuzione delle competenze. 11.2. A cio' si aggiunga che il modello seguito dalle tre regioni che hanno avviato il percorso di autonomia differenziata e' diverso da quello che - come argomentato con il primo motivo del presente ricorso - costituirebbe corretta attuazione dell'art. 116, terzo comma, della Costituzione. Infatti, tutte e tre le regioni, seppure con differenze, hanno rastrellato un amplissimo novero di materie, senza alcun collegamento con la specificita' territoriale ma solo sulla base di un «powers shopping», in cui ciascuno prende cio' che vuole, cio' non consentendo neppure un'adeguata interlocuzione con il Governo, che, nella trattativa, quindi, non ha riferimenti per stabilire se convergere sulle richieste o meno, non potendo che compiere, a sua volta, scelte arbitrarie, che potrebbero essere dettate dalla maggiore o minore consonanza politica. Pertanto, l'art. 11, primo comma, viola altresi', al pari delle altre norme indicate nel primo motivo di ricorso, l'art. 116, terzo comma, della Costituzione. 12. Illegittimita' costituzionale dell'intera legge e, in subordine, degli articoli 4, 5, secondo comma, 8, 9, 10, per violazione dell'art. 117, primo comma, della Costituzione, in relazione al regolamento (UE) 2021/241 del Parlamento europeo e del Consiglio, che istituisce il dispositivo per la ripresa e la resilienza e alla decisione di esecuzione n. 2021/168 del Consiglio dell'Unione europea e successive modificazioni ed integrazioni, che prevedono misure per la coesione sociale e territoriale. 12.1. Come risulta dai motivi che precedono, la legge impugnata, mette a rischio l'uniformita' delle condizioni di vita nel Paese e, conseguentemente, la coesione territoriale. Cio' risulta determinato dalla legge nel suo complesso, per come le funzioni possono essere individuate, trasferite e finanziate, e piu' in particolare dall'art. 4, sul trasferimento di funzioni, sia perche' fa riferimento a materie non riferibili ai LEP sia perche' anche per le altre prevede che essi debbano essere determinati ma non garantiti, sia perche' il finanziamento delle funzioni avviene attraverso compartecipazioni al gettito (art. 5, secondo comma), sia per un inadeguato monitoraggio (art. 8), per la previsione dell'invarianza finanziaria (art. 9) e per l'assenza di reali misure perequative (art. 10), secondo quanto argomentato al punto 10. Da tutto questo emerge, quindi, un netto contrasto con uno degli obiettivi del Piano nazionale di ripresa e resilienza e, piu' in generale, del Dispositivo per la ripresa e la resilienza istituito dal regolamento (UE) 2021/241, che pone la coesione economica, sociale e territoriale tra i sei pilastri fondanti, violando cosi', in particolare, l'art. 117, primo comma, della Costituzione. 12.2. Peraltro, il pilastro della coesione territoriale assume un ruolo trasversale nel Piano italiano, che si propone di affrontare «in modo concreto le sfide territoriali profondamente radicate e promuovendo uno sviluppo equilibrato» (v. il considerando 36 della decisione di esecuzione del Consiglio, relativa all'approvazione della valutazione del piano per la ripresa e la resilienza dell'Italia), e si traduce in un target puntuale corrispondente alla «Riforma 1. 14 - Riforma del quadro fiscale subnazionale». In relazione ad essa, la decisione di esecuzione n. 2021/0168 del Consiglio prevede che, entro il primo trimestre del 2026, si pervenga al completamento del federalismo fiscale previsto dalla legge n. 42 del 2009, «con l'obiettivo di migliorare la trasparenza delle relazioni fiscali tra i diversi livelli di governo, assegnare le risorse alle amministrazioni subnazionali sulla base di criteri oggettivi e incentivare un uso efficiente delle risorse medesime. La riforma dovra' definire in particolare i parametri applicabili e attuare il federalismo fiscale per le regioni a statuto ordinario, le province e le citta' metropolitane». E' chiaro, quindi, come i meccanismi di trasferimento delle risorse previsti dalla legge n. 86 del 2024 non consentono di implementare un quadro di regole chiaro che effettivamente migliori «la trasparenza delle relazioni fiscali tra i diversi livelli di governo» e attribuisca «le risorse alle amministrazioni subnazionali sulla base di criteri oggettivi». L'implementazione di tali meccanismi - contraria ad uno dei pilastri fondamentali del Dispositivo per la ripresa e la resilienza - ha, pertanto, l'ulteriore effetto di compromettere la possibilita' di accedere ai fondi previsti dal PNRR, dal momento che l'art. 24 del regolamento (UE) n. 241 del 2021 prevede la sospensione dell'erogazione dei contributi finanziari in caso di mancato conseguimento degli obiettivi o quando siano messe in atto di azioni che si pongono in contrasto con ulteriori obiettivi gia' raggiunti o da raggiungere. Tutto cio', oltre determinare un danno ingente per le finanze pubbliche, finisce per riverberarsi anche sulla sfera di attribuzione dei soggetti attuatori del Piano, fra cui le regioni, che rischierebbero di perdere le risorse per il finanziamento di attivita' gia' messe in atto e per implementare gli ulteriori investimenti previsti dal medesimo Piano.