ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  1  del
decreto-legge 24 gennaio 2015, n. 3 (Misure urgenti  per  il  sistema
bancario  e  gli  investimenti),   convertito,   con   modificazioni,
dall'art. 1, comma 1, della legge 24  marzo  2015,  n.  33,  promosso
dalla Regione Lombardia con ricorso notificato  il  22  maggio  2015,
depositato in cancelleria il 29 maggio 2015 e iscritto al n.  58  del
registro ricorsi 2015. 
    Visto l'atto di costituzione del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nell'udienza  pubblica  del  19  ottobre  2016  il  Giudice
relatore Daria de Pretis; 
    uditi gli avvocati Pio Dario Vivone per la  Regione  Lombardia  e
l'avvocato dello Stato Paolo Gentili per il Presidente del  Consiglio
dei ministri. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ricorso notificato il 22 maggio  2015,  depositato  nella
cancelleria della Corte il 29 maggio 2015 e iscritto  al  n.  58  del
registro ricorsi del 2015, la Regione Lombardia ha impugnato l'art. 1
del decreto-legge 24 gennaio  2015,  n.  3  (Misure  urgenti  per  il
sistema bancario e gli investimenti),  convertito  con  modificazioni
dall'art. 1, comma 1, della legge 24 marzo 2015, n. 33. 
    La ricorrente osserva, in generale, come la norma impugnata attui
una penetrante riforma della disciplina delle banche popolari che  ne
snaturerebbe l'attuale configurazione di schema  tipico  del  credito
cooperativo finalizzato allo svolgimento mutualistico  dell'attivita'
bancaria, che si colloca  tradizionalmente  nel  contesto  geografico
delle comunita' locali a  beneficio  di  famiglie,  piccole  e  medie
imprese e consumatori. 
    Dopo avere premesso brevi cenni sulla storia  e  le  peculiarita'
delle banche popolari italiane, la cui nascita  risale  alla  seconda
meta' del diciannovesimo secolo, e  averne  ricordato  la  diffusione
capillare a livello locale e  la  elevata  capacita'  di  raccogliere
risparmio ed erogare credito, soprattutto in Lombardia, la ricorrente
illustra i benefici che le regioni  traggono  dagli  utili  destinati
dalle banche  popolari  a  finalita'  di  carattere  socio-sanitario,
scientifico e culturale. Il loro ammontare e' pari a 140  milioni  di
euro in tutta Italia e a ben 85 milioni nella sola Lombardia, per  il
territorio della quale rappresenterebbero una risorsa  insostituibile
anche in ambiti che, come  la  sanita',  rientrano  nella  competenza
legislativa delle regioni. 
    La ricorrente passa poi a illustrare i  quattro  motivi  posti  a
fondamento dell'impugnazione. 
    2.- Con la prima questione, la  Regione  sostiene  che  la  norma
impugnata violerebbe la competenza legislativa regionale  concorrente
in materia di «casse di risparmio, casse rurali, aziende di credito a
carattere regionale», stabilita dall'art.  117,  terzo  comma,  della
Costituzione. 
    La  ricorrente  osserva  preliminarmente  che  tale   competenza,
riconosciuta un tempo alle sole regioni a statuto speciale, e'  stata
introdotta tra le materie di  legislazione  concorrente  dalla  legge
costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche  al  titolo  V  della
parte seconda della Costituzione). 
    Osserva altresi' che l'incerta nozione di «aziende di  credito  a
carattere regionale» e' stata definita  dall'art.  2,  comma  2,  del
decreto legislativo 18 aprile 2006, n. 171 (Ricognizione dei principi
fondamentali in materia di casse di risparmio, casse rurali,  aziende
di credito a carattere regionale, enti di credito fondiario e agrario
a carattere regionale), alla cui stregua «[s]ono  caratteristiche  di
una banca a carattere  regionale  l'ubicazione  della  sede  e  delle
succursali nel territorio di una stessa  regione,  la  localizzazione
regionale della sua operativita', nonche', ove la banca appartenga  a
un gruppo bancario, la circostanza  che  anche  le  altre  componenti
bancarie del gruppo e la capogruppo presentino carattere regionale ai
sensi del presente articolo», con la precisazione che  «[l]'esercizio
di una marginale  operativita'  al  di  fuori  del  territorio  della
regione non fa venir meno il carattere regionale della banca». 
    Ad avviso della ricorrente, l'art. 1 del decreto-legge n.  3  del
2015 non sarebbe espressione della competenza esclusiva  dello  Stato
in materia di «moneta, tutela del  risparmio  e  mercati  finanziari;
tutela della concorrenza; sistema valutario», prevista dall'art. 117,
secondo  comma,  lettera  e),  Cost.,  e  invaderebbe  la  competenza
regionale  concorrente,  in  quanto  nell'ambito  delle  «aziende  di
credito a carattere  regionale»  si  collocherebbero,  per  numero  e
ubicazione di filiali, la maggior parte delle banche popolari,  anche
in Lombardia. 
    La norma conterrebbe disposizioni di dettaglio, la' dove  prevede
il limite di otto miliardi di euro all'attivo delle  banche  popolari
(art. 1, comma 1, lettera b, n. 1,  del  d.l.  n.  3  del  2015,  che
aggiunge il comma  2-bis  all'art.  29  del  decreto  legislativo  1°
settembre 1993, n. 385, recante «Testo unico delle leggi  in  materia
bancaria e creditizia»; di seguito: TUB) e l'obbligo delle stesse  di
ridurre l'attivo o di deliberare la trasformazione  in  societa'  per
azioni, in caso di superamento del limite (comma 2-ter  dell'art.  29
TUB, aggiunto dallo stesso art. 1, comma 1, lettera b, n. 1). 
    La competenza regionale sarebbe violata, inoltre,  in  quanto  il
legislatore statale,  nell'introdurre  le  modifiche  normative,  non
avrebbe previsto forme di concertazione con le regioni,  neppure  per
adottare le disposizioni di attuazione affidate alla  Banca  d'Italia
(comma 2-quater dell'art. 29  TUB,  anch'esso  aggiunto  dall'art.  1
comma 1, lettera b, n. 1). 
    3.-  Con  la  seconda  questione,  la  Regione  sostiene  che  il
legislatore statale avrebbe violato gli  artt.  117,  secondo  comma,
lettera e), e 3, Cost., nonche', «[i]n via gradata», il principio  di
leale collaborazione di cui agli artt. 5 e 120 Cost. 
    Ad avviso della ricorrente, la norma contrasterebbe con gli artt.
117, secondo comma, lettera e), e 3 Cost., in quanto il  legislatore,
per la natura trasversale della  competenza  statale  in  materia  di
«tutela  del  risparmio»,  che  intercetta  la  competenza  regionale
concorrente in materia di «aziende di credito a carattere regionale»,
avrebbe dovuto attenersi ai canoni  della  proporzionalita'  e  della
ragionevolezza - non rispettati dalla fissazione del limite  di  otto
miliardi di attivo per conservare la forma cooperativa - e  garantire
alle regioni, in sede di formazione del decreto o almeno in  sede  di
conversione, «una utile partecipazione al procedimento». 
    In   subordine,   sarebbe   violato   il   principio   di   leale
collaborazione di  cui  agli  artt.  5  e  120  Cost.,  per  l'omessa
considerazione nel procedimento legislativo delle attribuzioni, delle
prerogative e degli interessi regionali, mediante intese e accordi da
raggiungere in sede di Conferenza unificata Stato-regioni e autonomie
locali. 
    4.- Con la terza questione, la  Regione  sostiene  che  la  norma
impugnata avrebbe  violato  l'art.  118,  quarto  comma,  Cost.,  «in
combinato disposto» con gli artt. 45 e 47, nonche' con gli  artt.  2,
18 e 41 Cost. 
    Il principio di sussidiarieta' orizzontale  escluderebbe  che  lo
Stato possa sottrarre «attivita' di interesse  generale»,  svolte  su
autonoma iniziativa dei cittadini,  alla  cura  degli  enti  indicati
nell'art. 118, quarto comma, Cost.,  tra  i  quali  sono  contemplate
anche le regioni. 
    Fra  le  «attivita'  di  interesse   generale»   tutelate   dalla
Costituzione rientra la cooperazione,  la  cui  funzione  sociale  e'
riconosciuta dall'art. 45. La cooperazione mutualistica propria delle
banche    popolari     costituirebbe,     pertanto,     l'espressione
dell'incomprimibile diritto  di  auto-organizzazione  dei  singoli  e
della societa' civile per lo svolgimento di  attivita'  di  interesse
generale  che  e'  compito  di  tutti  gli  enti  costitutivi   della
Repubblica favorire. Arbitrariamente e  irragionevolmente  dunque  il
legislatore statale  ne  avrebbe  sottratto  la  cura  alle  regioni,
cancellando ovvero limitando in modo  notevole  la  cooperazione  nel
sistema bancario. 
    La ricorrente svolge analoghe considerazioni  con  riguardo  alla
tutela  del  risparmio  prevista  dall'art.  47  Cost.  Anche  questo
principio dovrebbe essere collegato alla  previsione  dell'art.  118,
quarto comma, Cost., in quanto attraverso la destinazione degli utili
delle banche popolari  a  iniziative  di  carattere  socio-culturale,
scientifico e culturale le regioni  e  gli  enti  locali  favoriscono
iniziative dei cittadini per attivita' di interesse generale. 
    Imponendo alle  banche  popolari  con  attivo  superiore  a  otto
miliardi di euro di assumere la forma giuridica tipica delle societa'
lucrative e facendone cosi' venir meno il carattere mutualistico,  il
legislatore avrebbe prodotto lo sradicamento  delle  banche  popolari
dal loro territorio, privando le regioni e  gli  enti  locali  di  un
fondamentale motore di sviluppo economico e sociale e  frustrando  le
finalita' di accesso popolare al  credito,  perseguite  dall'art.  47
Cost. 
    Inoltre,  l'intervento   statale   inciderebbe   sulla   liberta'
contrattuale e di iniziativa economica tutelata dall'art.  41  Cost.,
anche  nella   sua   funzione   sociale,   frustrerebbe   gli   scopi
solidaristici  di  coloro  che  si  sono  associati  per   perseguire
legittime finalita' mutualistiche, in contrasto con gli artt. 2 e  18
Cost., e lederebbe il legittimo  affidamento  dei  piccoli  azionisti
delle  banche  popolari  nella  stabilita'  della   loro   situazione
giuridica. 
    5.- Con la quarta questione, la Regione  sostiene  che  la  norma
impugnata avrebbe violato  gli  artt.  77  e  117  Cost.,  «anche  in
combinato disposto con l'art. 3 Cost.», in quanto non sussisterebbero
i presupposti che giustificano la decretazione d'urgenza. 
    Ad   avviso   della    ricorrente,    nessuno    dei    parametri
tradizionalmente utilizzati dalla Corte per  operare  tale  scrutinio
(preambolo del provvedimento, relazione di accompagnamento al disegno
di legge di conversione, contesto normativo) da' conto delle  ragioni
di straordinaria necessita' e urgenza che giustificano il ricorso  al
decreto-legge. 
    Le ragioni, esposte nel preambolo,  di  avvio  del  «processo  di
adeguamento»  del  sistema  bancario  «agli  indirizzi  europei   per
renderlo competitivo ed elevare il livello di tutela dei  consumatori
e di favorire lo sviluppo dell'economia del Paese»,  contrasterebbero
con alcune  risoluzioni  del  Parlamento  europeo  che  esprimono  il
contrario indirizzo volto alla salvaguardia e alla  promozione  della
struttura pluralistica del mercato bancario. 
    L'intervento legislativo sarebbe il frutto  della  libera  scelta
del Governo di incidere in un settore strategico  nazionale  con  una
nuova disciplina "a regime" adottata mediante  la  corsia  accelerata
della legge di conversione. Essa affronta problemi noti  e  dibattuti
da  decenni,  senza  una  adeguata   ponderazione   degli   interessi
istituzionali coinvolti, a iniziare da quelli delle regioni. 
    La riforma sarebbe inoltre  caratterizzata  da  disposizioni  non
auto-applicative e bisognose di future  disposizioni  di  attuazione,
affidate senza fissazione di termini a un soggetto estraneo al potere
legislativo (la Banca d'Italia), con una sorta di delega in bianco. 
    Sussisterebbero  poi,  secondo   la   ricorrente,   forti   dubbi
sull'omogeneita' delle disposizioni contenute nel d.l. n. 3 del 2015.
Esso prevede infatti, oltre alla riforma delle banche popolari, norme
di sostegno alle  piccole  e  medie  imprese  innovative,  norme  sul
trasferimento dei servizi a pagamento e norme sul prestito  indiretto
per investitori istituzionali esteri. 
    La   relazione   accompagnatoria   esporrebbe    argomenti    non
condivisibili sulla mancanza della sostanza cooperativa in capo  alle
banche popolari (vengono richiamate al riguardo le motivazioni  poste
a fondamento della archiviazione di una procedura di  infrazione  che
la Commissione europea aveva aperto  contro  l'Italia)  e  sulla  non
applicabilita' a loro favore della tutela prevista dall'art. 45 Cost.
per mancanza del requisito della mutualita' prevalente  (che  secondo
la ricorrente avrebbe invece esclusivo rilievo fiscale). 
    Questi argomenti sarebbero  comunque  inidonei  a  dimostrare  le
ragioni che legittimerebbero la decretazione d'urgenza. 
    Sarebbe scorretto anche il richiamo operato nella relazione  alla
non corrispondenza  della  disciplina  delle  banche  popolari,  «nel
mutato quadro europeo», alle esigenze di finanziamento e di  adeguata
patrimonializzazione delle banche, in quanto tutte le banche popolari
sottoposte ad Asset Quality  Review  e  agli  stress  test  avrebbero
dimostrato adeguata patrimonializzazione. 
    Infine, la Regione sottolinea come il vizio della norma impugnata
incida su varie materie di attribuzione regionale (welfare,  cultura,
sport) in ragione del forte sostegno alle relative politiche concesso
dalle banche popolari, con  ridondanza  della  lesione  dell'art.  77
Cost. sulle attribuzioni costituzionalmente riservata alle regioni  e
«ancor prima» con incidenza diretta sulla competenza  concorrente  di
cui al terzo comma dell'art. 117 Cost.  in  materia  di  «aziende  di
credito a carattere regionale». 
    6.- Con atto depositato  nella  cancelleria  della  Corte  il  1°
luglio  2015  si  e'  costituito  il  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, chiedendo  che  il  ricorso  sia  dichiarato  inammissibile  e
comunque infondato. 
    Dopo avere illustrato il quadro normativo di riferimento  per  le
banche che esercitano l'attivita' in forma  di  societa'  cooperativa
(banche di credito cooperativo e banche popolari), sul quale il  d.l.
n. 3 del 2015 e' intervenuto,  l'Avvocatura  dello  Stato  espone  il
contenuto delle  modifiche  alla  disciplina  delle  banche  popolari
introdotte  dall'art.  1   dello   stesso   decreto-legge   e   delle
disposizioni di attuazione nel frattempo emanate dalla Banca d'Italia
con deliberazione del 9 giugno 2015. 
    Dalla premessa emergerebbe che gia' prima della riforma in  esame
le banche popolari avevano un assetto organizzativo e funzionale  che
le  distanziava  notevolmente  dal  modello   base   della   societa'
cooperativa (tra il  resto,  per  la  mancanza  del  requisito  della
mutualita' prevalente e  per  i  limiti  al  principio  della  "porta
aperta"  derivanti  dai  vincoli  all'ammissione  dei   soci   e   al
trasferimento delle quote). Di quest'ultima esse avrebbero avuto solo
la forma cooperativa e non la sostanza della mutualita',  come  messo
in evidenza anche dalla giurisprudenza di legittimita' (viene  citata
la sentenza della Corte di  cassazione,  sezioni  unite,  7  novembre
1997, n. 10933) e dall'Autorita'  garante  della  concorrenza  e  del
mercato (viene citata la segnalazione  al  Parlamento  del  4  luglio
2014). 
    Questa situazione avrebbe consentito a dieci  banche  popolari  o
gruppi  di  banche  popolari  di  raggiungere  dimensioni  sistemiche
rilevanti a  livello  nazionale  ed  europeo.  Sette  di  esse  hanno
superato addirittura il limite di trenta miliardi di euro di  attivo,
che comporta l'assoggettamento alla vigilanza  della  Banca  centrale
europea nell'ambito del Meccanismo  di  vigilanza  unico,  mentre  le
altre tre presentano un attivo superiore a  otto  miliardi.  Inoltre,
sei delle maggiori banche popolari sono anche quotate in borsa. 
    Al raggiungimento di tali dimensioni si sarebbe  accompagnata  la
diffusione  dell'operativita'  delle  banche  popolari  su  tutto  il
territorio  nazionale,  con  recisione  del  legame  originario   con
l'ambito  locale  (vengono  esposte  le  dimensioni,  per  numero  di
sportelli  e  detenzione  di  quote  del  mercato   nazionale   degli
sportelli, dei quattro gruppi di banche popolari la cui capogruppo ha
sede in Lombardia). 
    A questa estensione dell'operativita' non avrebbe fatto riscontro
un'adeguata patrimonializzazione delle maggiori banche popolari,  che
avrebbero inoltre risentito  fortemente  della  recessione  economica
nazionale, soffrendo di una quota  di  partite  deteriorate  maggiore
della media di sistema  e  presentando  un  tasso  di  copertura  con
accantonamenti in bilancio  (covered  ratio)  inferiore  alla  stessa
media, senza poter vantare un'alta redditivita', anch'essa  inferiore
alla media. 
    6.1.-  Passando  all'esame  delle   questioni   sollevate   dalla
ricorrente,  il  Presidente  del  Consiglio  dei   ministri   osserva
preliminarmente che il ricorso avrebbe  a  oggetto,  sostanzialmente,
solo i commi 2-bis e 2-ter dell'art. 29 TUB, introdotti dall'art.  1,
comma 1, lettera b), n. 1), del d.l. n. 3 del 2015 che  obbligano  le
banche popolari il cui attivo  superi  otto  miliardi  di  euro  alla
trasformazione in societa' per azioni. 
    Ad avviso dell'Avvocatura  dello  Stato,  l'impostazione  seguita
dalla ricorrente,  in  base  alla  quale  tale  previsione  normativa
eccederebbe la competenza esclusiva dello Stato in materia di  tutela
del risparmio  (art.  117,  secondo  comma,  lettera  e),  Cost.  con
invasione  della  competenza  regionale  concorrente  in  materia  di
aziende di credito a carattere regionale, sarebbe doppiamente errata. 
    In  primo  luogo,  perche'  la  norma   impugnata   non   sarebbe
ascrivibile alla  sola  materia  della  «tutela  del  risparmio»,  ma
andrebbe ricondotta anche alle materie «tutela della  concorrenza»  e
«ordinamento  civile»,  riservate  alla  competenza  esclusiva  dello
Stato, ai sensi dell'art. 117, secondo comma, lettere e) e l), Cost.,
nonche' alla disciplina dei livelli essenziali delle prestazioni. 
    In secondo luogo,  perche'  comunque  le  disposizioni  contenute
nell'art.  1  del  decreto-legge  n.  3   del   2015,   se   valutate
integralmente  nella  loro  connessione  organica   e   nella   ratio
complessiva che le  caratterizza,  non  toccherebbero  la  competenza
regionale concorrente in materia di «aziende di credito  a  carattere
regionale». 
    6.2.- Sotto il primo aspetto, la difesa dello Stato  osserva  che
anche in una cooperativa bancaria avente forma di  banca  di  credito
cooperativo o di banca popolare il profilo prevalente e'  l'esercizio
dell'attivita'  bancaria  (raccolta  del  risparmio,  erogazione  del
credito, servizi  di  gestione  finanziaria  e  patrimoniale)  e  che
l'interesse pubblico alla tutela del  risparmio  non  muta  natura  a
seconda della forma societaria  del  soggetto  esercente  l'attivita'
bancaria. Ne costituirebbe una conferma il fatto  che  le  regole  di
vigilanza prudenziale, ora unificate a livello europeo, e  quelle  di
correttezza operativa poste dal TUB e dalle corrispondenti  norme  di
attuazione sono le stesse per ogni soggetto che esercita  l'attivita'
bancaria. 
    La disciplina dettata dal d.l. n. 3 del 2015,  pertanto,  sarebbe
attratta  completamente  nell'ambito  della  competenza   legislativa
statale in materia di «tutela del risparmio»,  incidendo  su  profili
organizzativi  e   strutturali   che   gia'   in   precedenza   erano
pacificamente disciplinati dallo Stato anche con riguardo alle banche
di credito cooperativo. 
    6.3.- Ad avviso dell'Avvocatura dello Stato, inoltre,  le  regole
europee di stabilita' patrimoniale e di correttezza  operativa  delle
banche si attuano anche attraverso norme, come quelle in  esame,  che
incidono  sui  poteri  degli  organi  deliberativi   delle   societa'
bancarie, sui diritti dei soci e sui loro limiti  ovvero  sui  limiti
dei diritti di particolari creditori sociali in caso di  crisi  della
banca, tutti oggetti riconducibili alla materia «ordinamento civile»,
rientrante nella competenza esclusiva dello Stato. 
    6.4.- La disciplina delle condizioni e dei limiti di utilizzo  di
una  determinata  forma  giuridica  per  l'esercizio   dell'attivita'
bancaria rientrerebbe anche nella competenza statale  in  materia  di
«tutela della concorrenza». Si tratta infatti di disciplina diretta a
rimuovere gli  ostacoli  alla  competizione  delle  banche  verso  il
mercato dei capitali e del mercato  dei  capitali  verso  le  banche,
rendendo piu' appetibili gli aumenti di  capitale  ed  eliminando  le
barriere che le particolarita' dello statuto  delle  banche  popolari
(voto capitario, gradimento  all'ammissione  dei  soci,  limiti  alla
distribuzione  dei  dividendi)   frappongono   all'acquisizione   del
controllo societario. 
    6.5.- Secondo la difesa dello Stato,  il  servizio  bancario  non
potrebbe essere  prestato  da  soggetti  che,  a  parita'  di  grandi
dimensioni, rivestano forme giuridiche diverse che non assicurano  lo
stesso  livello  di  stabilita'  patrimoniale.   Sicche'   la   norma
impugnata, che prescrive alle banche di  adottare  il  medesimo  tipo
societario  quando  raggiungano  una  determinata  "massa   critica",
dovrebbe essere ricondotta  anche  alla  competenza  esclusiva  dello
Stato  di  determinare  in  modo  uniforme  in  tutto  il  territorio
nazionale i livelli minimi delle prestazioni  concernenti  i  diritti
civili e sociali. 
    6.6.- Chiarite le finalita' dell'intervento organico operato  dal
legislatore, che avrebbe razionalizzato il sistema eliminando per  le
banche popolari sistemiche una differenza di regime societario  ormai
priva di giustificazioni, il Presidente del  Consiglio  dei  ministri
osserva che neppure sussisterebbe il rischio, paventato  anche  dalla
ricorrente, di esporre le banche popolari di maggiori dimensioni, una
volta trasformate in societa' per  azioni,  a  incontrollate  manovre
speculative.  L'acquisizione  del   controllo   o   anche   solo   di
partecipazioni significative nel loro capitale rimarrebbe infatti pur
sempre soggetta alla preventiva autorizzazione della Banca  d'Italia,
ai sensi dell'art. 19 TUB. 
    Dall'altro lato,  le  modifiche  della  disciplina  delle  banche
popolari di dimensioni medio-piccole  (non  toccate  dall'obbligo  di
trasformazione del tipo societario)  riguardanti  la  disciplina  del
recesso del socio (con previsione di limiti al diritto di  rimborso),
la nomina degli amministratori (con l'eliminazione  del  vincolo  che
obbliga a nominare la maggioranza degli  amministratori  tra  i  soci
cooperatori o tra le persone indicate dai soci cooperatori che  siano
persone giuridiche) e i quorum costitutivi  e  deliberativi  (per  la
trasformazione in societa'  per  azioni  o  la  fusione  dalla  quale
risulteranno societa' per azioni) non snaturerebbero il modello delle
banche popolari, ma ne aggiornerebbero lo statuto  per  rendere  piu'
agevole  le  prospettive  del  loro  sviluppo,  sia   pure   con   la
conservazione della forma cooperativa. 
    6.7.-  Ad  avviso  dell'Avvocatura  dello  Stato,  le  precedenti
considerazioni consentirebbero di escludere che le  disposizioni  del
d.l. n. 3 del 2015  impugnate  dalla  ricorrente  abbiano  invaso  la
competenza regionale concorrente in materia di «aziende di credito  a
carattere regionale». 
    In ogni caso, le banche popolari sistemiche, le uniche  a  essere
interessate dalle norme effettivamente impugnate (commi 2-bis e 2-ter
dell'art. 29 TUB, aggiunti dall'art. 1, comma 1, lettera b, n. 1  del
d.l. n. 3 del 2015), proprio per le loro  dimensioni  non  potrebbero
essere considerate aziende di  credito  a  carattere  regionale  come
definite dall'art. 2, commi 2 e 3, del d.lgs. n. 171 del 2006. 
    Tale qualita' potrebbe essere rivestita dalle banche popolari  di
minori dimensioni, ma  cio'  non  starebbe  a  significare  che  ogni
intervento legislativo  relativo  a  esse  rientri  nella  competenza
regionale concorrente di cui all'art. 117, terzo comma, Cost. 
    In primo luogo, perche' i titoli di competenza statale  esclusiva
illustrati in precedenza, per la loro natura trasversale,  potrebbero
legittimamente   intercettare   specifiche   competenze    regionali,
prevalendo su di esse. 
    In secondo luogo, perche' la competenza regionale concorrente non
si estenderebbe agli aspetti  strutturali  e  organizzativi  regolati
dalla norma impugnata, potendo tutt'al piu' investire taluni  aspetti
operativi delle banche popolari a  carattere  regionale  al  fine  di
raccordarne l'attivita' con il territorio. Ne costituirebbe  conferma
il fatto che non si conoscono esempi di leggi regionali con contenuti
assimilabili a quelli della norma impugnata. 
    Inoltre,  la  difesa  dello  Stato   osserva   che   i   principi
fondamentali della materia «aziende di credito a carattere regionale»
enunciati dall'art. 159 TUB (al quale rinvia il  d.lgs.  n.  171  del
2006), la' dove prevedono che la legge regionale  sia  legittimata  a
disciplinare l'autorizzazione delle trasformazioni e delle  scissioni
delle banche di interesse regionale previo  parere  vincolante  della
Banca d'Italia,  non  escludono  che  il  legislatore  statale  possa
prevedere casi di trasformazione obbligatoria ex  lege  delle  stesse
banche,  sottratti  sia  al   parere   della   Banca   d'Italia   che
all'autorizzazione regionale. 
    Infine, si  dovrebbe  considerare  che  la  competenza  regionale
invocata dalla ricorrente concorre pur sempre con quella dello  Stato
di dettare i principi fondamentali della materia, con la  conseguenza
che una norma come quella impugnata,  che  vieta  l'uso  del  modello
della banca popolare al raggiungimento di una determinata  dimensione
di  un'azienda  di  credito  a  carattere  regionale,   costituirebbe
certamente un principio fondamentale. 
    6.8.- Ad avviso del Presidente del Consiglio  dei  ministri,  gli
altri motivi  di  impugnazione  sarebbero  inammissibili  e  comunque
infondati. 
    La questione con la quale si denuncia la violazione dell'art. 77,
secondo comma, Cost., per mancanza dei presupposti della decretazione
d'urgenza, non si fonderebbe su un titolo di competenza regionale. 
    Essa sarebbe in ogni caso infondata, perche'  nel  preambolo  del
decreto-legge si fa riferimento all'urgenza di  adeguare  il  sistema
creditizio italiano al nuovo quadro di  vigilanza  europeo.  Inoltre,
l'urgenza  deriverebbe  dalle  alte  quote  di  crediti   deteriorati
detenute  dalle  banche  popolari  di  grandi  dimensioni   e   dagli
accantonamenti  inferiori  alla  media,  nella  misura  in  cui  tale
situazione  e'  imputabile  alle  rigidita'   proprie   della   forma
cooperativa. 
    L'inammissibilita' colpirebbe anche le censure basate sugli artt.
118 e 120 Cost., perche'  attraverso  la  generica  evocazione  degli
amplissimi principi della sussidiarieta' e della leale collaborazione
la ricorrente tenderebbe a censurare la norma  per  violazione  degli
artt. 41 e 45 Cost., che non puo' legittimarla a proporre un giudizio
in via principale. 
    Si  tratterebbe  inoltre  di  censure  generiche,   prive   della
dimostrazione concreta che ogni modifica del regime  giuridico  delle
banche   popolari   sia   suscettibile   di    causare    conseguenze
pregiudizievoli all'economia regionale. 
    Anch'esse sarebbero in ogni  caso  infondate,  perche'  la  norma
impugnata riguarda solo le banche popolari di grandi dimensioni,  che
per  la  loro  complessita'  hanno  abbandonato  il  legame  con   il
territorio e operano su vasta scala, e lascia  invece  inalterata  la
forma  cooperativa  delle  altre  banche  popolari,  uniche  a  poter
rivestire la qualita' di aziende di credito a carattere regionale. 
    La norma impugnata non avrebbe dunque cancellato il modello delle
banche popolari, ma lo  avrebbe  ricondotto  al  contrario  alle  sue
originarie connotazioni  di  modello  tipico  di  banche  di  modeste
dimensioni e a vocazione locale. 
    L'autonomia privata, infine, non sarebbe  stata  compressa  oltre
quanto  ragionevolmente  richiesto  dalle  esigenze  di  tutela   del
risparmio e di stabilita' del sistema  finanziario,  che  e'  compito
esclusivo della legislazione statale soddisfare e al cui cospetto non
potrebbero prevalere ipotetici legami con il territorio. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- La Regione Lombardia ha impugnato l'art. 1 del  decreto-legge
24 gennaio 2015, n. 3 (Misure urgenti per il sistema bancario  e  gli
investimenti), convertito con modificazioni  dall'art.  1,  comma  1,
della legge  24  marzo  2015,  n.  33,  proponendo  quattro  distinte
questioni di legittimita'  costituzionale.  La  previsione  censurata
riforma la disciplina delle banche popolari, modificando  il  decreto
legislativo 1° settembre 1993, n. 385 (Testo  unico  delle  leggi  in
materia bancaria e creditizia; di seguito: TUB). 
    2.-  Secondo  la  ricorrente  la   norma   impugnata   violerebbe
innanzitutto  la  competenza  legislativa  regionale  concorrente  in
materia di «casse di risparmio, casse rurali, aziende  di  credito  a
carattere  regionale»  prevista  all'art.  117,  terzo  comma,  della
Costituzione. 
    La questione e' sollevata sotto due profili. In primo  luogo,  la
norma statale conterrebbe disposizioni di dettaglio,  in  particolare
la' dove prevede il limite di otto miliardi di euro all'attivo  delle
banche popolari e l'obbligo delle stesse, in caso di  superamento  di
questo limite, di ridurre l'attivo o di deliberare la  trasformazione
in  societa'  per  azioni.  In  secondo  luogo,  nell'introdurre   le
modifiche normative il legislatore statale non avrebbe previsto forme
di concertazione con le regioni, neppure per adottare le disposizioni
di attuazione affidate alla Banca d'Italia. 
    Nonostante il ricorso censuri letteralmente l'intero art.  1  del
d.l. n. 3  del  2015,  sulla  base  dei  motivi  posti  a  fondamento
dell'impugnazione l'oggetto del giudizio deve essere circoscritto  al
comma 1, lettera b), n. 1), che ha introdotto i commi 2-bis, 2-ter  e
2-quater dell'art. 29 TUB, nella parte in cui prevedono: a) la soglia
di otto miliardi di attivo della banca  popolare  (comma  2-bis);  b)
l'onere  della  banca  popolare  di  ridurre,  entro  un   anno   dal
superamento  della  soglia,  l'attivo  al  di  sotto  di  essa  o  di
deliberare la trasformazione in societa' per azioni (comma 2-ter); c)
l'adozione delle disposizioni di attuazione del novellato art. 29 TUB
ad opera della Banca d'Italia (comma 2-quater). 
    2.1.-  Cosi'  precisato   il   thema   decidendum   e   l'oggetto
dell'impugnazione, la questione e' infondata. 
    La  scelta  del  legislatore  statale  di  assumere   la   soglia
dell'attivo di otto miliardi di euro  come  indice  della  dimensione
della banca popolare e'  coerente  con  lo  scopo  della  novella  di
riservare il modello cooperativo solo  alle  aziende  di  credito  di
piccola o media dimensione, sul presupposto che esso non sia adeguato
alle caratteristiche di banche popolari di grandi  dimensioni,  anche
quotate in mercati regolamentati. Compiendo  tale  scelta  lo  stesso
legislatore  statale  si  e'  mantenuto  nei  limiti  delle   proprie
attribuzioni e di conseguenza si deve escludere che vi sia  stata  la
lamentata lesione delle competenze regionali in materia di aziende di
credito a carattere regionale. 
    Come  si  desume  dalla  normativa   che   enuncia   i   principi
fondamentali in materia di banche  di  carattere  regionale  (decreto
legislativo 18 aprile 2006, n.  171,  recante  la  «Ricognizione  dei
principi fondamentali in materia di casse di risparmio, casse rurali,
aziende di credito a carattere regionale, enti di credito fondiario e
agrario  a  carattere  regionale»),  gli   elementi   rilevanti   per
riconoscere a un'azienda di credito tale carattere sono: l'ubicazione
della sede e delle succursali nel territorio di una  stessa  regione,
la localizzazione regionale della sua operativita', nonche',  ove  la
banca appartenga a un gruppo bancario, la circostanza  che  anche  le
altre componenti bancarie  del  gruppo  e  la  capogruppo  presentino
carattere regionale (art. 2, comma 2, del d.lgs. n. 171 del 2006). Il
carattere regionale della banca, inoltre, non viene meno  (sempre  in
base al citato art. 2, comma 2), se al di fuori del territorio  della
regione essa esercita un'operativita' marginale. 
    Non potendo escludersi in assoluto l'eventualita' che  la  citata
dimensione dell'attivo possa  ricorrere  anche  per  questo  tipo  di
banche, e' necessario verificare  se,  anche  solo  in  astratto,  la
lamentata lesione della competenza regionale in materia sussista. 
    La previsione in contestazione -  che  la  banca  popolare  debba
trasformarsi in societa' per azioni al superamento del limite di otto
miliardi di attivo, se entro un anno l'attivo non sia  stato  ridotto
al di sotto del limite  -  si  inquadra  nel  disegno  piu'  generale
definito dal  legislatore  statale,  diretto  ad  adeguare  la  forma
giuridica delle banche popolari di  maggiori  dimensioni  al  modello
organizzativo tipico delle banche non  cooperative,  sul  presupposto
che la forma cooperativa delle prime possa essere  «un  mero  schermo
della  natura   sostanzialmente   lucrativa   dell'impresa»   e   non
corrisponda alla «sostanza della  mutualita'»  (come  si  esprime  la
relazione di accompagnamento al disegno di legge di  conversione  del
d.l. n. 3 del 2015). 
    Gli aspetti piu' significativi di questo disegno, delineato dallo
stesso art. 1 del d.l. n. 3 del 2015, sono costituiti dalla rimozione
del voto capitario, del numero minimo dei  soci  e  dei  limiti  alle
partecipazioni societarie, all'ingresso di nuovi soci nella  societa'
e alla distribuzione degli utili. Si inquadra  nello  stesso  disegno
inoltre l'attenuazione dei precedenti limiti alle deleghe di voto. In
questo modo, il legislatore ha inteso favorire l'accesso delle banche
popolari  di  maggiori  dimensioni  al  mercato  dei   capitali,   la
contendibilita' dei  loro  assetti  proprietari,  il  ricambio  delle
compagini sociali e degli organi  amministrativi.  Un  risultato  che
dovrebbe  garantire  il   miglior   funzionamento   e   la   maggiore
competitivita'  di  queste  banche  nel  mercato,  nonche'  il   loro
rafforzamento patrimoniale. 
    Piu' in generale  ancora,  le  finalita'  della  riforma  possono
essere cosi' individuate: migliorare la stabilita' patrimoniale delle
banche popolari, con la previsione, comune  alle  banche  di  credito
cooperativo, di limiti al  rimborso  delle  azioni  per  recesso  del
socio,  anche  nel  caso  di  trasformazione  della  societa'  e   di
esclusione (art. 1, comma 1, lettera a, che aggiunge all'art. 28  TUB
un comma 2-ter); agevolare comunque la trasformazione  o  la  fusione
delle banche popolari in societa' per azioni, anche qualora non venga
superata la soglia dell'attivo di otto miliardi, in  particolare  con
la previsione di quorum costitutivi e deliberativi minori  di  quelli
generali (art. 1, comma 1, lettera c, che sostituisce l'art. 31 TUB);
aumentare la capacita' delle banche popolari di reperire capitale sul
mercato, con la previsione della possibilita' di  emettere  strumenti
finanziari partecipativi, al pari delle altre  societa'  cooperative:
art. 1, comma 1, lettera d), n. 2, che modifica l'art. 150-bis, comma
2, TUB, eliminando l'art. 2526 del codice  civile  dall'elenco  delle
disposizioni  non  applicabili  alle  banche  popolari;  rimuovere  i
vincoli alla nomina degli amministratori, come quello che  obbliga  a
nominare la maggioranza di essi tra  i  soci  cooperatori  o  tra  le
persone indicate dai soci cooperatori che  siano  persone  giuridiche
(l'art. 1, comma 1, lettera d, n.  2  include  ora  l'articolo  2542,
secondo  comma,  cod.  civ.  nell'elenco   delle   disposizioni   non
applicabili alle banche popolari di cui all'articolo  150-bis,  comma
2, TUB). 
    Si tratta dunque di una disciplina che - tenuto conto  della  sua
ratio, della finalita' che persegue,  del  contenuto  e  dell'oggetto
delle singole disposizioni, e tralasciando gli  aspetti  marginali  e
gli effetti riflessi in modo da identificare  cosi'  correttamente  e
compiutamente l'interesse tutelato (ex plurimis, sentenze n. 245  del
2015, n. 167 e 121 del 2014) - deve essere  ricondotta  alle  materie
riservate alla competenza esclusiva dello Stato  ai  sensi  dell'art.
117, secondo comma, lettere  e)  ed  l),  Cost.,  della  «tutela  del
risparmio», della  «tutela  della  concorrenza»  e  dell'«ordinamento
civile». 
    Non sembra  dubitabile,  innanzitutto,  che  le  disposizioni  in
esame, innovando il modello organizzativo delle banche  popolari  per
favorirne la stabilita' e il rafforzamento patrimoniale, incidono sui
modi di esercizio dell'attivita' bancaria e dunque, in  quanto  tali,
devono essere ricondotte per questo profilo nell'ambito della materia
«tutela   del   risparmio»,   essendo   l'attivita'    bancaria    di
intermediazione del  credito  uno  strumento  essenziale  di  impiego
produttivo  del  risparmio.  A  identiche  finalita'  attinenti  alle
competenze dello Stato  sono  orientate  anche  le  disposizioni  che
mirano a garantire la stabilita' del patrimonio (come  la  previsione
sui limiti al rimborso delle azioni in caso di recesso del  socio)  e
un'elevata capacita'  di  finanziamento  (come  la  previsione  sulla
possibilita' di emettere strumenti finanziari partecipativi). 
    Sotto un secondo profilo, occorre osservare che, nell'intento del
legislatore, la trasformazione in societa' per  azioni  delle  banche
popolari di maggiori dimensioni che scelgano di non ridurre  l'attivo
al di sotto della soglia di otto miliardi, e' diretta  a  colmare  un
deficit di competitivita' derivante  a  questo  tipo  di  aziende  da
alcuni elementi che ne  caratterizzano  lo  statuto  (quali  il  voto
capitario,  il  limite  alla   detenzione   delle   azioni   e   alla
distribuzione  dei  dividendi,  il  gradimento  degli  amministratori
all'ingresso dei nuovi soci, i forti limiti alle  deleghe  di  voto),
costituenti un obiettivo ostacolo alla possibilita' di  acquisire  il
controllo societario e, di conseguenza, di accedere  ai  procedimenti
di ricapitalizzazione delle banche popolari e di offerta del credito. 
    Misure legislative di questo tipo sono  ascrivibili,  secondo  la
giurisprudenza costituzionale, alla materia della  «concorrenza»,  in
quanto si traducono in misure di promozione  della  competizione  tra
imprese attraverso l'eliminazione di limiti  e  vincoli  alla  libera
esplicazione  della  capacita'  imprenditoriale   (concorrenza   "nel
mercato") (ex plurimis, sentenze n. 97 del 2014, n. 291 e n. 200  del
2012, n. 45 del 2010). 
    La norma impugnata, in terzo luogo, disciplina un tipico istituto
privatistico, quale la forma giuridica delle  societa',  dettando  le
condizioni per l'utilizzo della  forma  cooperativa  da  parte  delle
banche popolari e il vincolo di loro trasformazione nel caso  in  cui
le previste condizioni non ricorrano, nonche' regole di comportamento
dei loro  organi  amministrativi.  In  quanto  incidente  sul  modulo
organizzativo e sullo statuto societario di aziende  di  credito,  la
disciplina e' dunque da  ricondurre  alla  materia  dell'«ordinamento
civile» (sentenza n. 144 del  2016  con  riguardo  al  modello  delle
societa' pubbliche). 
    Si tratta di profili che attengono alla disciplina  dei  rapporti
privati, riservata alla potesta' legislativa dello Stato  in  ragione
dell'esigenza, sottesa al principio costituzionale di eguaglianza, di
garantire  l'uniformita'  di  trattamento,   nell'intero   territorio
nazionale, dei rapporti  civilistici  tra  soggetti  che  operano  in
regime  privato,  senza  che   detti   rapporti   debbano   rinvenire
necessariamente la loro disciplina sul piano codicistico (sentenze n.
97 del 2014 e n. 401 del 2007). 
    Secondo la costante giurisprudenza di questa  Corte,  materie  di
competenza statale esclusiva come quelle menzionate della «tutela del
risparmio», della  «tutela  della  concorrenza»  e  dell'«ordinamento
civile»,  assumono,  per  la  loro  natura   trasversale,   carattere
prevalente (ex plurimis, sentenze n. 30 del 2016 e n. 165 del 2014) e
«possono  influire  su  altre  materie  attribuite  alla   competenza
legislativa concorrente o residuale delle  regioni  fino  a  incidere
sulla totalita' degli ambiti materiali entro i  quali  si  applicano»
(sentenza n. 2 del 2014, e inoltre ex plurimis sentenze n. 291  e  n.
18 del 2012, n. 150 del 2011, n. 288 e n. 52 del  2010,  n.  431,  n.
430, n. 401del 2007 e n. 80 del 2006). 
    In  quanto  riconducibile  ad  ambiti  materiali  di   competenza
esclusiva trasversale dello  Stato,  la  norma  impugnata  e'  dunque
espressione di  attribuzioni  statali  destinate  a  prevalere  anche
sull'ipotetica  e  in  ogni  caso  marginale  competenza  concorrente
regionale in materia di aziende di credito  di  interesse  regionale,
della quale  dunque  inutiliter  la  Regione  ricorrente  lamenta  la
lesione. 
    Per quanto attiene al secondo profilo  della  censura  in  esame,
riguardante la mancata previsione di forme di  concertazione  con  le
regioni per l'attuazione dell'intervento, si deve  richiamare  quanto
esposto  circa  la  prevalenza  delle  attribuzioni   statali   sulla
competenza regionale concorrente in materia di aziende di  credito  a
carattere  regionale.  Tale  prevalenza  esclude  che  si  versi   in
un'ipotesi  di  inestricabile  intreccio  di  competenze  statali   e
regionali, nella quale soltanto l'intervento del legislatore  statale
potrebbe ritenersi congruamente attuato  mediante  la  previsione  di
adeguate  forme  di  collaborazione  con  le  regioni  (ex  plurimis,
sentenze n. 1 del 2016 e n. 140 del 2015). 
    3.- Con la seconda questione, la Regione, proponendo argomenti  e
conclusioni molto simili a quelli esposti nella prima, lamenta che il
legislatore statale avrebbe violato gli  artt.  117,  secondo  comma,
lettera e), e 3 Cost., nonche', «[i]n via gradata», il  principio  di
leale collaborazione di cui agli artt. 5 e 120 Cost. 
    Ad avviso della ricorrente, la competenza statale in  materia  di
«tutela  del  risparmio»,  intercettando  la   competenza   regionale
concorrente in materia di «aziende di credito a carattere regionale»,
avrebbe imposto al legislatore statale, per un verso di attenersi  ai
canoni della proporzionalita' e della ragionevolezza,  che  sarebbero
invece violati con la fissazione  del  limite  di  otto  miliardi  di
attivo per conservare la forma cooperativa,  e  per  altro  verso  di
garantire alle regioni «una utile partecipazione al procedimento»  di
formazione del decreto o almeno di sua conversione. 
    In   subordine,   sarebbe   violato   il   principio   di   leale
collaborazione di cui agli artt. 5 e  120  Cost.,  per  essere  stata
pretermessa   nel   procedimento   legislativo   la   considerazione,
attraverso intese e accordi da  raggiungere  in  sede  di  Conferenza
unificata Stato-regioni e autonomie locali, delle attribuzioni, delle
prerogative e degli interessi regionali. 
    Anche  in  questo  caso,  dalle  ragioni   poste   a   fondamento
dell'impugnazione   -   e   in   particolare   dalla    censura    di
irragionevolezza e sproporzione della soglia dell'attivo fissata  dal
legislatore - si desume che l'oggetto della questione e' circoscritto
alle disposizioni che prevedono la trasformazione obbligatoria  delle
banche popolari in societa' per azioni. 
    Contrariamente a quanto sostiene  l'Avvocatura  dello  Stato,  la
questione sollevata in riferimento all'art. 3 Cost.  e'  ammissibile,
perche'  la  ricorrente  da'  conto  della   ridondanza   sulle   sue
attribuzioni  della  lamentata  violazione  di   un   parametro   non
riguardante  la  competenza  regionale,   con   l'indicazione   delle
attribuzioni costituzionali della Regione in materia di  «aziende  di
credito a carattere regionale» (art. 117, terzo comma, Cost.) che  ne
sarebbero potenzialmente lese (sull'idoneita' della prospettazione ai
fini dell'ammissibilita' della censura ex plurimis, sentenze  n.  220
del 2013, n. 22 del 2012, ma, ancora prima, sentenze n. 6 del 2004  e
n. 303 del 2003). 
    Come visto, la disciplina statale impugnata potrebbe  interferire
in tale materia, in quanto trova il proprio titolo di  legittimazione
nella  prevalenza  di  competenze  legislative   statali   esclusive.
Pertanto, occorre verificare  nel  merito  se,  nell'esercizio  delle
attribuzioni corrispondenti all'invocata competenza  concorrente,  le
regioni siano obbligate «a conformarsi ad una disciplina  legislativa
asseritamente incostituzionale, per contrasto con parametri, appunto,
estranei a tale riparto» (sentenza n. 145 del 2016). 
    Nel merito, tuttavia, la questione non e' fondata. 
    L'obiettivo di adeguamento della  forma  giuridica  delle  banche
popolari di  maggiori  dimensioni  alla  forma  tipica  delle  banche
commerciali e' stato perseguito dal legislatore statale con l'uso  di
un criterio appropriato allo scopo, dal  momento  che  la  dimensione
dell'attivo e' un indicatore attendibile della  complessita'  di  una
banca. 
    Quanto alla  discrezionalita'  del  legislatore  nel  fissare  la
soglia al cui superamento scatta l'obbligo di riduzione dell'attivo o
di trasformazione in societa' per azioni, essa non e' sindacabile  da
questa Corte se non in caso di  manifesta  irragionevolezza.  Ne'  la
opinabilita', propria della  scelta  fra  plurime  opzioni  circa  la
misura  precisa  della  soglia,  puo'  essere  considerata  da   sola
sufficiente   a   integrare   la   violazione   del   principio    di
ragionevolezza. Il limite  di  otto  miliardi  di  euro  non  risulta
sproporzionato  all'obiettivo  perseguito,  in   quanto   conduce   a
ricomprendere  nell'ambito  delle  aziende  di   credito   tenute   a
trasformarsi  in  societa'  per  azioni  le  banche   popolari   piu'
significative - per credito erogato, numero di sportelli e  personale
impiegato - nel panorama nazionale. 
    La censura di irragionevolezza e di sproporzione  dell'intervento
legislativo va pertanto disattesa. 
    La censura riguardante  l'omessa  garanzia  della  partecipazione
delle  regioni  al  procedimento  legislativo  nonostante  la  natura
trasversale della competenza  esclusiva  dello  Stato  nella  materia
«tutela del risparmio», puo' essere esaminata  insieme  a  quella  di
violazione del principio di leale collaborazione, per la  sostanziale
identita' delle ragioni esposte a sostegno di  entrambe.  Le  censure
sono entrambe infondate per la natura prevalente, gia'  sottolineata,
delle competenze statali esclusive  delle  quali  e'  espressione  la
riforma del regime delle banche popolari, con la conseguenza che  per
il loro esercizio non sono  costituzionalmente  necessarie  forme  di
raccordo con le regioni. 
    4.- Con la terza questione, la Regione lamenta la violazione,  ad
opera della norma impugnata, dell'art. 118, quarto comma, Cost.,  «in
combinato disposto» con gli artt. 45 e 47, nonche' con gli  artt.  2,
18 e 41 Cost. 
    La  Regione  ricorrente  muove  dalla   considerazione   che   la
cooperazione, per la funzione sociale  che  le  riconosce  l'art.  45
Cost., rientrerebbe fra le «attivita' di interesse generale»  oggetto
della previsione dell'art. 118, quarto comma, Cost., e ne desume che,
in  forza  del  principio  di  sussidiarieta'  orizzontale  in   essa
espresso, lo Stato non potrebbe sottrarre tali  attivita'  alla  cura
degli enti indicati nella stessa previsione,  tra  i  quali  vi  sono
anche le regioni. Sicche', cancellando o limitando significativamente
la cooperazione nel sistema bancario, il legislatore statale  avrebbe
illegittimamente sottratto alla cura delle regioni  un'attivita'  che
dovrebbe invece essere riservata ad esse perche'  ne  favoriscano  lo
svolgimento attraverso l'autonoma iniziativa dei cittadini. 
    La ricorrente svolge  analoghe  osservazioni  con  riguardo  alla
tutela del risparmio prevista dall'art. 47 Cost. Il collegamento  con
la previsione dell'art. 118, quarto comma, Cost. e'  operato  con  la
considerazione che, grazie alla destinazione degli utili delle banche
popolari a iniziative di  carattere  socio-sanitario,  scientifico  e
culturale, le regioni e gli enti locali possono  favorire  iniziative
dei cittadini per attivita' di interesse  generale.  Facendone  venir
meno  il  carattere  mutualistico,  il  legislatore  statale  avrebbe
determinato lo "sradicamento" delle banche popolari dal territorio di
riferimento, e avrebbe privato le regioni e gli  enti  locali  di  un
fondamentale  motore  di  sviluppo  economico  e  sociale.  Sarebbero
inoltre frustrate  le  finalita'  di  accesso  popolare  al  credito,
perseguite dall'art. 47 Cost. 
    L'intervento   statale   inciderebbe   ancora   sulla    liberta'
contrattuale e di iniziativa economica tutelata dall'art.  41  Cost.,
anche  nella   sua   funzione   sociale,   frustrerebbe   gli   scopi
solidaristici  di  coloro  che  si  sono  associati  per   perseguire
legittime finalita' mutualistiche, in contrasto con gli artt. 2 e  18
Cost., e lederebbe il legittimo  affidamento  dei  piccoli  azionisti
delle  banche  popolari  nella  stabilita'  della   loro   situazione
giuridica. 
    Le motivazioni esposte a sostegno delle  censure  confermano  che
l'oggetto dell'impugnazione e' limitato alla disposizione che obbliga
le banche popolari alla trasformazione in  societa'  per  azioni  nel
caso di superamento della soglia di otto miliardi di attivo, giacche'
solo il previsto obbligo  di  trasformazione  societaria  si  traduce
nella lamentata compressione delle garanzie previste  dall'art.  118,
quarto comma, Cost. 
    La genericita' delle ragioni addotte a sostegno  della  lamentata
lesione dell'art. 118, quarto  comma,  Cost.,  in  conseguenza  delle
scelte statali concernenti il regime giuridico delle banche popolari,
non consente di ritenere superata la soglia di  ammissibilita'  della
questione. La ricorrente, infatti, non offre argomenti idonei a  dare
conto  dell'attitudine  di  tale  parametro  a  fondare  una   regola
attributiva di specifiche competenze regionali. Il  riferimento  alla
promozione della cooperazione o di attivita' di interesse generale di
carattere socio-sanitario, scientifico  e  culturale,  che  sarebbero
favorite grazie agli utili destinati dalle banche  popolari,  non  e'
evidentemente idoneo a rendere ragione del pregiudizio di  specifiche
attribuzioni regionali, che non puo' certo  sostanziarsi  nella  mera
affermazione di un interesse a ricevere  una  parte  di  tali  utili.
Ancora piu' generiche e di ancor piu' oscuro significato - oltre  che
prive di motivazione - sono le censure che invocano il  principio  di
sussidiarieta'  in  relazione   alla   tutela   della   liberta'   di
associazione e di iniziativa  economica  privata,  a  sostegno  delle
quali la ricorrente  si  limita  ad  affermare  che  le  disposizioni
impugnate inciderebbero necessariamente  sulla  possibilita'  per  la
Regione di favorire iniziative economiche di  interesse  generale  da
parte dei cittadini. 
    L'inadeguatezza degli argomenti spesi a  dimostrare  il  supposto
legame fra il principio di  sussidiarieta'  enunciato  all'art.  118,
quarto  comma,  Cost.   e   i   molteplici   ed   eterogenei   valori
costituzionali evocati, e il difetto di motivazione sugli  ambiti  di
competenza regionale  che,  in  asserita  violazione  dell'art.  118,
quarto comma, Cost., sarebbero incisi dalla  disposizione  censurata,
conducono necessariamente a  conclusioni  di  inammissibilita'  della
questione. 
    5.- La Regione sostiene, infine, che la norma  impugnata  avrebbe
violato gli artt. 77 (secondo comma) e 117 Cost., «anche in combinato
disposto con  l'art.  3  Cost.»,  in  quanto  non  sussisterebbero  i
presupposti che giustificano la decretazione d'urgenza. 
    Per il suo contenuto, l'impugnazione investe qui l'intero art.  1
del d.l. n. 3 del 2015, estendendo il suo  oggetto  alla  complessiva
riforma delle banche popolari. 
    Il riferimento alla violazione dell'art. 3 Cost. non e'  sorretto
da un'autonoma motivazione, sicche' la censura  si  deve  considerare
collegata a quella relativa agli altri parametri. 
    Anche in questo caso, si pone in via preliminare  il  tema  della
ridondanza sul riparto delle competenze fra  Stato  e  regioni  delle
asserite violazioni di parametri diversi da quelli  riguardanti  tale
riparto. 
    Al riguardo si deve rilevare che  la  ricorrente,  non  solo  non
offre motivazione della supposta incidenza della violazione dell'art.
77 Cost. sulle  attribuzioni  regionali,  ma  omette  di  indicare  i
parametri  costituzionali  rilevanti,  attinenti  al  riparto   delle
competenze, che verrebbero violati, limitandosi  a  ripetere  che  la
norma impugnata interferisce con vari  temi  di  interesse  regionale
(welfare, cultura, sport),  per  il  forte  sostegno  concesso  dalle
banche popolari alle politiche regionali  nelle  stesse  materie.  La
genericita'  della  censura,  sotto  questo  profilo,  ne   determina
l'inammissibilita'. 
    La ricorrente indica invece con sufficiente  precisione,  tra  le
competenze regionali sulle quali ridonderebbe la violazione dell'art.
77 Cost., quella in  materia  di  «aziende  di  credito  a  carattere
regionale», prevista dal terzo comma dell'art. 117 Cost. Sotto questo
diverso profilo, la censura supera il vaglio di  ammissibilita',  per
le considerazioni svolte sopra  nel  trattare  la  seconda  questione
(punto 3), ma deve tuttavia essere respinta nel merito. 
    Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, il  sindacato
sulla  legittimita'  dell'adozione,  da  parte  del  Governo,  di  un
decreto-legge  va  limitato  ai  casi  di   evidente   mancanza   dei
presupposti di straordinaria necessita' e urgenza richiesti dall'art.
77,  secondo  comma,  Cost.,  o  di  manifesta   irragionevolezza   o
arbitrarieta' della loro valutazione (ex plurimis,  sentenze  n.  133
del 2016, n. 10 del 2015, n. 22 del 2012, n. 93 del 2011, n. 355 e n.
83 del 2010, n. 128 del 2008, n. 171 del 2007). 
    Nel preambolo del d.l. n. 3 del 2015, recante «Misure urgenti per
il sistema bancario e gli investimenti», il Governo  fa  riferimento,
per quello che qui rileva, alle ragioni di straordinaria necessita' e
urgenza di avvio del processo di  adeguamento  del  sistema  bancario
agli  indirizzi   europei.   Ulteriori   e   diffuse   considerazioni
sull'urgenza dell'intervento si rinvengono anche nella relazione  che
accompagna  il  disegno  di  legge  di  conversione,  ove  e'   fatto
riferimento anche  alle  forti  sollecitazioni  del  Fondo  monetario
internazionale  e  dell'Organizzazione   per   lo   sviluppo   e   la
cooperazione economica a trasformare le banche popolari  maggiori  in
societa' per azioni. 
    Tutte queste ragioni, che collegano le esigenze di  rafforzamento
patrimoniale, di competitivita' e di sicurezza delle banche popolari,
sia  all'adeguamento  del  sistema  bancario  nazionale  a  indirizzi
europei e di organismi internazionali, sia ai noti e deleteri effetti
sull'erogazione creditizia della crisi  economica  e  finanziaria  in
atto, escludono che si  sia  in  presenza  di  evidente  carenza  del
requisito della straordinaria necessita'  e  urgenza  di  provvedere.
Cosi' come escludono che la valutazione del requisito sia affetta  da
manifesta irragionevolezza o arbitrarieta'. 
    Le affermazioni della ricorrente sulla natura non  vincolante  di
eventuali indirizzi europei non  considerano,  poi,  che  le  ragioni
della decretazione d'urgenza non si identificano con la necessita' di
adeguare gli ordinamenti degli Stati membri al diritto  europeo,  ben
potendo sussistere indipendentemente da essa. 
    Il riferimento della Regione a risoluzioni del Parlamento europeo
che invitano gli Stati membri ad adottare misure di promozione  e  di
sostegno della struttura pluralista  del  mercato  bancario  e  della
cooperazione bancaria non dimostra la  manifesta  irragionevolezza  o
arbitrarieta' della valutazione del Governo quanto  alla  sussistenza
dei presupposti di necessita' e urgenza. Per un verso,  infatti,  gli
«indirizzi europei» evocati nel preambolo sono contenuti  negli  atti
normativi  dell'Unione  europea  in   materia   di   regolamentazione
prudenziale, di sistema europeo di  vigilanza  unica  bancaria  e  di
risanamento e risoluzione degli enti creditizi, e le finalita'  della
riforma non sono incoerenti con  essi.  Per  altro  verso,  la  norma
impugnata non persegue, come afferma  ripetutamente  la  Regione,  lo
scopo di "cancellare" dal sistema bancario le banche popolari, ma  si
limita a disciplinare la forma giuridica di quelle, tra di esse,  che
hanno raggiunto dimensioni significative. 
    Non  coglie  nel  segno   neppure   l'argomento   della   Regione
ricorrente, secondo cui la normativa impugnata, in quanto recante una
riforma di sistema, non sarebbe compatibile  con  i  presupposti  del
decreto-legge. La  normativa  in  esame,  invero,  non  presenta  una
portata cosi' ampia da caratterizzarsi come vera  e  propria  riforma
del sistema bancario. Per quanto essa incida significativamente su un
particolare  tipo  di  azienda  di  credito,  resta  pur  sempre   un
intervento settoriale e specifico, non assimilabile dunque a un  atto
definibile come riforma di sistema. 
    La ricorrente lamenta infine la supposta  non  omogeneita'  della
stessa normativa,  riferendo  la  censura  all'intero  contenuto  del
provvedimento, il quale introduce,  oltre  alle  norme  sulle  banche
popolari, misure in materia di portabilita' dei  conti  correnti,  di
sostegno alle piccole  e  medie  imprese  innovative,  di  tassazione
agevolata dei redditi derivanti dalla cessione di  beni  immateriali,
di prestito indiretto  per  investitori  istituzionali  esteri  e  di
finanziamenti agevolati alle piccole e medie imprese. 
    Nemmeno questa censura e' fondata. L'eterogeneita' non  sussiste,
poiche' tutte  le  misure  contemplate  nella  normativa  oggetto  di
impugnazione  possono  essere  ricondotte  al  comune  obiettivo   di
sostegno   dei   finanziamenti   alle   imprese,   ostacolati   dalla
straordinarieta' della crisi economica e finanziaria in atto. 
    In conclusione, la  questione  e'  in  parte  inammissibile,  per
difetto di motivazione sull'individuazione  di  competenze  regionali
potenzialmente lese dalla violazione dell'art. 77 Cost., e  in  parte
infondata, la' dove supera la soglia di  ammissibilita',  perche'  la
norma impugnata non contrasta con l'art. 77 Cost.