TRIBUNALE ORDINARIO DI BRESCIA
lavoro, previdenza ed assistenza obbligatoria
Nella causa civile iscritta al n. r.g. 595/2022.
Il giudice del lavoro dott. Mariarosa Pipponzi, a scioglimento
della riserva assunta all'udienza del 24 giugno 2024 ha pronunciato
la seguente ordinanza di rimessione alla Corte costituzionale.
Nella causa civile iscritta al n. r.g. 595/2022 promossa da A...
R... (C.F. ...) nata a ..., il ..., residente in ..., via ..., in
proprio e nella sua qualita' di legale rappresentante di ... in
liquidazione (C.F./P.Iva ..., corrente in ..., via ...),
rappresentata assistita e difesa, anche disgiuntamente, dall'avv.
Antonio Ramera (C.F. RMRNTN85B15B157Z; pec:
antonio.ramera@brescia.pecavvocati.it; fax: 030.7833098) e dall'avv.
Andrea Giliberto (C.F. GLBNDR85D23B157W; pec:
andrea.giliberto@brescia.pecavvocati.it; fax: 030.7833098) entrambi
del Foro di Brescia, ed elettivamente domiciliata presso il loro
studio in Chiari (BS), vicolo Pace n. 1.
Ricorrente contro I.N. P.S. - Istituto nazionale della previdenza
sociale, C.F. 80078750587, in persona del presidente pro tempore, con
sede legale in 00144 - Roma, via Ciro il Grande n. 21 e sede
territoriale in Brescia, via Benedetto Croce n. 32, elettivamente
domiciliato nell'Avvocatura distrettuale dell'INPS in Brescia, via
Pietro Bulloni n. 14, presso l'avv. Alessandro Mineo (c.f.
MNILSN70P18F205T; indirizzo pec:
avv.alessandro.mineo@postacert.inps.gov.it), che lo rappresenta e
difende in forza di procura generale alle liti rep. 80974 del 21
luglio 2015 per atti Paolo Castellini notaio in Roma resistente.
Rilevato che R... A..., in proprio e quale legale rappresentante
della ... in liquidazione, ha proposto tempestiva opposizione avverso
le ordinanze ingiunzioni notificate in data ... dall'INPS (n. ...,
prot. ... del ..., n. ... prot. ... del ... e n. ... prot. ... del
...) nelle quali, rilevata l'omissione nel versamento delle ritenute
previdenziali, e' stata irrogata la sanzione amministrativa
rispettivamente di euro 21.500 per l'omissione relativa all'anno ...,
di euro 22.500 per l'omissione relativa all'anno ... e di euro 29.000
per l'omissione relativa all'anno ..., per un totale di euro 73.000
complessive;
Per l'anno ... l'omissione contestata era il mancato versamento
di ritenute pari ad euro 3.809,55;
Per l'anno ... l'omissione contestata era il mancato versamento
di ritenute pari ad euro 714,06;
Per l'anno ... l'omissione contestata era il mancato versamento
di ritenute pari ad euro 2.628,73;
R... A..., nata il ..., ha evidenziato di essere stata titolare
di uno storico punto vendita di calzature in Brescia che aveva dovuto
cessare la sua attivita' per la crisi intervenuta nella prima decade
del 2000 precisando che nel ... e nel ... non aveva ottenuto reddito
e che aveva registrato nel ... rilevantissime perdite per quasi euro
200.000 (a fronte di un volume di ricavi annui di circa euro
260/280.000 nei triennio in questione - cfr. doc. 2) e di aver dovuto
porre in liquidazione la societa' nel ...;
Parte ricorrente ha sottolineato, in particolare, che l'omissione
contributiva, peraltro non provata dall'istituto, dipendeva da una
«scelta necessitata», dettata dall'impossibilita' materiale di
adempiere in presenza di un rilevante numero di creditori anche
privilegiati da soddisfare e che, anche quando era pervenuta la
diffida di pagamento nel ..., non era stata in grado materialmente di
versare alcunche';
Parte ricorrente ha lamentato la sproporzione della cornice
edittale rispetto tanto alla gravita' (quantitativa e qualitativa)
dell'illecito quanto a fattispecie sanzionatorie assimilabili che
analiticamente richiamava ed ha sottolineato che l'entita' della
sanzione amministrativa irrogata, sia considerata per ciascuna
violazione, sia valutata nel suo complesso ne attestava la natura
«sostanzialmente penale» sulla base dei criteri di cui alla
giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo a partire
dalla sentenza Engel;
R... A..., ha affermato che, benche' l'omissione del versamento
delle ritenute previdenziali ed assistenziali risulti punita sia con
una sanzione amministrativa sia con una sanzione penale, a seconda
che la violazione superi o meno una soglia data, la sanzione
amministrativa - astrattamente prevista per le fattispecie «sotto
soglia» e quindi meno gravi - si palesa sempre maggiormente
afflittiva di quella penale, tale da rendere l'intera disciplina del
tutto incongrua, illogica e irrazionale, oltre che criminogena;
Parte ricorrente eccepiva, quindi, l'incostituzionalita'
dell'art. 2, comma 1-bis, del decreto-legge n. 463/1983 convertito
con modificazioni dalla legge 11 novembre 1983, n. 638, come
sostituito dall'art. 3, comma 6, del decreto legislativo n. 8 del
2016 per contrasto con l'art. 3 della Costituzione nonche' con l'art.
27, comma 3, della Costituzione osservando che: a) e' irrazionale
trattare piu' severamente una violazione piu' lieve e meno
severamente una violazione piu' grave, tanto piu' se le due
violazioni sono di identica specie e se pertanto la loro comparazione
risulta immediata e obiettiva; b) la particolare afflittivita' della
sanzione amministrativa, in uno con la corrispondente scarsissima
severita' della sanzione penale, non puo' che comportare effetti
criminogeni, apparendo obiettivamente di gran lunga piu' conveniente
per il datore di lavoro e per il suo legale rappresentante omettere
il versamento di ritenute per importi superiori alla soglia di
punibilita' penale, in modo tale da accedere ad un regime piu'
favorevole;
L'Inps, nel costituirsi in giudizio, premesso di aver notificato,
in presenza di omessi versamenti di importo inferiore alla soglia di
rilevanza penale (euro 10,000,00), tre accertamenti di violazione a
seguito dell'entrata in vigore dell' art. 3, comma 6, del decreto
legislativo n. 8/2016, che ha sostituito l'art. 2, comma 1-bis, del
decreto-legge 12 settembre 1983, n. 463, convertito con modificazioni
dalla legge 11 novembre 1983, n. 638, cui non aveva fatto seguito
alcun pagamento entro i termini di legge, ha prodotto le denunce
contributive provenienti dalla societa' ... (sub doc.1) e cinque
avvisi di addebito regolarmente notificati alla societa' senza nulla
replicare in merito all'eccezione sollevata da controparte circa la
sproporzionalita' ed irragionevolezza della previsione normativa;
Questo giudice ha pertanto sollevato, con ordinanza in data 16
febbraio 2022, la questione di legittimita' costituzionale, dell'art.
2, comma 1-bis, del decreto-legge 12 settembre 1983, n. 463,
convertito, con modificazioni, dalla legge 11 novembre 1983, n. 638,
come sostituito dall'art. 3, comma 6, del decreto legislativo n. 8
del 2016 nella parte in cui prevede «Se l'importo omesso non e'
superiore a euro 10.000 annui, si applica la sanzione amministrativa
pecuniaria da euro 10.000» per contrarieta' all'art. 3 della
Costituzione.
La Corte costituzionale, con ordinanza del 10 ottobre 2023
pubblicata in data 8 novembre 2023, ha restituito gli atti rimettendo
al giudice a quo di rivalutare sotto il profilo della rilevanza e
della non manifesta infondatezza la questione sollevata tenendo conto
delle intervenute modifiche legislative sul comma censurato operate
dal decreto-legge n. 48 del 2023 come convertito che ha sostituito le
parole «da euro 10.000 a euro 50.000» con le partole «da una volta e
mezza a quattro volte l'importo omesso» dando atto che l'art. 23 del
citato decreto come convertito poteva trovare applicazione
retroattiva;
Riassunto il giudizio la parte ricorrente, preso atto delle
rideterminazione operata dall'INPS in applicazione della normativa
sopravvenuta, ha nuovamente insistito per la rimessione alla Corte
costituzionale producendo un grafico da cui si poteva evincere che la
modifica in esame, cui si era aggiunta quelle introdotta dal decreto
legislativo n. 150 del 10 ottobre 2022, aveva finito per amplificare
il divario tra le due fattispecie, quella sanzionata in via
amministrativa e quella di rilevanza penale, «rendendosi evidente
come la prima finisca irragionevolmente per essere sempre e
sistematicamente piu' afflittiva della seconda, inverando i vulnera
di legittimita' costituzionale gia' lamentati in atti, tanto sub art.
3 della Costituzione quanto sub art. 27, comma 3, della
Costituzione».
In seguito alla rideterminazione dell'INPS la sanzione
amministrativa irrogata e' rispettivamente di euro 5.714,33 per
l'omissione relativa all'anno ..., di euro 1.428,12 per l'omissione
relativa all'anno ... e di euro 6.571,83 per l'omissione relativa
all'anno ..., per un totale di euro 13.714,28 complessive.. Si
rammenta che:
Per l'anno ... l'omissione contestata era il mancato versamento
di ritenute pari ad euro 3.809,55;
Per l'anno ... l'omissione contestata era il mancato versamento
di ritenute pari ad euro 714,06;
Per l'anno ... l'omissione contestata era il mancato versamento
di ritenute pari ad euro 2.628,73;
Osserva
Ad avviso del sottoscritto giudice l'art. 2, comma 1-bis, del
decreto-legge 12 settembre 1983, n. 463, convertito, con
modificazioni, dalla legge 11 novembre 1983, n. 638, nel testo
sostituito dall'art. 23, comma 1, del decreto-legge n. 48 del 2023,
come convertito dalla legge 3 luglio 2023, n. 85, nella Gazzetta
Ufficiale 3 luglio 2023, n. 153, nella parte in cui prevede «Se
l'importo omesso non e' superiore a euro 10.000 annui, si applica la
sanzione amministrativa pecuniaria da una volta e mezza a quattro
volte l'importo omesso» pone dubbi di compatibilita' con l'art. 3
della Costituzione e pertanto la questione va nuovamente rimessa alla
Corte costituzionale.
Quanto alla rilevanza
I motivi di opposizione afferenti l'insussistenza della prova
dell'effettivo versamento delle retribuzioni relative alle omissione
contributive di cui agli atti impugnati non possono essere accolti
alla luce dell'ampia ed esaustiva documentazione prodotta dall'INPS.
Infatti la presentazione delle denunce mensili con modello DM10 da
parte del datore di lavoro attestanti le retribuzioni corrisposte ai
dipendenti e l'ammontare degli obblighi contributivi e' prova della
effettiva corresponsione degli emolumenti ai lavoratori (cfr. ex
multis anche di recente Cassazione penale, Sez. III, sentenza n.
23185 e Cassazione penale Sez. III 26579.2021).
I motivi di opposizione concretantesi nel rilievo che la grave
crisi aziendale, che aveva costretto alla messa in liquidazione della
societa' (di cui la ricorrente gia' ultraottantenne era socia al
98%), avesse impedito il versamento delle ritenute non possono essere
accolti in quanto, come da tempo chiarito dalla Corte di Cassazione,
la responsabilita' del datore di lavoro per omesso versamento delle
ritenute non e' esclusa dalla situazione di crisi economica in cui
versa l'impresa (cfr. ex multis Cassazione, 12 luglio 2019, n. 42113,
e Cassazione Sezione III, 12 febbraio 2015, n. 11353, proprio in
riferimento al caso di una societa' messa in liquidazione), non
rilevando neppure la circostanza, pure dedotta in ricorso, che le
(scarse) risorse finanziarie fossero state destinate a far fronte ai
crediti retributivi vantati dai lavoratori o comunque da altri
creditori muniti di privilegio. La giurisprudenza di legittimita' ha,
piu' volte, ribadito che, essendo le ritenute previdenziali parte
integrante della stessa retribuzione, il datore di lavoro sarebbe
tenuto a ripartire le risorse esistenti al momento di corrispondere i
compensi ai lavoratori dipendenti in modo da poter adempiere
all'obbligo del versamento delle ritenute, anche se cio' possa
riflettersi sulla possibilita' di pagare integralmente le
retribuzioni medesime (Cassazione Sezione III, 25 settembre 2007, n.
38269).
Quando alla dedotta sproporzionalita' ed irragionevolezza delle
sanzioni irrogate, non pare percorribile la via della disapplicazione
della norma interna, sulla base dei principi affermatisi nell'ambito
dell'Unione, per ripristinare la proporzionalita' della misura della
punizione rispetto all'illecito come segnalato dai piu' recenti
interventi dalla Corte di giustizia UE (cfr. Corte di giustizia UE 8
marzo 2022, C. 205-20; Corte di giustizia UE 3 marzo 2020, C.
482-18). Come noto, il rispetto del principio di proporzionalita',
che costituisce un principio generale del diritto dell'Unione, si
impone agli Stati membri nell'attuazione di tale diritto, anche in
assenza di armonizzazione della normativa dell'Unione nel settore
delle sanzioni applicabili (cfr. in tal senso, sentenze del 26 aprile
2017, Farkas, C-564/15, EU:C:2017:302, punto 59, e del 27 gennaio
2022, Commissione/Spagna, C-788/19, EU:C:2022:55, punto 48).
Tuttavia, benche' ad avviso di questo giudice, si sia in presenza di
sanzioni sostanzialmente penali in base ai criteri di cui alla
giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo (Cfr. Corte
EDU, sentenza 8 giugno 1976, Engel e al. v. Paesi Bassi e Corte EDU,
21 febbraio 1984, Öztürk v. Germania, paragrafo 52, in Riv. it. dir.
e proc. pen. , 1985, 894), il principio di proporzionalita' di cui
all'art. 49, paragrafo 3, della Carta dei diritti fondamentali
dell'Unione europea, a norma del quale le pene inflitte non devono
essere sproporzionate rispetto al reato, non pare direttamente
applicabile alla presente fattispecie. Invero nei casi sottoposti
alla Corte CEDU, diversamente dal caso in esame, si dibatteva circa
l'applicazione delle norme interne con le quali si era data
attuazione alle direttive comunitarie. A cio' deve aggiungersi che
l'art. 6 del decreto legislativo n. 8\2016 che recita «Nel
procedimento per l'applicazione delle sanzioni amministrative
previste dal presente decreto si osservano, in quanto applicabili, le
disposizioni delle sezioni I e II del capo I della legge 24 novembre
1981, n. 689», rappresenta, appunto, la declinazione del principio di
proporzionalita'. In forza di tale principio, dunque, la sanzione
inflitta deve essere proporzionata alla gravita' dell'infrazione e
nella sua concreta determinazione occorre che il giudice possa tenere
conto delle particolari circostanze del caso come delineate dall'art.
11 della legge n. 689\1981. Tuttavia la disposizione censurata
prevede, come del resto sottolineato dalla stessa Corte
costituzionale nella ordinanza n. 199\2023, ancora un importo minimo
tassativamente determinato in misura pari ad una volta e mezza
l'importo omesso che impedisce ancora, nei casi di piu' lieve entita'
della violazione, di applicare i criteri di commisurazione della
sanzione di cui all'art. 11 della legge n. 689\1981 e quindi di
considerare la gravita' della violazione, l'opera svolta dall'agente
per la eliminazione o attenuazione delle conseguenze della
violazione, nonche' la personalita' dello stesso e le sue condizioni
economiche.
La sproporzione della sanzione irrogata rispetto all'entita',
nella specie, molto contenuta delle ritenute previdenziali di cui e'
stato omesso il versamento nonche' alla personalita' dell'autore
della violazione (si tratta delle prime ed uniche violazioni poste in
essere) e delle sue condizioni economiche come emergenti dalla
documentazione prodotta dalla ricorrente (peraltro non contestate
dall'INPS), non potrebbe essere superata neppure in seguito alla
rideterminazione, ai sensi dell'art. 9, comma 5, del decreto
legislativo n. 8 del 2016, sulla base delle indicazioni di cui alla
nota del direttore generale dell'INPS n. 3516 del 27 settembre 2022
(con allegata tabella contenente il nuovo meccanismo di
determinazione, che tiene conto di coefficienti predefiniti di
conteggio) stante la tassativita' del minimo edittale per ciascuna
violazione che preclude allo stesso Istituto la concreta possibilita'
di commisurare la sanzione all'illecito posto in essere.
A questo giudice sarebbe consentito di annullare le ordinanze
opposte e di rimodulare la sanzione nel rispetto del principio di
proporzionalita' solamente ove venisse espunto dal testo della norma
in esame il riferimento al limite minimo «da una volta e mezza ...
l'importo omesso» per la sanzione amministrativa pecuniaria degli
importi non versati sotto soglia penale.
Quanto alla non manifesta infondatezza
Ad avviso di questo giudice il minimo edittale, seppur nella
misura modificata dalla normativa sopravvenuta, per la sanzione
amministrativa sotto soglia penale conduce a risultati sanzionatori
sproporzionati rispetto alla gravita' dell'illecito posto in essere e
ad una evidente irrimediabile disparita' di trattamento in relazione
alle condizioni economiche dell'autore del fatto in violazione del
disposto dell'art. 3 della Costituzione.
Come esaustivamente chiarito nella sentenza della Corte
costituzionale n. 28 del 2022 l'ampia discrezionalita' di cui dispone
il legislatore nella quantificazione delle pene che incontra il
limite della manifesta sproporzione ai sensi del combinato disposto
degli articoli 3 e 27, terzo comma, della Costituzione «non puo' non
valere anche per la pena pecuniaria, che e' una sanzione criminale a
tutti gli effetti, seppur con una precisazione imposta dalla sua
stessa natura» nonche' per le sanzioni amministrative. Nella sentenza
della Corte si legge infatti: «Analogamente, in materia di sanzioni
amministrative pecuniarie, l'art. 11 della legge n. 689 del 1981
dispone che, in sede di determinazione di tali sanzioni, si debba
tenere conto, oltre che della gravita' della violazione e di
eventuali condotte compiute dall'agente per l'eliminazione o
l'attenuazione delle sue conseguenze, anche della personalita' e
delle condizioni economiche dell'agente medesimo; mentre, nel settore
specifico delle violazioni in materia di tutela dei mercati
finanziari - caratterizzato da sanzioni pecuniarie amministrative di
natura punitiva e di impatto potenzialmente assai significativo -
l'art. 194-bis del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58 (Testo
unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria,
ai sensi degli articoli 8 e 21 della legge 6 febbraio 1996, n. 52)
parimenti dispone che nella determinazione dell'ammontare delle
sanzioni debba tenersi conto, tra l'altro, della «capacita'
finanziaria del responsabile della violazione» (comma 1, lettera c).»
Ne consegue che il suddetto limite costituzionale esclude, piu'
in particolare, che la severita' della pena possa risultare
manifestamente sproporzionata rispetto alla gravita' oggettiva e
soggettiva dell'illecito come «accade, in particolare, ove il
legislatore fissi una misura minima della pena troppo elevata,
vincolando cosi' il giudice all'inflizione di pene che potrebbero
risultare, nel caso concreto, chiaramente eccessive rispetto alla sua
gravita'.»
Orbene, nel caso in esame, l'art. 23, comma 1, del decreto-legge
n. 48 del 2023 come convertito ha modificato l'originaria
formulazione dell'art. 2, comma 1-bis, del decreto-legge 12 settembre
1983, n. 463, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 novembre
1983, n. 638, per scriminare i fatti che hanno ancora rilevanza
penale da quelli per i quali sono previste le sole sanzioni
amministrative pecuniarie. In tal modo le fattispecie di illecito che
lo stesso legislatore ha ritenuto di maggiore gravita', sul
presupposto oggettivo del superamento della soglia di euro 10.000,00,
sono punibili ora «con la reclusione fino a tre anni e con la multa
fino a euro 1.032.» mentre le fattispecie di illecito di minore
gravita', sotto la soglia di euro 10.000,00, sono ora punite con una
sanzione amministrativa che va da un minimo pari ad una volta e mezza
l'importo omesso sino a quattro volte l'importo omesso.
Ad avviso del sottoscritto giudice mentre il limite massimo,
seppur elevato, consente all'Inps prima e comunque al giudice in sede
di opposizione di graduare la sanzione utilizzando i criteri di cui
al piu' volte citato art. 11 della legge n. 689\1981 e quindi di
proporzionare la sanzione all'illecito concretamente posto in essere
ed alla condizione soggettiva del suo autore, altro non si puo' dire
dell'importo minimo che, appunto, vincola il giudice all'inflizione
di pene che sono chiaramente eccessive soprattutto per i casi, come
quello in esame, in cui l'entita' delle ritenute di cui e' stato
omesso il versamento e' di modesta entita' e\o dipende da circostanze
esterne sulle quali non sempre puo' incidere il comportamento
dell'autore.
Inoltre il limite minimo di importo comunque elevato pone una
irragionevole disparita' di trattamento fra i trasgressori della
norma per le omissioni contributive sotto la soglia di rilevanza
penale fino all'omissione di euro 10.000 che la modifica introdotta
non consente di superare: in astratto il trasgressore che
massimamente viola il precetto normativo nel suo massimo valore
sottosoglia (per importi paria ad euro 10.000) puo' soffrire una
sanzione amministrativa che, nella sua previsione massima, e' pari a
quattro volte l'importo omesso e puo' essere graduata dal giudice.
Diversamente, il trasgressore per un importo minimo oggetto della
omissione che si collochi, come nel caso di specie al di sotto di
1000 euro (714,06), verrebbe comunque sanzionato con un importo
rilevante (nel caso in esame pari ad euro 1.428,12) a prescindere
dalle sue condizioni economiche o dalla tenuita' della condotta posta
in essere o dalla sua personalita' ect., con un un'evidente
asimmetria di trattamento dei cittadini che, violando con diversa
gravita' il precetto normativo, non vedono tale diversa gravita'
altrettanto diversamente ponderata e graduata nella determinazione
della sanzione.
Al tempo stesso, la disposizione censurata ha finito per
trasformare l'attuata depenalizzazione in un privilegio per coloro
che hanno posto in essere le omissioni piu' rilevanti sia che si
tratti di plurime omissioni di versamenti di ritenute sotto soglia
(ma di apprezzabile entita' ovvero prossime ai 10.000,00 euro) sia
che si tratti di singole o plurime omissioni di versamenti di
ritenute sopra la soglia e cio' in evidente in contrasto con l'art. 3
della Costituzione. A quest'ultimo proposito, ove si consideri che
coloro che hanno posto in essere fatti di rilevanza penale sono
puniti «con la reclusione fino a tre anni e con la multa fino a euro
1.032.» e che il limite minimo previsto per la reclusione e'
stabilito nella durata di quindici giorni, dall'art. 23 del codice
penale, appare evidente che la modulazione della pena per il reato
operata dal giudice penale sulla base delle circostanze del caso
concreto, unita alla possibilita' di ottenere la conversione in pena
pecuniaria (a prescindere dagli altri istituti sostituitivi della
pena cui il reo puo' accedere) finisce per assoggettare ad un
trattamento deteriore proprio coloro che hanno posto in essere i
fatti piu' lievi. Tale disparita' di trattamento emerge con evidenza
se si considera il tasso di conversione della reclusione in pena
pecuniaria (previsto dall'art. 53, legge n. 689/2018, per le pene
detentive brevi e, in generale, l'art. 135 del codice penale)
risultante dalla pronuncia della Corte costituzionale n. 28 del 2022
che ha inciso sull'entita' dell'importo minimo di conversione. In
applicazione dei parametri indicati dalla Corte e' agevole verificare
che la sanzione amministrativa - astrattamente prevista per le
fattispecie «sotto soglia» e quindi meno gravi - si palesa sempre
maggiormente afflittiva di quella penale, tale da rendere l'intera
disciplina del tutto incongrua, illogica e irrazionale. Infatti,
applicando il tasso di conversione della pena della reclusione alla
sanzione amministrativa, si puo' rilevare che la sanzione
amministrativa in presenza di una violazione inferiore a 1.000 euro
come nel caso di specie (714,06) nel minimo come rideterminata
«corrisponde» a diciannove giorni di reclusione (euro 1.487,00/euro
75 giornalieri), mentre per coloro che hanno posto in essere
omissioni oltre la soglia di euro 10.000,00 essendo il limite minimo
della reclusione pari a quindici giorni, il minimo della pena
pecuniaria irrogabile in sede di conversione si attesta su euro
1.125,00 (75 euro per quindici). Peraltro, essendo tale valore
previsto sino a sei mesi di reclusione, il ragguaglio consente di
evidenziare che per i fatti punibili con la reclusione in caso di
sostituzione con pena detentiva la forbice e' compresa tra un minimo
di euro 1.125 (75 euro x quindici giorni) ed un massimo di euro
13.500 (75 euro x centottanta giorni) cui va aggiunta la multa,
prevista dal minimo legale di euro 50 (cfr. art. 24 del codice
penale), che tuttavia il giudice puo' proporzionare alla situazione
concreta sottoposta al suo esame.
La disparita' di trattamento in senso deteriore rispetto ai fatti
di piu' lieve entita' non necessita di ulteriore commento.
Il limite minimo di sanzione amministrativa risulta comunque pur
sempre irragionevole e sproporzionato ove si consideri che con
decreto legislativo n. 150 del 10 ottobre 2022 e' stato ridisegnato
anche il quadro generale delle cd. sanzioni sostitutive di pene
detentive brevi in precedenza regolamentate dalla legge n. 689\1981.
Sicche', per coloro che abbiano superato la soglia dei 10.000 euro di
omesso versamento di ritenute, il giudice penale potra' procedere a
sostituire la pena detentiva breve (prevista per i casi di minor
rilevanza, ma pur sempre sopra la soglia) applicando il valore della
quota giornaliera che ora «non puo' essere inferiore a 5 euro e
superiore a 2.500 euro» e va commisurata alle complessive condizioni
economiche, patrimoniali e di vita dell'imputato, ottenendo cosi' il
risultato di irrogare una pena pecuniaria proporzionata all'illecito
posto in essere ed alla situazione anche reddituale del suo autore.
Possibilita', viceversa, del tutto preclusa in sede civile per coloro
che hanno posto in essere gli illeciti di minor gravita'.
Le risultanze sino ad ora ottenute determinano quantomeno la
violazione dell'art. 3 della Costituzione poiche' appare
evidentemente irrazionale trattare piu' severamente una violazione
piu' lieve e meno severamente una violazione piu' grave, tanto piu'
se le due violazioni sono di identica specie e se pertanto la loro
comparazione risulta immediata e obiettiva. Inoltre la segnalata
impossibilita' per il giudice civile di graduare la sanzione
amministrativa accentua la maggior afflittivita' di quest'ultima
determinando risultati del tutto abnormi in punto disparita' di
trattamento come sopra gia' evidenziato. E' appena il caso di
aggiungere che tale conclusione si appalesa ancor piu' afflittiva per
coloro che, come la R..., hanno posto in essere la condotta illecita
in anni precedenti la modifica normativa introdotta con il decreto
legislativo n. 8\2016.
Infine questo giudice rileva che qualora l'eccezione sollevata
trovasse accoglimento, non vi sarebbe un vuoto normativo in quanto
l'art. 6 del decreto legislativo n. 8 del 2016 ha operato un richiamo
specifico alle Sezioni I e II del Capo I della legge 24 novembre
1981, n. 689, e di conseguenza sarebbe applicabile l'art. 10 «la
sanzione amministrativa pecuniaria consiste nel pagamento di una
somma non inferiore a 10 euro» considerando che l'art. 12 citato
decreto a sua volta prevede «le disposizioni di questo capo si
osservano, in quanto applicabili e salvo che non sia diversamente
stabilito per tutte le violazioni per le quali e' prevista la
sanzione amministrativa del pagamento di una somma di denaro, anche
quando questa sanzione non e' prevista in sostituzione di una
sanzione penale.»
Peraltro, come sottolineato nella piu' volte richiamata sentenza
n. 28\2022 della Corte costituzionale, «l'impossibilita' di
individuare un'unica soluzione costituzionalmente obbligata al vulnus
denunciato» puo' essere superata «ben potendo questa Corte reperire
essa stessa soluzioni costituzionalmente adeguate, gia' esistenti nel
sistema e idonee a colmare temporaneamente la lacuna creata dalla
stessa pronuncia di accoglimento della questione; ferma restando poi
la possibilita' per il legislatore di individuare, nell'esercizio
della propria discrezionalita', una diversa soluzione nel rispetto
dei principi enunciati da questa Corte. E cio' tanto in materia di
dosimetria sanzionatoria (sentenze n. 185 del 2021, n. 40 del 2019,
n. 233 e n. 222 del 2018, n. 236 del 2016), quanto altrove (ex
multis, sentenze n. 63 del 2021, n. 252 e n. 224 del 2020, n. 242 del
2019 e n. 99 del 2019). Un tale adeguamento, come rileva l'odierno
rimettente, deve ritenersi imposto dal principio di eguaglianza, da
cui discende il compito della Repubblica di rimuovere gli ostacoli di
ordine economico e sociale che limitano di fatto la liberta' e
l'eguaglianza dei cittadini (art. 3, secondo comma, della
Costituzione). Nella prospettiva di un'eguaglianza «sostanziale» e
non solo «formale», il vaglio che questa Corte e' chiamata a compiere
sulla manifesta sproporzione della pena pecuniaria non potra' che
confrontarsi con il dato di realta' del diverso impatto del medesimo
quantum di una tale pena rispetto a ciascun destinatario. Tale
diverso impatto esige di essere «compensato» attraverso uno di quei
rimedi cui aveva fatto cenno la sentenza n. 131 del 1979, in modo che
il giudice sia posto nella condizione di tenere debito conto - nella
commisurazione della pena pecuniaria - delle condizioni economiche
del reo, oltre che della gravita' oggettiva e soggettiva del reato».