ha pronunciato la seguente SENTENZA nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 2941, numero 7), del codice civile, promosso dal Collegio arbitrale di Padova nel procedimento vertente tra la S.I.PER. - Societa' Immobiliare Perginese snc di F.P. & C. e P.F., con ordinanza del 7 novembre 2014, iscritta al n. 39 del registro ordinanze 2015 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 12, prima serie speciale, dell'anno 2015. Udito nella camera di consiglio del 2 dicembre 2015 il Giudice relatore Silvana Sciarra. Ritenuto in fatto 1.- Con ordinanza del 7 novembre 2014, iscritta al n. 39 del registro ordinanze 2015, il Collegio arbitrale di Padova solleva, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, questione di legittimita' costituzionale dell'art. 2941, numero 7), del codice civile, nella parte in cui non sospende la prescrizione tra la societa' in nome collettivo e i suoi amministratori per le azioni di responsabilita' intentate nei loro confronti, finche' sono in carica. 1.1.- Il Collegio premette di dover decidere, in forza di una convenzione di arbitrato rituale, sulla domanda risarcitoria proposta dalla S.I.PER.-Societa' Italiana Perginese snc nei confronti dell'amministratore P.F. per i danni derivanti da mala gestio. La societa' aveva addebitato a P.F., amministratore dal 1976 al giugno 2008, numerose condotte illecite, foriere di un danno ragguardevole. Nella procedura arbitrale, per i fatti anteriori al 1° marzo 2005, P.F. aveva eccepito preliminarmente l'estinzione delle pretese della societa' per decorso del termine quinquennale di prescrizione, interrotto soltanto, il 1° marzo 2010, dalla notifica della domanda arbitrale. L'amministratore convenuto in giudizio contestava la richiesta della societa' di trasporre alla societa' in nome collettivo, sulla scorta di un'asserita identita' di ratio, i principi enunciati dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 322 del 1998. Tale pronuncia aveva sancito la sospensione del termine di prescrizione di cui all'art. 2941, numero 7), cod. civ. soltanto per la societa' in accomandita semplice, contraddistinta da uno speciale assetto dei rapporti tra amministratori e soci, affine a quello delle societa' di capitali, e da limitati poteri di controllo dei soci accomandanti. Nelle societa' in nome collettivo - argomentava l'amministratore - i rapporti sociali si atteggerebbero in modo diverso, in considerazione della tendenziale coincidenza tra soci e amministratori e dei poteri di indagine e di verifica, affidati ai soci che non svolgono le funzioni di amministratori. L'amministratore chiedeva che le domande della societa' fossero comunque respinte, per infondatezza, per carenza di legittimazione attiva della societa' attrice o per nullita' conseguente all'indeterminatezza assoluta del petitum e della causa petendi. 1.2.- Il Collegio arbitrale di Padova, con ordinanza del 26 agosto 2013, ritenendo l'eccezione di prescrizione idonea a definire il giudizio, sollevava, in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., questione di costituzionalita' dell'art. 2941, numero 7), cod. civ., nella parte in cui non prevede la sospensione della prescrizione tra societa' in nome collettivo e amministratori per le azioni sociali di responsabilita' proposte nei loro confronti, fintantoche' sono in carica. Con ordinanza n. 123 del 2014, la Corte costituzionale dichiarava la manifesta inammissibilita' della questione, poiche' il Collegio arbitrale aveva omesso l'esame della validita' della clausola compromissoria alla stregua dell'art. 34, comma 2, del decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 5 (Definizione dei procedimenti in materia di diritto societario e di intermediazione finanziaria, nonche' in materia bancaria e creditizia, in attuazione dell'articolo 12 della legge 3 ottobre 2001, n. 366). Tale carenza argomentativa in ordine alla potestas iudicandi implicava la manifesta inammissibilita' della questione di legittimita' costituzionale per difetto di motivazione sulla rilevanza. Il 18 luglio 2014, la societa' attrice, ai sensi dell'art. 819-bis codice di procedura civile, depositava istanza per la prosecuzione del giudizio arbitrale. Il Collegio arbitrale, ripercorse tali vicende processuali, ripropone la questione di costituzionalita' dichiarata inammissibile, rilevando che la giurisprudenza di merito ha escluso la nullita' sopravvenuta delle clausole compromissorie che non siano state adeguate ai dettami dell'art. 34, comma 2, del d.lgs. n. 5 del 2003. Lo stesso convenuto - soggiunge il Collegio rimettente - non ha mai revocato in dubbio la validita' della clausola compromissoria, che deve essere ribadita, in quanto si verte in tema di societa' di persone, escluse dall'ambito applicativo della riforma, e di una clausola compromissoria, stipulata ben prima dell'entrata in vigore del d.lgs. n. 5 del 2003. Ad avviso degli arbitri, difatti, l'obbligo di adeguare le clausole compromissorie grava soltanto sulle societa' di capitali e su quelle cooperative e non gia' sulle societa' di persone, iscritte nel registro delle imprese all'epoca dell'entrata in vigore della disciplina sopravvenuta. Gli arbitri desumono una conferma di tale tesi dall'art. 34, comma 6, del d.l.gs. n. 5 del 2003, che disciplina l'introduzione o la soppressione delle clausole compromissorie con l'approvazione di tanti soci che rappresentino almeno i due terzi del capitale sociale. Tale disposizione mal si concilierebbe con la disciplina delle societa' di persone, che prevede la modificazione del contratto sociale solo all'unanimita' o comunque con maggioranze ancorate non al capitale, ma alla quota di partecipazione agli utili. Inoltre, il principio di irretroattivita' della legge postula lo scrutinio della validita' della clausola con riguardo al tempo in cui e' stata redatta. La previsione di una nullita' sopravvenuta delle clausole compromissorie, in difetto di una procedura facilitata di adeguamento, intralcerebbe il ricorso all'arbitrato, in contraddizione con il favore che circonda tale strumento alternativo alla giurisdizione. La competenza degli arbitri si fonderebbe anche sull'assenso implicito delle parti, che non hanno sollevato eccezioni di sorta sulla validita' della clausola e, sottoscrivendo il verbale di costituzione del Collegio arbitrale, hanno manifestato l'inequivocabile volonta' di deferire agli arbitri la soluzione della lite in forza di un nuovo e autonomo compromesso, seppure tacito. Trattandosi di arbitrato introdotto prima della declaratoria d'incostituzionalita' dell'art. 819-ter, secondo comma, cod. proc. civ. (sentenza n. 223 del 2013), non si potrebbe neppure prospettare una questione di translatio iudicii. 1.3.- In punto di rilevanza, gli arbitri osservano che, senza un intervento additivo che ripristini la legalita' costituzionale ed estenda anche alle societa' in nome collettivo la sospensione della prescrizione, le pretese risarcitorie della societa' sarebbero in larga parte prescritte. Il Collegio arbitrale esclude che l'art. 2941, numero 7), cod. civ. si possa applicare gia' de iure condito alle societa' di persone e, in particolare, alla societa' in nome collettivo, sprovvista di personalita' giuridica. La norma, che delinea una causa di sospensione della prescrizione, si configura come eccezionale, di stretta interpretazione, e, pertanto, non si potrebbero applicare estensivamente alla societa' in nome collettivo i principi enunciati dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 322 del 1998, con esclusivo riguardo alle societa' in accomandita semplice. Quanto alla non manifesta infondatezza, il Collegio rimettente ritiene priva di ogni ragion d'essere la limitazione della sospensione della prescrizione alle sole societa' di capitali. Ad un attento vaglio critico, non reggerebbe alcuna delle giustificazioni addotte a sostegno di tale limitazione. La coincidenza tra attore e convenuto che si determina quando la persona giuridica agisce nei confronti degli amministratori, la difficolta' di conoscere gli illeciti degli amministratori finche' ricoprono l'incarico, la peculiarita' dell'organizzazione corporativa, contrassegnata da una rigida separazione di competenze tra i diversi organi, tutti di istituzione obbligatoria, non danno conto della diversita' di regime tra societa' di capitali e societa' di persone, in merito alla sospensione della prescrizione. Il Collegio rimettente specifica che anche le societa' di persone si strutturano come fenomeni associativi a rilevanza esterna, caratterizzati da un'autonomia patrimoniale variamente modulata e da una soggettivita' che vale a distinguerle dai soci che le compongono. A rigore, il problema della coincidenza tra attore (societa') e convenuto (amministratore) si dovrebbe prospettare in termini identici per tutti i tipi sociali, a prescindere dalla personalita' giuridica che li connota. La capacita' degli amministratori delle societa' di capitali di occultare piu' agevolmente gli illeciti, finche' rimangono in carica, non parrebbe un argomento risolutivo. La legge, per una societa' di capitali come la societa' a responsabilita' limitata, prescrive una trasparenza della gestione finanche piu' elevata rispetto a quella delle societa' di persone e, nondimeno, non esclude per tale societa' l'applicazione della causa di sospensione della prescrizione. Anche la separazione di competenze tra gli organi non potrebbe assurgere a giustificazione plausibile. Essa e' piu' sfumata in alcune societa' di capitali, come la societa' a responsabilita' limitata, che puo' scegliere, con riguardo ai rapporti tra i soci e gli amministratori, assetti comparabili a quelli delle societa' in nome collettivo. Non vi sarebbero ragioni idonee a giustificare la sperequazione, sul versante della sospensione della prescrizione, tra le societa' di capitali e la societa' in accomandita semplice, da un lato, e la societa' in nome collettivo, dall'altro. L'ingiustificata disparita' di trattamento pregiudicherebbe, inoltre, il diritto di difesa della societa' con riferimento agli illeciti imputabili agli amministratori. Considerato in diritto 1.- Il Collegio arbitrale di Padova dubita della legittimita' costituzionale dell'art. 2941, numero 7), del codice civile, nella parte in cui non estende la sospensione della prescrizione anche alle azioni di responsabilita' promosse dalla societa' in nome collettivo contro gli amministratori, finche' rimangono in carica. Gli arbitri denunciano il contrasto della norma impugnata con gli artt. 3 e 24 della Costituzione, in quanto assumono che l'ordinamento riservi alle societa' in nome collettivo un trattamento deteriore, privo di ogni ragion d'essere, rispetto alle societa' di capitali e alle societa' in accomandita semplice. Le societa' di capitali e, dopo l'intervento additivo di questa Corte (sentenza n. 322 del 1998), le societa' in accomandita semplice beneficiano della sospensione della prescrizione delle azioni di responsabilita' contro gli amministratori, finche' questi rimangono in carica. Tale sospensione non opera per le societa' in nome collettivo e non puo' essere affermata in virtu' di un'interpretazione conforme al dettato costituzionale. Gli arbitri non ritengono ragionevoli le giustificazioni tradizionalmente addotte per tale disparita' di trattamento. Le giustificazioni in esame fanno leva sulla coincidenza tra attore e convenuto, connaturata alle cause proposte dalle persone giuridiche contro gli amministratori, sulle difficolta', in cui si imbattono le persone giuridiche nell'accertare gli illeciti di chi le amministra, sull'organizzazione di tipo corporativo e sulla rigida separazione di competenze tra gli organi, che contraddistinguono le persone giuridiche e non hanno riscontro nelle societa' di persone, tendenzialmente amministrate da tutti i soci. Tale disparita' di trattamento pregiudicherebbe, in ultima analisi, il diritto di azione delle societa' in nome collettivo (art. 24 Cost.). 2.- In via preliminare, occorre esaminare l'ammissibilita' della questione riproposta dal Collegio arbitrale di Padova. 2.1.- La valutazione di rilevanza, che e' prerogativa del giudice rimettente, investe anche l'accertamento della validita' dei presupposti di esistenza del giudizio principale (sentenza n. 61 del 2012, punto 2.1. del Considerato in diritto). La valutazione di ammissibilita', demandata a questa Corte, si esaurisce nella verifica che i presupposti di esistenza del giudizio «non risultino manifestamente e incontrovertibilmente carenti» nel momento in cui la questione e' proposta (sentenza n. 62 del 1992, punto 3. del Considerato in diritto). E' sufficiente che la valutazione del giudice a quo sia avvalorata, a tale riguardo, da «una motivazione non implausibile» (sentenza n. 270 del 2010, punto 4.2. del Considerato in diritto) e che la carenza dei presupposti di esistenza del giudizio non risulti macroscopica (sentenza n. 34 del 2010, punto 4. del Considerato in diritto). 2.2.- Con riferimento alla validita' della clausola compromissoria, che fonda il potere di decidere degli arbitri, la motivazione del Collegio rimettente, a prescindere dalla sua fondatezza, il cui scrutinio non compete a questa Corte, supera il vaglio di non implausibilita'. L'ordinanza n. 123 del 2014, dopo avere richiamato le modalita' di designazione degli arbitri prescritte, a pena di nullita', dall'art. 34, comma 2, del decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 5 (Definizione dei procedimenti in materia di diritto societario e di intermediazione finanziaria, nonche' in materia bancaria e creditizia, in attuazione dell'articolo 12 della legge 3 ottobre 2001, n. 366), aveva riscontrato «il mancato esame, sotto questo profilo, della validita' della clausola compromissoria», che non attribuisce la nomina degli arbitri a terzi estranei alla societa'. Tale «carenza argomentativa in ordine alla potestas iudicandi» si risolveva nella «manifesta inammissibilita' della questione di legittimita' costituzionale, per difetto di motivazione sulla rilevanza». Nell'odierno giudizio, il Collegio arbitrale ha colmato le lacune argomentative, che, all'origine, avevano condotto questa Corte alla dichiarazione di manifesta inammissibilita'. Se, nel primo incidente di costituzionalita', gli arbitri avevano trascurato del tutto la disamina di questi profili, nel riproporre la questione essi illustrano le ragioni che depongono a favore della validita' della clausola compromissoria. Gli arbitri prendono le mosse dal vivace dibattito, che ha accompagnato la transizione verso l'arbitrato commerciale, delineato dall'art. 34 del d.lgs. n. 5 del 2003. Il Collegio rimettente circoscrive alle societa' di capitali e alle societa' cooperative l'obbligo di conformare le clausole compromissorie degli statuti alle novita' normative sulla designazione degli arbitri. In tale ottica, il Collegio valorizza, sul piano letterale, la mancanza di una norma espressa sulle procedure di adeguamento degli atti costitutivi delle societa' di persone. Sul piano sistematico, gli arbitri argomentano che la nullita' indiscriminata delle clausole compromissorie preesistenti vanificherebbe il favore accordato alla risoluzione arbitrale delle controversie societarie. Con riguardo alla vicenda specifica, gli arbitri pongono l'accento sul contegno processuale delle parti, che denota l'inequivocabile volonta' di investire il Collegio della soluzione della controversia. Le parti - si precisa - non hanno sollevato eccezioni di sorta sulla validita' della clausola compromissoria e hanno sottoscritto senza riserve il verbale di costituzione del Collegio. 2.3.- Con riferimento all'ammissibilita', va esaminata anche la praticabilita' di un'interpretazione costituzionalmente orientata della norma. Il Collegio arbitrale ritiene che tale interpretazione sia preclusa e dissente dall'opinione che, dopo l'intervento di questa Corte (sentenza n. 322 del 1998), applica la sospensione della prescrizione delle azioni di responsabilita' a tutte le societa' di persone. Tale interpretazione estensiva, secondo gli arbitri, confliggerebbe con la tassativita' delle cause di sospensione della prescrizione e travalicherebbe i limiti del precedente di questa Corte, che riguarda le sole societa' in accomandita semplice. Ai fini dell'ammissibilita' della questione, e' sufficiente che il giudice a quo esplori la possibilita' di un'interpretazione conforme alla Carta fondamentale e, come avviene nel caso di specie, la escluda consapevolmente (sentenza n. 221 del 2015, punto 3.3. del Considerato in diritto). La fondatezza delle diverse interpretazioni attiene al merito della questione, che e' cosi' possibile scrutinare, dopo avere sgombrato il campo dai profili preliminari. 3.- La questione e' fondata. 3.1.- Per le azioni di responsabilita', intraprese dalle societa' in nome collettivo contro gli amministratori, non opera la sospensione della prescrizione, sancita per le persone giuridiche e per le societa' in accomandita semplice. Il contrasto con il principio di eguaglianza appare stridente, in particolare, nella comparazione tra la societa' in nome collettivo e la societa' in accomandita semplice, assoggettata alle disposizioni della societa' in nome collettivo compatibili con il tipo sociale (art. 2315 cod. civ.). Pur accomunate da una disciplina omogenea nei suoi tratti salienti, tali societa' differiscono nel regime di sospensione della prescrizione delle azioni di responsabilita'. Si tratta di una disparita' di trattamento priva di una giustificazione plausibile, al pari delle differenze che ancora intercorrono in tale materia tra societa' in nome collettivo e persone giuridiche. Le motivazioni, che hanno condotto questa Corte ad estendere alle societa' in accomandita semplice la sospensione della prescrizione vigente per le persone giuridiche, prescindono dalla peculiare composizione delle societa' in accomandita semplice e dalla distinzione tra soci accomandanti e soci accomandatari, che ne condiziona alcune specificita' di disciplina. Dotate di valenza generale, esse si raccordano alla ratio della causa di sospensione della prescrizione e si attagliano, pertanto, anche alle societa' in nome collettivo. 3.2.- Tale causa di sospensione si correla al rapporto gestorio che vincola la societa' all'amministratore (sentenza n. 322 del 1998, punto 4. del Considerato in diritto) e si atteggia in termini unitari con riguardo alle esigenze di tutela della societa'. In particolare, durante la permanenza in carica degli amministratori, e' piu' difficile per la societa' acquisire compiuta conoscenza degli illeciti che essi hanno commesso e determinarsi a promuovere le azioni di responsabilita'. La ratio della causa di sospensione non risiede, dunque, nel dato formalistico della coincidenza tra attore e convenuto, tipica di un giudizio instaurato dalla societa' contro l'amministratore. Questa circostanza non chiarisce la specificita' della causa di sospensione, che opera a beneficio di una sola parte, la societa', e si prefigge di tutelarne la posizione. La contrapposizione di interessi tra societa' e amministratori, che ostacola un'azione efficace e tempestiva della societa', non ha alcuna attinenza con la personalita' giuridica. Le discriminazioni, legate a un dato estrinseco, sono disarmoniche rispetto alla ratio che ispira la disciplina della sospensione della prescrizione. A fronte delle difficolta' operative, insite nell'accertamento degli illeciti degli amministratori ancora in carica, la personalita' giuridica non configura un elemento qualificante e idoneo a tracciare un discrimine ragionevole tra le diverse societa'. L'irragionevolezza di un criterio distintivo cosi' congegnato si coglie anche sotto altri profili. Se la personalita' giuridica definisce la completa alterita' tra la societa' e i soci che ne fanno parte, un fenomeno di unificazione soggettiva emerge anche nelle societa' di persone, che si pongono come autonomo centro di imputazione di diritti e obblighi, distinto rispetto alle persone dei soci (art. 2266, primo comma, cod. civ., che riconduce direttamente alla societa' l'acquisizione di diritti e l'assunzione di obbligazioni). Dalla diversa conformazione della soggettivita' non possono scaturire diversita' cosi' gravide di conseguenze sulla disciplina delle azioni di responsabilita' contro gli amministratori, tema di per se' estraneo alle mutevoli graduazioni della soggettivita' degli enti. Un criterio distintivo, calibrato sulla personalita' giuridica, si palesa irragionevole in un contesto normativo che registra, tra i molteplici tipi sociali, confini sempre piu' fluidi e ricorrenti occasioni di osmosi. In un sistema che assegna all'autonomia privata un ruolo di cruciale importanza (art. 2479 cod. civ.), le societa' a responsabilita' limitata, pur provviste di personalita' giuridica, possono mutuare dalle societa' di persone alcuni tratti caratteristici dei modelli organizzativi. Una societa' di persone, composta da soci che non partecipino tutti all'amministrazione (art. 2261, primo comma, cod. civ.), non e' meno bisognosa di tutela di una societa' di capitali, in cui l'organizzazione corporativa e il sistema di contrappesi e di controlli apprestano una protezione piu' incisiva contro gli abusi degli amministratori. E' arbitraria, pertanto, la scelta di diversificare la decorrenza dei termini di prescrizione in base a un elemento, la personalita' giuridica, che non soltanto vede attenuarsi il suo ruolo di fattore ordinante della disciplina societaria, ma non ha portata scriminante per il diverso aspetto della responsabilita' degli amministratori per gli illeciti commessi durante la permanenza in carica. 4.- Restano assorbite le censure, che evocano un pregiudizio al diritto di azione delle societa' in nome collettivo (art. 24 Cost.).