TRIBUNALE ORDINARIO DI BRESCIA 
            lavoro, previdenza ed assistenza obbligatoria 
 
    Nella causa civile iscritta al n. r.g. 595/2022. 
    Il giudice del lavoro dott. Mariarosa  Pipponzi,  a  scioglimento
della riserva assunta all'udienza del 24 giugno 2024  ha  pronunciato
la seguente ordinanza di rimessione alla Corte costituzionale. 
    Nella causa civile iscritta al n. r.g. 595/2022 promossa da  A...
R... (C.F. ...) nata a ..., il ..., residente in  ...,  via  ...,  in
proprio e nella sua qualita'  di  legale  rappresentante  di  ...  in
liquidazione  (C.F./P.Iva   ...,   corrente   in   ...,   via   ...),
rappresentata assistita e  difesa,  anche  disgiuntamente,  dall'avv.
Antonio       Ramera       (C.F.        RMRNTN85B15B157Z;        pec:
antonio.ramera@brescia.pecavvocati.it; fax: 030.7833098) e  dall'avv.
Andrea       Giliberto       (C.F.       GLBNDR85D23B157W;       pec:
andrea.giliberto@brescia.pecavvocati.it; fax:  030.7833098)  entrambi
del Foro di Brescia, ed  elettivamente  domiciliata  presso  il  loro
studio in Chiari (BS), vicolo Pace n. 1. 
    Ricorrente contro I.N. P.S. - Istituto nazionale della previdenza
sociale, C.F. 80078750587, in persona del presidente pro tempore, con
sede legale in 00144 -  Roma,  via  Ciro  il  Grande  n.  21  e  sede
territoriale in Brescia, via Benedetto  Croce  n.  32,  elettivamente
domiciliato nell'Avvocatura distrettuale dell'INPS  in  Brescia,  via
Pietro  Bulloni  n.  14,  presso  l'avv.   Alessandro   Mineo   (c.f.
MNILSN70P18F205T;                   indirizzo                    pec:
avv.alessandro.mineo@postacert.inps.gov.it),  che  lo  rappresenta  e
difende in forza di procura generale alle  liti  rep.  80974  del  21
luglio 2015 per atti Paolo Castellini notaio in Roma resistente. 
    Rilevato che R... A..., in proprio e quale legale  rappresentante
della ... in liquidazione, ha proposto tempestiva opposizione avverso
le ordinanze ingiunzioni notificate in data ...  dall'INPS  (n.  ...,
prot. ... del ..., n. ... prot. ... del ... e n. ...  prot.  ...  del
...) nelle quali, rilevata l'omissione nel versamento delle  ritenute
previdenziali,  e'  stata   irrogata   la   sanzione   amministrativa
rispettivamente di euro 21.500 per l'omissione relativa all'anno ...,
di euro 22.500 per l'omissione relativa all'anno ... e di euro 29.000
per l'omissione relativa all'anno ..., per un totale di  euro  73.000
complessive; 
    Per l'anno ... l'omissione contestata era il  mancato  versamento
di ritenute pari ad euro 3.809,55; 
    Per l'anno ... l'omissione contestata era il  mancato  versamento
di ritenute pari ad euro 714,06; 
    Per l'anno ... l'omissione contestata era il  mancato  versamento
di ritenute pari ad euro 2.628,73; 
    R... A..., nata il ..., ha evidenziato di essere  stata  titolare
di uno storico punto vendita di calzature in Brescia che aveva dovuto
cessare la sua attivita' per la crisi intervenuta nella prima  decade
del 2000 precisando che nel ... e nel ... non aveva ottenuto  reddito
e che aveva registrato nel ... rilevantissime perdite per quasi  euro
200.000 (a fronte  di  un  volume  di  ricavi  annui  di  circa  euro
260/280.000 nei triennio in questione - cfr. doc. 2) e di aver dovuto
porre in liquidazione la societa' nel ...; 
    Parte ricorrente ha sottolineato, in particolare, che l'omissione
contributiva, peraltro non provata dall'istituto,  dipendeva  da  una
«scelta  necessitata»,  dettata  dall'impossibilita'   materiale   di
adempiere in presenza di  un  rilevante  numero  di  creditori  anche
privilegiati da soddisfare e  che,  anche  quando  era  pervenuta  la
diffida di pagamento nel ..., non era stata in grado materialmente di
versare alcunche'; 
    Parte ricorrente  ha  lamentato  la  sproporzione  della  cornice
edittale rispetto tanto alla gravita'  (quantitativa  e  qualitativa)
dell'illecito quanto a  fattispecie  sanzionatorie  assimilabili  che
analiticamente richiamava ed  ha  sottolineato  che  l'entita'  della
sanzione  amministrativa  irrogata,  sia  considerata  per   ciascuna
violazione, sia valutata nel suo complesso  ne  attestava  la  natura
«sostanzialmente  penale»  sulla  base  dei  criteri  di   cui   alla
giurisprudenza della Corte europea dei diritti  dell'uomo  a  partire
dalla sentenza Engel; 
    R... A..., ha affermato che, benche' l'omissione  del  versamento
delle ritenute previdenziali ed assistenziali risulti punita sia  con
una sanzione amministrativa sia con una sanzione  penale,  a  seconda
che la  violazione  superi  o  meno  una  soglia  data,  la  sanzione
amministrativa - astrattamente prevista  per  le  fattispecie  «sotto
soglia»  e  quindi  meno  gravi  -  si  palesa  sempre   maggiormente
afflittiva di quella penale, tale da rendere l'intera disciplina  del
tutto incongrua, illogica e irrazionale, oltre che criminogena; 
    Parte   ricorrente   eccepiva,   quindi,    l'incostituzionalita'
dell'art. 2, comma 1-bis, del decreto-legge  n.  463/1983  convertito
con  modificazioni  dalla  legge  11  novembre  1983,  n.  638,  come
sostituito dall'art. 3, comma 6, del decreto  legislativo  n.  8  del
2016 per contrasto con l'art. 3 della Costituzione nonche' con l'art.
27, comma 3, della Costituzione osservando  che:  a)  e'  irrazionale
trattare  piu'  severamente  una  violazione  piu'   lieve   e   meno
severamente  una  violazione  piu'  grave,  tanto  piu'  se  le   due
violazioni sono di identica specie e se pertanto la loro comparazione
risulta immediata e obiettiva; b) la particolare afflittivita'  della
sanzione amministrativa, in uno  con  la  corrispondente  scarsissima
severita' della sanzione penale,  non  puo'  che  comportare  effetti
criminogeni, apparendo obiettivamente di gran lunga piu'  conveniente
per il datore di lavoro e per il suo legale  rappresentante  omettere
il versamento di  ritenute  per  importi  superiori  alla  soglia  di
punibilita' penale, in modo  tale  da  accedere  ad  un  regime  piu'
favorevole; 
    L'Inps, nel costituirsi in giudizio, premesso di aver notificato,
in presenza di omessi versamenti di importo inferiore alla soglia  di
rilevanza penale (euro 10,000,00), tre accertamenti di  violazione  a
seguito dell'entrata in vigore dell' art. 3,  comma  6,  del  decreto
legislativo n. 8/2016, che ha sostituito l'art. 2, comma  1-bis,  del
decreto-legge 12 settembre 1983, n. 463, convertito con modificazioni
dalla legge 11 novembre 1983, n. 638, cui  non  aveva  fatto  seguito
alcun pagamento entro i termini di  legge,  ha  prodotto  le  denunce
contributive provenienti dalla societa'  ...  (sub  doc.1)  e  cinque
avvisi di addebito regolarmente notificati alla societa' senza  nulla
replicare in merito all'eccezione sollevata da controparte  circa  la
sproporzionalita' ed irragionevolezza della previsione normativa; 
    Questo giudice ha pertanto sollevato, con ordinanza  in  data  16
febbraio 2022, la questione di legittimita' costituzionale, dell'art.
2,  comma  1-bis,  del  decreto-legge  12  settembre  1983,  n.  463,
convertito, con modificazioni, dalla legge 11 novembre 1983, n.  638,
come sostituito dall'art. 3, comma 6, del decreto  legislativo  n.  8
del 2016 nella parte in cui  prevede  «Se  l'importo  omesso  non  e'
superiore a euro 10.000 annui, si applica la sanzione  amministrativa
pecuniaria  da  euro  10.000»  per  contrarieta'  all'art.  3   della
Costituzione. 
    La Corte  costituzionale,  con  ordinanza  del  10  ottobre  2023
pubblicata in data 8 novembre 2023, ha restituito gli atti rimettendo
al giudice a quo di rivalutare sotto il  profilo  della  rilevanza  e
della non manifesta infondatezza la questione sollevata tenendo conto
delle intervenute modifiche legislative sul comma  censurato  operate
dal decreto-legge n. 48 del 2023 come convertito che ha sostituito le
parole «da euro 10.000 a euro 50.000» con le partole «da una volta  e
mezza a quattro volte l'importo omesso» dando atto che l'art. 23  del
citato  decreto   come   convertito   poteva   trovare   applicazione
retroattiva; 
    Riassunto il giudizio  la  parte  ricorrente,  preso  atto  delle
rideterminazione operata dall'INPS in  applicazione  della  normativa
sopravvenuta, ha nuovamente insistito per la  rimessione  alla  Corte
costituzionale producendo un grafico da cui si poteva evincere che la
modifica in esame, cui si era aggiunta quelle introdotta dal  decreto
legislativo n. 150 del 10 ottobre 2022, aveva finito per  amplificare
il  divario  tra  le  due  fattispecie,  quella  sanzionata  in   via
amministrativa e quella di  rilevanza  penale,  «rendendosi  evidente
come  la  prima  finisca  irragionevolmente  per  essere   sempre   e
sistematicamente piu' afflittiva della seconda, inverando  i  vulnera
di legittimita' costituzionale gia' lamentati in atti, tanto sub art.
3  della  Costituzione  quanto  sub   art.   27,   comma   3,   della
Costituzione». 
    In  seguito   alla   rideterminazione   dell'INPS   la   sanzione
amministrativa irrogata  e'  rispettivamente  di  euro  5.714,33  per
l'omissione relativa all'anno ..., di euro 1.428,12  per  l'omissione
relativa all'anno ... e di euro  6.571,83  per  l'omissione  relativa
all'anno ..., per  un  totale  di  euro  13.714,28  complessive..  Si
rammenta che: 
    Per l'anno ... l'omissione contestata era il  mancato  versamento
di ritenute pari ad euro 3.809,55; 
    Per l'anno ... l'omissione contestata era il  mancato  versamento
di ritenute pari ad euro 714,06; 
    Per l'anno ... l'omissione contestata era il  mancato  versamento
di ritenute pari ad euro 2.628,73; 
 
                               Osserva 
 
    Ad avviso del sottoscritto giudice l'art.  2,  comma  1-bis,  del
decreto-legge  12   settembre   1983,   n.   463,   convertito,   con
modificazioni, dalla legge  11  novembre  1983,  n.  638,  nel  testo
sostituito dall'art. 23, comma 1, del decreto-legge n. 48  del  2023,
come convertito dalla legge 3 luglio  2023,  n.  85,  nella  Gazzetta
Ufficiale 3 luglio 2023, n. 153,  nella  parte  in  cui  prevede  «Se
l'importo omesso non e' superiore a euro 10.000 annui, si applica  la
sanzione amministrativa pecuniaria da una volta  e  mezza  a  quattro
volte l'importo omesso» pone dubbi di  compatibilita'  con  l'art.  3
della Costituzione e pertanto la questione va nuovamente rimessa alla
Corte costituzionale. 
Quanto alla rilevanza 
     I motivi di opposizione afferenti  l'insussistenza  della  prova
dell'effettivo versamento delle retribuzioni relative alle  omissione
contributive di cui agli atti impugnati non  possono  essere  accolti
alla luce dell'ampia ed esaustiva documentazione prodotta  dall'INPS.
Infatti la presentazione delle denunce mensili con  modello  DM10  da
parte del datore di lavoro attestanti le retribuzioni corrisposte  ai
dipendenti e l'ammontare degli obblighi contributivi e'  prova  della
effettiva corresponsione degli  emolumenti  ai  lavoratori  (cfr.  ex
multis anche di recente Cassazione  penale,  Sez.  III,  sentenza  n.
23185 e Cassazione penale Sez. III 26579.2021). 
    I motivi di opposizione concretantesi nel rilievo  che  la  grave
crisi aziendale, che aveva costretto alla messa in liquidazione della
societa' (di cui la ricorrente  gia'  ultraottantenne  era  socia  al
98%), avesse impedito il versamento delle ritenute non possono essere
accolti in quanto, come da tempo chiarito dalla Corte di  Cassazione,
la responsabilita' del datore di lavoro per omesso  versamento  delle
ritenute non e' esclusa dalla situazione di crisi  economica  in  cui
versa l'impresa (cfr. ex multis Cassazione, 12 luglio 2019, n. 42113,
e Cassazione Sezione III, 12 febbraio  2015,  n.  11353,  proprio  in
riferimento al caso di  una  societa'  messa  in  liquidazione),  non
rilevando neppure la circostanza, pure dedotta  in  ricorso,  che  le
(scarse) risorse finanziarie fossero state destinate a far fronte  ai
crediti retributivi  vantati  dai  lavoratori  o  comunque  da  altri
creditori muniti di privilegio. La giurisprudenza di legittimita' ha,
piu' volte, ribadito che, essendo  le  ritenute  previdenziali  parte
integrante della stessa retribuzione, il  datore  di  lavoro  sarebbe
tenuto a ripartire le risorse esistenti al momento di corrispondere i
compensi  ai  lavoratori  dipendenti  in  modo  da  poter   adempiere
all'obbligo del  versamento  delle  ritenute,  anche  se  cio'  possa
riflettersi   sulla   possibilita'   di   pagare   integralmente   le
retribuzioni medesime (Cassazione Sezione III, 25 settembre 2007,  n.
38269). 
    Quando alla dedotta sproporzionalita' ed  irragionevolezza  delle
sanzioni irrogate, non pare percorribile la via della disapplicazione
della norma interna, sulla base dei principi affermatisi  nell'ambito
dell'Unione, per ripristinare la proporzionalita' della misura  della
punizione rispetto  all'illecito  come  segnalato  dai  piu'  recenti
interventi dalla Corte di giustizia UE (cfr. Corte di giustizia UE  8
marzo 2022, C. 205-20;  Corte  di  giustizia  UE  3  marzo  2020,  C.
482-18). Come noto, il rispetto del  principio  di  proporzionalita',
che costituisce un principio generale  del  diritto  dell'Unione,  si
impone agli Stati membri nell'attuazione di tale  diritto,  anche  in
assenza di armonizzazione della  normativa  dell'Unione  nel  settore
delle sanzioni applicabili (cfr. in tal senso, sentenze del 26 aprile
2017, Farkas, C-564/15, EU:C:2017:302, punto 59,  e  del  27  gennaio
2022,  Commissione/Spagna,   C-788/19,   EU:C:2022:55,   punto   48).
Tuttavia, benche' ad avviso di questo giudice, si sia in presenza  di
sanzioni sostanzialmente penali  in  base  ai  criteri  di  cui  alla
giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo (Cfr.  Corte
EDU, sentenza 8 giugno 1976, Engel e al. v. Paesi Bassi e Corte  EDU,
21 febbraio 1984, Öztürk v. Germania, paragrafo 52, in Riv. it.  dir.
e proc. pen. , 1985, 894), il principio di  proporzionalita'  di  cui
all'art. 49,  paragrafo  3,  della  Carta  dei  diritti  fondamentali
dell'Unione europea, a norma del quale le pene  inflitte  non  devono
essere  sproporzionate  rispetto  al  reato,  non  pare  direttamente
applicabile alla presente fattispecie.  Invero  nei  casi  sottoposti
alla Corte CEDU, diversamente dal caso in esame, si  dibatteva  circa
l'applicazione  delle  norme  interne  con  le  quali  si  era   data
attuazione alle direttive comunitarie. A cio'  deve  aggiungersi  che
l'art.  6  del  decreto  legislativo  n.  8\2016  che   recita   «Nel
procedimento  per  l'applicazione   delle   sanzioni   amministrative
previste dal presente decreto si osservano, in quanto applicabili, le
disposizioni delle sezioni I e II del capo I della legge 24  novembre
1981, n. 689», rappresenta, appunto, la declinazione del principio di
proporzionalita'. In forza di tale  principio,  dunque,  la  sanzione
inflitta deve essere proporzionata alla  gravita'  dell'infrazione  e
nella sua concreta determinazione occorre che il giudice possa tenere
conto delle particolari circostanze del caso come delineate dall'art.
11 della  legge  n.  689\1981.  Tuttavia  la  disposizione  censurata
prevede,   come   del   resto   sottolineato   dalla   stessa   Corte
costituzionale nella ordinanza n. 199\2023, ancora un importo  minimo
tassativamente determinato in  misura  pari  ad  una  volta  e  mezza
l'importo omesso che impedisce ancora, nei casi di piu' lieve entita'
della violazione, di applicare  i  criteri  di  commisurazione  della
sanzione di cui all'art. 11 della  legge  n.  689\1981  e  quindi  di
considerare la gravita' della violazione, l'opera svolta  dall'agente
per  la  eliminazione  o   attenuazione   delle   conseguenze   della
violazione, nonche' la personalita' dello stesso e le sue  condizioni
economiche. 
    La sproporzione della  sanzione  irrogata  rispetto  all'entita',
nella specie, molto contenuta delle ritenute previdenziali di cui  e'
stato omesso il  versamento  nonche'  alla  personalita'  dell'autore
della violazione (si tratta delle prime ed uniche violazioni poste in
essere) e  delle  sue  condizioni  economiche  come  emergenti  dalla
documentazione prodotta dalla  ricorrente  (peraltro  non  contestate
dall'INPS), non potrebbe essere  superata  neppure  in  seguito  alla
rideterminazione,  ai  sensi  dell'art.  9,  comma  5,  del   decreto
legislativo n. 8 del 2016, sulla base delle indicazioni di  cui  alla
nota del direttore generale dell'INPS n. 3516 del 27  settembre  2022
(con   allegata   tabella   contenente   il   nuovo   meccanismo   di
determinazione,  che  tiene  conto  di  coefficienti  predefiniti  di
conteggio) stante la tassativita' del minimo  edittale  per  ciascuna
violazione che preclude allo stesso Istituto la concreta possibilita'
di commisurare la sanzione all'illecito posto in essere. 
    A questo giudice sarebbe consentito  di  annullare  le  ordinanze
opposte e di rimodulare la sanzione nel  rispetto  del  principio  di
proporzionalita' solamente ove venisse espunto dal testo della  norma
in esame il riferimento al limite minimo «da una volta  e  mezza  ...
l'importo omesso» per la  sanzione  amministrativa  pecuniaria  degli
importi non versati sotto soglia penale. 
 Quanto alla non manifesta infondatezza 
    Ad avviso di questo giudice  il  minimo  edittale,  seppur  nella
misura modificata  dalla  normativa  sopravvenuta,  per  la  sanzione
amministrativa sotto soglia penale conduce a  risultati  sanzionatori
sproporzionati rispetto alla gravita' dell'illecito posto in essere e
ad una evidente irrimediabile disparita' di trattamento in  relazione
alle condizioni economiche dell'autore del fatto  in  violazione  del
disposto dell'art. 3 della Costituzione. 
    Come  esaustivamente  chiarito   nella   sentenza   della   Corte
costituzionale n. 28 del 2022 l'ampia discrezionalita' di cui dispone
il legislatore nella  quantificazione  delle  pene  che  incontra  il
limite della manifesta sproporzione ai sensi del  combinato  disposto
degli articoli 3 e 27, terzo comma, della Costituzione «non puo'  non
valere anche per la pena pecuniaria, che e' una sanzione criminale  a
tutti gli effetti, seppur con  una  precisazione  imposta  dalla  sua
stessa natura» nonche' per le sanzioni amministrative. Nella sentenza
della Corte si legge infatti: «Analogamente, in materia  di  sanzioni
amministrative pecuniarie, l'art. 11 della  legge  n.  689  del  1981
dispone che, in sede di determinazione di  tali  sanzioni,  si  debba
tenere  conto,  oltre  che  della  gravita'  della  violazione  e  di
eventuali  condotte  compiute  dall'agente   per   l'eliminazione   o
l'attenuazione delle sue  conseguenze,  anche  della  personalita'  e
delle condizioni economiche dell'agente medesimo; mentre, nel settore
specifico  delle  violazioni  in  materia  di  tutela   dei   mercati
finanziari - caratterizzato da sanzioni pecuniarie amministrative  di
natura punitiva e di impatto  potenzialmente  assai  significativo  -
l'art. 194-bis del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58 (Testo
unico delle disposizioni in materia di  intermediazione  finanziaria,
ai sensi degli articoli 8 e 21 della legge 6 febbraio  1996,  n.  52)
parimenti  dispone  che  nella  determinazione  dell'ammontare  delle
sanzioni  debba  tenersi  conto,  tra   l'altro,   della   «capacita'
finanziaria del responsabile della violazione» (comma 1, lettera c).» 
    Ne consegue che il suddetto limite costituzionale  esclude,  piu'
in  particolare,  che  la  severita'  della  pena   possa   risultare
manifestamente sproporzionata  rispetto  alla  gravita'  oggettiva  e
soggettiva  dell'illecito  come  «accade,  in  particolare,  ove   il
legislatore fissi  una  misura  minima  della  pena  troppo  elevata,
vincolando cosi' il giudice all'inflizione  di  pene  che  potrebbero
risultare, nel caso concreto, chiaramente eccessive rispetto alla sua
gravita'.» 
    Orbene, nel caso in esame, l'art. 23, comma 1, del  decreto-legge
n.  48  del  2023  come   convertito   ha   modificato   l'originaria
formulazione dell'art. 2, comma 1-bis, del decreto-legge 12 settembre
1983, n. 463, convertito, con modificazioni, dalla legge 11  novembre
1983, n. 638, per scriminare  i  fatti  che  hanno  ancora  rilevanza
penale  da  quelli  per  i  quali  sono  previste  le  sole  sanzioni
amministrative pecuniarie. In tal modo le fattispecie di illecito che
lo  stesso  legislatore  ha  ritenuto  di  maggiore   gravita',   sul
presupposto oggettivo del superamento della soglia di euro 10.000,00,
sono punibili ora «con la reclusione fino a tre anni e con  la  multa
fino a euro 1.032.» mentre  le  fattispecie  di  illecito  di  minore
gravita', sotto la soglia di euro 10.000,00, sono ora punite con  una
sanzione amministrativa che va da un minimo pari ad una volta e mezza
l'importo omesso sino a quattro volte l'importo omesso. 
    Ad avviso del sottoscritto  giudice  mentre  il  limite  massimo,
seppur elevato, consente all'Inps prima e comunque al giudice in sede
di opposizione di graduare la sanzione utilizzando i criteri  di  cui
al piu' volte citato art. 11 della legge  n.  689\1981  e  quindi  di
proporzionare la sanzione all'illecito concretamente posto in  essere
ed alla condizione soggettiva del suo autore, altro non si puo'  dire
dell'importo minimo che, appunto, vincola il  giudice  all'inflizione
di pene che sono chiaramente eccessive soprattutto per i  casi,  come
quello in esame, in cui l'entita' delle  ritenute  di  cui  e'  stato
omesso il versamento e' di modesta entita' e\o dipende da circostanze
esterne  sulle  quali  non  sempre  puo'  incidere  il  comportamento
dell'autore. 
    Inoltre il limite minimo di importo  comunque  elevato  pone  una
irragionevole disparita' di  trattamento  fra  i  trasgressori  della
norma per le omissioni contributive  sotto  la  soglia  di  rilevanza
penale fino all'omissione di euro 10.000 che la  modifica  introdotta
non  consente  di  superare:  in   astratto   il   trasgressore   che
massimamente viola il  precetto  normativo  nel  suo  massimo  valore
sottosoglia (per importi paria ad  euro  10.000)  puo'  soffrire  una
sanzione amministrativa che, nella sua previsione massima, e' pari  a
quattro volte l'importo omesso e puo' essere  graduata  dal  giudice.
Diversamente, il trasgressore per un  importo  minimo  oggetto  della
omissione che si collochi, come nel caso di specie  al  di  sotto  di
1000 euro (714,06),  verrebbe  comunque  sanzionato  con  un  importo
rilevante (nel caso in esame pari ad  euro  1.428,12)  a  prescindere
dalle sue condizioni economiche o dalla tenuita' della condotta posta
in  essere  o  dalla  sua  personalita'  ect.,  con  un   un'evidente
asimmetria di trattamento dei cittadini  che,  violando  con  diversa
gravita' il precetto normativo,  non  vedono  tale  diversa  gravita'
altrettanto diversamente ponderata e  graduata  nella  determinazione
della sanzione. 
    Al  tempo  stesso,  la  disposizione  censurata  ha  finito   per
trasformare l'attuata depenalizzazione in un  privilegio  per  coloro
che hanno posto in essere le omissioni  piu'  rilevanti  sia  che  si
tratti di plurime omissioni di versamenti di  ritenute  sotto  soglia
(ma di apprezzabile entita' ovvero prossime ai  10.000,00  euro)  sia
che si tratti  di  singole  o  plurime  omissioni  di  versamenti  di
ritenute sopra la soglia e cio' in evidente in contrasto con l'art. 3
della Costituzione. A quest'ultimo proposito, ove  si  consideri  che
coloro che hanno posto in  essere  fatti  di  rilevanza  penale  sono
puniti «con la reclusione fino a tre anni e con la multa fino a  euro
1.032.» e  che  il  limite  minimo  previsto  per  la  reclusione  e'
stabilito nella durata di quindici giorni, dall'art.  23  del  codice
penale, appare evidente che la modulazione della pena  per  il  reato
operata dal giudice penale sulla  base  delle  circostanze  del  caso
concreto, unita alla possibilita' di ottenere la conversione in  pena
pecuniaria (a prescindere dagli  altri  istituti  sostituitivi  della
pena cui il  reo  puo'  accedere)  finisce  per  assoggettare  ad  un
trattamento deteriore proprio coloro che  hanno  posto  in  essere  i
fatti piu' lievi. Tale disparita' di trattamento emerge con  evidenza
se si considera il tasso di  conversione  della  reclusione  in  pena
pecuniaria (previsto dall'art. 53, legge n.  689/2018,  per  le  pene
detentive brevi  e,  in  generale,  l'art.  135  del  codice  penale)
risultante dalla pronuncia della Corte costituzionale n. 28 del  2022
che ha inciso sull'entita' dell'importo  minimo  di  conversione.  In
applicazione dei parametri indicati dalla Corte e' agevole verificare
che la  sanzione  amministrativa  -  astrattamente  prevista  per  le
fattispecie «sotto soglia» e quindi meno gravi  -  si  palesa  sempre
maggiormente afflittiva di quella penale, tale  da  rendere  l'intera
disciplina del tutto  incongrua,  illogica  e  irrazionale.  Infatti,
applicando il tasso di conversione della pena della  reclusione  alla
sanzione  amministrativa,  si   puo'   rilevare   che   la   sanzione
amministrativa in presenza di una violazione inferiore a  1.000  euro
come nel caso  di  specie  (714,06)  nel  minimo  come  rideterminata
«corrisponde» a diciannove giorni di reclusione  (euro  1.487,00/euro
75  giornalieri),  mentre  per  coloro  che  hanno  posto  in  essere
omissioni oltre la soglia di euro 10.000,00 essendo il limite  minimo
della reclusione  pari  a  quindici  giorni,  il  minimo  della  pena
pecuniaria irrogabile in sede  di  conversione  si  attesta  su  euro
1.125,00 (75  euro  per  quindici).  Peraltro,  essendo  tale  valore
previsto sino a sei mesi di reclusione,  il  ragguaglio  consente  di
evidenziare che per i fatti punibili con la  reclusione  in  caso  di
sostituzione con pena detentiva la forbice e' compresa tra un  minimo
di euro 1.125 (75 euro x quindici  giorni)  ed  un  massimo  di  euro
13.500 (75 euro x centottanta  giorni)  cui  va  aggiunta  la  multa,
prevista dal minimo legale di  euro  50  (cfr.  art.  24  del  codice
penale), che tuttavia il giudice puo' proporzionare  alla  situazione
concreta sottoposta al suo esame. 
    La disparita' di trattamento in senso deteriore rispetto ai fatti
di piu' lieve entita' non necessita di ulteriore commento. 
    Il limite minimo di sanzione amministrativa risulta comunque  pur
sempre irragionevole  e  sproporzionato  ove  si  consideri  che  con
decreto legislativo n. 150 del 10 ottobre 2022 e'  stato  ridisegnato
anche il quadro generale  delle  cd.  sanzioni  sostitutive  di  pene
detentive brevi in precedenza regolamentate dalla legge n.  689\1981.
Sicche', per coloro che abbiano superato la soglia dei 10.000 euro di
omesso versamento di ritenute, il giudice penale potra'  procedere  a
sostituire la pena detentiva breve (prevista  per  i  casi  di  minor
rilevanza, ma pur sempre sopra la soglia) applicando il valore  della
quota giornaliera che ora «non puo'  essere  inferiore  a  5  euro  e
superiore a 2.500 euro» e va commisurata alle complessive  condizioni
economiche, patrimoniali e di vita dell'imputato, ottenendo cosi'  il
risultato di irrogare una pena pecuniaria proporzionata  all'illecito
posto in essere ed alla situazione anche reddituale del  suo  autore.
Possibilita', viceversa, del tutto preclusa in sede civile per coloro
che hanno posto in essere gli illeciti di minor gravita'. 
    Le risultanze sino ad  ora  ottenute  determinano  quantomeno  la
violazione   dell'art.   3   della   Costituzione   poiche'    appare
evidentemente irrazionale trattare piu'  severamente  una  violazione
piu' lieve e meno severamente una violazione piu' grave,  tanto  piu'
se le due violazioni sono di identica specie e se  pertanto  la  loro
comparazione risulta immediata  e  obiettiva.  Inoltre  la  segnalata
impossibilita'  per  il  giudice  civile  di  graduare  la   sanzione
amministrativa accentua  la  maggior  afflittivita'  di  quest'ultima
determinando risultati del  tutto  abnormi  in  punto  disparita'  di
trattamento come  sopra  gia'  evidenziato.  E'  appena  il  caso  di
aggiungere che tale conclusione si appalesa ancor piu' afflittiva per
coloro che, come la R..., hanno posto in essere la condotta  illecita
in anni precedenti la modifica normativa introdotta  con  il  decreto
legislativo n. 8\2016. 
    Infine questo giudice rileva che  qualora  l'eccezione  sollevata
trovasse accoglimento, non vi sarebbe un vuoto  normativo  in  quanto
l'art. 6 del decreto legislativo n. 8 del 2016 ha operato un richiamo
specifico alle Sezioni I e II del Capo  I  della  legge  24  novembre
1981, n. 689, e di conseguenza  sarebbe  applicabile  l'art.  10  «la
sanzione amministrativa pecuniaria  consiste  nel  pagamento  di  una
somma non inferiore a 10 euro»  considerando  che  l'art.  12  citato
decreto a sua volta  prevede  «le  disposizioni  di  questo  capo  si
osservano, in quanto applicabili e salvo  che  non  sia  diversamente
stabilito per tutte  le  violazioni  per  le  quali  e'  prevista  la
sanzione amministrativa del pagamento di una somma di  denaro,  anche
quando questa  sanzione  non  e'  prevista  in  sostituzione  di  una
sanzione penale.» 
    Peraltro, come sottolineato nella piu' volte richiamata  sentenza
n.  28\2022  della   Corte   costituzionale,   «l'impossibilita'   di
individuare un'unica soluzione costituzionalmente obbligata al vulnus
denunciato» puo' essere superata «ben potendo questa  Corte  reperire
essa stessa soluzioni costituzionalmente adeguate, gia' esistenti nel
sistema e idonee a colmare temporaneamente  la  lacuna  creata  dalla
stessa pronuncia di accoglimento della questione; ferma restando  poi
la possibilita' per il  legislatore  di  individuare,  nell'esercizio
della propria discrezionalita', una diversa  soluzione  nel  rispetto
dei principi enunciati da questa Corte. E cio' tanto  in  materia  di
dosimetria sanzionatoria (sentenze n. 185 del 2021, n. 40  del  2019,
n. 233 e n. 222 del 2018,  n.  236  del  2016),  quanto  altrove  (ex
multis, sentenze n. 63 del 2021, n. 252 e n. 224 del 2020, n. 242 del
2019 e n. 99 del 2019). Un tale adeguamento,  come  rileva  l'odierno
rimettente, deve ritenersi imposto dal principio di  eguaglianza,  da
cui discende il compito della Repubblica di rimuovere gli ostacoli di
ordine economico e sociale  che  limitano  di  fatto  la  liberta'  e
l'eguaglianza  dei  cittadini   (art.   3,   secondo   comma,   della
Costituzione). Nella prospettiva di  un'eguaglianza  «sostanziale»  e
non solo «formale», il vaglio che questa Corte e' chiamata a compiere
sulla manifesta sproporzione della pena  pecuniaria  non  potra'  che
confrontarsi con il dato di realta' del diverso impatto del  medesimo
quantum di una  tale  pena  rispetto  a  ciascun  destinatario.  Tale
diverso impatto esige di essere «compensato» attraverso uno  di  quei
rimedi cui aveva fatto cenno la sentenza n. 131 del 1979, in modo che
il giudice sia posto nella condizione di tenere debito conto -  nella
commisurazione della pena pecuniaria -  delle  condizioni  economiche
del reo, oltre che della gravita' oggettiva e soggettiva del reato».