ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nei giudizi di legittimita' costituzionale degli artt.  1,  comma
2, 18-bis, comma 3, primo periodo, 19, comma 1,  primo  periodo,  83,
commi 1, 2, 3, 4 e 5, 83-bis, comma 1, numeri 1), 2), 3)  e  4),  84,
commi 1, 2 e 4, e 85 del d.P.R. 30 marzo 1957, n.  361  (Approvazione
del testo unico delle leggi  recanti  norme  per  la  elezione  della
Camera dei  deputati),  come  sostituiti,  modificati  e/o  aggiunti,
rispettivamente, dall'art. 2, commi 1, 10, lettera c), 11, 25,  26  e
27 della legge 6 maggio 2015,  n.  52  (Disposizioni  in  materia  di
elezione della Camera dei deputati); degli artt. 16, comma 1, lettera
b), e 17 del decreto legislativo 20  dicembre  1993,  n.  533  (Testo
unico delle leggi recanti  norme  per  l'elezione  del  Senato  della
Repubblica), come novellati dall'art. 4, commi 7 e 8, della legge  21
dicembre 2005, n. 270 (Modifiche  alle  norme  per  l'elezione  della
Camera dei deputati e del Senato della Repubblica); e degli artt.  1,
comma 1, lettere a), d), e), f) e g), e 2, comma 35, della  legge  n.
52 del 2015, promossi dai  Tribunali  ordinari  di  Messina,  Torino,
Perugia, Trieste e Genova  con  ordinanze,  rispettivamente,  del  17
febbraio, del 5 luglio, del 6 settembre,  del  5  ottobre  e  del  16
novembre 2016, iscritte ai nn. 69, 163, 192, 265 e 268  del  registro
ordinanze 2016 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
nn. 14, 30, 41 e 50, prima serie speciale, dell'anno 2016. 
    Visti gli atti di costituzione di  V.P.  e  altri,  di  L.P.C.  e
altri, di M.V. e altri, di F.S. e altri, e di S.A. e  altri,  nonche'
gli atti di intervento di F.C.B. e altri, di C.T. e altri,  di  S.M.,
di F.D.M. e altro (intervenuti nel giudizio iscritto al  n.  163  del
registro ordinanze 2016 con due atti,  il  primo  nei  termini  e  il
secondo   fuori   termine),   del   Codacons   (Coordinamento   delle
associazioni per la difesa dell'ambiente e la tutela dei  diritti  di
utenti e consumatori) e altro (intervenuti nei  termini  nei  giudizi
iscritti ai nn. 265 e  268  del  registro  ordinanze  2016,  e  fuori
termine nei giudizi iscritti ai nn. 69 e 163 del  registro  ordinanze
2016), di V.P., di E.P. e altra, di M.M. ed altri  e  del  Presidente
del Consiglio dei ministri; 
    udito nell'udienza  pubblica  del  24  gennaio  2017  il  Giudice
relatore Nicolo' Zanon; 
    uditi gli avvocati Enzo Paolini per E.P. e altra,  per  F.C.B.  e
altri, per S.M. e per V.P., Claudio Tani  per  C.T.  e  altri,  Carlo
Rienzi per il  Codacons  (Coordinamento  delle  associazioni  per  la
difesa dell'ambiente e la tutela dei diritti di utenti e consumatori)
e altro, Vincenzo Palumbo e Giuseppe Bozzi per V.P. e altri,  Roberto
Lamacchia per L.P.C. e altri, Michele Ricciardi  per  M.V.  e  altri,
Felice Carlo Besostri per F.S. e altri e per S.A.  e  altri,  Lorenzo
Acquarone e Vincenzo Paolillo per S.A. e altri, e gli avvocati  dello
Stato Paolo Grasso e Massimo Massella Ducci Teri  per  il  Presidente
del Consiglio dei ministri. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza del 17 febbraio  2016  (reg.  ord.  n.  69  del
2016), il Tribunale ordinario di Messina ha  sollevato  questioni  di
legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 1, lettera  f),  della
legge 6 maggio 2015, n. 52 (Disposizioni in materia di elezione della
Camera dei deputati) e degli artt. 1, comma 2, e 83, commi 1, 2, 3, 4
e 5, del d.P.R. 30 marzo 1957, n. 361 (Approvazione del  testo  unico
delle leggi recanti norme per la elezione della Camera dei deputati),
questi ultimi come modificati dall'art. 2, commi 1 e 25, della  legge
n. 52 del 2015, per violazione degli artt. 1, primo e secondo  comma,
3, primo e secondo comma, 48, secondo comma, 49, 51, primo  comma,  e
56, primo comma, della Costituzione, e  dell'art.  3  del  Protocollo
addizionale  alla  Convenzione  per  la  salvaguardia   dei   diritti
dell'uomo e delle liberta' fondamentali, firmato a Parigi il 20 marzo
1952, ratificato e reso esecutivo con legge 4 agosto  1955,  n.  848;
dell'art. 1, comma 1, lettere a), d) e e), della legge n. 52 del 2015
e degli artt. 83, commi 1, 2, 3, 4 e 5, e 84, commi 2 e 4, del d.P.R.
n. 361 del 1957, questi ultimi come sostituiti dall'art. 2, commi  25
e 26, della legge n. 52 del 2015, per violazione dell'art. 56,  primo
e quarto comma, Cost.; dell'art. 1, comma 1, lettera g), della  legge
n. 52 del 2015 e degli artt. 18-bis,  comma  3,  primo  periodo,  19,
comma 1, primo periodo, e 84, comma 1, del d.P.R. n.  361  del  1957,
come modificati e/o sostituiti, rispettivamente, dall'art.  2,  commi
10, lettera c), 11 e 26, della legge n. 52 del 2015,  per  violazione
degli artt. 1, primo e secondo comma, 2, 48, secondo comma, 51, primo
comma, e 56, primo e quarto comma, Cost.; degli artt.  16,  comma  1,
lettera b), e 17 del d.lgs. 20 dicembre 1993,  n.  533  (Testo  unico
delle  leggi  recanti  norme  per   l'elezione   del   Senato   della
Repubblica), come novellati dall'art. 4, commi 7 e 8, della legge  21
dicembre 2005, n. 270 (Modifiche  alle  norme  per  l'elezione  della
Camera dei deputati e del Senato della  Repubblica),  per  violazione
degli artt. 1, 3, 48, secondo comma, 49 e 51 Cost.;  e  dell'art.  2,
comma 35, della legge n. 52 del 2015, per violazione degli  artt.  1,
3, 48, primo comma, 49, 51, primo comma, e 56, primo comma, Cost. 
    1.1.- Il giudice a quo riferisce di essere chiamato a decidere un
giudizio promosso con ricorso ai sensi dell'art. 702-bis  del  codice
di procedura civile da alcuni cittadini italiani iscritti nelle liste
elettorali del Comune di Messina, i quali hanno convenuto in giudizio
il Presidente del Consiglio dei ministri e il Ministro  dell'interno,
affinche' sia riconosciuto e dichiarato «il loro  diritto  soggettivo
di  elettorato,  per   partecipare   personalmente,   liberamente   e
direttamente, in un sistema istituzionale di democrazia parlamentare,
con metodo democratico ed in condizioni di liberta'  ed  eguaglianza,
alla vita politica della Nazione, nel legittimo esercizio della  loro
quota di sovranita' popolare, cosi' come previsto e  garantito  dagli
artt. 1, 2, 3, 24, 48, 49, 51, 56, 71, 92, 111, 113, 117, 138 Cost. e
dagli artt. 13 CEDU (Convenzione  europea  per  la  salvaguardia  dei
diritti dell'uomo), 3 Protocollo CEDU, entrambi ratificati in  Italia
con legge 4 agosto  1955,  n.  848»;  affinche'  sia  riconosciuto  e
dichiarato che l'applicazione della legge n.  52  del  2015  «risulta
gravemente lesiva dei loro diritti come sopra indicati, ponendosi  in
contrasto  con  le  superiori  disposizioni  costituzionali»;  e,  di
conseguenza, affinche' il giudice  adito  disponga  «la  trasmissione
degli atti alla Corte Costituzionale». 
    1.2.- In via  preliminare,  il  Tribunale  ordinario  di  Messina
rigetta le eccezioni sollevate nel  giudizio  a  quo  dall'Avvocatura
distrettuale dello Stato, secondo  la  quale  l'azione  promossa  dai
cittadini elettori avrebbe dovuto essere dichiarata inammissibile per
carenza di interesse ad agire, in quanto non sarebbero  state  ancora
indette  le  elezioni  politiche  e  non  vi   sarebbe   un'imminente
competizione elettorale nella quale esercitare il diritto di voto che
i ricorrenti assumono leso dalle  disposizioni  censurate,  le  quali
ultime, peraltro, «entreranno in vigore dal 1° luglio 2016». 
    Il  giudice  a  quo,   sul   punto,   dichiara   di   condividere
l'orientamento dalla Corte di cassazione, la quale avrebbe  affermato
che l'espressione del diritto di voto «rappresenta  l'oggetto  di  un
diritto inviolabile e "permanente", il cui  esercizio  da  parte  dei
cittadini puo' avvenire in qualunque momento» (Corte  di  cassazione,
sezione prima civile,  ordinanza  17  maggio  2013,  n.  12060).  Pur
riconoscendo che, in quell'occasione, la  decisione  della  Corte  di
cassazione riguardava un ricorso proposto da un cittadino elettore in
relazione ad elezioni politiche gia' svolte,  il  giudice  rimettente
afferma di aderire alle argomentazioni dei ricorrenti, i quali  hanno
sostenuto che l'indagine sulla meritevolezza dell'interesse ad  agire
non costituisce un parametro valutativo ai sensi dell'art.  100  cod.
proc. civ.; che, ai fini della proponibilita' delle  azioni  di  mero
accertamento,  o,  come  nel  caso  in  esame,   costitutive   o   di
accertamento-costitutive, sarebbe  «sufficiente  l'esistenza  di  uno
stato di  dubbio  o  incertezza  oggettiva  sull'esatta  portata  dei
diritti e degli obblighi scaturenti da un rapporto giuridico di fonte
negoziale o anche legale,  in  quanto  tale  idonea  a  provocare  un
ingiusto  pregiudizio  non  evitabile  se  non  per  il  tramite  del
richiesto  accertamento  giudiziale  della  concreta  volonta'  della
legge, senza che sia necessaria  l'attualita'  della  lesione  di  un
diritto» (sono richiamate le  sentenze  della  Corte  di  cassazione,
sezione seconda civile, 26 maggio 2008, n. 13556; sezione lavoro,  21
febbraio 2008, n. 4496; sezione seconda civile, 29  maggio  1976,  n.
1952;  sezione  prima  civile,  12  agosto  1966,   n.   2209);   che
l'espressione del voto costituisce oggetto di un diritto  inviolabile
e «permanente» dei cittadini, i  quali  possono  essere  chiamati  ad
esercitarlo in ogni momento e, pertanto, lo stato  di  incertezza  al
riguardo costituisce un pregiudizio concreto, di per se'  sufficiente
a giustificare la sussistenza dell'interesse ad agire;  che,  infine,
subordinare  la  proponibilita'  dell'azione   «al   verificarsi   di
condizioni  non  previste  dalla  legge   (come,   ad   esempio,   la
convocazione dei comizi elettorali)» determinerebbe  la  lesione  dei
parametri  costituzionali  che  garantiscono  l'effettivita'   e   la
tempestivita' della tutela giurisdizionale (artt. 24 e  113,  secondo
comma, Cost.). Il giudice a quo ricorda, inoltre, la  sentenza  della
Corte  costituzionale  n.  1  del  2014,  con  la  quale  sono  state
dichiarate  ammissibili  questioni  di  legittimita'   costituzionale
relative  a  «normativa   elettorale   non   conforme   ai   principi
costituzionali, indipendentemente da atti applicativi  della  stessa,
in quanto gia' l'incertezza sulla portata del diritto costituisce una
lesione giuridicamente rilevante», e  osserva  come,  nella  medesima
pronuncia,   l'ammissibilita'   delle   questioni   di   legittimita'
costituzionale sarebbe stata  dettata  dall'esigenza  che  non  siano
sottratte al sindacato di costituzionalita' le leggi che  definiscono
le regole della composizione della Camera e del Senato. 
    Secondo  il  rimettente  non  potrebbe,  invece,  invocarsi  -  a
sostegno  della  soluzione  opposta  -  la   sentenza   della   Corte
costituzionale n. 110 del 2015, con la quale  sono  state  dichiarate
inammissibili questioni  di  legittimita'  costituzionale  aventi  ad
oggetto disposizioni che regolano l'elezione dei membri  italiani  al
Parlamento europeo in relazione «a future  consultazioni»:  la  Corte
costituzionale, infatti, in quella  pronuncia,  avrebbe  sottolineato
come solo la disciplina elettorale per il rinnovo della Camera e  del
Senato ricadano, in ragione  del  controllo  riservato  dall'art.  66
Cost. alle Camere stesse, in una zona franca sottratta  al  sindacato
di costituzionalita'. 
    Per tali ragioni,  il  Tribunale  ordinario  di  Messina  ritiene
sussistente l'interesse ad agire dei ricorrenti. 
    1.3.-  Sempre  preliminarmente,  il   rimettente   motiva   sulla
sussistenza  della  rilevanza   delle   questioni   di   legittimita'
costituzionale prospettate ai fini  della  definizione  del  giudizio
principale,  argomentando  che  nel   giudizio   principale   sarebbe
individuabile un petitum separato, distinto  e  piu'  ampio  rispetto
alle questioni di legittimita' costituzionale sollevate: spetterebbe,
infatti, al giudice a quo la verifica delle altre condizioni  da  cui
la legge fa dipendere  il  riconoscimento  del  diritto  di  voto  e,
inoltre, non vi sarebbe neppure coincidenza tra il dispositivo  della
sentenza costituzionale e quello  della  sentenza  che  definisce  il
giudizio di merito, la quale ultima, accertata l'avvenuta lesione del
diritto azionato, lo ripristina nella pienezza della sua  espansione,
seppure per il tramite della sentenza costituzionale. 
    1.4.- Nel merito, il Tribunale ordinario di  Messina,  dopo  aver
ampiamente  illustrato  le  ragioni  per  le  quali  ritiene  di  non
condividere parte delle doglianze prospettate  dalle  parti,  solleva
plurime questioni di legittimita' costituzionale. 
    Con la prima censura, il  rimettente  dubita  della  legittimita'
costituzionale dell'art. 1, comma 1, lettera f), della  legge  n.  52
del 2015 e degli artt. 1, comma 2, e 83, commi 1, 2, 3, 4  e  5,  del
d.P.R. n. 361 del 1957, questi ultimi come  modificati  dall'art.  2,
commi 1 e 25, della legge n. 52 del 2015, in riferimento  agli  artt.
1, primo e secondo comma, 3,  primo  e  secondo  comma,  48,  secondo
comma, 49, 51, primo comma, e 56, primo comma, Cost.,  e  all'art.  3
del Protocollo addizionale alla Convenzione per la  salvaguardia  dei
diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali. 
    Dopo aver ricordato quanto affermato dalla  Corte  costituzionale
nella sentenza n. 1 del 2014, il rimettente premette di non  dubitare
della conformita' a Costituzione - e, in particolare, al principio di
eguaglianza del voto garantito dall'art. 48, secondo comma, Cost., il
quale richiede che ciascun voto  contribuisca  potenzialmente  e  con
pari  efficacia  alla  formazione  degli  organi  elettivi  -   della
previsione di un premio di maggioranza  alla  lista  che  ottenga  la
percentuale prescritta del 40 per cento  dei  voti  al  primo  turno,
trattandosi, a suo avviso,  di  una  soglia  che,  nell'ambito  della
discrezionalita' politica del legislatore, non rende intollerabile la
cosiddetta disproporzionalita' tra voti espressi e seggi attribuiti. 
    Dubita, invece,  il  rimettente  che  le  disposizioni  censurate
contrastino con l'evocato parametro  costituzionale,  in  quanto  non
prevedono «un necessario rapporto tra voti ottenuti rispetto non gia'
ai voti validi, ma al complesso degli aventi  diritto  al  voto  (una
sorta di quorum di votanti), unitamente al fatto  che  il  premio  di
maggioranza  operi  anche  in  caso  di  ballottaggio  (che  andrebbe
comunque considerato come una nuova votazione  tra  due  sole  liste,
diverse dalla precedente, nella quale  e'  necessario  che  la  lista
vincente prenda  almeno  il  50,01%  dei  voti  rispetto  alla  lista
concorrente) e che vi sia la  clausola  di  sbarramento  al  3%».  Il
premio di maggioranza,  cosi'  attribuito,  finirebbe  -  secondo  il
rimettente - per «liberare le decisioni della piu' forte minoranza da
ogni controllo dell'elettorato». 
    Il Tribunale ordinario di Messina specifica, infine, di  dubitare
della legittimita' costituzionale dell'introduzione di  una  clausola
di sbarramento per l'accesso al riparto dei seggi, pur in presenza di
un premio di maggioranza «a sua volta tendente a  sovra-rappresentare
il partito con piu' voti», e cio' sebbene l'introduzione di soglie di
sbarramento costituisca una scelta  riservata  alla  discrezionalita'
politica del legislatore e la percentuale prevista dalla legge n.  52
del 2015 non sia, di per se', ne' troppo  bassa,  ne'  eccessivamente
elevata  (e'  menzionata,  sul  punto,  la   sentenza   della   Corte
costituzionale n. 193 del 2015). 
    1.5.- Il medesimo Tribunale  solleva  questioni  di  legittimita'
costituzionale dell'art. 1, comma 1, lettere a), d) e e), della legge
n. 52 del 2015 e degli artt. 83, commi 1, 2, 3, 4 e 5, e 84, commi  2
e 4, del d.P.R. n.  361  del  1957,  questi  ultimi  come  sostituiti
dall'art. 2, commi  25  e  26,  della  legge  n.  52  del  2015,  per
violazione dell'art. 56, primo e quarto comma, Cost. 
    Il rimettente premette che la legge n. 52 del 2015  suddivide  il
territorio nazionale in venti  circoscrizioni  territoriali,  a  loro
volta ripartite in cento collegi plurinominali (fatti salvi i collegi
uninominali nelle circoscrizioni Valle  d'Aosta  e  Trentino  -  Alto
Adige), e che, «nel contesto di un complesso meccanismo di calcolo da
parte dell'Ufficio centrale nazionale», nel caso  in  cui  una  lista
abbia  esaurito  in  una  circoscrizione  il  numero  dei   candidati
potenzialmente eleggibili, i seggi spettanti a quella  circoscrizione
«carente» vengono trasferiti ad altra circoscrizione in cui vi  siano
candidati «eccedentari», eleggibili in virtu'  del  trasferimento  di
seggi. 
    A  suo  avviso,  tale  meccanismo  violerebbe  il  principio   di
rappresentativita' territoriale che  l'art.  56  Cost.  «delinea  con
riguardo al rapporto tra i seggi da distribuire e la  popolazione  di
ogni  circoscrizione».  Il  rimettente  assume,   infatti,   che   le
disposizioni censurate, nel consentire la traslazione dei voti  utili
per  l'elezione  da  una  circoscrizione,  che  risulti  carente   di
candidati, ad un'altra, che risulti eccedentaria,  si  porrebbero  in
contrasto «con il principio di rappresentativita'  e  responsabilita'
dell'eletto rispetto agli elettori che lo hanno espresso». 
    1.6.- La terza questione di legittimita' costituzionale sollevata
dal Tribunale ordinario di Messina ha ad oggetto l'art. 1,  comma  1,
lettera g), della legge n. 52 del 2015, e gli artt. 18-bis, comma  3,
primo periodo, 19, comma 1, primo periodo, e 84, comma 1, del  d.P.R.
n. 361 del 1957, come  modificati  e/o  sostituiti,  rispettivamente,
dall'art. 2, commi 10, lettera c), 11 e 26, della  legge  n.  52  del
2015, per violazione degli artt. 1, primo e  secondo  comma,  2,  48,
secondo comma, 51, primo comma, e 56, primo e quarto comma, Cost. 
    Ricorda, anzitutto, il rimettente la sentenza n. 1 del 2014,  con
la quale la Corte costituzionale avrebbe dichiarato  l'illegittimita'
costituzionale delle disposizioni che prevedevano le liste  bloccate,
poiche' esse non  avrebbero  consentito  «all'elettore  di  esprimere
alcuna preferenza al fine  di  determinare  l'elezione,  ma  solo  di
scegliere una lista di partito, cui era rimessa la designazione e  la
collocazione in lista di tutti i candidati», e, dunque, quel  sistema
avrebbe reso «il voto sostanzialmente  "indiretto",  e,  quindi,  ne'
libero, ne' personale, in violazione  dell'art.  48,  secondo  comma,
Cost.». 
    Osserva, quindi, che le disposizioni censurate prevedono,  da  un
lato,  circoscrizioni  «relativamente  piccole»  e,  dall'altro,   un
sistema  misto,  «in  parte  blindato  ed  in  parte  preferenziale»,
costituito da «liste bloccate solo per una parte  dei  seggi»,  ossia
solo per i capilista nei  cento  collegi  plurinominali,  mentre  gli
altri candidati sono scelti con il voto di preferenza. 
    Cio' premesso, il rimettente osserva che se, «[d]i per se'», tali
norme potrebbero ritenersi coerenti con le  indicazioni  della  Corte
costituzionale, residua tuttavia il dubbio «che  possa  concretamente
realizzarsi per le forze di  opposizione  (rectius:  minoritarie)  un
effetto distorsivo dovuto alla rappresentanza parlamentare largamente
dominata da capilista  bloccati,  pur  se  con  il  correttivo  della
multicandidatura, ma con possibilita' che il voto in  tali  casi  sia
sostanzialmente "indiretto", e, quindi, ne' libero, ne' personale, in
violazione dell'art. 48, secondo comma, Cost.». 
    1.7.- Ulteriore questione di legittimita' costituzionale  investe
gli artt. 16, comma 1, lettera b), e 17 del d.lgs. n. 533  del  1993,
come novellati dall'art. 4, commi 7 e 8, della legge n. 270 del 2005,
per violazione degli artt. 1, 3, 48, secondo comma, 49 e 51 Cost. 
    Dopo aver  ricordato  che  tali  disposizioni,  che  regolano  il
sistema elettorale del Senato, prevedono che  possano  accedere  alla
ripartizione dei seggi le coalizioni di liste che ottengono almeno il
20 per cento dei voti validi in ambito regionale,  le  singole  liste
facenti parte di coalizioni che conseguono almeno il 3 per cento  dei
voti validi e le singole liste, non coalizzate, che ottengono  almeno
l'8 per cento dei voti, il giudice a quo ricorda  la  sentenza  della
Corte costituzionale  n.  1  del  2014,  nella  quale  sarebbe  stato
affermato  che,  nonostante  rientri   nella   discrezionalita'   del
legislatore ordinario differenziare i sistemi elettorali dei due rami
del Parlamento, alla Corte sarebbe riservato il dovere di  verificare
se la disciplina  legislativa  violi  manifestamente  i  principi  di
proporzionalita' e ragionevolezza e, pertanto, sia lesiva degli artt.
1, secondo comma, 3, 48, secondo comma, e 67 Cost.  Osserva,  quindi,
il rimettente che, nel  caso  in  esame,  la  «palese  diversita'  di
sistema  elettorale»   favorisce   la   formazione   di   maggioranze
parlamentari non coincidenti, pur in presenza  di  una  distribuzione
del voto sostanzialmente omogenea tra i due rami  del  Parlamento,  e
che cio' - sul punto riportando un passo della sentenza  della  Corte
costituzionale n. 1 del 2014  -  «rischia  di  compromettere  sia  il
funzionamento della forma di  governo  parlamentare  delineata  dalla
Costituzione repubblicana, nella  quale  il  Governo  deve  avere  la
fiducia  delle  due  Camere  (art.  94,  primo  comma,  Cost.),   sia
l'esercizio  della  funzione  legislativa,  che   l'art.   70   Cost.
attribuisce collettivamente alla Camera ed al Senato», rischiando  di
vanificare il risultato che si  intende  conseguire  con  un'adeguata
stabilita' della maggioranza parlamentare e del Governo. 
    1.8.-  Il  Tribunale  ordinario  di  Messina   solleva,   infine,
questione di legittimita' costituzionale dell'art. 2, comma 35, della
legge n. 52 del 2015, in base al quale le disposizioni contenute  nel
medesimo art. 2 si applicano alle elezioni della Camera dei  deputati
a decorrere dal 1° luglio 2016. 
    Il giudice a quo dubita che tale  previsione  sia  conforme  agli
artt. 1, 3, 48, primo comma, 49, 51, primo comma, e 56, primo  comma,
Cost.,  in  quanto,  «in  caso  di  nuove  elezioni  a   legislazione
elettorale del Senato invariata (pur essendo in  itinere  la  riforma
costituzionale di questo ramo del  Parlamento),  si  produrrebbe  una
situazione di palese ingovernabilita',  per  la  coesistenza  di  due
diverse maggioranze». Pur ammettendo che  in  un  sistema  bicamerale
perfetto i componenti dei due  rami  del  Parlamento  possano  essere
eletti con sistemi elettorali differenti e  che  cio'  rientri  nella
discrezionalita' del legislatore, il rimettente ritiene che i sistemi
elettorali  attualmente  vigenti  per   la   Camera   e   il   Senato
produrrebbero  maggioranze  diverse  e,   dunque,   assume   che   la
disposizione    censurata    sia    incostituzionale,    in    quanto
l'applicabilita' della legge n. 52 del 2015 non  e'  stata  differita
«al momento in cui verra' attuata la riforma costituzionale». 
    2.- Con atto depositato in data 26 aprile 2016 e' intervenuto  in
giudizio il Presidente del Consiglio dei  ministri,  rappresentato  e
difeso  dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  chiedendo  che   le
questioni siano dichiarate inammissibili o, comunque, infondate. 
    2.1.- L'Avvocatura generale  dello  Stato  eccepisce,  anzitutto,
l'inammissibilita'   di   tutte   le   questioni   di    legittimita'
costituzionale sollevate  dal  Tribunale  ordinario  di  Messina,  in
quanto quest'ultimo avrebbe ritenuto sussistente il  requisito  della
rilevanza   a   prescindere,   non   solo   dall'applicazione   delle
disposizioni censurate, ma anche dall'astratta possibilita' che  tale
applicazione si verifichi. Nel caso  di  specie,  infatti,  le  norme
censurate  sarebbero  vigenti,  ma,  sino  al  1°  luglio  2016,  non
applicabili. 
    Nonostante il  giudice  a  quo  abbia  ampiamente  richiamato  le
argomentazioni contenute nell'ordinanza della  Corte  di  cassazione,
sezione  prima  civile,  17  maggio  2013,  n.  12060,   vi   sarebbe
un'evidente  differenza  tra  il  caso  ora  all'esame  della   Corte
costituzionale e quello che condusse all'accoglimento delle questioni
di legittimita' costituzionale sollevate dalla Corte  di  cassazione:
in quell'occasione, infatti, il giudice rimettente «si  riferiva  non
ad un'ipotetica e futura applicazione della disciplina elettorale, ma
ad un diritto di voto che aveva gia' avuto modo di esplicarsi  a  tre
riprese (2006, 2008 e 2013) con le note menomazioni riconducibili  ad
una legge dichiarata poi incostituzionale». Mentre,  cioe',  l'azione
che aveva dato origine  al  giudizio  di  costituzionalita'  definito
dalla sentenza n. 1 del 2014 riguardava un accertamento  riferito  ad
elezioni gia' svolte,  soggette  ad  una  disciplina  di  legge  gia'
efficace ed effettivamente gia' applicata, la legge n. 52  del  2015,
censurata dal Tribunale ordinario di Messina, produce i suoi  effetti
a decorrere dal 1° luglio 2016 e,  dunque,  nessuna  elezione  si  e'
svolta in base a questa legge e nessuna lesione del  proprio  diritto
puo' essere addotta dai ricorrenti. 
    A sostegno  dell'inammissibilita',  l'Avvocatura  generale  dello
Stato richiama  la  sentenza  n.  110  del  2015,  assumendo  che  le
argomentazioni contenute in quella pronuncia sarebbero conferenti  al
caso in esame. 
    Essa  osserva,  quindi,  che  l'ammissibilita'  di  questioni  di
legittimita' costituzionale aventi ad oggetto disposizioni che ancora
non spiegano i loro effetti «contrasterebbe a chiare lettere  con  il
dettato costituzionale che  non  prevede  un  ricorso  preventivo  di
legittimita'» e, dunque, con la stessa funzione del giudizio  in  via
incidentale. Del resto - osserva l'Avvocatura generale dello Stato  -
sia per la  Corte  costituzionale,  sia  per  la  dottrina,  l'indice
sintomatico minimo del  requisito  della  rilevanza  sarebbe  proprio
l'applicabilita' della norma impugnata al caso sottoposto al giudizio
del rimettente. 
    Rileva,  inoltre,  l'Avvocatura  generale  dello  Stato  che   le
questioni  di   legittimita'   costituzionale   sollevate   sarebbero
inammissibili per evidente mancanza di attualita'  dell'interesse  ad
agire dei ricorrenti rispetto a disposizioni non ancora  applicabili.
La  mancanza  di  un  concreto  ed  attuale  interesse  delle   parti
renderebbe impossibile distinguere i petita dei due  giudizi,  quello
instaurato di fronte al giudice civile e quello di costituzionalita'.
Essa osserva, in definitiva,  che,  ai  fini  della  rilevanza  delle
questioni di legittimita' costituzionale, occorre che «il giudizio  a
quo abbia un oggetto, un fatto storico, al quale  riferirsi»,  mentre
tale fatto sarebbe completamente mancante nel caso in esame,  poiche'
le disposizioni censurate non trovano applicazione «sino alla data di
entrata in vigore» e, a  partire  da  quella  data,  esse  troveranno
applicazione «solo se, e quando, saranno svolte le elezioni» in  base
alla disciplina censurata. 
    Osserva ancora l'Avvocatura generale che il giudice a quo avrebbe
sovrapposto  il  concetto  di  rilevanza  con  quello  di   interesse
sostanziale della parte: un interesse pur meritevole  di  tutela  non
potrebbe,  infatti,  sostituirsi  al  concetto   di   rilevanza   (e'
richiamata la sentenza della Corte costituzionale n.  193  del  2015,
con la quale e'  stata  dichiarata  inammissibile  una  questione  di
legittimita' costituzionale poiche', nella fattispecie  concreta,  la
disposizione censurata non aveva prodotto gli effetti  lamentati  dal
rimettente). 
    A sostegno dell'ammissibilita' delle  questioni  di  legittimita'
costituzionale sollevate non potrebbe, peraltro, osservarsi che,  per
fare chiarezza sull'effettiva portata del diritto  di  voto,  non  vi
sarebbe  altra  via  rispetto  al  giudizio  di  accertamento  e   al
successivo giudizio di costituzionalita', in quanto il controllo  dei
risultati elettorali e' affidato alle Camere. Tale motivazione  -  ad
avviso  dell'Avvocatura  generale  dello  Stato  -  rivelerebbe   una
confusione tra le competenze delle Camere, chiamate  ad  accertare  i
titoli di ammissione di ciascun parlamentare, e  quelle  della  Corte
costituzionale. 
    La necessita' di evitare le cosiddette zone franche non potrebbe,
inoltre, condurre a «stravolgere completamente» il modello vigente di
giustizia  costituzionale  imperniato  sulla  concretezza   e   sulla
incidentalita' delle questioni di legittimita' costituzionale. 
    Consentire  la  sottoponibilita'  allo  scrutinio   della   Corte
costituzionale di leggi  elettorali  «prima  della  loro  entrata  in
vigore» o «promulgate nella legislatura in corso»  potrebbe  apparire
«addirittura contra legem», dal momento che - come  dimostrerebbe  il
disegno di legge di riforma costituzionale in via di  approvazione  -
e' chiara l'intenzione del legislatore di disciplinare espressamente,
con disposizioni  del  tutto  innovative,  «i  mezzi  di  ricorso  di
costituzionalita' delle leggi elettorali». 
    2.2.- L'Avvocatura generale dello Stato adduce plurimi  argomenti
a sostegno della non fondatezza della  prima  censura  sollevata  dal
Tribunale ordinario di Messina. 
    Contesta,  anzitutto,  che  le   disposizioni   censurate   siano
incostituzionali, in quanto prevedono l'assegnazione  del  premio  di
maggioranza a chi ottiene una percentuale parametrata sui voti validi
espressi, anziche' sui voti degli aventi diritto. Sul punto  -  oltre
ad eccepire una carenza di motivazione del rimettente,  che  dovrebbe
indurre la Corte costituzionale a dichiarare l'inammissibilita' della
censura - l'Avvocatura generale dello Stato osserva che il diritto di
voto e' strumentale alla formazione degli organi  costituzionali,  la
quale non potrebbe essere  messa  in  pericolo  dalla  previsione  di
quorum di partecipazione al voto «di  rischioso  raggiungimento».  La
stessa Corte costituzionale,  nella  sentenza  n.  1  del  2014,  non
avrebbe mai fatto riferimento alla  necessita'  di  un  rapporto  tra
premio e percentuale degli aventi diritto, ma sempre e  comunque  tra
premio e «soglia minima dei voti». 
    Il legislatore avrebbe modificato  il  sistema  elettorale  della
Camera  proprio  per  dare  seguito  all'affermazione   della   Corte
costituzionale. Il sistema resterebbe di tipo  proporzionale  con  la
previsione  di  un  premio  di  maggioranza,  ma  il  premio  e'  ora
attribuito  alla  singola  lista  che  ottenga,  al  primo  turno  di
votazione, almeno il 40 per cento dei voti validi, ovvero, al secondo
turno, il 50 per cento piu' uno  dei  voti.  La  congruita'  di  tali
soglie  sarebbe  dimostrata  dalla  circostanza  che  il  premio   di
maggioranza garantisce al massimo un numero di seggi pari a  quindici
punti percentuali in  piu'  rispetto  alla  percentuale  di  consenso
ottenuta al primo turno e di cinque punti in piu' al ballottaggio. 
    Il Parlamento -  osserva  l'Avvocatura  generale  dello  Stato  -
avrebbe approvato la nuova legge elettorale tenendo  conto  non  solo
dell'esigenza    di    superare    le    eventuali     censure     di
incostituzionalita', ma anche al fine di favorire la  governabilita',
che la stessa Corte costituzionale, nella sentenza n. 1 del 2014,  ha
definito «senz'altro un obiettivo costituzionalmente legittimo». 
    Quanto alla scelta di attribuire il premio ad una singola  lista,
anziche' ad una coalizione di  liste,  essa  rientrerebbe  certamente
nella discrezionalita' del legislatore. 
    Quanto, poi, alla soglia per l'ottenimento del premio al  secondo
turno - che, osserva l'Avvocatura generale dello Stato,  «non  appare
chiaro in realta' se sia anch'essa censurata o meno»  -  viene  fatto
notare  come  tale  soglia,  pur  non  essendo   esplicitata,   operi
chiaramente in ragione della stessa natura del ballottaggio:  poiche'
il premio e' attribuito alla lista che otterra' piu' del 50 per cento
dei voti validi, vi sarebbe ancora un riferimento alla soglia  minima
di voti richiesta  dalla  piu'  volte  citata  sentenza  della  Corte
costituzionale n. 1 del 2014. 
    D'altro canto, nessuna legge elettorale regionale che assegna  un
premio  di  maggioranza  prevede  che   esso   sia   subordinato   al
raggiungimento di un quorum degli aventi diritto  e  cio'  -  secondo
l'Avvocatura generale dello Stato - appare  «assolutamente  razionale
in quanto il meccanismo della legge 52/2015 premia opportunamente  la
partecipazione al voto di quella cittadinanza  attiva  che  non  deve
essere pregiudicata dal comportamento  omissivo  di  chi  liberamente
sceglie di non adempiere a quello  che  secondo  Costituzione  e'  il
dovere civico del voto». 
    E', quindi, richiamata la sentenza n. 275 del 2014, assumendo che
con tale decisione la  Corte  costituzionale  avrebbe  implicitamente
riconosciuto la valenza legittimante del turno  di  ballottaggio  per
cio'  che  attiene  all'assegnazione  di  un  premio  in  seggi:  non
sussisterebbero,  quindi,  i  dubbi   relativi   ad   una   eccessiva
sovra-rappresentazione,   poiche'   il   premio   sarebbe    «diretta
conseguenza del voto e  non  un  artifizio  completamente  scisso  da
esso». La  Corte  costituzionale,  nella  sentenza  n.  1  del  2014,
avrebbe,  peraltro,  affermato  che  ogni   legge   elettorale   deve
contemperare  il  criterio   della   rappresentativita'   del   corpo
elettorale con quello della governabilita',  quest'ultima  certamente
perseguibile, pur  «con  il  "minore  sacrificio  possibile"  per  la
rappresentanza democratica». Essa non avrebbe, pero', chiarito quando
si debba considerare superato il limite della manifesta  sproporzione
della soglia e del premio di maggioranza. 
    Osserva l'Avvocatura generale dello Stato che la legge n. 52  del
2015  avrebbe   comunque   introdotto,   rispetto   alla   previgente
disciplina,  un  elemento  di  novita'  sostanziale,  in  quanto   la
maggioranza richiesta per accedere al premio  non  sarebbe  relativa,
bensi' assoluta: cio' dimostrerebbe l'erroneita' di quanto  sostenuto
dai ricorrenti nel giudizio a quo, in ordine all'assenza di un quorum
minimo di consensi al secondo turno, ai fini  dell'assegnazione  alla
lista vincente del premio di maggioranza. 
    L'Avvocatura generale dello Stato contesta, quindi, con  ampiezza
di argomenti, che l'incostituzionalita' delle disposizioni  censurate
possa desumersi dall'ipotesi  che  si  presenti  al  voto  un  numero
irrisorio di elettori: non si rinverrebbe, infatti,  in  Costituzione
la necessita' di dare un fondamentale potere di  «blocco»  a  chi  si
disinteressa della vita politica, scegliendo di non votare. 
    Concludendo su tale censura, l'Avvocatura  generale  dello  Stato
illustra le ragioni per le quali  il  sistema  elettorale  introdotto
dalla legge n. 52 del 2015  si  caratterizzerebbe  per  una  maggiore
rappresentativita' rispetto sia alla previgente disciplina  -  quella
introdotta dalla legge n. 270 del 2005 - sia ai sistemi maggioritari,
tradizionalmente adottati in altri Stati occidentali, come la Francia
e l'Inghilterra. 
    2.3.-  Considerandola  una  autonoma  questione  di  legittimita'
costituzionale,  l'Avvocatura  generale  dello  Stato  si   sofferma,
quindi, sulla lamentata previsione, da parte del rimettente,  di  una
soglia di sbarramento al 3 per cento per  l'accesso  al  riparto  dei
seggi, pur in presenza di un premio di maggioranza. 
    Essa eccepisce, anzitutto, l'inammissibilita' di tale censura per
carenza di motivazione, e in quanto essa sarebbe stata prospettata in
modo contraddittorio, generico e perplesso. 
    Nel merito ritiene che la questione sarebbe, comunque, infondata,
in quanto sussiste ampia discrezionalita'  legislativa  nella  scelta
del sistema elettorale e,  in  particolare,  nel  coniugare  in  modo
equilibrato il rapporto tra attivita'  dei  partiti  e  scelte  degli
elettori nella competizione elettorale, tutelando, nel  contempo,  il
diritto degli elettori e l'esigenza di funzionalita' degli organi. 
    L'Avvocatura generale dello Stato sottolinea come  la  soglia  di
accesso pari al 3 per cento dei voti sia una  delle  piu'  basse  nel
panorama europeo e nella storia delle leggi elettorali italiane. 
    Quanto  all'asserita  incostituzionalita'  della  compresenza  di
soglie di accesso e del premio, essa osserva che non solo essa non fu
censurata dalla sentenza della Corte costituzionale n. 1 del 2014, ma
che tale coesistenza «ben puo' essere compatibile con il principio di
uguaglianza in uscita del voto degli elettori, perche'  l'uguaglianza
non attiene all'effetto del sistema elettorale, bensi' esclusivamente
al valore di ciascun voto in entrata, che deve  essere  in  grado  di
assicurare  la  funzionalita'  degli  organi  ai   quali   l'elezione
provvede». 
    L'Avvocatura  generale  dello  Stato  rileva,  infine,  come   la
presenza della soglia di sbarramento non si ponga  in  contrasto  con
l'art.  3  del  Protocollo  addizionale  alla  CEDU,  richiamando  la
giurisprudenza della Corte europea  dei  diritti  dell'uomo  ritenuta
pertinente. 
    2.4.-    L'Avvocatura    generale    dello    Stato     eccepisce
l'inammissibilita'   anche   della    questione    di    legittimita'
costituzionale con cui il  Tribunale  ordinario  di  Messina  lamenta
l'illegittimita' costituzionale delle disposizioni  che,  nella  fase
della assegnazione, consentirebbero una traslazione dei seggi da  una
circoscrizione  ad  un'altra.  L'Avvocatura  generale   dello   Stato
ritiene, infatti, che la censura  sarebbe  apodittica  e  scarsamente
motivata, in quanto il giudice a quo, anziche' spiegare il meccanismo
di  attribuzione  dei  seggi,  si  limiterebbe   a   denunciarne   la
complessita' e rinvierebbe per relationem agli atti delle parti. 
    In  secondo  luogo,  l'Avvocatura  statale  rileva  una  inesatta
indicazione delle disposizioni sottoposte  al  giudizio  della  Corte
costituzionale: la censura avverso l'art. 83, commi 1, 2, 3, 4  e  5,
del d.P.R. n. 361  del  1957  sarebbe  troppo  ampia,  in  quanto  la
disposizione  che  consente  il  trasferimento  dei  seggi   da   una
circoscrizione ad un'altra sarebbe solo l'art. 83,  comma  1,  numero
8), del d.P.R. n. 361 del 1957; la censura avverso l'art. 84, commi 2
e 4, del medesimo d.P.R. sarebbe, invece, errata,  poiche'  la  norma
che prevede il trasferimento dei seggi da un collegio ad un altro  e'
contenuta nel comma 3 dello stesso art. 84. 
    Le questioni sarebbero in ogni caso infondate, poiche' il  quarto
comma dell'art. 56 Cost. - secondo l'Avvocatura generale dello  Stato
- sarebbe  disposizione  precettiva  nei  confronti  del  legislatore
nazionale, affinche' quest'ultimo tenga in dovuta considerazione, nel
momento della distribuzione dei 618 seggi, la  composizione  numerica
della popolazione in ogni circoscrizione, mentre non riguarderebbe il
meccanismo di assegnazione dei seggi alle singole  liste,  che  viene
effettuato nel momento successivo alle elezioni. 
    Le disposizioni censurate,  peraltro,  regolerebbero  fattispecie
del tutto ipotetiche, «al fine di evitare che,  per  un  concorso  di
fattori avversi, non si riesca ad assegnare tutti  i  seggi  previsti
dalla Costituzione». Prescrizioni analoghe sarebbero state  contenute
nella previgente  disciplina,  senza  mai  essere  state  oggetto  di
pronuncia  da  parte  della  Corte   costituzionale.   Peraltro,   le
disposizioni introdotte dalla legge n.  52  del  2015  avrebbero  «un
grado maggiore di razionalita' nell'allocazione dei  seggi  sia  alle
liste deficitarie  sia  a  quelle  eccedentarie»  rispetto  a  quelle
previgenti: mentre, infatti, precedentemente, i seggi erano assegnati
alla lista deficitaria dove l'eccedentaria avesse ottenuto il  seggio
con la minore parte decimale, a prescindere  dall'esito  della  lista
deficitaria in quel collegio, le disposizioni ora censurate prevedono
che la  lista  deficitaria  ottenga  il  seggio  nel  collegio  della
circoscrizione in cui ottiene la maggiore parte decimale e  la  lista
eccedentaria lo perda nel collegio della medesima  circoscrizione  in
cui ha ottenuto la minore parte decimale. Questo  sistema  renderebbe
meno irrazionale lo slittamento di seggi -  che  comunque  resterebbe
minimo - e  il  fenomeno  sarebbe,  comunque,  «contenuto  a  livello
regionale». 
    Da quanto esposto emergerebbe  -  secondo  l'Avvocatura  generale
dello Stato - che le disposizioni censurate non solo non  contrastano
con il principio di rappresentativita' territoriale insito  nell'art.
56 Cost., ma «si pongono come "norma tecnica di chiusura" per evitare
che venga leso il principio costituzionale  concernente  la  completa
formazione della rappresentanza popolare». 
    Osserva,  quindi,  l'Avvocatura  generale  dello  Stato  che   le
disposizioni censurate riguardano il  momento  dell'assegnazione  dei
seggi, mentre l'art. 56 Cost. si riferirebbe al  momento  antecedente
della distribuzione degli stessi  tra  le  circoscrizioni,  la  quale
spetta, ai sensi dell'art. 3 del citato d.P.R.,  ad  un  decreto  del
Presidente della Repubblica, su proposta del  Ministro  dell'interno,
da emanare contestualmente al  decreto  di  convocazione  dei  comizi
elettorali. 
    Rileva, infine, la difesa erariale che il rapporto tra l'esigenza
che gli effetti di un sistema  elettorale  assicurino,  nello  stesso
tempo e nella migliore misura possibile, la proporzionalita' politica
e quella territoriale sarebbe problema di  valenza  generale,  e  non
riguarderebbe solo la legge sottoposta  allo  scrutinio  della  Corte
costituzionale. E' ricordata, sul  punto,  la  sentenza  della  Corte
costituzionale n. 271 del 2010,  nella  quale  fu  menzionato,  quale
possibile meccanismo per la riduzione del trasferimento dei seggi nel
sistema per l'elezione dei membri  italiani  al  Parlamento  europeo,
quello allora disciplinato dall'art. 83,  comma  1,  numero  8),  del
d.P.R. n. 361 del 1957, che  sarebbe  stato  ora  migliorato  proprio
dalla legge n. 52 del 2015. 
    2.5.- L'Avvocatura generale dello Stato eccepisce  che  anche  la
terza  questione  di  legittimita'   costituzionale   sollevata   dal
Tribunale ordinario di Messina sarebbe inammissibile,  perche'  posta
in modo contraddittorio. Il rimettente, infatti, dapprima sosterrebbe
che la presenza di soli capilista bloccati e liste  elettorali  corte
risponderebbe   alle   richieste   della   sentenza    della    Corte
costituzionale n. 1 del 2014, per poi affermare che  le  disposizioni
censurate si porrebbero in contrasto con l'art. 48 della Costituzione
per quanto riguarda l'elezione dei candidati dell'opposizione. 
    Ritiene, quindi, la difesa erariale  che  il  rimettente  avrebbe
assunto apoditticamente che saranno eletti tutti e soli  i  capilista
dei partiti di minoranza. 
    Tale ultima affermazione, peraltro, oltre che apodittica, sarebbe
erronea, in quanto il giudice a quo  ometterebbe  di  considerare  la
complessita' del fenomeno elettorale, e postulerebbe  che  in  nessun
collegio i partiti di minoranza  riescano  ad  eleggere  piu'  di  un
deputato: cio' potrebbe, pero', riguardare solo i partiti  che  hanno
un debole consenso in  tutto  il  territorio  elettorale,  non  certo
quelli fortemente radicati a livello territoriale. 
    Ritiene, quindi, l'Avvocatura generale dello Stato che, per  cio'
che concerne i seggi  per  le  forze  di  opposizione,  e'  altamente
probabile che le liste minori, avendo prevedibilmente meno  candidati
in  grado   di   catalizzare   il   consenso,   presentino   numerose
pluricandidature a capolista  in  piu'  collegi  plurinominali  della
medesima circoscrizione e  che  tale  circostanza,  in  virtu'  delle
successive, doverose opzioni, non potra' che favorire il subentro dei
numerosi candidati che hanno ottenuto le preferenze anche nell'ambito
dei 278 seggi da distribuire tra le liste di minoranza. 
    Sarebbe,   dunque,   del   tutto   impossibile   -   ad    avviso
dell'Avvocatura generale dello  Stato  -  «prevedere  la  proporzione
degli  eletti  delle   forze   di   minoranza   tra   "capolista"   e
"preferenziati"» e non potrebbe, quindi, correttamente  argomentarsi,
come  viceversa  paventato  nell'ordinanza  di  rimessione,  «che  la
minoranza verrebbe "largamente dominata da capilista bloccati"». 
    Peraltro, l'Avvocatura sottolinea che, mentre con la legge n. 270
del 2005, se un  capolista  risultava  eletto  in  piu'  collegi,  si
liberavano seggi per altrettanti capilista bloccati, con  il  sistema
ora censurato il beneficio sarebbe chiaramente a vantaggio dei  primi
non eletti con le preferenze. 
    Osserva, infine, l'Avvocatura generale dello Stato  che,  con  la
previsione di riservare  ai  capilista  la  possibilita'  di  potersi
candidare in piu' collegi, il legislatore avrebbe  voluto  attribuire
alle formazioni politiche il potere di designare i  propri  candidati
anche  al  fine  di  garantire  la  realizzazione  di  quelle   linee
programmatiche che esse sottopongono alla scelta del corpo elettorale
in maniera funzionale al principio di governabilita', e cio' in linea
con  l'art.  49  Cost.,  che   darebbe   particolare   risalto   alla
insostituibile funzione dei partiti quali  intermediari  rispetto  al
potere sovrano esercitato dal popolo.  Anche  la  Corte  europea  dei
diritti dell'uomo, nella sentenza 13 marzo 2012, Saccomanno  e  altri
c. Italia, non avrebbe rilevato contrasti tra il  sistema  elettorale
introdotto dalla legge n. 270 del 2005 e il diritto convenzionale  e,
in particolare, avrebbe osservato che i sistemi elettorali  selettivi
e le liste bloccate vanno valutati «nel complesso» e  che  la  scelta
dell'elettore deve essere bilanciata  con  il  ruolo  che  i  partiti
politici sono chiamati a svolgere negli ordinamenti democratici. 
    2.6.-  In  ordine   alla   quarta   questione   di   legittimita'
costituzionale  sollevata  dal  Tribunale   ordinario   di   Messina,
l'Avvocatura  generale  dello  Stato  eccepisce,  anzitutto,  che  il
rimettente non spiega per quale ragione diverse soglie di sbarramento
per il sistema elettorale della Camera  e  del  Senato  condurrebbero
alla formazione di maggioranze  diverse,  e  osserva  che,  «a  tutto
concedere, non tanto la diversita' di soglie di  sbarramento  quanto,
eventualmente,   una   diversita'   di   soglie    percentuali    per
l'attribuzione  del  premio  di  maggioranza  potrebbe   condurre   a
maggioranze diverse nelle due Camere». 
    Osserva l'Avvocatura generale dello Stato che sarebbe,  peraltro,
la stessa Costituzione a prevedere diversita' sostanziali tra  i  due
sistemi elettorali, e che, nel caso in cui si formino due maggioranze
differenti, cio' «corrisponderebbe ad una logica contro-maggioritaria
idonea proprio a temperare gli effetti che la legge elettorale  della
Camera spiegherebbe sull'intero sistema politico-costituzionale». 
    Secondo l'Avvocatura generale dello Stato, tali osservazioni  non
sarebbero contraddette da quanto affermato dalla Corte costituzionale
nella sentenza n. 1 del 2014, in quanto il passo citato dal giudice a
quo non si riferirebbe alla  diversita'  dei  sistemi  elettorali  di
Camera e  Senato,  bensi'  all'irragionevolezza  delle  disposizioni,
allora censurate, relative ai premi di maggioranza regionali. D'altro
canto,  sarebbe  lo  stesso  rimettente,  nel  successivo   paragrafo
dell'ordinanza di rimessione, ad affermare che  non  e'  di  per  se'
irragionevole che i due sistemi elettorali siano differenti e che  la
scelta rientra nella discrezionalita' del legislatore. 
    Rileva, infine, l'Avvocatura generale dello Stato che il  giudice
a quo non indicherebbe chiaramente  la  norma  parametro  che  assume
violata. 
    2.7.- Con riferimento all'ultima censura sollevata dal  Tribunale
ordinario di Messina, l'Avvocatura generale  dello  Stato  eccepisce,
anzitutto, che essa sarebbe ipotetica, e, dunque,  inammissibile,  in
quanto  il  giudice  a  quo  avanzerebbe  il  dubbio  relativo   alla
possibilita' che, tra il 1° luglio 2016 e l'entrata in  vigore  della
riforma costituzionale  in  itinere,  in  caso  di  elezioni  che  si
celebrassero medio tempore, coesistano due diversi sistemi elettorali
per la Camera e il Senato. 
    Nel merito, la censura sarebbe comunque infondata. Si osserva che
ben puo' il legislatore, nell'ambito della propria  discrezionalita',
decidere che  le  disposizioni  approvate  non  siano  immediatamente
applicabili, e che tale scelta -  che  certamente  dimostra  come  il
legislatore  auspichi   l'approvazione   definitiva   della   riforma
costituzionale - e' proprio finalizzata ad evitare che,  fino  al  1°
luglio 2016,  si  applichino  due  diversi  sistemi  elettorali.  Se,
comunque, la riforma costituzionale non  fosse  approvata,  cio'  non
comporterebbe, come precedentemente osservato, una  violazione  degli
evocati parametri costituzionali. Secondo l'Avvocatura generale dello
Stato, d'altro canto, non sarebbe stato ragionevole  e  coerente,  da
parte del legislatore, modificare il sistema  elettorale  del  Senato
prima della definitiva approvazione della riforma costituzionale, ne'
potrebbe reputarsi incostituzionale, attraverso un generico rinvio al
principio di ragionevolezza, il fatto che l'applicazione della  legge
n. 52 del 2015 non sia subordinata «ad libitum» all'entrata in vigore
della legge di  revisione  costituzionale,  che  potrebbe  anche  non
superare positivamente il referendum previsto dall'art. 138 Cost. 
    3.- Nel giudizio innanzi alla Corte si sono costituiti, con  atto
depositato il 26 aprile 2016,  alcuni  dei  ricorrenti  nel  giudizio
principale,  i  quali  hanno  chiesto  l'accoglimento  di  tutte   le
questioni di legittimita' costituzionale sollevate dal  Tribunale  di
Messina. 
    4.-  Con  atto  depositato  il  26  aprile  2016  hanno  spiegato
intervento ad adiuvandum F.C.B., G.B., G.C.F. e  D.A.,  assumendo  di
essere ricorrenti in giudizi analoghi a quello pendente di fronte  al
Tribunale ordinario di Messina. Con atto depositato  il  6  settembre
2016 G.B. ha rinunciato all'intervento. Con  atto  depositato  il  12
settembre 2016 hanno rinunciato all'intervento anche F.C.B., G.C.F. e
D.A. 
    5.- In data 13  settembre  2016  -  in  prossimita'  dell'udienza
pubblica del 4 ottobre 2016, poi  rinviata  -  l'Avvocatura  generale
dello Stato ha depositato  ulteriore  memoria  in  cui  ribadisce  le
conclusioni gia' rassegnate con l'atto di intervento. 
    6.- Le parti del giudizio a quo costituitesi nel giudizio davanti
alla Corte costituzionale, hanno depositato,  in  data  13  settembre
2016 e 2 gennaio 2017, ampie memorie, in  cui  adducono  argomenti  a
sostegno  dell'ammissibilita'  e  della  fondatezza  delle  questioni
sollevate dal Tribunale ordinario di Messina. 
    Esse osservano, anzitutto, che il rimettente  avrebbe  ampiamente
motivato sulla sussistenza dell'interesse ad agire dei  ricorrenti  e
che tale  motivazione  sarebbe  corretta,  in  quanto  le  azioni  di
accertamento sarebbero per loro natura  orientate  a  scongiurare  il
pregiudizio che si  verificherebbe  per  i  ricorrenti  se  la  legge
elettorale comprimesse i loro diritti, e in quanto sarebbe  lo  stato
di incertezza obiettiva a  configurare  un  pregiudizio  concreto  ed
attuale; che,  inoltre,  l'interesse  ad  agire  sussisteva  gia'  al
momento della proposizione della domanda, dal momento che il  Governo
aveva gia' dato attuazione alla delega contenuta alla legge n. 52 del
2015, approvando  il  decreto  legislativo  7  agosto  2015,  n.  122
(Determinazione dei collegi della Camera dei deputati, in  attuazione
dell'articolo  4  della  legge  6  maggio  2015,   n.   52,   recante
disposizioni in materia di elezione della Camera dei deputati). 
    Adducono,   quindi,    diffuse    argomentazioni    a    sostegno
dell'accoglimento, nel merito, di  tutte  le  censure  sollevate  dal
Tribunale ordinario di Messina. 
    Esse chiedono, infine, alla Corte costituzionale di sollevare  di
fronte  a  se  stessa  questioni   di   legittimita'   costituzionale
dell'intera legge n. 52 del 2015,  «con  particolare  riferimento  ai
suoi articoli  fondamentali  (1,  2  e  4)»,  poiche'  sarebbe  stata
approvata, prima al Senato e poi alla Camera, «in  palese  violazione
dell'art. 72, commi 1 e 4, Cost. e dell'art. 3  del  protocollo  CEDU
(per come richiamato  dall'art.  117,  comma  1,  Cost.)».  Le  parti
ricordano che  identica  censura  era  stata  proposta  nel  giudizio
principale, ma che il giudice a quo l'aveva  ritenuta  manifestamente
infondata. Ora - illustrando le ragioni per le quali, a loro  avviso,
il rimettente sarebbe incorso in  «una  classica  ipotesi  di  svista
processuale» - sollecitano la Corte costituzionale, con  ampiezza  di
argomenti, a sollevare di fronte a se stessa  le  medesime  questioni
attinenti a presunti vizi di formazione della legge. 
    7.- In data 3 gennaio 2017 hanno depositato atto  di  intervento,
fuori termine, il Codacons (Coordinamento delle associazioni  per  la
difesa dell'ambiente  e  la  tutela  dei  diritti  di  utenti  e  dei
consumatori), in  persona  del  suo  legale  rappresentante  G.U.,  e
quest'ultimo, «in proprio nella qualita' di elettore  avente  diritto
ad esprimersi  nelle  consultazioni  elettorali».  A  sostegno  della
propria legittimazione, essi assumono di essere titolari, in qualita'
di singoli ed associati, di un interesse  qualificato  immediatamente
inerente  al  rapporto  sostanziale  dedotto   in   giudizio,   ossia
l'accertamento  del   diritto   di   votare   in   conformita'   alla
Costituzione. In particolare, sono ricordati i compiti e le finalita'
che lo statuto affida al Codacons. 
    Gli  intervenienti  hanno  depositato  ulteriore  memoria,  fuori
termine, il 13 gennaio 2017. 
    8.- Con ordinanza del 5 luglio 2016 (reg. ord. n. 163 del  2016),
il Tribunale ordinario di Torino, prima sezione civile, ha  sollevato
questioni  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  1,  comma  1,
lettera f), della legge n. 52 del 2015 e dell'art. 83, comma  5,  del
d.P.R. n. 361 del 1957, come novellato dall'art. 2, comma  25,  della
legge n. 52 del 2015, per violazione degli artt. 1, secondo comma,  3
e 48, secondo comma, Cost.; e dell'art. 85  del  d.P.R.  n.  361  del
1957, come modificato dall'art. 2, comma 27, della legge  n.  52  del
2015, per violazione degli artt. 1, secondo comma, 3 e 48 Cost. 
    8.1.- Il giudice a quo riferisce di essere chiamato a decidere un
giudizio promosso con ricorso ai sensi degli artt. 702-bis e seguenti
cod. proc. civ. da alcuni cittadini  italiani  iscritti  nelle  liste
elettorali, i quali hanno convenuto in  giudizio  il  Presidente  del
Consiglio dei ministri e il Ministro dell'interno, chiedendo che  sia
accertato «il diritto di  "votare  conformemente  alla  Costituzione"
lamentando la lesione di tale diritto ad opera  di  specifiche  norme
della legge elettorale n. 52 del 6 maggio 2015 (il c.d. Italicum) che
hanno sostituito o modificato il DPR n. 361 del 30 marzo  1957  e  le
residue norme della legge elettorale n. 270/2005 che aveva modificato
il Testo Unico per l'elezione del Senato della Repubblica,  approvato
con Decreto Legislativo n. 533 del 20 dicembre 1993». 
    8.2.- In via preliminare, il rimettente  motiva  in  ordine  alla
sussistenza  dell'interesse  ad  agire  dei  ricorrenti,   nonostante
l'applicabilita' della legge n. 52 del 2015, entrata in vigore il  23
maggio 2015, sia stata differita al  1°  luglio  2016,  ossia  ad  un
momento successivo alla proposizione del ricorso. Poiche' gli  attori
lamentano l'incertezza  della  portata  del  diritto  di  voto,  come
regolato  da  un  complesso  di  norme  gia'  in  vigore  e  la   cui
applicabilita', benche' differita, e' certa,  il  rimettente  ritiene
che sussista e sia attuale l'interesse dei ricorrenti ad ottenere una
pronuncia di accertamento «prima ancora che la legge  sia  applicata,
ossia prima ancora che vengano convocati i comizi elettorali», e cio'
anche perche', una volta emesso il decreto di convocazione dei comizi
elettorali, non vi  sarebbe  piu'  spazio  di  tutela  effettiva  per
l'elettore, non potendo costui ottenere pronunce giurisdizionali  che
incidano sulle elezioni. Ritiene il rimettente che deponga  a  favore
di tale ricostruzione anche la sentenza della  Corte  di  cassazione,
sezione prima civile, 16 aprile  2014,  n.  8878  -  emessa  dopo  la
sentenza della Corte costituzionale n.  1  del  2014  -  dalla  quale
emergerebbe come il ripristino della pienezza del diritto di voto non
possa che valere pro futuro,  non  potendo,  invece,  incidere  sugli
esiti delle elezioni gia' svolte. 
    8.3.- Il rimettente argomenta, quindi, in ordine alla sussistenza
del  requisito  della  rilevanza  delle  questioni  di   legittimita'
costituzionale sollevate rispetto alla  controversia  instaurata  dai
ricorrenti, ritenendo che il dispositivo della sentenza  della  Corte
costituzionale e quello della sentenza che deve definire il  giudizio
di merito siano tra loro  autonomi,  poiche'  spetta  a  quest'ultima
accertare l'avvenuta lesione del  diritto  azionato  e,  in  caso  di
accoglimento  delle  questioni  sollevate,  ripristinarlo  nella  sua
pienezza, seppure con il tramite della sentenza costituzionale  (sono
richiamate l'ordinanza  della  Corte  di  cassazione,  sezione  prima
civile,  17  maggio  2013,  n.  12060  e  la  sentenza  della   Corte
costituzionale n. 59 del 1957). 
    8.4.- Nel merito, il Tribunale ordinario  di  Torino,  dopo  aver
ampiamente  illustrato  le  ragioni  per  le  quali  ritiene  di  non
condividere larga parte  delle  doglianze  prospettate  dalle  parti,
solleva due questioni di legittimita' costituzionale. 
    La prima ha ad oggetto l'art. 1, comma 1, lettera f), della legge
n. 52 del 2015 e l'art. 83, comma 5, del d.P.R. n. 361 del 1957, come
sostituito dall'art. 2, comma 25, della legge n. 52 del  2015,  ossia
le disposizioni che prevedono che, in caso di  mancato  conseguimento
del premio di maggioranza al primo turno di  votazione,  tale  premio
sia attribuito in seguito ad un turno di ballottaggio a cui  accedono
le due liste piu' votate. Il rimettente dubita  che  tale  previsione
sia conforme agli artt. 1, secondo comma,  3  e  48,  secondo  comma,
Cost. 
    Il giudice a quo ricorda,  anzitutto,  che  il  legislatore,  nel
determinare i modi con i quali attribuire il premio  di  maggioranza,
deve  operare  in  modo  tale  da  contemperare  ragionevolmente  due
contrapposti interessi di pari rilievo costituzionale,  il  principio
di rappresentativita' e il principio di governabilita',  e  richiama,
sul punto, quanto affermato dalla Corte costituzionale nella sentenza
n. 1 del 2014. Ricorda, quindi, che il modo in cui la legge n. 52 del
2015 ha delineato il turno di ballottaggio ha indotto la  dottrina  a
chiedersi se esso possa dirsi rispettoso del principio costituzionale
«del necessario rispetto di un limite  ontologico  di  rappresentanza
del voto in presenza del quale possa essere attribuito,  a  una  sola
lista, il premio  di  maggioranza,  senza  incorrere  in  censure  di
irragionevolezza e di eccessiva  distorsione  del  voto».  Dopo  aver
ricordato gli argomenti di chi ritiene che il turno  di  ballottaggio
non  possa  essere  sospettato  di  violare  il  ricordato  principio
costituzionale di rappresentanza del voto e  gli  argomenti  di  chi,
invece, dubita della legittimita' costituzionale di tale  meccanismo,
il rimettente afferma di condividere questa seconda lettura,  secondo
la quale quella che scaturisce dal turno di ballottaggio sarebbe «una
maggioranza  solo  virtuale  perche'  priva,  se  non   adeguatamente
corretta,  di  una  effettiva  valenza  rappresentativa   del   corpo
elettorale». 
    Il legislatore, infatti, limitandosi a prevedere che accedano  al
turno di ballottaggio le  due  liste  piu'  votate,  purche'  abbiano
ottenuto almeno il 3 per cento dei voti (ovvero il 20 per  cento  nel
caso siano espressione di minoranze  linguistiche),  avrebbe,  da  un
lato, riconosciuto che esiste un problema di rappresentativita' delle
liste ammesse al ballottaggio, dall'altro, pero', avrebbe  utilizzato
le  soglie  previste,  in  generale,  dalla  legge   elettorale   per
scoraggiare una eccessiva «polverizzazione» del voto. 
    Inoltre - osserva il rimettente - nel valutare l'effettiva  forza
rappresentativa del 50 per  cento  piu'  uno  dei  voti  espressi  al
ballottaggio, si dovrebbe anche considerare che e' previsto che  tale
maggioranza sia calcolata sui voti validi espressi,  circostanza  che
non darebbe «alcun rilievo  al  peso  dell'astensione,  che  potrebbe
essere anche molto  rilevante  quale  prevedibile  conseguenza  della
radicale riduzione dell'offerta elettorale nel ballottaggio». 
    Il  rimettente,  infine,  ricordando  che   il   legislatore   ha
esplicitamente  vietato  -   per   il   turno   di   ballottaggio   -
apparentamenti o coalizioni  tra  liste,  ritiene  che  tale  scelta,
«evidentemente espressione  di  un  favore  per  la  governabilita'»,
sarebbe  irrazionale,  in  quanto  il  voto  espresso  al  turno   di
ballottaggio   sacrificherebbe   eccessivamente   il   valore   della
rappresentativita'. 
    In conclusione, il giudice a quo assume che, «[s]enza  l'adozione
di  meccanismi  che  garantiscano  una  adeguata   espansione   della
componente rappresentativa del voto (ovvero senza l'eliminazione  del
divieto di cui si e' detto) l'attribuzione del premio di  maggioranza
alla sola lista che, all'esito del  ballottaggio,  si  aggiudichi  il
premio di maggioranza finisce per essere svincolata  dalla  esistenza
di parametri oggettivi che  consentano  di  affermare  che  la  lista
vincitrice ha ottenuto quella "ragionevole soglia di voti minima"  in
presenza della quale  e'  possibile  la  legittima  attribuzione  del
premio di maggioranza», e, per tali ragioni, chiede  la  declaratoria
di illegittimita' costituzionale  delle  disposizioni  censurate  per
violazione degli artt. 1, secondo comma, 3 e 48, secondo comma, Cost. 
    8.5.-  La  seconda  questione  di   legittimita'   costituzionale
sollevata dal Tribunale ordinario di Torino  investe  l'art.  85  del
d.P.R. n. 361 del 1957, come modificato dall'art. 2, comma 27,  della
legge n. 52 del 2015, il quale stabilisce che il candidato eletto  in
piu' collegi plurinominali debba  dichiarare  alla  Presidenza  della
Camera  dei  deputati,  entro  otto  giorni  dalla  data  dell'ultima
proclamazione, quale collegio  plurinominale  prescelga,  e  che,  in
assenza di opzione, si procede al sorteggio. 
    Secondo il rimettente, mentre non sarebbe irragionevole  che  sia
data la possibilita' ai soli capilista di candidarsi in piu' collegi,
costituirebbe, invece, una violazione degli artt. 3 e  48  Cost.  non
vincolare l'opzione del capolista che risulti eletto in piu'  collegi
a criteri oggettivi e predeterminati, rispettosi, nel  massimo  grado
possibile, della volonta' espressa dagli elettori. 
    Il giudice a quo osserva che rimettere l'opzione tra un  collegio
ed un altro «ad una mera valutazione di  opportunita'  da  parte  del
candidato» avrebbe l'effetto di annullare «sostanzialmente»  il  voto
di  preferenza  nel  collegio  optato  dal   capolista:   in   virtu'
dell'opzione potrebbe accadere «che il candidato che  abbia  ricevuto
molte  preferenze  (addirittura  il  piu'  votato  in  assoluto)  sia
surclassato da uno o  piu'  candidati  di  altri  collegi,  con  meno
preferenze» e, inoltre, l'assenza di qualsivoglia criterio  oggettivo
al  quale  il  capolista  debba  ispirarsi  nella  scelta  renderebbe
impossibile  per  l'elettore  effettuare   valutazioni   prognostiche
sull'utilita' del suo voto di preferenza ad un candidato  che  faccia
parte di una lista con un candidato capolista in altri collegi.  Tale
imprevedibilita'  sarebbe  ulteriormente  confermata  dal  meccanismo
alternativo alla scelta, costituito dal sorteggio. 
    Tale disciplina - secondo il rimettente -  si  concreterebbe  «in
una distorsione tra il voto di preferenza espresso dagli  elettori  e
il suo esito "in uscita" in  quel  collegio  che  appare  irrazionale
rispetto al diritto di uguaglianza e liberta'  del  voto,  in  quanto
lede in modo eccessivo tale  diritto,  senza  che  vi  sia  un  altro
correlativo valore di rilievo costituzionale  da  salvaguardare».  Il
giudice a quo aggiunge che non potrebbe invocarsi, in  proposito,  il
valore della governabilita', poiche' tale valore viene  tutt'al  piu'
in rilievo  con  l'introduzione  dei  capilista  bloccati  e  con  la
possibilita', data a costoro, di candidarsi  in  piu'  collegi.  Tale
soluzione esprime, infatti,  l'interesse  delle  forze  politiche  di
riservare, in caso di vittoria  elettorale,  un  seggio  sicuro  alla
Camera a favore di personalita' da loro prescelte.  Sarebbe,  invece,
eccessivamente   sproporzionato   perseguire    il    valore    della
governabilita'  anche  con  la  disposizione  censurata,   la   quale
consentirebbe, senza alcuna ragione, di escludere dal  Parlamento  un
candidato «senza che tale scelta sia condizionata dal numero di  voti
di preferenza ottenuti dal candidato destinato all'esclusione, ovvero
da altro sistema che consenta  di  salvaguardare  nel  massimo  grado
possibile il voto di preferenza espresso dagli elettori in favore  di
chi non e' capo lista». 
    9.- Con atto depositato il 4 agosto  2016  l'Avvocatura  generale
dello  Stato  e'  intervenuta  in  giudizio  per  il  Presidente  del
Consiglio dei ministri e per il Ministro  dell'interno,  quest'ultimo
parte, insieme al Presidente del Consiglio, del giudizio principale. 
    9.1.- L'Avvocatura generale  dello  Stato  eccepisce,  anzitutto,
l'inammissibilita' di entrambe le questioni sollevate  dal  Tribunale
ordinario di Torino,  adducendo  argomenti  analoghi  a  quelli  gia'
svolti nella  memoria  depositata  per  il  giudizio  instaurato  dal
Tribunale ordinario di Messina  (reg.  ord.  n.  69  del  2016).  Con
specifico  riferimento  alle  questioni   sollevate   dal   Tribunale
ordinario di Torino, essa si limita a precisare che anche in tal caso
difetterebbe non solo l'avvenuta lesione del  diritto  (che  potrebbe
perfezionarsi solo a seguito  di  una  competizione  elettorale  gia'
avvenuta), ma anche l'ipotizzabilita' della lesione,  in  quanto,  al
momento  dell'instaurazione  del  giudizio  a  quo,   la   disciplina
censurata non risultava applicabile. L'attualita'  dell'interesse  ad
agire dovrebbe, infatti, sussistere sin dal momento in  cui  l'azione
di accertamento e' instaurata. Anche il Tribunale ordinario di Torino
avrebbe, dunque, sollevato questioni di  legittimita'  costituzionale
premature e, come tali, inammissibili. 
    9.2.-  In   ordine   alla   prima   questione   di   legittimita'
costituzionale  sollevata  dal   Tribunale   ordinario   di   Torino,
l'Avvocatura  generale   dello   Stato   ne   eccepisce,   anzitutto,
l'inammissibilita' per erronea o  inesatta  indicazione  delle  norme
oggetto, in quanto il  giudice  a  quo,  censurando  complessivamente
l'art. 1, comma 1, lettera f),  della  legge  n.  52  del  2015,  non
avrebbe correttamente individuato la porzione di norma che regola  il
turno di ballottaggio. 
    La    questione    sarebbe,    inoltre,     inammissibile     per
contraddittorieta', in quanto il giudice a quo ritiene necessario  il
superamento di un certo quorum di aventi diritto al voto al turno  di
ballottaggio, in cui e' assegnato il premio di maggioranza pari al  5
per cento dei seggi, e non anche nel primo turno, in cui, invece,  il
premio puo' raggiungere il 15 per cento dei seggi. 
    Nel merito, l'Avvocatura  generale  dello  Stato  chiede  che  la
questione sia dichiarata  non  fondata,  contestando  la  correttezza
degli argomenti addotti dal  rimettente  a  sostegno  del  dubbio  di
legittimita' costituzionale sollevato. 
    Con riferimento alla possibile limitata rappresentativita'  delle
liste ammesse al turno di ballottaggio, la  difesa  erariale  ritiene
che il giudice a  quo  avrebbe  erroneamente  sovrapposto  la  soglia
minima  di  voti  che,  alla  luce   della   sentenza   della   Corte
costituzionale n. 1 del 2014, deve essere prevista per conseguire  il
premio di maggioranza, con un'ulteriore  soglia  minima  di  voti  da
prevedere per  accedere  al  secondo  turno.  Non  avrebbe,  inoltre,
considerato che l'accesso al ballottaggio non sarebbe  sganciato  dal
principio  della   rappresentanza   popolare,   ma,   al   contrario,
risulterebbe intrinsecamente connesso a tale principio, visto che  al
ballottaggio accedono le due liste elettorali che abbiano  conseguito
il maggior numero di voti al primo turno. 
    Ne' si potrebbe ipotizzare che sia il  superamento  della  soglia
del 3 per cento dei voti validi nel primo turno a consentire  ad  una
lista di accedere al ballottaggio. Peraltro,  sul  punto,  la  difesa
erariale rileva che il rimettente sarebbe incorso  in  una  aberratio
ictus, non avendo censurato la disposizione che prevede la soglia  di
sbarramento al 3 per cento. 
    Con  riferimento,  invece,  alla  denunciata  incostituzionalita'
delle disposizioni che assegnano un premio di maggioranza alla  lista
che, in sede di ballottaggio, abbia ottenuto  il  maggior  numero  di
voti validi, senza prevedere anche il raggiungimento  di  un  «quorum
strutturale» tra gli aventi diritto al voto, e senza quindi dare peso
al  dato  politico  dell'eventuale  astensione  tra   gli   elettori,
l'Avvocatura generale dello Stato premette che  anche  nel  turno  di
ballottaggio esiste una soglia minima di voti  per  il  conseguimento
del premio, dal momento che esso e' attribuito a chi  ottiene  il  50
per cento piu' uno dei voti validi, e che un premio di  cinque  punti
percentuali non potrebbe certo dirsi irragionevole o eccessivo. 
    Contesta, inoltre, l'affermazione del rimettente secondo la quale
vi sarebbe il «concreto rischio che il premio venga attribuito a  una
formazione  che  e'  priva  di   adeguato   radicamento   nel   corpo
elettorale»,  osservando,  non  solo  che  non  vi   sarebbe   alcuna
violazione del principio di rappresentativita', ma che la  disciplina
del ballottaggio sarebbe «foggiata in termini del  tutto  conseguenti
all'espressione della volonta' elettorale  nel  primo  turno»:  «[l]e
scelte degli elettori sono saggiate nel primo turno  e  ulteriormente
messe alla prova nel ballottaggio, all'esito del quale sono le soglie
di consenso espresse nei due turni  a  svolgere  complessivamente  la
funzione di soglia». 
    Con specifico riferimento alla lamentata previsione di un «quorum
strutturale»  tra  gli  aventi  diritto  al  voto,  quale   ulteriore
condizione per l'assegnazione del premio di maggioranza, l'Avvocatura
generale dello Stato rileva come il legislatore avrebbe anche  potuto
subordinare l'assegnazione del premio ad  un  (ulteriore)  quorum  di
votanti o voti validi, ma che questa non  potrebbe  certo  dirsi  una
scelta costituzionalmente necessaria. La stessa Corte costituzionale,
nella  sentenza  n.  1  del  2014,  avrebbe  fatto  riferimento  alla
necessita'  che  il  premio  di  maggioranza   sia   subordinato   al
raggiungimento di una soglia minima di voti espressi. In ogni caso  -
secondo l'Avvocatura generale dello Stato - la verifica del  consenso
per  ottenere  il  premio  non  potrebbe  che  essere  legittimamente
parametrata al numero totale dei voti validi  e  non  all'entita'  di
coloro che teoricamente avrebbero potuto votare, ma si sono rifiutati
di  farlo,  non  adempiendo  al  dovere  civico  di  votare  previsto
dall'art. 48, secondo comma, Cost. Rapportare la soglia  minima  agli
aventi diritto, anziche' ai votanti, potrebbe, tra l'altro,  in  caso
di estesa non partecipazione  al  voto,  avere  conseguenze  negative
sulla   governabilita'   e   sulla   stabilita'   del   Paese,   fino
all'impossibilita' di realizzare la provvista dell'organo. 
    A sostegno della non  fondatezza  della  questione,  l'Avvocatura
generale dello Stato menziona, quindi, la sentenza n. 275  del  2014,
in cui la Corte costituzionale avrebbe  «riconosciuto  implicitamente
la valenza legittimante di un turno  di  ballottaggio  per  cio'  che
attiene all'assegnazione di un premio in  seggi»,  e  la  piu'  volte
citata sentenza n. 1 del 2014, in cui la Corte avrebbe affermato  che
ogni  legge  elettorale   deve   contemperare   il   criterio   della
rappresentativita'   del   corpo   elettorale   con   quello    della
governabilita', quest'ultima certamente perseguibile, sia  pure  «con
il "minore sacrificio possibile" per la rappresentanza  democratica».
Anche se la Corte non avrebbe chiarito quando  si  debba  considerare
superato il limite della manifesta sproporzione della  soglia  e  del
premio di maggioranza, tale limite non potrebbe dirsi  violato  dalla
disciplina censurata, che,  rispetto  a  quella  previgente,  avrebbe
introdotto, oltre alla soglia del 40 per cento per ottenere il premio
al primo turno, proprio il turno di ballottaggio, grazie al quale  la
maggioranza assoluta dei voti determina la maggioranza  assoluta  dei
seggi. 
    L'Avvocatura generale dello Stato osserva, quindi, che la  scelta
di attribuire il premio ad una lista, anziche' ad una  coalizione  di
liste,  rientrerebbe  certamente  nella  scelta   discrezionale   del
legislatore, che ha cosi' voluto favorire la coesione politica  della
maggioranza e una piu' agevole governabilita'. 
    La  difesa  statale  conclude  sottolineando   che   in   materia
elettorale  esiste  ampia  discrezionalita'   legislativa,   che   la
disciplina censurata non presenta alcun profilo di contrasto  con  il
principio di eguaglianza del voto e che la  legge  n.  52  del  2015,
superando il «vulnus della legge n. 270  del  2005»,  garantisce  una
maggiore rappresentativita'; e spiegando le ragioni per le  quali  il
sistema elettorale censurato risulterebbe preferibile anche  rispetto
ad un sistema uninominale maggioritario. 
    9.3.-  In  relazione  alla  seconda  questione  di   legittimita'
costituzionale sollevata dal Tribunale ordinario di Torino,  relativa
alla disciplina contenuta nell'art. 85 del d.P.R. n.  361  del  1956,
l'Avvocatura  generale   dello   Stato   ne   eccepisce,   anzitutto,
l'inammissibilita' «per inesatta  ed  erronea  identificazione  della
norma  oggetto  di  censura».  Il  rimettente  si  sarebbe,  infatti,
contraddetto nella formulazione  della  motivazione  e  del  petitum,
poiche' avrebbe lamentato  l'assenza  di  vincoli  all'esercizio  del
diritto di opzione del candidato capolista,  evocando  una  pronuncia
della Corte costituzionale di tipo additivo-manipolativo, mentre, nel
dispositivo, avrebbe chiesto una pronuncia di tipo ablativo. 
    Osserva, inoltre, l'Avvocatura  generale  dello  Stato  come  una
pronuncia    di    accoglimento    della    disposizione    censurata
«determinerebbe un inammissibile vuoto normativo che  potrebbe  avere
come conseguenza l'impossibilita' di applicare  la  legge  nella  sua
interezza», cio' che, secondo costante giurisprudenza costituzionale,
non sarebbe  possibile  (sono  richiamate  le  sentenze  della  Corte
costituzionale n. 13 del 2012 e n. 29 del 1987). Se anche il  giudice
rimettente «avesse scrupolosamente osservato tali logici  presupposti
processuali», la Corte costituzionale - secondo l'Avvocatura generale
dello Stato - non potrebbe comunque manipolare la norma fino a creare
dei vincoli all'esercizio del diritto di opzione del candidato eletto
in piu' collegi, senza sconfinare nella sfera della  discrezionalita'
politica del legislatore. 
    Nel merito,  la  questione  sarebbe  infondata  «perche'  non  si
capisce quale diritto sarebbe menomato da questa liberta' di  opzione
del pluricandidato»: non potrebbe immaginarsi - secondo  l'Avvocatura
generale dello Stato - un contrasto  con  il  diritto  di  elettorato
passivo  dei  candidati  non  capolista,  poiche'  tale  diritto  non
potrebbe spingersi sino  «a  definire  un  interesse  legittimo  alle
chances di un qualsivoglia candidato di essere eletto a  dispetto  di
altri»; ne' potrebbe dirsi leso il diritto di  elettorato  attivo  o,
quantomeno, non sarebbe chiaro il convincimento del giudice a quo  su
come  il  diritto  di  opzione  potrebbe  incidere  sul  diritto  dei
cittadini. 
    D'altro canto - osserva l'Avvocatura generale dello  Stato  -  il
voto per la lista sarebbe gia' ex se una preferenza espressa  per  il
capolista e sarebbe pertanto artificioso differenziare  la  posizione
del capolista da quella dei candidati in subordine. 
    Ricorda, quindi, la difesa erariale che la  possibilita'  per  il
candidato eletto in piu' collegi di optare liberamente e' gia'  stata
prevista nella previgente legislazione elettorale italiana. 
    La difesa statale prosegue, quindi, illustrando i  caratteri  del
sistema introdotto dalla legge n. 52 del 2015 e affermando come  esso
sia  pienamente   conforme   ai   principi   espressi   dalla   Corte
costituzionale nella sentenza  n.  1  del  2014,  in  quanto  prevede
candidature bloccate, ma consente anche di esprimere  preferenze;  in
quanto la possibilita' di candidarsi in piu' collegi e' numericamente
limitata, e, infine, perche' la ridotta dimensione dei collegi  rende
individuabili e conoscibili i candidati da parte degli  elettori.  In
particolare, la presenza di capilista bloccati e la  possibilita'  di
selezione  di   candidati   eventuali   sarebbero   il   frutto   del
bilanciamento tra l'esigenza di garantire il diritto di scelta  degli
elettori e quella  che  le  elezioni  esprimano  forze  adeguatamente
rappresentative  e  consentano   la   costituzione   di   maggioranze
sufficientemente stabili. 
    Ne' si potrebbe dubitare - secondo  l'Avvocatura  generale  dello
Stato - che la facolta' attribuita alle forze politiche di  scegliere
la posizione in lista di un determinato candidato possa  pregiudicare
la libera scelta che si esplica nel momento del voto:  e'  sul  punto
richiamata  la  sentenza  n.  203  del  1975,  con   cui   la   Corte
costituzionale ritenne non fondata una questione di costituzionalita'
avente ad oggetto la norma  che  consente  ai  partiti  di  scegliere
l'ordine dei candidati in lista.  Tale  ricostruzione  non  solo  non
sarebbe stata smentita dalla piu' volte citata sentenza  della  Corte
costituzionale  n.  1  del  2014,  ma   troverebbe   conferma   nella
giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo,  la  quale,
nella sentenza Saccomanno e  altri  c.  Italia  del  13  marzo  2012,
avrebbe  affermato  che  le  liste  bloccate,  pur  determinando  una
costrizione degli elettori  nella  scelta  dei  candidati,  sarebbero
giustificate in considerazione del ruolo dei partiti  politici  nella
vita dei Paesi democratici. Il  giudice  a  quo  non  avrebbe  invece
considerato il ruolo che, in ogni sistema democratico  contemporaneo,
spetta ai partiti nell'indicazione del candidato, il quale,  in  ogni
collegio,  «rappresenta  la  personificazione  e   il   volto   della
piattaforma programmatica di una  determinata  lista».  Tale  regola,
«indefettibile in ogni sistema maggioritario di collegio ma a maggior
ragione anche  nei  sistemi  elettorali  basati  sullo  scrutinio  di
lista», sarebbe la conseguenza del ruolo che l'art. 49 Cost.  assegna
ai partiti politici. 
    L'Avvocatura generale dello Stato conclude,  quindi,  menzionando
la sentenza n. 104 del 2006,  nella  quale  la  Corte  costituzionale
avrebbe  affermato  che  il  diritto  di   optare   per   una   delle
circoscrizioni in  cui  il  candidato  e'  risultato  eletto  sarebbe
l'«esplicazione del diritto di elettorato passivo»; la sentenza n.  1
del 2014, nella quale la Corte costituzionale avrebbe  affermato  che
la scelta del sistema elettorale e' l'ambito nel quale si esprime con
un massimo di evidenza la politicita' della scelta legislativa; e  la
sentenza n. 43 del 1961, nella  quale  sarebbe  stato  affermato  che
l'eguaglianza del voto non si estende  al  risultato  concreto  della
manifestazione della volonta' dell'elettore. 
    10.-  Alcune  delle  parti  del  giudizio  principale   si   sono
costituite  con  atto  depositato  il  29  luglio   2016,   chiedendo
l'accoglimento  delle  questioni   di   legittimita'   costituzionale
sollevate dal Tribunale ordinario di Torino. 
    10.1.-  Con  riferimento  alla  prima  questione,  con   cui   il
rimettente censura le disposizioni che prevedono l'attribuzione di un
premio di maggioranza all'esito di turno di ballottaggio tra  le  due
liste piu' votate al primo turno, le parti private premettono che «in
nessun  ordinamento  democratico  conosciuto,  ad   eccezione   della
Francia,  esiste  un  turno  di  ballottaggio  per   determinare   la
composizione di un organo legislativo»; che i correttivi adottati  in
alcuni ordinamenti (quali le  soglie  di  sbarramento  e  la  ridotta
dimensione dei collegi) non sono in grado di garantire  con  certezza
che un partito ottenga la maggioranza assoluta  dei  seggi;  che  nel
solo Stato - la Grecia - che prevede  un  premio  di  maggioranza  al
primo partito, questo e' costituito da un numero fisso di seggi;  che
l'unico ordinamento in cui e'  stato  adottato  un  sistema  misto  a
prevalenza maggioritaria con meccanismi che  possono  attribuire  una
maggioranza abnorme al primo partito e' l'Ungheria, «"forse"  non  un
modello  da  imitare»;  che  su  tredici  ordinamenti   con   sistema
parlamentare bicamerale, ben dieci hanno un sistema  proporzionale  e
due (Regno Unito e Francia) un sistema maggioritario a uno  o  a  due
turni in collegi uninominali: che, dunque, con il sistema  introdotto
dalla legge n. 52 del 2015, l'Italia sarebbe l'unico Stato  ad  avere
un sistema elettorale con premio  di  maggioranza,  doppio  turno  di
lista e attribuzione certa di una maggioranza piu' che  assoluta  dei
seggi ad un solo partito.  Secondo  le  parti  private,  gia'  questo
profilo   costituirebbe   un   autonomo   vizio   di   illegittimita'
costituzionale delle disposizioni in esame. 
    Le  parti  rilevano,  quindi,  che  le   disposizioni   censurate
sacrificherebbero      eccessivamente,      all'obbiettivo      della
governabilita', il principio  di  rappresentanza  democratica  e,  di
conseguenza, il diritto al  voto  eguale,  personale  e  diretto,  in
quanto il ballottaggio consegnerebbe alla lista vincente «un "premio"
di entita' abnorme  ed  inversamente  proporzionale  all'entita'  del
consenso ricevuto», a prescindere da un qualsiasi  quorum  minimo  di
voti  validi  per  essere  ammessi  al  ballottaggio  e  senza  alcun
riferimento alla percentuale dei votanti rispetto agli aventi diritto
(confrontando, sul punto, le disposizioni censurate  con  il  sistema
elettorale previsto nell'ordinamento francese). 
    Osservano che le disposizioni censurate violerebbero gli  evocati
principi costituzionali anche perche' l'introduzione di un premio  di
maggioranza  attribuibile  al  secondo  turno  di   ballottaggio,   a
prescindere dal raggiungimento di un qualsiasi quorum di voti validi,
determinerebbe «di per  se'  la  trasformazione  dell'impianto  della
legge da proporzionale a maggioritario». 
    Ritengono, inoltre, che l'assegnazione del premio di  maggioranza
all'esito del turno di ballottaggio  determinerebbe  una  distorsione
della volonta' della maggioranza degli elettori,  i  quali  avrebbero
deciso, al primo turno, di non assegnare il premio di  maggioranza  a
nessuna lista, nonche' una  lesione  dell'eguaglianza  del  voto,  in
quanto il voto dei cittadini che abbiano  scelto  la  minoranza  piu'
forte (alla  quale  sarebbe  attribuito  il  premio  di  maggioranza)
varrebbe fino a due o tre volte in piu' del voto  dei  cittadini  che
avessero votato altre liste. 
    Per le ragioni evidenziate, le  parti  private  ritengono  che  i
principi affermati dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 1 del
2014  risulterebbero  applicabili   anche   alle   norme   censurate,
osservando, peraltro, che il ballottaggio di  lista,  contestuale  al
divieto di coalizioni o accordi di desistenza  ed  alla  presenza  al
primo turno  delle  soglie  di  accesso,  aggraverebbe  ulteriormente
l'effetto distorsivo del meccanismo di  trasformazione  dei  voti  in
seggi. 
    10.2.- In relazione  alla  seconda  censura,  avente  ad  oggetto
l'art. 85 del d.P.R. n. 361 del 1957, come  modificato  dall'art.  2,
comma 27, della legge n. 52 del 2015, nella parte in cui consente  ai
candidati capilista che siano eletti in piu' collegi di optare  senza
alcun vincolo per il collegio nel quale vogliono  essere  eletti,  le
parti private osservano che riservare «ad una elite politica»,  ossia
ai capilista, la duplice facolta' di candidarsi fino ad un massimo di
dieci collegi e quella di poter  optare,  ad  elezione  avvenuta  con
successo, per un collegio piuttosto che per un altro,  determinerebbe
«un pesantissimo condizionamento» per l'elezione  dei  candidati  che
seguono nella lista, i quali sono destinatari dei voti di preferenza.
La  disposizione  censurata  avrebbe  introdotto  una  regola   ormai
superata da tutti gli altri ordinamenti  democratici  e  rispetto  ai
quali  la  dottrina  avrebbe  ravvisato  elementi  di  illegittimita'
costituzionale, proprio  in  quanto  non  sarebbero  gli  elettori  a
scegliere i candidati, ma i candidati capilista. 
    11.- Hanno spiegato intervento ad adiuvandum F.C.B., A.I. e G.S.,
con atto depositato il 1° agosto 2016; C.T.,  A.B.,  E.Z.,  con  atto
depositato il 4 agosto 2016; S.M. con atto  depositato  il  5  agosto
2016; F.D.M. e M.S., con atto depositato il 9 agosto 2016; V.P.,  con
atto depositato il 9 agosto 2016; E.P. e N.R., con atto depositato il
9 agosto 2016,  assumendo  tutti  di  essere  ricorrenti  in  giudizi
analoghi a quello  pendente  di  fronte  al  Tribunale  ordinario  di
Messina (reg. ord. n. 69 del 2016). 
    12.- In data 13 settembre 2016 - in vista  dell'udienza  pubblica
del 4 ottobre 2016, poi rinviata - l'Avvocatura generale dello  Stato
ha depositato  una  memoria  per  il  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri, in cui ribadisce le  conclusioni  rassegnate  nell'atto  di
intervento. 
    13.- In data 12 settembre 2016, F.C.B. e  A.I.  hanno  depositato
una memoria in cui, in ordine alla loro legittimazione ad intervenire
nel giudizio costituzionale, affermano di essere  «soggetti  titolari
di un interesse  qualificato,  immediatamente  inerente  al  rapporto
sostanziale  dedotto  in  giudizio,  cioe'  l'accertamento  del  loro
diritto di votare in conformita' alla Costituzione [...], al pari dei
ricorrenti nel giudizio a quo». Essi ritengono, infatti,  di  vantare
una  posizione  giuridica  qualificata  in  rapporto  alla  questione
oggetto  del  giudizio  di  costituzionalita'  in  quanto   cittadini
elettori. Sottolineano, inoltre, di  essere  ricorrenti  in  giudizio
analogo a quello dal  quale  hanno  avuto  origine  le  questioni  di
legittimita'  costituzionale  promosse  dal  Tribunale  ordinario  di
Torino. 
    In data 13 settembre 2016, C.T., A.B. e E.Z. hanno depositato una
memoria in cui, tra l'altro, argomentano in ordine all'ammissibilita'
del loro intervento. Essi osservano che  la  loro  posizione  sarebbe
identica a quella degli attori del giudizio a quo, in  quanto  «tutti
titolari dello stesso  diritto  fondamentale  che  li  accompagna  in
qualunque momento e  li  accomuna  nella  stessa  identica  posizione
giuridica».   Ripercorrendo    la    giurisprudenza    della    Corte
costituzionale in tema di ammissibilita' degli  interventi  di  terzi
nel  giudizio  costituzionale,  essi  ritengono  che  non   sarebbero
conferenti le pronunce con le quali e' stato negato  l'intervento  di
soggetti che erano parti in giudizi  analoghi  a  quello  in  cui  la
questione era stata  sollevata:  nel  caso  di  specie,  infatti,  il
giudizio pendente di fronte ad altro tribunale non  sarebbe  analogo,
bensi' identico per petitum e causa petendi. 
    Sempre in data  13  settembre  2016,  anche  V.P.  ha  depositato
memoria in cui, in ordine alla propria legittimazione ad  intervenire
nel  giudizio  di  costituzionalita',  ritiene  che   sussistano   le
condizioni  richieste  dalla  giurisprudenza  costituzionale  e,   in
particolare, osserva che  la  decisione  della  Corte  costituzionale
sarebbe  idonea  ad  incidere  direttamente  sulla  possibilita'   di
esercitare il proprio diritto di voto in modo  conforme  ai  principi
costituzionali. 
    In data 23 dicembre 2016, S.M. ha depositato una memoria  in  cui
chiede alla  Corte  costituzionale  che  il  proprio  intervento  sia
dichiarato  ammissibile,  in  quanto   titolare   di   un   interesse
qualificato, immediatamente inerente al rapporto sostanziale  dedotto
in  giudizio,  cioe'  l'accertamento  del  diritto   di   votare   in
conformita' alla Costituzione, al pari dei ricorrenti nel giudizio  a
quo. 
    14.- In data 15 settembre  2016  hanno  chiesto  di  intervenire,
fuori termine, L.A. e altri quarantadue, depositando  atto  privo  di
procura. Tra costoro F.D.M. e  M.S.  (peraltro  gia'  tempestivamente
intervenuti nel medesimo giudizio) sono avvocati cassazionisti. 
    15.- In vista dell'udienza pubblica del 24 gennaio 2017, le parti
del giudizio a quo hanno depositato, in data 28  dicembre  2016,  una
memoria in  cui  ribadiscono,  approfondendoli,  gli  argomenti  gia'
illustrati nell'atto di  costituzione  a  sostegno  della  fondatezza
delle censure sollevate dal Tribunale ordinario di Torino. 
    Esse, inoltre, argomentano in ordine all'ammissibilita' di  tutte
le questioni, in quanto sussisterebbe, a loro avviso, sia l'interesse
ad agire nel giudizio a quo, sia una diversita'  di  petitum  tra  il
giudizio principale e quello di costituzionalita'. 
    In ordine alla seconda delle censure  sollevate  dal  rimettente,
esse  suggeriscono  alla  Corte  costituzionale  di  valutare,   piu'
radicalmente, la compatibilita' a Costituzione delle disposizioni che
consentono  candidature  bloccate  in  piu'  collegi.  In  subordine,
rispetto alla piu' circoscritta censura sollevata  dal  Tribunale  di
Torino,   esse    contestano    l'eccezione    di    inammissibilita'
dell'Avvocatura generale dello Stato,  ritenendo  che  sia  possibile
individuare un'addizione a rime costituzionalmente obbligate: a  loro
avviso, la Corte costituzionale non potrebbe far altro che dichiarare
l'illegittimita' costituzionale dell'art. 85 del d.P.R.  n.  361  del
1957 nella parte in cui non prevede che il capolista eletto  in  piu'
collegi debba «optare per la nomina nel collegio nel quale il secondo
degli eletti o il primo  dei  non  eletti  abbiano,  in  proporzione,
conseguito il minor numero di voti». 
    16.- Con atto di intervento depositato in data 3 gennaio 2017, il
Codacons,  in  persona  del  suo  legale   rappresentante   G.U.,   e
quest'ultimo, «in proprio nella qualita' di elettore», hanno  chiesto
di intervenire - oltre che nel giudizio iscritto al reg. ord.  n.  69
del 2016 - anche nel giudizio instaurato dal Tribunale  ordinario  di
Torino. Tali soggetti hanno poi depositato, in data 13 gennaio  2017,
dunque fuori termine, ulteriore memoria. 
    17.- Con ordinanza del 6 settembre 2016 (reg.  ord.  n.  192  del
2016), il Tribunale ordinario di Perugia, seconda sezione civile,  ha
sollevato questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma
1, lettera f), della legge n. 52 del 2015 e dell'art.  83,  comma  5,
del d.P.R. n. 361 del 1957, come sostituito dall'art.  2,  comma  25,
della legge n. 52 del 2015, per violazione  degli  artt.  1,  secondo
comma, 3 e 48, secondo comma, Cost.; e dell'art. 85 del d.P.R. n. 361
del 1957, come modificato dall'art. 2, comma 27, della  legge  n.  52
del 2015, per violazione degli  artt.  1,  secondo  comma,  3  e  48,
secondo comma, Cost. 
    17.1.- Il giudice a quo riferisce di essere chiamato  a  decidere
un giudizio promosso con ricorso  ai  sensi  dell'art.  702-bis  cod.
proc.  civ.  da  alcuni  cittadini  italiani  iscritti  nelle   liste
elettorali della Regione Umbria, i quali hanno convenuto in  giudizio
il Presidente del Consiglio dei ministri e il Ministro  dell'interno,
chiedendo che sia accertata la lesione del loro diritto di voto,  per
come costituzionalmente garantito, in  conseguenza  dell'approvazione
della legge n. 52 del 2015. 
    17.2.- In via preliminare, il rimettente motiva  in  ordine  alla
sussistenza dell'interesse ad agire dei  ricorrenti,  in  particolare
affermando che - poiche' l'esercizio  del  diritto  di  voto  secondo
modalita' conformi  alle  previsioni  costituzionali  costituisce  un
diritto inviolabile e  permanente  dei  cittadini,  i  quali  possono
essere sempre chiamati ad esercitarlo in qualunque momento  e  devono
poterlo  esercitare  in  modo  conforme  a  Costituzione  -   sarebbe
«irrilevante il fatto che non si siano ancora svolte le elezioni  con
la legge elettorale che determinerebbe  la  lesione  del  diritto  di
voto», cosi' come sarebbe irrilevante anche il fatto  che  non  siano
stati convocati i comizi  elettorali  relativamente  ad  elezioni  da
svolgersi applicando la  nuova  legge  elettorale.  D'altro  canto  -
osserva  il  rimettente  -   ove   le   questioni   di   legittimita'
costituzionale potessero essere sollevate solo  successivamente  alla
convocazione dei comizi elettorali, si rischierebbe  di  pregiudicare
ogni concreta e tempestiva possibilita' di tutela. 
    Sarebbe inoltre irrilevante - secondo il giudice a quo - anche la
circostanza che la domanda di accertamento della lesione del  diritto
di  voto  sia  antecedente  alla  data  a  partire  dalla  quale   le
disposizioni censurate potranno avere applicazione, dal  momento  che
esse sono gia' in vigore. 
    Osserva, quindi, il rimettente come non possa  ritenersi  che  la
domanda  di  accertamento  sia  stata  proposta  al  solo   fine   di
sollecitare il giudizio della Corte costituzionale, dal momento  che,
ai fini della proponibilita' delle azioni di  mero  accertamento,  e'
sufficiente l'esistenza di uno stato di dubbio o incertezza oggettiva
sull'esatta portata dei diritti ed obblighi scaturenti da un rapporto
giuridico di fonte negoziale  o  legale,  in  quanto  tale  idoneo  a
provocare un ingiusto pregiudizio non evitabile se non attraverso  il
richiesto accertamento (e' sul punto  richiamata  la  sentenza  della
Corte costituzionale n. 1 del 2014). 
    17.3.-  Il  rimettente  argomenta,   quindi,   in   ordine   alla
sussistenza  del  requisito  della  rilevanza  delle   questioni   di
legittimita'  costituzionale  sollevate  rispetto  alla  controversia
instaurata  dai  ricorrenti,  affermando  che  la  definizione  delle
questioni   di   legittimita'   costituzionale   sollevate    risulta
pregiudiziale all'accertamento del diritto dei ricorrenti. 
    Osserva, inoltre, come non vi sia coincidenza tra  l'oggetto  del
giudizio di  merito  e  quello  del  giudizio  di  costituzionalita',
poiche' spetta al giudice ordinario accertare l'avvenuta lesione  del
diritto  azionato  e,  in  caso  di  accoglimento   delle   questioni
sollevate, ripristinare tale diritto, seppure per  il  tramite  della
sentenza costituzionale (sono richiamate l'ordinanza della  Corte  di
cassazione, sezione prima civile, 21  marzo  -  17  maggio  2013,  n.
12060, e la sentenza della Corte costituzionale n. 59 del 1957). 
    17.4.- Nel  merito,  il  giudice  a  quo,  dopo  aver  ampiamente
illustrato le ragioni per le quali ritiene di non  condividere  larga
parte delle doglianze prospettate dalle parti, solleva due  questioni
di legittimita' costituzionale. 
    La prima questione di legittimita' costituzionale investe  l'art.
1, comma 1, lettera f), della legge n. 52 del 2015 e l'art. 83, comma
5, del d.P.R. n. 361 del 1957, come sostituito dall'art. 2, comma 25,
della legge n. 52 del 2015, per violazione  degli  artt.  1,  secondo
comma, 3 e 48, secondo comma, Cost. 
    Il rimettente, dopo aver affermato che il sistema elettorale, pur
costituendo espressione dell'ampia discrezionalita'  legislativa,  e'
censurabile  di  fronte   alla   Corte   costituzionale   quando   il
bilanciamento degli interessi costituzionalmente rilevanti sia  stato
realizzato con modalita' tali  da  determinare  il  sacrificio  o  la
compressione di essi in maniera eccessiva, assume che le disposizioni
censurate, nel garantire il premio  di  maggioranza  alla  lista  che
risulti vincitrice nel ballottaggio tra le  due  liste  piu'  votate,
«senza prevedere alcuna soglia di  voti  minima  ed  escludendo  ogni
forma di collegamento o apparentamento tra list[e]»,  violerebbero  i
ricordati  principi   costituzionali.   Tale   meccanismo,   infatti,
sacrificherebbe eccessivamente il principio della  rappresentativita'
e, quindi, dell'eguaglianza del  voto  rispetto  al  principio  della
governabilita'. 
    17.5.- Il rimettente solleva, inoltre, questione di  legittimita'
costituzionale  dell'art.  85  del  d.P.R.  n.  361  del  1957,  come
modificato dall'art. 2, comma 27, della legge n.  52  del  2015,  per
violazione degli artt. 1, secondo comma, 3 e 48, secondo comma, Cost. 
    Dopo aver spiegato  le  ragioni  per  le  quali  ritiene  di  non
condividere i dubbi di legittimita' costituzionale - pure prospettati
dalle parti - aventi ad oggetto le disposizioni che prevedono che  le
liste siano formate da capilista bloccati e che consentono a  costoro
di candidarsi in piu' collegi, il  giudice  a  quo  censura,  invece,
l'art. 85 del d.P.R. n. 361 del 1957, come modificato dalla legge  n.
52 del 2015, il quale consente al capolista che sia stato  eletto  in
piu' collegi di  scegliere  il  collegio  in  cui  essere  proclamato
eletto, senza alcun criterio oggettivo rispettoso, nel massimo  grado
possibile, della volonta' espressa dagli  elettori.  La  possibilita'
concessa al capolista di optare  senza  limiti,  potendo  determinare
l'esclusione o l'elezione di altri candidati maggiormente  votati  in
altre  circoscrizioni,  finirebbe  per  privare  gli  elettori  della
possibilita' di scegliere il proprio candidato con le preferenze. 
    Il rimettente dubita altresi'  della  ragionevolezza  dell'intero
sistema, in quanto il principio della governabilita', gia'  garantito
dal sistema delle candidature multiple, finirebbe, in questa ipotesi,
per sacrificare eccessivamente il diritto di scelta del candidato  da
parte degli elettori e, quindi, il suo diritto di voto. 
    18.- In data 31  ottobre  2016  e'  intervenuto  in  giudizio  il
Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e   difeso
dall'Avvocatura generale dello Stato, la  quale,  producendo  memoria
analoga a quella depositata per il giudizio instaurato dal  Tribunale
ordinario di Torino (reg. ord. n. 163 del 2016), chiede che  entrambe
le  questioni  siano  preliminarmente  dichiarate  inammissibili  per
difetto di rilevanza, a causa  dell'assenza  di  interesse  ad  agire
delle parti, determinata dal fatto che le disposizioni censurate  non
hanno mai avuto applicazione.  Ritiene,  quindi,  che  le  questioni,
anche isolatamente esaminate, siano inammissibili  o,  comunque,  non
fondate. 
    19.- In data 28 ottobre  2016  si  sono  costituite  in  giudizio
alcune  delle  parti  del  giudizio  principale,  chiedendo  che   le
questioni  sollevate  dal  Tribunale  ordinario  di   Perugia   siano
dichiarate ammissibili e fondate. Esse chiedono, inoltre, alla  Corte
costituzionale di sollevare  di  fronte  a  se  stessa  questioni  di
legittimita' costituzionale dell'intera legge n. 52 del  2015  e,  in
particolare, degli artt. 1, 2 e 4, poiche' tale legge  sarebbe  stata
approvata, prima al Senato e poi alla Camera, in violazione dell'art.
72, primo e quarto comma, Cost. 
    Le parti ricordano che identica censura era  stata  proposta  nel
giudizio principale,  ma  che  il  giudice  a  quo  l'aveva  ritenuta
manifestamente infondata. 
    Gli argomenti addotti sono ribaditi e approfonditi nella  memoria
del 3 gennaio 2017, depositata in vista dell'udienza pubblica del  24
gennaio 2017. 
    In particolare, in tale memoria si ribadisce  la  richiesta  alla
Corte costituzionale di sollevare di fronte a se stessa questioni  di
legittimita' costituzionale degli artt. 1, 2 e 4 della  legge  n.  52
del 2015 per violazione dell'art. 72, secondo e quarto comma, Cost. A
tal fine si ricorda  che,  alla  Camera,  tali  articoli  sono  stati
approvati  con  voto  di  fiducia,  mentre  al  Senato   l'esame   in
commissione sarebbe stato compresso e, in  Assemblea,  sarebbe  stato
approvato un emendamento con cui e' stato inserito  nel  testo  della
legge una sorta di preambolo  riassuntivo  dei  caratteri  essenziali
della legge elettorale, cosi' da determinare l'inammissibilita' degli
ulteriori emendamenti che erano stati presentati. 
    20.- Con ordinanza del 5 ottobre 2016 (reg. ord. n. 265 del 2016)
il  Tribunale  ordinario  di  Trieste,  ha  sollevato  questioni   di
legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 1, lettera  f),  della
legge n. 52 del 2015 e dell'art. 83, comma 5, del d.P.R. n.  361  del
1957, come sostituito dall'art. 2, comma 25, della legge  n.  52  del
2015, per violazione degli artt. 1, secondo comma, 3  e  48,  secondo
comma, Cost.; e dell'art.  85  del  d.P.R.  n.  361  del  1957,  come
modificato dall'art. 2, comma 27, della legge n.  52  del  2015,  per
violazione degli artt. 1, secondo comma, 3 e 48, secondo comma, Cost. 
    20.1.- Il giudice a quo riferisce di essere chiamato  a  decidere
un giudizio promosso con ricorso  ai  sensi  dell'art.  702-bis  cod.
proc. civ. da alcuni cittadini italiani friulanofoni  iscritti  nelle
liste elettorali, i quali, convenendo in giudizio il  Presidente  del
Consiglio dei ministri e il Ministro dell'interno, chiedono  che  sia
accertata  la  lesione  del  loro   diritto   di   voto,   per   come
costituzionalmente garantito, in conseguenza dell'approvazione  della
legge n. 52 del 2015, applicabile in occasione delle  prime  elezioni
successive alla data di entrata in vigore di tale legge. 
    Preliminarmente, il rimettente ritiene che  sussista  l'interesse
ad agire  dei  ricorrenti,  poiche'  la  legge  n.  52  del  2015  e'
applicabile a partire dal 1° luglio  2016  e,  una  volta  emesso  il
decreto di convocazione dei comizi elettorali, non  vi  sarebbe  piu'
alcuna tutela effettiva per l'elettore. 
    Ritiene, inoltre, che le questioni sollevate siano rilevanti,  in
quanto  e'  individuabile  un  giudizio  separato  e  distinto  dalle
questioni di legittimita' costituzionale sul quale egli e' chiamato a
pronunciarsi  (sul   punto   richiama   le   sentenze   della   Corte
costituzionale n. 59 del 1957, n. 4 del 2000 e n. 1 del 2014). 
    20.2.- Dopo aver illustrato le ragioni per le  quali  ritiene  di
non condividere larga parte dei dubbi di legittimita'  costituzionale
prospettati dalle parti, il giudice a quo solleva  due  questioni  di
legittimita' costituzionale. 
    La prima questione ha ad oggetto l'art. 1, comma 1,  lettera  f),
della legge n. 52 del 2015 e l'art. 83, comma 5, del  d.P.R.  n.  361
del 1957, come sostitutito dall'art. 2, comma 25, della legge  n.  52
del 2015, ossia le disposizioni  che  prevedono  che,  nel  turno  di
ballottaggio, il premio di maggioranza sia attribuito sulla base  dei
voti validamente espressi. 
    Dopo aver affermato che la Corte costituzionale,  nella  sentenza
n. 1 del 2014, avrebbe «ravvisato la  necessita'  di  individuare  un
limite per la legittima attribuzione del premio di  maggioranza,  dal
quale il legislatore non puo' prescindere in sede di adozione di  una
legge  elettorale»,  il  rimettente  ritiene  che   le   disposizioni
censurate,  escludendo  meccanismi  che  garantiscano  una   adeguata
espansione  della  componente   rappresentativa   del   voto   -   in
particolare, vietando il collegamento o l'apparentamento tra liste al
turno  di  ballottaggio;  escludendo  la  possibilita'  di  esprimere
preferenze; conteggiando solo i voti validi espressi in questo  turno
e ammettendo al ballottaggio le due sole liste piu'  votate,  purche'
abbiano ottenuto il 3 per cento dei voti validi al primo turno  -  si
pongano in contrasto con gli artt. 1, secondo comma, 3 e 48,  secondo
comma, della Costituzione,  «la'  dove  essi  evidenziano  [...]  che
l'attuale sistema, privo di correttivi, pone il concreto rischio  che
il premio venga attribuito a una formazione che e' priva di  adeguata
rappresentativita' nel corpo elettorale». 
    20.3.- Con una seconda questione di legittimita'  costituzionale,
il giudice a quo  chiede  alla  Corte  costituzionale  di  dichiarare
l'illegittimita' costituzionale dell'art. 85 del d.P.R.  n.  361  del
1957, come modificato dall'art. 2, comma 27, della legge  n.  52  del
2015, per violazione degli artt. 1, secondo comma, 3  e  48,  secondo
comma, della Costituzione. 
    Il rimettente ricorda che la disposizione censurata  consente  al
candidato capolista in piu' collegi, e che sia stato  poi  eletto  in
piu' collegi, di optare, senza alcun tipo di vincolo, per un collegio
piuttosto che per un altro. Egli assume che tale  libera  scelta  del
candidato  capolista  sia  suscettibile  di  annullare  il  voto   di
preferenza  degli  elettori  nel  collegio  optato   dal   capolista,
consentendo, ad esempio, che il candidato che  abbia  ricevuto  molte
preferenze (addirittura il piu' votato in assoluto) sia  superato  da
uno o piu' candidati di  altri  collegi  con  meno  preferenze.  Tale
scelta legislativa - secondo il rimettente  -  non  potrebbe  neppure
essere  giustificata  dall'esigenza   di   governabilita',   «perche'
l'esclusione di un candidato non condizionata dal numero di  voti  di
preferenza ottenuti e' del tutto irrazionale e contraria al principio
della rappresentativita'». 
    21.- Con atto depositato il 3 gennaio  2017,  e'  intervenuto  in
giudizio il Presidente del Consiglio dei  ministri,  rappresentato  e
difeso dall'Avvocatura generale dello Stato. 
    L'atto di intervento contiene argomenti analoghi  a  quelli  gia'
rappresentati nei giudizi  instaurati  dall'ordinanza  del  Tribunale
ordinario di Torino (reg. ord. n. 163 del 2016) e dall'ordinanza  del
Tribunale ordinario di Perugia (reg. ord. n. 192 del 2016). 
    L'Avvocatura  generale  dello  Stato  chiede,  dunque,   in   via
preliminare, che entrambe le  questioni  sollevate  siano  dichiarate
inammissibili per difetto di rilevanza  e,  in  subordine,  eccepisce
l'inammissibilita' o,  comunque,  la  non  fondatezza  delle  singole
censure. 
    Con riferimento alla  prima  questione  sollevata  dal  Tribunale
ordinario di Trieste, avente ad oggetto le disposizioni che  regolano
il turno di ballottaggio, l'Avvocatura generale dello Stato  aggiunge
che  l'accoglimento  «renderebbe  la  legge  elettorale  incapace  di
funzionare». Poiche' il sistema elettorale definito dalla legge n. 52
del 2015 e' concepito «per essere in ogni  caso  majority  assuring»,
esso non prevederebbe un'alternativa al secondo turno,  nel  caso  in
cui una lista, al primo turno, non raccolga almeno il  40  per  cento
dei voti ed abbia conseguito (senza premio) almeno 340 seggi. 
    22.- Con atto depositato il 22 dicembre 2016, si sono  costituite
le  parti  del  giudizio  a  quo,  chiedendo  che  siano   dichiarate
ammissibili e, quindi, accolte entrambe le  questioni  sollevate  dal
Tribunale ordinario di Trieste. 
    Esse premettono, inoltre, che la legge n.  52  del  2015  (e,  in
particolare,  gli  artt.  1,  2  e  4)  sarebbe  stata  approvata  in
violazione dell'art. 72, primo e quarto comma, Cost., auspicando  che
la Corte costituzionale sollevi di fronte a se stessa tali questioni. 
    In vista dell'udienza pubblica del 24 gennaio 2017, le parti,  il
12 gennaio 2017, hanno depositato una memoria in cui ribadiscono  gli
argomenti  gia'  addotti  nell'atto  di   costituzione,   in   ordine
all'ammissibilita' e alla fondatezza di entrambe le censure sollevate
dal rimettente. 
    23.- Con atto depositato il  23  dicembre  2016,  hanno  spiegato
intervento ad adiuvandum C.T., A.B. e E.Z.,  assumendo  di  avere  un
interesse qualificato  e  diretto  all'accoglimento  delle  questioni
sollevate dal Tribunale ordinario di  Trieste,  in  quanto  parti  di
analogo giudizio pendente dinnanzi alla Corte d'appello di Milano.  I
medesimi soggetti, in data 30 dicembre  2016,  hanno  depositato  una
memoria in cui, tra l'altro, argomentano in modo piu' ampio in ordine
all'ammissibilita'   del   loro   intervento    nel    giudizio    di
costituzionalita'. 
    24.- In data 3 gennaio 2017 hanno depositato atto  di  intervento
il Codacons,  in  persona  del  suo  legale  rappresentante  G.U.,  e
quest'ultimo «anche in proprio  nella  qualita'  di  elettore  avente
diritto ad esprimersi nelle consultazioni elettorali»,  adducendo,  a
sostegno della propria legittimazione ad intervenire nel giudizio  di
fronte  alla  Corte  costituzionale,  argomenti  analoghi  a   quelli
contenuti  nell'atto  di  intervento  nei  giudizi   instaurati   dai
Tribunali ordinari di Messina e di Torino.  Tali  argomenti  relativi
alla  asserita  legittimazione  ad  intervenire   nel   giudizio   di
costituzionalita'  sono  ribaditi  nella  memoria  depositata  il  13
gennaio 2017. 
    25.- Con ordinanza del 16 novembre 2016 (reg.  ord.  n.  268  del
2016), il Tribunale ordinario di Genova  ha  sollevato  questioni  di
legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 1, lettera  f),  della
legge n. 52 del 2015 e degli artt. 1 e 83, commi 1, numeri 5)  e  6),
2, 3 e 4, del d.P.R. n. 361 del 1957, come rispettivamente  novellati
dall'art. 2, commi 1 e 25, della legge n. 52 del 2015, per violazione
degli  artt.  1,  secondo  comma,  3  e  48,  secondo  comma,   della
Costituzione; dell'art. 1, comma 1, lettera f), della legge n. 52 del
2015 e degli  artt.  1  e  83  del  d.P.R.  n.  361  del  1957,  come
rispettivamente novellati dall'art. 2, commi 1 e 25, della  legge  n.
52 del 2015, per violazione degli artt. 1, secondo  comma,  3  e  48,
secondo comma, Cost.; dell'art. 1, comma 1, lettera f),  della  legge
n. 52 del 2015, in relazione alle parole  «sono  comunque  attribuiti
340 seggi alla lista che ottiene, su base nazionale, almeno il 40 per
cento dei voti validi», e dell'art. 83, commi 1, numeri 5) e 6), 2, 3
e 4, del d.P.R. n. 361 del 1957, come sostituito dall'art.  2,  comma
25, della legge n. 52 del 2015, per violazione degli artt. 1, secondo
comma, 3 e 48, secondo comma, Cost.; dell'art. 1,  comma  1,  lettera
f), della legge n. 52 del 2015 e degli artt. 83, commi 1, numeri 5) e
6), 2 e 5, e 83-bis, comma 1, numeri 1), 2), 3) e 4), del  d.P.R.  n.
361 del 1957, come rispettivamente sostituiti e aggiunti dall'art. 2,
comma 25, della legge n. 52 del 2015, per violazione degli  artt.  1,
secondo comma, 3 e 48, secondo comma, Cost.; dell'art. 85 del  d.P.R.
n. 361 del 1957, come modificato dall'art. 2, comma 27,  della  legge
n. 52 del 2015, per violazione degli artt. 1, secondo comma, 3 e  48,
secondo comma, Cost.; dell'art. 83, comma 3, del d.P.R.  n.  361  del
1957, come sostituito dall'art. 2, comma 25, della legge  n.  52  del
2015, per violazione degli artt. 1, secondo comma, 3  e  48,  secondo
comma, Cost. 
    25.1.- Il giudice a quo riferisce di essere chiamato  a  decidere
un giudizio promosso con ricorso  ai  sensi  dell'art.  702-bis  cod.
proc.  civ.  da  alcuni  cittadini  italiani  iscritti  nelle   liste
elettorali di comuni ricompresi nel distretto della  Corte  d'appello
di  Genova,  i  quali,  convenendo  in  giudizio  il  Presidente  del
Consiglio dei ministri e il Ministro dell'interno, chiedono  che  sia
accertato il loro diritto di voto  libero,  personale  e  diretto  in
conformita' alla Costituzione e all'art. 3 del Protocollo addizionale
alla CEDU, e, di conseguenza, di dichiarare che l'applicazione  della
legge n. 52 del 2015 pregiudicherebbe tale diritto. 
    Preliminarmente,   il   rimettente   conferma   la    sussistenza
dell'interesse ad agire dei ricorrenti, gia' motivata in una  propria
precedente sentenza non definitiva, nonostante la  legge  n.  52  del
2015 sia applicabile a partire dal 1° luglio 2016. 
    Ritiene, inoltre, che le questioni sollevate siano rilevanti,  in
quanto sarebbe individuabile un giudizio separato  e  distinto  dalle
questioni di legittimita' costituzionale sul quale egli e' chiamato a
pronunciarsi. 
    25.2.- Il giudice a quo solleva, quindi, sei  distinte  questioni
di legittimita' costituzionale. 
    La prima censura investe l'art. 1, comma  1,  lettera  f),  della
legge n. 52 del 2015 e gli artt. 1 e 83, commi 1, numero 5) e 6),  2,
3 e 4, del d.P.R. n. 361 del  1957,  come  rispettivamente  novellati
dall'art. 2, commi  1  e  25,  della  legge  n.  52  del  2015.  Tali
disposizioni  prevedono  che,  al  primo  turno  di  votazione,   sia
attribuito un premio di maggioranza pari a 340 seggi alla  lista  che
ottiene, su base nazionale, almeno il 40 per cento dei voti validi. 
    Secondo  il  rimettente,  in  tale  ipotesi,  la  percentuale  di
distorsione del voto espresso a favore della lista vincitrice sarebbe
pari a 1,375, mentre  il  «voto  "perdente"»  risulterebbe  avere  un
coefficiente di sotto rappresentazione pari  a  0,75.  Egli  suppone,
inoltre, che, a fronte di 30 milioni di voti validi espressi, poiche'
il 40 per cento corrisponde a 12 milioni di voti, la  lista  vincente
avrebbe diritto a un deputato ogni 35.294 voti, mentre  il  complesso
delle forze di minoranza, che avrebbe ottenuto 18  milioni  di  voti,
avrebbe un deputato ogni 64.748 voti. A  fronte  di  «detta  evidente
distorsione», valutata in concreto,  il  rimettente  ritiene  che  le
disposizioni censurate si pongano  in  contrasto  con  gli  artt.  1,
secondo comma, 3 e 48, secondo comma, Cost., poiche', «non risultando
neppure previsto alcun rapporto fra i voti ottenuti rispetto non gia'
ai voti validi  ma  al  complesso  degli  aventi  diritto  al  voto»,
unitamente alla circostanza che e' prevista una soglia di sbarramento
al 3 per cento, esse sovra-rappresenterebbero, in modo sproporzionato
e irragionevole, il voto a favore della lista vincitrice. 
    25.3.- Con la seconda questione il Tribunale ordinario di  Genova
lamenta che l'art. 1, comma 1, lettera f), della legge n. 52 del 2015
e gli artt. 1 e 83 del d.P.R.  n.  361  del  1957  -  come  novellati
dall'art. 2, commi 1 e 25, della legge n. 52 del  2015  -  prevedendo
che, in caso di mancato conseguimento del premio  di  maggioranza  al
primo turno di votazione, tale premio sia attribuito in seguito ad un
turno di ballottaggio a cui accedono le due  liste  piu'  votate,  si
pongano in contrasto con gli artt. 1, secondo comma, 3 e 48,  secondo
comma, Cost. 
    Il giudice a quo ricorda,  anzitutto,  che  il  legislatore,  nel
disciplinare  l'attribuzione  del   premio   di   maggioranza,   deve
contemperare  ragionevolmente  due  contrapposti  interessi  di  pari
rilievo costituzionale, ossia il principio di rappresentativita' e il
principio di governabilita', e richiama, sul punto, quanto  affermato
dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 1 del 2014. 
    Ritiene,  quindi,  che,  con  le   disposizioni   censurate,   il
legislatore,  limitandosi  a  prevedere  che  accedano  al  turno  di
ballottaggio le due  liste  piu'  votate,  purche'  abbiano  ottenuto
almeno il 3 per cento dei voti (ovvero il 20 per cento nel caso siano
espressione  di  minoranze  linguistiche),   abbia,   da   un   lato,
riconosciuto che esiste un problema di rappresentativita' delle liste
ammesse al  ballottaggio,  dall'altro,  pero',  abbia  utilizzato  le
soglie previste, in generale, dalla legge elettorale per  scoraggiare
una eccessiva «polverizzazione» del voto. 
    Inoltre, nel valutare l'effettiva forza  rappresentativa  del  50
per cento piu' uno dei voti espressi al ballottaggio,  il  rimettente
ritiene che si debba considerare che tale  maggioranza  e'  calcolata
sui voti validi espressi, circostanza che non darebbe «alcun  rilievo
al peso dell'astensione». 
    Il giudice a  quo,  infine,  ricordando  che  il  legislatore  ha
esplicitamente  vietato  -   per   il   turno   di   ballottaggio   -
apparentamenti o coalizioni  tra  liste,  ritiene  che  tale  scelta,
«evidentemente espressione  di  un  favore  per  la  governabilita'»,
sarebbe  irrazionale,  in  quanto  il  voto  espresso  al  turno   di
ballottaggio   sacrificherebbe   eccessivamente   il   valore   della
rappresentativita'. 
    In conclusione, il Tribunale  ordinario  di  Genova  assume  che,
«[s]enza l'adozione  di  meccanismi  che  garantiscano  una  adeguata
espansione della componente rappresentativa del  voto  (ovvero  senza
l'eliminazione del divieto di cui si e'  detto),  l'attribuzione  del
premio  di  maggioranza  alla   sola   lista   che,   all'esito   del
ballottaggio, si aggiudichi il  premio  di  maggioranza  finisce  per
essere  svincolata  dalla  esistenza  di  parametri   oggettivi   che
consentano di affermare che la lista vincitrice  ha  ottenuto  quella
"ragionevole soglia di  voti  minima"  in  presenza  della  quale  e'
possibile la legittima attribuzione del premio di maggioranza» e, per
tali ragioni, chiede la declaratoria di illegittimita' costituzionale
delle disposizioni censurate per violazione degli  evocati  parametri
costituzionali. 
    25.4.-  Il  giudice  a  quo  solleva,   inoltre,   questioni   di
legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 1, lettera  f),  della
legge n. 52  del  2015,  in  relazione  alle  parole  «sono  comunque
attribuiti 340 seggi alla  lista  che  ottiene,  su  base  nazionale,
almeno il 40 per cento dei voti validi», e  dell'art.  83,  commi  1,
numeri 5) e 6), 2, 3 e 4, del d.P.R. n. 361 del 1957, come sostituito
dall'art. 2, comma 25, della legge n. 52  del  2015,  per  violazione
degli artt. 1, secondo comma, 3 e 48, secondo comma, Cost. 
    A suo avviso, tali disposizioni devono  essere  interpretate  nel
senso che il premio di maggioranza di 340  seggi  e'  assegnato  alla
lista che abbia ottenuto il maggior numero di voti validi, anche  nel
caso in cui siano due le liste che ottengono, al primo turno,  il  40
per cento dei voti.  Egli  ritiene,  pero',  che  -  in  assenza  dei
lamentati  correttivi  individuati  nella   prima   delle   questioni
sollevate (calcolo delle  percentuali  sui  votanti,  anziche'  sugli
aventi diritto, e presenza di una soglia  di  sbarramento  al  3  per
cento) -  tale  soluzione  comprimerebbe  in  modo  sproporzionato  e
irragionevole il voto degli elettori  della  lista  che,  pur  avendo
ottenuto al primo turno il 40  per  cento  dei  voti,  sia  risultata
seconda. 
    25.5.- Un'ulteriore questione ha ad oggetto l'art.  1,  comma  1,
lettera f), della legge n. 52 del 2015, e  gli  artt.  83,  commi  1,
numeri 5) e 6), 2 e 5, e 83-bis, comma 1, numeri 1), 2), 3) e 4), del
d.P.R. n. 361 del 1957, come rispettivamente  modificati  e  aggiunti
dall'art. 2, comma 25,  della  legge  n.  52  del  2015,  ancora  per
asserita violazione degli artt. 1, secondo comma,  3  e  48,  secondo
comma, Cost. 
    Il rimettente, assumendo che tali  disposizioni  imporrebbero  di
procedere ad un turno di ballottaggio anche nel caso in cui una lista
abbia ottenuto, al primo turno, 340 seggi, ma non  anche  il  40  per
cento dei voti, ritiene che tale  soluzione  sarebbe  contraddittoria
«rispetto allo scopo proclamato dallo stesso legislatore». 
    25.6.- Il Tribunale ordinario  di  Genova  solleva  questione  di
legittimita' costituzionale anche dell'art. 85 del d.P.R. n. 361  del
1957, come modificato dall'art. 2, comma 27, della legge  n.  52  del
2015, per violazione degli artt. 1, secondo comma, 3  e  48,  secondo
comma, Cost. 
    Egli premette di ritenere manifestamente  infondati  i  dubbi  di
legittimita' costituzionale prospettati dalle parti  in  ordine  alle
disposizioni che consentono solo ad alcune categorie di candidati - i
capilista - di essere presentati in piu' collegi  e  che  sottraggono
solo costoro al voto di preferenza. 
    Ritiene, invece, che  si  ponga  in  contrasto  con  i  ricordati
parametri costituzionali l'art. 85 del d.P.R. n.  361  del  1957,  in
quanto consente al capolista eletto in piu'  collegi  di  operare  la
scelta del collegio in cui essere proclamato tale senza alcun tipo di
vincolo. 
    A suo avviso, rientrerebbe nella liberta' di voto anche la tutela
della  legittima   aspettativa   dell'elettore   di   influire,   con
l'espressione della propria preferenza, sulla effettiva elezione  del
candidato prescelto. Tale liberta' sarebbe pregiudicata  dall'assenza
di qualsiasi criterio cui il capolista sia vincolato nella scelta del
collegio, in quanto l'elettore non  potrebbe  effettuare  valutazioni
prognostiche sulla «utilita'» del suo voto  di  preferenza,  dato  in
favore di un candidato che faccia parte di una  lista  con  capolista
candidato anche in altri collegi. 
    25.7.- Un'ultima  questione  di  legittimita'  costituzionale  e'
sollevata dal Tribunale ordinario di Genova avverso l'art. 83,  comma
3, del d.P.R. n. 361 del 1957, come sostituito dall'art. 2, comma 25,
della  legge  n.  52  del   2015,   in   quanto   tali   disposizioni
prevederebbero che, nella sola Regione Trentino-Alto  Adige,  possano
essere assegnati tre seggi di recupero proporzionale ad una lista non
apparentata con alcuna lista nazionale o espressione della  minoranza
linguistica vincitrice in tale Regione. Il giudice a quo lamenta  una
lesione degli artt. 1, secondo comma, 3 e 48, secondo comma, Cost. 
    Ad   avviso   del   rimettente    le    disposizioni    impugnate
determinerebbero  «una  violazione  nella  rappresentativita'   della
minoranza nazionale, rispetto alla minoranza linguistica assegnataria
dei tre seggi di recupero proporzionale». 
    Tali  conseguenze  lesive,  ad  avviso   del   giudice   a   quo,
costituirebbero un ulteriore effetto  indiretto  del  meccanismo  del
doppio turno di  votazione,  «posto  che  il  recupero  proporzionale
potenzialmente  lesivo  delle  liste  di   minoranza   nazionali   e'
necessario per via della istituzione degli otto  collegi  uninominali
che vengono assegnati fin dal primo turno, senza che il  ballottaggio
possa incidervi». 
    Il  rimettente  ritiene,  inoltre,  che,  in  caso   di   mancato
apparentamento della lista di minoranza con liste nazionali o con  la
lista vincitrice nella Regione Trentino-Alto Adige, si verificherebbe
«un'incidenza  del  voto  in  uscita  di  gran  lunga  superiore   al
corrispettivo voto reso dagli elettori nei  confronti  di  una  lista
nazionale di minoranza». 
    26.- In data  3  gennaio  2017  e'  intervenuto  in  giudizio  il
Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e   difeso
dall'Avvocatura generale dello Stato. 
    26.1.-  Quest'ultima  chiede,  in  primo  luogo,  che  tutte   le
questioni  sollevate  dal  Tribunale  ordinario   di   Genova   siano
dichiarate  inammissibili,  con  argomenti  analoghi  a  quelli  gia'
rappresentati nei giudizi instaurati dalle  ordinanze  del  Tribunale
ordinario di Torino (reg.  ord.  n.  163  del  2016),  del  Tribunale
ordinario di Perugia (reg. ord. n. 192  del  2016)  e  del  Tribunale
ordinario di Trieste (reg. ord. n. 265 del 2016). 
    26.2.- Con riferimento alle prime due censure - con le  quali  il
rimettente  chiede  alla  Corte   costituzionale   di   valutare   la
compatibilita', rispetto ai principi  costituzionali  evocati,  delle
disposizioni  che  prevedono   l'assegnazione   di   un   premio   di
maggioranza, al primo turno, alla lista che ottiene almeno il 40  per
cento dei voti, o, al secondo turno, a chi vince  il  ballottaggio  -
l'Avvocatura generale  dello  Stato  adduce,  a  sostegno  della  non
fondatezza, argomenti analoghi a quelli rappresentati  nelle  memorie
depositate nei giudizi instaurati dal Tribunale ordinario di  Messina
(reg. ord. n. 69 del 2016), dal Tribunale ordinario di  Torino  (reg.
ord. n. 163 del 2016), dal Tribunale ordinario di Perugia (reg.  ord.
n. 192 del 2016) e dal Tribunale ordinario di Trieste (reg.  ord.  n.
265 del 2016). 
    26.3.- In relazione alla terza questione sollevata dal  Tribunale
ordinario di Genova - nella quale si contesta la possibilita' che sia
assegnato il premio di maggioranza anche nel caso in  cui  due  liste
ottengano, al primo  turno,  il  40  per  cento  dei  voti  validi  -
l'Avvocatura generale dello Stato eccepisce, preliminarmente, che  la
censura sarebbe inammissibile perche' priva di adeguata  motivazione:
in particolare, il giudice non spiegherebbe le ragioni per  le  quali
si possa determinare un'illegittima compressione del diritto di  voto
degli elettori che optano per una lista seconda classificata, ove  vi
sia una lista diversa  che  abbia  ottenuto  piu'  voti  e  maturato,
quindi, il diritto a conseguire il premio di maggioranza. 
    Nel merito, la censura sarebbe -  secondo  l'Avvocatura  generale
dello Stato - non fondata. Anzitutto, la tesi del rimettente  sarebbe
idonea  a  «colpire  indistintamente»  qualsiasi  tipo   di   sistema
elettorale majority assuring, e a impedire  l'adozione  di  qualsiasi
correttivo ad un sistema proporzionale: in nessun sistema che preveda
il ballottaggio e' stabilito che l'effetto maggioritario  si  produca
solo con la realizzazione di un determinato «scarto» di voti  tra  la
prima e la seconda lista. In secondo luogo, non si comprenderebbe per
quale ragione,  nel  caso  di  specie,  vi  sarebbe  una  particolare
compressione del diritto  di  voto  diretto.  Ne',  infine,  potrebbe
accedersi alla soluzione prospettata dal rimettente, il quale propone
l'eliminazione del premio di  maggioranza  nell'ipotesi  in  cui  due
liste superino la soglia del 40 per cento dei voti:  cosi'  operando,
verrebbe illegittimamente frustrato il diritto di voto degli elettori
che hanno  optato  per  una  lista  risultata  vincitrice,  la  quale
potrebbe vantare un diritto all'assegnazione del premio anzidetto. 
    26.4.- In relazione alla quarta questione sollevata dal Tribunale
ordinario di Genova, avente ad oggetto l'ipotesi  in  cui  una  lista
ottenga, all'esito del primo turno, 340 seggi, ma non raggiunga anche
il 40 per cento dei voti validi, l'Avvocatura generale dello Stato ne
eccepisce  anzitutto  l'inammissibilita',  poiche'  l'interpretazione
fornita dal rimettente sarebbe «artificiosa e  disancorata  dal  dato
normativo».  Il  tenore  letterale   delle   disposizioni   censurate
deporrebbe,  invero,  nel  senso   dell'esclusione   del   turno   di
ballottaggio nel caso in cui una lista abbia ottenuto 340  seggi,  ma
non anche il 40 per  cento  dei  voti.  L'Avvocatura  generale  dello
Stato, dopo aver ricordato il contenuto del novellato art. 83,  comma
1, numeri 5), 6) e 7), del d.P.R. n.  361  del  1957,  osserva  come,
presumibilmente,  il  rimettente  legga  le  disposizioni   enumerate
all'art. 83, comma 1, del d.P.R. n. 361 del  1957,  «come  un  elenco
assolutamente  sequenziale  con  progressivo   restringimento   della
fattispecie considerata a partire dalla  disposizione  contenuta  nel
numero 5)», mentre il turno di ballottaggio sarebbe indetto nel  caso
in cui si sommino due verifiche negative,  ossia  che  nessuna  lista
abbia raggiunto il 40 per cento  dei  voti  e  non  abbia  conseguito
almeno 340 seggi. Da cio'  risulterebbe  chiaro  che,  se  una  lista
ottiene 340 seggi, ma non anche il 40 per  cento  dei  voti,  non  si
procede al turno di ballottaggio. 
    Osserva, infine, l'Avvocatura generale dello Stato che  l'ipotesi
presa in considerazione dal rimettente, «oltre a costituire  un  caso
limite (come lo definisce lo stesso giudicante) puramente  ipotetico,
configurerebbe un caso di scuola erroneamente costruito»:  anzitutto,
il numero dei seggi da attribuire sarebbe 606, e non 618,  in  quanto
devono essere sottratti i seggi spettanti alle  circoscrizioni  Valle
d'Aosta e Trentino - Alto Adige; in secondo luogo, il caso ipotizzato
potrebbe verificarsi solo a fronte di «una  frammentazione  del  voto
assai cospicua» (secondo l'Avvocatura generale dello Stato, solo  nel
caso in cui quasi dieci milioni di voti siano indirizzati a liste che
non superano la soglia del 3 per cento, pari a  circa  dieci  partiti
che si fermano tutti al 2,9 per cento). Da qui, l'ulteriore eccezione
di inammissibilita' di tale questione per la sua natura  ipotetica  e
virtuale. 
    26.5.- Anche con  riferimento  alla  quinta  censura,  avente  ad
oggetto l'art. 85  del  d.P.R.  n.  361  del  1957,  come  modificato
dall'art. 2, comma 27, della  legge  n.  52  del  2015,  l'Avvocatura
generale dello Stato adduce, sia in punto di ammissibilita', sia  nel
merito,  argomenti  analoghi  a  quelli  contenuti  negli   atti   di
intervento nei giudizi instaurati dal Tribunale ordinario  di  Torino
(reg. ord. n. 163 del 2016), dal Tribunale ordinario di Perugia (reg.
ord. n. 192 del 2016) e dal Tribunale ordinario di Trieste (reg. ord.
n. 265 del 2016). 
    26.6.- Con riferimento, infine, all'ultima censura sollevata  dal
Tribunale ordinario di Genova, il quale lamenta gli effetti derivanti
dal meccanismo di attribuzione dei seggi in Trentino-Alto Adige sulla
rappresentativita' delle «minoranze nazionali», nel caso in cui  quei
seggi siano assegnati ad una lista  non  apparentata  con  una  lista
nazionale o espressione  della  minoranza  linguistica,  l'Avvocatura
generale dello Stato eccepisce plurime ragioni di inammissibilita'. 
    Anzitutto, la  censura  sarebbe  irrilevante,  poiche'  essa  non
potrebbe «che essere riferita ai soli altoatesini». 
    In  secondo  luogo,  vi   sarebbe   una   errata   individuazione
dell'oggetto della censura, dal momento che le  norme  sospettate  di
incostituzionalita' non sarebbero contenute negli artt. 2, comma  25,
della legge n. 52 del 2015 e 83, comma 3, del d.P.R. n. 361 del 1957,
bensi' nell'art. 2, comma 32, della predetta legge n. 52 del  2015  e
nell'art. 93-bis del citato d.P.R. n. 361 del 1957. 
    Vi sarebbe, inoltre, un difetto di motivazione in ordine alla non
manifesta  infondatezza  delle  questioni   sollevate,   poiche'   il
rimettente  non  avrebbe  motivato  in   ordine   alla   nozione   di
«minoranza», e non sarebbe, dunque,  chiaro  se  l'effetto  che  egli
lamenta derivi  realmente  dal  meccanismo  che  egli  sinteticamente
denuncia ovvero - come sarebbe se la minoranza  fosse  una  minoranza
regionale - dalle disposizioni che prevedono il cosiddetto "scorporo"
per  l'assegnazione,  in  ragione  proporzionale,  dei  seggi   nella
medesima Regione Trentino-Alto Adige. 
    27.- Con atto depositato il 29 dicembre 2016 si  sono  costituite
in giudizio alcune delle parti del giudizio a quo, chiedendo  che  la
Corte costituzionale dichiari ammissibili e, quindi, fondate tutte le
questioni sollevate dal Tribunale ordinario di Genova. 
    Il 13 gennaio 2017, in vista dell'udienza  pubblica,  esse  hanno
depositato un'altra memoria,  in  cui  adducono  argomenti  a  favore
dell'ammissibilita' di tutte le questioni  sollevate,  nonche'  della
loro fondatezza. In tale memoria esse, in particolare, insistono  per
l'accoglimento delle questioni aventi ad oggetto le disposizioni  che
prevedono l'assegnazione del premio  di  maggioranza,  sia  al  primo
turno, sia al turno di ballottaggio. Inoltre,  con  riferimento  alla
censura avente ad oggetto il meccanismo  di  assegnazione  dei  seggi
nella  Regione  Trentino-Alto  Adige,  le  parti  osservano  che   le
disposizioni  censurate  determinerebbero  una  violazione,  non  del
diritto degli elettori di tale Regione, bensi'  di  tutti  gli  altri
elettori, i quali, a causa del «privilegio» dei primi, rischierebbero
di vedere ancora piu' ridotto il numero degli eletti delle  liste  di
minoranza,  «con  una   ulteriore   enfatizzazione   del   meccanismo
premiale». 
    Anche tali parti ripropongono dinnanzi alla Corte  costituzionale
il primo motivo dell'atto introduttivo del giudizio a  quo,  relativo
alla procedura di approvazione della legge n.  52  del  2015,  motivo
ritenuto dal Tribunale ordinario di Genova manifestamente  infondato.
Con ampiezza di argomenti,  sollecitano  la  Corte  costituzionale  a
sollevare  dinnanzi   a   se   stessa   questioni   di   legittimita'
costituzionale, aventi ad oggetto l'intera legge n. 52 del 2015,  per
asserita violazione dell'art. 72, quarto comma, Cost. 
    28.- Nel giudizio instaurato dal Tribunale  ordinario  di  Genova
hanno spiegato intervento ad adiuvandum C.T., A.B. e E.Z.,  con  atto
depositato il 23 dicembre  2016,  e  M.M.  e  altri  sette  con  atto
depositato il 30 dicembre 2016. 
    Gli intervenienti C.T., A.B. e E.Z., in data  30  dicembre  2016,
hanno anche depositato una memoria in vista dell'udienza pubblica del
24 gennaio 2017. 
    In ordine alla loro legittimazione ad intervenire  nel  giudizio,
gli intervenienti hanno  sottolineato  di  essere  parti  in  giudizi
analoghi a quello da cui hanno avuto origine le questioni oggetto del
giudizio di costituzionalita', e  di  essere  titolari  dello  stesso
diritto fondamentale, della cui  portata  e'  chiesto  l'accertamento
dinnanzi a diversi giudici. 
    Gli intervenienti M.M. e altri sette hanno argomentato, in ordine
alla propria legittimazione ad intervenire  nel  giudizio  di  fronte
alla Corte costituzionale, nella memoria  depositata  il  12  gennaio
2017, in vista dell'udienza pubblica. 
    29.- Con atto di intervento depositato in data 3 gennaio 2017, il
Codacons,  in  persona  del  suo  legale   rappresentante   G.U.,   e
quest'ultimo, «in proprio nella qualita' di elettore», hanno  chiesto
di intervenire - oltre che nel giudizio reg. ord. n. 265 del  2016  -
anche nel giudizio instaurato  dal  Tribunale  ordinario  di  Genova.
Sulla propria legittimazione ad intervenire  sono  addotti  argomenti
nella memoria depositata il 13 gennaio 2017. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Le questioni di  legittimita'  costituzionale  sollevate  dai
Tribunali ordinari di Messina (reg. org.  n.  69  del  2016),  Torino
(reg. org. n. 163 del 2016), Perugia (reg. org.  n.  192  del  2016),
Trieste (reg. org. n. 265 del 2016) e Genova (reg. org.  n.  268  del
2016) hanno ad oggetto disposizioni che disciplinano l'elezione della
Camera dei deputati e del Senato della Repubblica. 
    In particolare, mentre le  quattro  ordinanze  da  ultimo  citate
sottopongono a censura disposizioni del d.P.R. 30 marzo 1957, n.  361
(Approvazione del testo  unico  delle  leggi  recanti  norme  per  la
elezione della Camera dei deputati), e della legge 6 maggio 2015,  n.
52 (Disposizioni in materia di elezione della Camera  dei  deputati),
la sola ordinanza del Tribunale ordinario di Messina coinvolge, oltre
a queste ultime, anche norme contenute  nel  decreto  legislativo  20
dicembre 1993, n. 533 (Testo unico  delle  leggi  recanti  norme  per
l'elezione del Senato della Repubblica). 
    1.1.- Tra le plurime  questioni  di  legittimita'  costituzionale
sollevate dai Tribunali ordinari menzionati, cinque hanno ad  oggetto
le modalita' di attribuzione del premio di maggioranza. 
    La prima di queste, sollevata dal  solo  Tribunale  ordinario  di
Messina, investe l'art. 1, comma 1, lettera f), della legge n. 52 del
2015 e gli artt. 1, comma 2, e 83, commi 1, 2, 3, 4 e 5,  del  d.P.R.
n. 361 del 1957, questi ultimi come modificati dall'art. 2, commi 1 e
25, della legge n. 52 del 2015. 
    Ad avviso del rimettente, le disposizioni censurate  violerebbero
il principio di eguaglianza del voto garantito dall'art. 48,  secondo
comma, Cost., secondo cui ciascun voto contribuisce «potenzialmente e
con pari efficacia alla formazione degli organi elettivi». La lesione
deriverebbe dal fatto che esse delineano un sistema in cui: il premio
di maggioranza e' attribuito, al  primo  turno,  alla  lista  che  ha
ottenuto il 40 per cento dei voti, calcolando  tale  percentuale  sui
votanti e non sugli aventi diritto al voto; tale premio e' attribuito
anche all'esito di un ballottaggio tra le due liste piu'  votate;  ed
e' contestualmente prevista una soglia di sbarramento al 3 per cento,
su base nazionale. 
    Nel dispositivo dell'ordinanza sono  menzionati,  come  parametri
asseritamente violati, anche gli artt. 1, primo e secondo  comma,  3,
primo e secondo comma, 49, 51, primo comma, e 56, primo comma, Cost.,
nonche' l'art. 3 del Protocollo addizionale alla Convenzione  per  la
salvaguardia dei diritti dell'uomo  e  delle  liberta'  fondamentali,
firmato a Parigi il 20 marzo 1952, ratificato e  reso  esecutivo  con
legge 4 agosto 1955, n. 848. 
    Il Tribunale ordinario di Genova,  per  parte  sua,  solleva  tre
questioni di legittimita' costituzionale relative alle  modalita'  di
attribuzione del premio di maggioranza al primo turno di votazione. 
    Una prima censura investe l'art. 1, comma 1,  lettera  f),  della
legge n. 52 del 2015 e gli artt. 1 e 83, commi 1, numeri 5) e 6),  2,
3 e 4, del d.P.R. n. 361 del  1957,  come  rispettivamente  novellati
dall'art. 2, commi 1 e 25, della legge n. 52 del 2015. Ad avviso  del
rimettente, tali disposizioni, prevedendo  che,  al  primo  turno  di
votazione, sia attribuito un premio di maggioranza pari a  340  seggi
alla lista che ottiene, su base nazionale, almeno il 40 per cento dei
voti validi, violerebbero gli artt. 1, secondo comma, 3 e 48, secondo
comma, Cost. Secondo il rimettente, «non risultando neppure  previsto
alcun rapporto fra i voti ottenuti rispetto non gia' ai  voti  validi
ma  al  complesso  degli  aventi  diritto  al   voto»,   ed   essendo
contemporaneamente prevista una soglia di sbarramento al 3 per cento,
il  voto  espresso  a  favore  della  lista   vincente   risulterebbe
sovrarappresentato, in modo sproporzionato e irragionevole. 
    Il Tribunale ordinario di Genova solleva, inoltre,  questioni  di
legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 1, lettera  f),  della
legge n. 52 del 2015,  in  relazione  alle  parole  «sono  attribuiti
comunque 340 seggi alla lista che ottiene, su base nazionale,  almeno
il 40 per cento dei voti validi», e dell'art. 83, commi 1, numeri  5)
e 6), 2, 3 e 4, del d.P.R. n. 361 del 1957, come sostituito dall'art.
2, comma 25, della legge n. 52 del 2015, per violazione  degli  artt.
1, secondo comma, 3 e 48, secondo comma, Cost. Secondo il  giudice  a
quo, la circostanza che, in tale  ipotesi,  il  premio  sia  comunque
attribuito a quella delle due liste che  abbia  ottenuto  piu'  voti,
comprometterebbe il  diritto  di  voto  degli  elettori  della  lista
arrivata seconda che, pur avendo ottenuto anch'essa al primo turno il
40 per cento dei voti, vedrebbe ridotto il proprio numero di deputati
per effetto della distorsione derivante dall'attribuzione del  premio
di maggioranza. 
    Il  medesimo  Tribunale   solleva   un'ulteriore   questione   di
legittimita' costituzionale, censurando l'art. 1,  comma  1,  lettera
f), della legge n. 52 del 2015 e gli artt. 83, commi 1, numeri  5)  e
6), 2 e 5, e 83-bis, comma 1, numeri 1), 2), 3) e 4), del  d.P.R.  n.
361 del 1957, come rispettivamente sostituiti e aggiunti dall'art. 2,
comma 25,  della  legge  n.  52  del  2015  -  lamentando  ancora  la
violazione degli artt. 1, secondo comma, 3 e 48, secondo comma, Cost.
In particolare, il  rimettente  si  duole  dell'asserito  obbligo  di
procedere al turno di ballottaggio anche nel caso in  cui  una  lista
abbia ottenuto, al primo turno, 340 seggi, ma non  anche  il  40  per
cento dei voti, ritenendo cio' «contraddittorio rispetto  allo  scopo
proclamato dallo stesso legislatore». 
    Infine, i Tribunali ordinari di Torino, Perugia, Trieste e Genova
sollevano questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma
1, lettera f), della legge n. 52 del 2015 e dell'art.  83,  comma  5,
del d.P.R. n. 361 del 1957, come sostituito dall'art.  2,  comma  25,
della legge n. 52 del 2015. Il solo  Tribunale  ordinario  di  Genova
censura anche l'art. 1 del d.P.R. n. 361 del  1957,  come  modificato
dall'art. 2, comma 1, della legge n. 52 del 2015. 
    I giudici a quibus dubitano che tali  disposizioni  -  in  virtu'
delle quali, se nessuna lista ottiene, al primo turno, almeno  il  40
per cento dei voti validamente espressi, il premio di maggioranza  e'
attribuito in seguito ad un turno di ballottaggio cui accedono le due
liste piu' votate - siano conformi agli artt. 1, secondo comma,  3  e
48, secondo comma, Cost. In particolare, i rimettenti  osservano  che
tali disposizioni, prevedendo  che,  ai  fini  dell'attribuzione  del
premio, si svolga un turno di ballottaggio cui accedono le  sole  due
liste piu' votate,  stabiliscono  quale  unica  condizione  che  esse
abbiano ottenuto al primo turno almeno il 3 per cento dei voti validi
espressi (ovvero almeno  il  20  per  cento,  se  rappresentative  di
minoranze linguistiche), aggiungendo  che  in  tale  turno  non  sono
ammessi apparentamenti o coalizioni tra liste, e  che  il  premio  di
maggioranza sia attribuito a chi ha ottenuto il 50 per cento piu' uno
dei voti validi  espressi,  e  non  degli  aventi  diritto  al  voto.
Ritengono che tale sistema violi  i  parametri  evocati,  in  quanto,
privilegiando l'esigenza della governabilita' rispetto  al  principio
di rappresentativita', non impedirebbero che il premio sia attribuito
ad  una  lista  anche  «priva  di  adeguato  radicamento  nel   corpo
elettorale», la  quale  potrebbe  conseguire  il  premio  senza  aver
«ottenuto quella ragionevole soglia minima di voti in presenza  della
quale  e'  possibile  la  legittima  attribuzione   del   premio   di
maggioranza». 
    1.2.- Il solo Tribunale ordinario di Messina solleva questioni di
legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 1, lettere a),  d)  ed
e), della legge n. 52 del 2015 e degli artt. 83, commi 1, 2, 3,  4  e
5, e 84, commi 2 e 4, del d.P.R. n. 361 del 1957, questi ultimi  come
sostituiti dall'art. 2, commi 25 e 26, della legge n.  52  del  2015,
per  violazione  dell'art.  56,  primo  e  quarto  comma,  Cost.   Il
rimettente lamenta che, in virtu' delle  disposizioni  censurate,  un
seggio, che deve essere assegnato in una determinata  circoscrizione,
possa poi risultare attribuito in un'altra (ingenerando  il  fenomeno
del cosiddetto "slittamento"), asserendo che tale esito  si  porrebbe
in contrasto con i parametri costituzionali  evocati.  Si  duole,  in
particolare, della violazione del quarto comma dell'art. 56 Cost., il
quale,  prevedendo  che  «[l]a  ripartizione   dei   seggi   tra   le
circoscrizioni [...] si effettua dividendo il numero  degli  abitanti
della Repubblica quale risulta dall'ultimo censimento generale  della
popolazione  per  seicentodiciotto  e   distribuendo   i   seggi   in
proporzione alla popolazione di ogni circoscrizione  sulla  base  dei
quozienti interi e dei piu' alti resti», esprimerebbe un «criterio di
rappresentativita'  territoriale»  e  sarebbe   anche   ispirato   al
principio  della  responsabilita'  dell'eletto  nei  confronti  degli
elettori che lo hanno votato. 
    1.3.- Due  ulteriori  questioni  di  legittimita'  costituzionale
investono le disposizioni che regolano la presentazione  delle  liste
di candidati e la proclamazione degli eletti. 
    In  particolare,  il  Tribunale  ordinario  di  Messina   solleva
questioni  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  1,  comma  1,
lettera g), della legge n. 52 del 2015 e degli artt. 18-bis, comma 3,
primo periodo, 19, comma 1, primo periodo, e 84, comma 1, del  d.P.R.
n. 361 del  1957,  come  modificati  o  sostituiti,  rispettivamente,
dall'art. 2, commi 10, lettera c), 11 e 26, della  legge  n.  52  del
2015, per violazione degli artt. 1, primo e  secondo  comma,  2,  48,
secondo comma, 51, primo comma, 56, primo e quarto comma, Cost.  Tali
disposizioni, da cui risulta che le liste nei  singoli  collegi  sono
composte da un capolista bloccato e da altri  candidati  che  possono
essere scelti con voto di preferenza, violerebbero l'art. 48, secondo
comma, Cost., in quanto, per le liste che non ottengono il premio  di
maggioranza, potrebbe realizzarsi «un effetto distorsivo dovuto  alla
rappresentanza  parlamentare  largamente   dominata   dai   capilista
bloccati, pur  se  con  il  correttivo  della  multicandidatura»,  e,
dunque,  il  voto  si  rivelerebbe  sostanzialmente  «"indiretto"  e,
quindi, ne' libero, ne' personale». 
    Il Tribunale ordinario di Torino e,  in  termini  sostanzialmente
analoghi,  i  Tribunali  ordinari  di  Perugia,  Trieste  e   Genova,
sollevano questioni di legittimita' costituzionale dell'art.  85  del
d.P.R. n. 361 del 1957, come modificato dall'art. 2, comma 27,  della
legge n. 52 del 2015. Tale  disposizione  prevede  che  il  candidato
eletto in piu' collegi plurinominali debba dichiarare alla Presidenza
della Camera dei deputati, entro otto giorni dalla  data  dell'ultima
proclamazione, quale collegio  plurinominale  prescelga,  e  che,  in
assenza di opzione, si procede al sorteggio.  Secondo  i  rimettenti,
tale disposizione violerebbe gli artt.  3  e  48  Cost.  I  Tribunali
ordinari di Perugia, Trieste e  Genova  lamentano  anche  la  lesione
dell'art. 1, secondo comma, Cost. 
    Con   argomentazioni   coincidenti,   essi   ritengono   che   la
disposizione censurata, che consente al candidato  capolista,  eletto
in piu' collegi plurinominali, di scegliere un collegio sulla base di
una sua mera valutazione di opportunita', anziche'  subordinare  tale
opzione ad un criterio oggettivo  e  predeterminato,  rispettoso  nel
massimo grado  possibile  della  volonta'  espressa  dagli  elettori,
violerebbe  i  parametri  evocati,  in  quanto  determinerebbe   «una
distorsione tra il voto di preferenza espresso dagli  elettori  e  il
suo esito in "uscita" in quel collegio»,  esito  che  sarebbe  lesivo
dell'uguaglianza e della liberta' del voto, senza che vi sia un altro
correlativo valore da salvaguardare e senza  che  cio'  possa  essere
giustificato dalla  tutela  dell'interesse  alla  governabilita'.  Il
Tribunale ordinario di Genova  osserva,  inoltre,  che  l'assenza  di
qualsiasi criterio nella scelta del capolista renderebbe impossibile,
per l'elettore, effettuare valutazioni prognostiche sulla  «utilita'»
del suo voto di preferenza, laddove tale voto sia espresso in  favore
di un candidato che faccia parte di una lista con capolista candidato
anche in altri collegi. 
    1.4.- Il Tribunale  ordinario  di  Genova  solleva  questioni  di
legittimita' costituzionale dell'art. 83, comma 3, del d.P.R. n.  361
del 1957, come sostituito dall'art. 2, comma 25, della  legge  n.  52
del 2015, per violazione degli  artt.  1,  secondo  comma,  3  e  48,
secondo comma, Cost. Il giudice  a  quo  parrebbe  lamentare  che  il
meccanismo  di  attribuzione  dei  seggi   nella   Regione   autonoma
Trentino-Alto   Adige   possa   determinare   una    lesione    della
rappresentativita' delle minoranze politiche nazionali, nel  caso  in
cui queste non si siano apparentate con una lista vincitrice di seggi
nella Regione a statuto speciale. 
    1.5.- Il Tribunale ordinario  di  Messina  solleva,  infine,  due
questioni di legittimita'  costituzionale  in  cui  e'  censurata  la
disomogeneita' tra i sistemi elettorali previsti per  la  Camera  dei
deputati e per il Senato della Repubblica. 
    La prima investe gli artt. 16, comma 1,  lettera  b),  e  17  del
d.lgs. n. 533  del  1993,  relativi  all'elezione  del  Senato,  come
novellati dall'art. 4, commi 7 e 8, della legge 21 dicembre 2005,  n.
270 (Modifiche alle norme per l'elezione della Camera dei deputati  e
del Senato della Repubblica), per violazione degli artt.  1,  3,  48,
secondo comma, 49 e 51 Cost.  Ad  avviso  del  giudice  a  quo,  tali
disposizioni, che prevedono soglie di sbarramento  per  l'accesso  al
riparto dei seggi diverse da quelle prevista nel  sistema  elettorale
per la Camera, favorirebbero la formazione di maggioranze  differenti
nei due rami del Parlamento, rischiando  cosi'  di  compromettere  il
corretto funzionamento della forma di governo parlamentare. 
    Con la seconda  questione,  il  Tribunale  ordinario  di  Messina
dubita, invece, della conformita' a Costituzione dell'art.  2,  comma
35, della legge n. 52 del 2015, in  base  al  quale  le  disposizioni
contenute nel medesimo art. 2 si applicano alle elezioni della Camera
dei deputati a decorrere dal 1° luglio 2016. Il giudice a quo ritiene
che tale previsione non sia conforme  agli  artt.  1,  3,  48,  primo
comma, 49, 51, primo comma, e 56, primo comma, Cost., in quanto,  «in
caso di nuove elezioni a legislazione elettorale del Senato invariata
(pur essendo in itinere la riforma costituzionale di questo ramo  del
Parlamento),   si    produrrebbe    una    situazione    di    palese
ingovernabilita', per la coesistenza di due diverse maggioranze». 
    2.- Per la sostanziale identita' dell'oggetto, considerando che i
rimettenti sollevano perlopiu' censure analoghe,  con  argomentazioni
coincidenti e con riferimento ai medesimi parametri costituzionali, i
giudizi vanno riuniti e decisi con un'unica pronuncia. 
    Deve  essere,  inoltre,  confermata  l'ordinanza  dibattimentale,
allegata alla presente  sentenza,  che  ha  dichiarato  inammissibili
tutti gli interventi spiegati da soggetti  diversi  dalle  parti  dei
giudizi principali. 
    3.- In tutti i giudizi e' intervenuto il Presidente del Consiglio
dei Ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, eccependo, in via preliminare  e  con  argomenti  coincidenti,
l'inammissibilita' per difetto di rilevanza di tutte le questioni  di
legittimita' costituzionale sollevate. 
    L'Avvocatura statale osserva che i  giudici  a  quibus  avrebbero
ritenuto sussistente l'interesse ad agire dei ricorrenti  rispetto  a
disposizioni di legge non  ancora  applicabili.  Con  riferimento  al
giudizio introdotto dal  Tribunale  di  Messina,  tale  obiezione  e'
svolta in relazione al momento della sollevazione della questione  di
legittimita' costituzionale. Con riguardo a tutte le altre  ordinanze
di rimessione,  l'eccezione  si  riferisce  alla  data  in  cui  sono
esperite le azioni di accertamento da parte dei ricorrenti. 
    Ritiene inoltre non conferente il richiamo, operato dai giudici a
quibus, al precedente costituito dalla sentenza  n.  1  del  2014  di
questa Corte, poiche', in quel caso, la legislazione elettorale della
cui conformita' a Costituzione si dubitava era gia'  stata  applicata
in  tre  occasioni.  Sottolinea  invece  come  le  disposizioni   ora
censurate  non  abbiano  mai  trovato  applicazione,  e   mancherebbe
percio', ai fini della rilevanza, il fatto  storico  (ossia  elezioni
gia' avvenute) che dovrebbe costituire il riferimento necessario  dei
giudizi principali. 
    Tale assenza renderebbe inoltre impossibile  la  distinzione  tra
oggetto  del  giudizio   a   quo   e   oggetto   del   controllo   di
costituzionalita', palesando l'assenza di concretezza, incidentalita'
e pregiudizialita' delle questioni sollevate. 
    Infine, osserva la difesa statale che l'esigenza  di  evitare  le
cosiddette zone franche nel sistema di giustizia  costituzionale  non
giustificherebbe la creazione «in  via  pretoria»  di  un  regime  di
sindacato praeter legem che,  in  relazione  alle  leggi  elettorali,
anticipi lo scrutinio  di  legittimita'  costituzionale,  rispetto  a
quanto avviene per tutte le altre fonti primarie. 
    3.1.- Tale eccezione deve essere rigettata. 
    La sentenza n. 1 del 2014 costituisce il  precedente  cui  questa
Corte intende attenersi nel valutare le eccezioni di inammissibilita'
per difetto di rilevanza, in relazione a  questioni  di  legittimita'
costituzionale sollevate nell'ambito di giudizi introdotti da  azioni
di accertamento aventi ad oggetto la «pienezza» (sentenza n. 110  del
2015) - ossia la  conformita'  ai  principi  costituzionali  -  delle
condizioni di  esercizio  del  diritto  fondamentale  di  voto  nelle
elezioni politiche. 
    In tale sentenza, la rilevanza delle  questioni  di  legittimita'
costituzionale rispetto alla definizione del giudizio  principale  fu
ritenuta sussistente sulla base di quattro argomenti. 
    In primo luogo, la presenza nell'ordinanza di rimessione  di  una
motivazione  sufficiente,  e  non  implausibile,   in   ordine   alla
sussistenza dell'interesse  ad  agire  dei  ricorrenti  nel  giudizio
principale. 
    In secondo luogo, il positivo riscontro  della  pregiudizialita',
poiche' il giudizio  spettante  al  giudice  a  quo  e  il  controllo
demandato a questa  Corte  non  risultavano  sovrapponibili,  essendo
possibile  individuare  una  differenza   tra   oggetto   del   primo
(l'accertamento della «pienezza» del diritto di voto) e  oggetto  del
secondo  (la  legge  elettorale  politica,  la  cui   conformita'   a
Costituzione e' posta in dubbio), residuando un margine  di  autonoma
decisione in capo al giudice a  quo,  dopo  l'eventuale  sentenza  di
accoglimento di questa Corte. 
    In terzo luogo, la peculiarita' e il rilievo  costituzionale  del
diritto oggetto di accertamento nel giudizio a quo, cioe' il  diritto
fondamentale   di   voto,   che   svolge   una   funzione    decisiva
nell'ordinamento costituzionale, con riferimento alle conseguenze che
dal suo non corretto esercizio potrebbero derivare nella costituzione
degli organi supremi ai quali e' affidato uno dei  poteri  essenziali
dello Stato, quello legislativo (sentenza n. 39 del 1973). 
    Infine, «l'esigenza che  non  siano  sottratte  al  sindacato  di
costituzionalita' le leggi,  quali  quelle  concernenti  le  elezioni
della  Camera  e  del  Senato,  che  definiscono  le   regole   della
composizione di organi costituzionali essenziali per il funzionamento
di un sistema democratico-rappresentativo e che  quindi  non  possono
essere immuni da quel sindacato» (cosi', appunto, la  sentenza  n.  1
del 2014). Cio' per evitare la  creazione  di  una  zona  franca  nel
sistema  di  giustizia  costituzionale,  in  un  ambito  strettamente
connesso con l'assetto democratico dell'ordinamento. 
    E' bensi' vero che in alcune pronunce successive  alla  ricordata
sentenza n. 1  del  2014  questa  Corte  ha  svolto  precisazioni  in
relazione  a  questioni  di  legittimita'  costituzionale  -   sempre
promosse nell'ambito di giudizi introdotti da azioni di  accertamento
- aventi ad oggetto disposizioni di legge che regolano il sistema  di
elezione dei membri del Parlamento europeo spettanti  all'Italia.  In
tali casi, le questioni  sono  state  dichiarate  inammissibili,  sia
perche' i giudici a  quibus  non  avevano  sufficientemente  motivato
sull'interesse ad agire  delle  parti  (limitandosi  a  richiamare  i
contenuti dell'ordinanza della Corte  di  cassazione,  sezione  prima
civile, 17 maggio 2013, n. 12060), sia, e soprattutto, perche' quelle
disposizioni   possono   pervenire   al   vaglio   di    legittimita'
costituzionale in un giudizio  avente  ad  oggetto  una  controversia
originatasi nel procedimento elettorale (sentenza n. 110  del  2015).
In tale procedimento, il diritto costituzionale di voto puo'  infatti
trovare tutela, non solo successivamente  alle  elezioni,  attraverso
l'impugnazione dei risultati elettorali, ma  talora  anche  prima  di
esse, nell'ambito del procedimento elettorale preparatorio (ordinanza
n. 165 del 2016). 
    Invece,  in  relazione  alle  elezioni  politiche  nazionali,  il
diritto   di   voto   non   potrebbe   altrimenti   trovare    tutela
giurisdizionale, in virtu' di quanto disposto dall'art.  66  Cost.  e
dall'art. 87 del d.P.R.  n.  361  del  1957,  come  interpretati  dai
giudici comuni e dalle Camere in sede  di  verifica  delle  elezioni,
anche alla luce  della  mancata  attuazione  della  delega  contenuta
nell'art. 44 della legge 18 giugno 2009, n. 69 (Disposizioni  per  lo
sviluppo economico, la semplificazione, la competitivita' nonche'  in
materia di processo  civile),  nella  parte  in  cui  autorizzava  il
Governo  ad  introdurre  la  giurisdizione  esclusiva   del   giudice
amministrativo nelle controversie concernenti atti  del  procedimento
elettorale preparatorio, oltre che per le elezioni amministrative  ed
europee, anche per quelle  relative  al  rinnovo  dei  due  rami  del
Parlamento nazionale (cosi', esplicitamente,  ordinanza  n.  165  del
2016; gia' prima, sentenze n.  110  del  2015  e  n.  259  del  2009;
ordinanza n. 512 del 2000). 
    Permanendo l'esigenza di  evitare,  con  riferimento  alla  legge
elettorale  politica,  una  zona  franca  rispetto  al  controllo  di
costituzionalita' attivabile in via incidentale,  deve  restar  fermo
quanto deciso con la sentenza n. 1 del 2014, negli stessi limiti  ivi
definiti. 
    3.2.- Tanto premesso, va anzitutto dato atto - in relazione  alle
ordinanze ora  in  esame  -  che  tutti  i  Tribunali  rimettenti  si
soffermano, con argomentazione ampia e  sostanzialmente  coincidente,
sulla sussistenza dell'interesse ad agire dei ricorrenti. 
    E' bensi' richiamata da tutti i rimettenti  la  citata  ordinanza
della Corte di cassazione, che sollevo' le questioni di  legittimita'
costituzionale decise con la sentenza n. 1 del 2014. Ma i  giudici  a
quibus - consapevoli delle differenze tra  quel  caso  e  questi  (in
quanto le disposizioni ora censurate sono applicabili dal  1°  luglio
2016 e non sono ancora state applicate) - illustrano le  ragioni  per
le quali ugualmente sussiste, in capo ai ricorrenti,  l'interesse  ad
agire. 
    Essi ritengono che, ai fini della proponibilita' delle azioni  di
accertamento, sia sufficiente l'esistenza di uno stato  di  dubbio  o
incertezza oggettiva sull'esatta portata dei diritti e degli obblighi
scaturenti da un rapporto giuridico anche di fonte legale;  che  tale
incertezza e' idonea di per se' a provocare un ingiusto  pregiudizio,
non evitabile se non  per  il  tramite  dell'accertamento  giudiziale
circa l'incidenza della legge sul  diritto  di  voto.  Osservano  che
l'espressione del voto costituisce oggetto di un diritto  inviolabile
e «permanente» dei cittadini, i  quali  possono  essere  chiamati  ad
esercitarlo in ogni momento; pertanto,  lo  stato  di  incertezza  al
riguardo integra un pregiudizio concreto, di per  se'  sufficiente  a
fondare la sussistenza dell'interesse  ad  agire.  Ricordano  che  le
azioni di accertamento non richiedono la previa lesione  in  concreto
del  diritto  rivendicato,  ma  sono  esperibili  anche  al  fine  di
scongiurare che tale lesione avvenga in futuro. Osservano, del resto,
che   subordinare   la   proponibilita'   dell'azione   alla   previa
applicazione  della  legge,  cioe'  allo  svolgimento  stesso   delle
elezioni, determinerebbe la lesione dei parametri costituzionali  che
garantiscono  l'effettivita'  e   la   tempestivita'   della   tutela
giurisdizionale (artt. 24 e 113, secondo comma, Cost.). 
    I Tribunali rimettenti  argomentano  altresi'  sulla  sussistenza
della pregiudizialita' delle questioni di legittimita' costituzionale
prospettate  ai  fini  della  definizione  dei  giudizi   principali,
sostenendo che in questi  ultimi  sarebbe  individuabile  un  petitum
separato, distinto  e  piu'  ampio  rispetto  a  quello  oggetto  del
giudizio di legittimita' costituzionale: all'esito della sentenza  di
questa Corte, che ha ad oggetto la legittimita' costituzionale  della
legge elettorale, spetterebbe, infatti, al giudice a quo la  verifica
di  tutte  le  condizioni  da  cui  tale  legge   fa   dipendere   il
riconoscimento del diritto di voto. Inoltre, non vi  sarebbe  neppure
coincidenza tra il dispositivo  della  sentenza  di  questa  Corte  e
quello della sentenza che definisce il giudizio di merito,  la  quale
ultima, accertata l'avvenuta lesione del diritto  azionato,  lo  puo'
ripristinare nella pienezza della  sua  espansione,  seppure  per  il
tramite della sentenza costituzionale. 
    Il Tribunale di Messina, in particolare, riconosce che al momento
della rimessione delle questioni di legittimita'  costituzionale  (17
febbraio 2016), le disposizioni censurate erano entrate in vigore, ma
risultavano ad efficacia differita, poiche' il legislatore  (all'art.
2, comma 35, della legge n. 52 del 2015, peraltro anch'esso posto  in
dubbio, per altri profili, dal medesimo giudice) ha stabilito che  il
nuovo sistema elettorale si applichi per l'elezione della Camera  dei
deputati a decorrere dal 1° luglio 2016. 
    Osserva il giudice a quo che l'interesse ad agire dei  ricorrenti
sussisterebbe comunque, poiche' le disposizioni censurate erano  gia'
entrate  in  vigore  al  momento  in  cui  le  questioni  sono  state
effettivamente  sollevate.  Essendo  inoltre   stabilito   che   esse
sarebbero state efficaci a partire da una data certa, non vi  sarebbe
alcun dubbio, ne' sull'an,  ne'  sul  quando,  in  ordine  alla  loro
idoneita' ad incidere sul diritto di voto, del quale i ricorrenti del
giudizio principale chiedono sia accertata la portata. 
    Il rimettente aggiunge, anche sotto tale profilo, che l'interesse
ad  agire   in   un'azione   di   mero   accertamento   non   implica
necessariamente l'attualita' della lesione di un diritto,  risultando
sufficiente che l'attore se ne qualifichi come titolare e lamenti uno
stato di incertezza oggettiva sulla sua portata.  E  osserva  che  la
stessa entrata in vigore di una legge elettorale, sia pur  contenente
norme ad  efficacia  differita  (ma  a  data  certa),  alimenta  tale
condizione oggettiva di incertezza  circa  la  pienezza  (conforme  a
Costituzione) del diritto fondamentale di voto. 
    3.3.-  La  giurisprudenza  di  questa  Corte  ritiene   che   una
motivazione  sufficiente  e  non   implausibile   sulla   sussistenza
dell'interesse ad agire dei ricorrenti basti ad escludere un  riesame
dell'apprezzamento   compiuto   dal   giudice   a   quo    ai    fini
dell'ammissibilita' delle questioni  di  legittimita'  costituzionale
(con riferimento  alle  stesse  azioni  di  accertamento  in  materia
elettorale, sentenze n. 110 del 2015 e n. 1 del  2014;  ordinanza  n.
165 del 2016; piu' in generale, sentenze n. 154 del 2015, n.  91  del
2013 e n. 50 del 2007). Del resto, l'apprezzamento su una  condizione
dell'azione quale l'interesse ad agire  e'  tipicamente  compito  del
giudice rimettente. 
    Nel caso  sottoposto  all'attuale  scrutinio  di  ammissibilita',
caratterizzato da elementi di novita', le  non  implausibili  ragioni
addotte dai giudici a quibus trovano peraltro riscontro e conferma in
argomentazioni ulteriori, congruenti con  quelle  addotte  da  questi
ultimi. 
    In esso, l'incertezza oggettiva sulla portata del diritto di voto
e' direttamente  ricollegabile  alla  modificazione  dell'ordinamento
giuridico  dovuta  alla  stessa  entrata  in   vigore   della   legge
elettorale, alla luce dei contenuti di disciplina che essa  introduce
nell'ordinamento. Non rileva la  circostanza  che,  come  avviene  in
questo  caso,  le  disposizioni  della  legge  siano   ad   efficacia
differita, poiche' il legislatore - stabilendo che  le  nuove  regole
elettorali siano efficaci a partire dal  1°  luglio  2016  -  non  ha
previsto una condizione sospensiva dell'operativita' di tali  regole,
legata al verificarsi di un evento di incerto accadimento futuro,  ma
ha indicato un termine  certo  nell'an  e  nel  quando  per  la  loro
applicazione. Il fatto  costitutivo  che  giustifica  l'interesse  ad
agire  e'  dunque  ragionevolmente  individuabile  nella   disciplina
legislativa gia' entrata in vigore, sebbene non ancora applicabile al
momento  della  rimessione  della  questione,   oppure   al   momento
dell'esperimento dell'azione di  accertamento:  le  norme  elettorali
regolano il diritto di voto e l'incertezza  riguarda  la  portata  di
quest'ultimo,  con  il  corollario  di  potenzialita'  lesiva,   gia'
attuale, sebbene destinata a manifestarsi in futuro,  in  coincidenza
con la sua sicura applicabilita' (a decorrere dal 1° luglio 2016). La
rimozione di tale incertezza rappresenta, quindi, un risultato utile,
giuridicamente  rilevante  e  non  conseguibile  se  non   attraverso
l'intervento del giudice. Ne deriva la  sussistenza,  nei  giudizi  a
quibus, di un interesse ad agire in mero accertamento. 
    Quanto osservato  vale  sia  con  riferimento  all'ordinanza  del
Tribunale di Messina, sia con riferimento ai giudizi instaurati dagli
altri quattro tribunali, in relazione ai quali l'Avvocatura  generale
dello Stato eccepisce che le disposizioni censurate non erano  ancora
applicabili al momento dell'esperimento delle azioni di  accertamento
da parte dei ricorrenti. E conduce percio' al rigetto della  relativa
eccezione. 
    Da quanto rilevato, deriva inoltre,  e  a  fortiori,  il  rigetto
dell'eccezione di inammissibilita' sollevata dall'Avvocatura generale
dello Stato, in relazione alle questioni prospettate dai Tribunali di
Torino, Perugia, Trieste e Genova, di cui e' contestata la rilevanza,
alla luce della circostanza che le disposizioni censurate  non  hanno
mai trovato applicazione, nessuna elezione essendosi mai svolta sulla
base di esse. 
    E' la giurisprudenza di legittimita' a chiarire, in generale, che
e'  la  natura  dell'azione  di   accertamento   a   non   richiedere
necessariamente la previa lesione in concreto del  diritto,  ai  fini
della sussistenza dell'interesse ad agire, ben  potendo  tale  azione
essere esperita anche al fine di scongiurare una futura  lesione  (ex
plurimis, Corte di cassazione,  sezione  terza  civile,  sentenza  10
novembre 2016, n. 22946; Corte di cassazione, sezione  terza  civile,
sentenza 23 giugno 2015,  n.  12893;  Corte  di  cassazione,  sezione
lavoro, sentenza 31 luglio 2015, n. 16262). 
    Nella sentenza n. 1 del 2014, questa stessa Corte, con  specifico
riferimento alle sole elezioni del Parlamento nazionale, ha del resto
affermato  che  l'ammissibilita'  delle  questioni  di   legittimita'
costituzionale  allora  sollevate  in  giudizio  «costituisce   anche
l'ineludibile corollario del principio che impone  di  assicurare  la
tutela del  diritto  inviolabile  di  voto,  pregiudicato  -  secondo
l'ordinanza del giudice rimettente - da una normativa elettorale  non
conforme  ai  principi  costituzionali,  indipendentemente  da   atti
applicativi della stessa, in quanto gia' l'incertezza  sulla  portata
del diritto costituisce una lesione giuridicamente rilevante». 
    Infine, neppure ha fondamento l'obiezione  secondo  la  quale  le
questioni  sollevate  difetterebbero  di  pregiudizialita',   essendo
impossibile distinguere tra oggetto dei giudizi a  quibus  e  oggetto
del controllo di costituzionalita'. 
    Come gia' osservato da questa Corte (sentenze n. 110 del  2015  e
n. 1 del 2014), nel giudizio principale  il  petitum  consiste  nella
richiesta di accertare la  pienezza  costituzionale  del  diritto  di
voto; nel giudizio costituzionale, invece, si  chiede  di  dichiarare
che il diritto di voto e' pregiudicato dalla disciplina vigente. Tale
pregiudizialita' sussiste anche nei casi all'attuale  scrutinio,  nei
quali la legge elettorale non e' ancora stata applicata,  poiche'  la
domanda dei ricorrenti e' pur sempre quella di accertare  la  portata
del diritto di voto, e tale accertamento  prescinde  dalla  sua  gia'
avvenuta lesione in una tornata elettorale. 
    4.- Le parti costituite  nei  giudizi  instaurati  dai  Tribunali
ordinari di Messina,  Perugia,  Trieste  e  Genova,  con  motivazioni
sostanzialmente coincidenti, sollecitano questa Corte a sollevare  di
fronte  a  se  stessa  questioni   di   legittimita'   costituzionale
dell'intera legge n. 52 del 2015,  «con  particolare  riferimento  ai
suoi articoli fondamentali (1, 2 e 4)», poiche'  essa  sarebbe  stata
approvata, prima al Senato e poi alla Camera, «in  palese  violazione
dell'art. 72, commi 1 e 4, Cost. e dell'art. 3  del  protocollo  CEDU
(per come richiamato dall'art. 117, comma 1, Cost.)». 
    Lamentano, in particolare, che, alla Camera, gli artt. 1, 2  e  4
della legge n. 52 del 2015 sono stati approvati ricorrendo al voto di
fiducia; che, al Senato, l'esame in commissione  e'  stato  compresso
nei tempi e nei modi; e che, sempre al Senato, nel  corso  dell'esame
in assemblea, e' stato presentato e approvato un emendamento  che  ha
inserito nel testo della legge un preambolo riassuntivo dei caratteri
essenziali   del   sistema   elettorale,   cosi'    da    determinare
l'inammissibilita' di tutti gli ulteriori emendamenti presentati. 
    Le parti ricordano, peraltro, che nei quattro giudizi  principali
menzionati,  nei  quali  la  corrispondente   eccezione   era   stata
prospettata,  essa  e'   stata   rigettata   perche'   manifestamente
infondata. 
    Tale  istanza,  concernendo  asseriti   vizi   del   procedimento
parlamentare di formazione  della  legge  n.  52  del  2015,  il  cui
accertamento potrebbe comportare la caducazione dell'intera legge, va
esaminata in via preliminare. 
    Essa e', tuttavia, inammissibile. 
    Per  costante  giurisprudenza,  il   giudizio   di   legittimita'
costituzionale  non  puo'   estendersi   oltre   i   limiti   fissati
dall'ordinanza  di  rimessione,  ricomprendendo   profili   ulteriori
indicati  dalle  parti.  Questi  ultimi  non  possono  concorrere  ad
ampliare il thema decidendum proposto dinnanzi a questa Corte, ma  ne
debbono restare esclusi, sia che essi siano diretti  ad  estendere  o
modificare il contenuto o i  profili  determinati  dall'ordinanza  di
rimessione, sia che - come e' avvenuto in questi casi - essi  abbiano
formato  oggetto  dell'eccezione  proposta  dalle  parti  stesse  nel
giudizio principale, senza essere stati poi fatti propri dal  giudice
nell'ordinanza stessa (tra le tante, sentenze n. 83 del 2015,  n.  94
del 2013, n. 42 del 2011, n. 86 del 2008 e n. 49 del 1999). 
    Ben vero che, nel caso di specie, le parti  -  anziche'  proporre
direttamente l'estensione del thema  decidendum  -  chiedono  che  la
Corte costituzionale  sollevi  di  fronte  a  se'  la  questione:  ma
l'obbiettivo  perseguito  e'  il  medesimo,  ossia  l'estensione  del
giudizio di legittimita' costituzionale a profili diversi  da  quelli
individuati dai giudici rimettenti. 
    Una pronuncia d'inammissibilita' s'impone,  inoltre,  in  ragione
della circostanza, gia' ricordata,  che  nei  giudizi  principali  le
relative eccezioni hanno formato oggetto  di  pronunce  di  manifesta
infondatezza. E la sollecitazione affinche' questa  Corte  decida  di
sollevare di fronte a  se'  questioni  gia'  ritenute  manifestamente
infondate finisce per configurarsi, nella  sostanza,  come  improprio
ricorso a un mezzo di impugnazione  delle  decisioni  dei  giudici  a
quibus. 
    5.- Passando all'esame delle singole  questioni  di  legittimita'
costituzionale, la prima censura sollevata dal Tribunale ordinario di
Messina ha ad oggetto l'art. 1, comma 1, lettera f), della  legge  n.
52 del 2015, e gli artt. 1, comma 2, e 83, commi 1, 2, 3, 4 e 5,  del
d.P.R. n. 361 del 1957, come rispettivamente sostituiti dall'art.  2,
commi 1 e 25, della legge n. 52 del 2015. Tali disposizioni delineano
un sistema in cui: il premio di maggioranza e' attribuito,  al  primo
turno, alla  lista  che  ha  ottenuto  il  40  per  cento  dei  voti,
calcolando tale percentuale sui votanti e non sugli aventi diritto al
voto; il  premio  e'  attribuito  anche  all'esito  di  un  turno  di
ballottaggio; e' prevista una soglia di sbarramento al 3 per cento su
base nazionale per accedere al riparto dei seggi. 
    Il giudice rimettente ritiene  che  tale  complessiva  disciplina
contrasti con l'art. 48, secondo comma, Cost., per cui  ciascun  voto
contribuisce «potenzialmente e con  pari  efficacia  alla  formazione
degli organi elettivi». 
    Nel  solo  dispositivo  dell'ordinanza,  percio'   senza   alcuna
illustrazione  delle  ragioni  di  contrasto  con   le   disposizioni
censurate, sono evocati gli artt. 1, primo e secondo comma, 3,  primo
e secondo comma, 49, 51, primo  comma,  e  56,  primo  comma,  Cost.,
nonche' l'art. 3  del  Protocollo  addizionale  alla  CEDU.  Come  da
costante giurisprudenza, le questioni sollevate in riferimento a tali
parametri costituzionali  sono  inammissibili,  in  quanto  prive  di
alcuna motivazione in punto di non manifesta  infondatezza  (sentenze
n. 59 del 2016, n. 248 e n. 100 del 2015; ordinanze n. 122  e  n.  33
del 2016). 
    In   relazione   alla   residua   questione    di    legittimita'
costituzionale, motivata sulla base del contrasto delle  disposizioni
censurate con il solo art. 48,  secondo  comma,  Cost.,  l'Avvocatura
generale dello Stato identifica due distinte censure, l'una  relativa
alla previsione del premio di maggioranza,  l'altra  all'introduzione
di una soglia di sbarramento al 3 per cento.  Di  entrambe  eccepisce
l'inammissibilita' per carenza di  motivazione  sulla  non  manifesta
infondatezza. 
    Il tenore della prospettazione dell'ordinanza di rimessione e  la
circostanza che il giudice a quo  formuli,  in  proposito,  un  unico
dispositivo, inducono, tuttavia, a ritenere che sia  stata  sollevata
una sola censura, per quanto utilizzando tre distinti argomenti  (uno
dei quali e', appunto, quello fondato sulla coesistenza del premio di
maggioranza e della soglia di sbarramento al 3 per cento). 
    Cosi' formulata, la questione e' inammissibile. 
    Il giudice rimettente intende censurare  il  complessivo  sistema
attraverso il quale il legislatore ha scelto di attribuire il  premio
di maggioranza, al primo e al secondo turno. Cio' avviene,  tuttavia,
attraverso una motivazione particolarmente sintetica, in cui non sono
distinti i singoli profili di censura relativi ai  diversi  caratteri
del sistema elettorale. Non si comprende se l'asserita necessita'  di
introdurre un quorum di votanti  per  l'attribuzione  del  premio  di
maggioranza sia riferibile al primo o al secondo turno, o a entrambi.
Non sono illustrate le ragioni per le quali l'attribuzione del premio
determinerebbe un'irragionevole compressione della rappresentativita'
della Camera dei deputati, e, nuovamente, non  e'  spiegato  se  tale
compressione si verifichi al primo turno, al secondo, o in entrambi. 
    Infine,   l'oscurita'    della    motivazione    e'    accentuata
dall'evocazione del solo art. 48, secondo comma, Cost., che  dovrebbe
da solo reggere l'intera censura sollevata (comparendo,  come  detto,
gli ulteriori parametri costituzionali asseritamente  lesi  nel  solo
dispositivo dell'ordinanza). 
    Cosi'  formulata,  la  questione  finisce  per  sollecitare   una
valutazione dai caratteri indistinti ed imprecisati,  relativa  nella
sostanza all'intero sistema elettorale introdotto dalla legge  n.  52
del 2015. Tale imprecisione nei profili di censura,  unitamente  alla
carenza di motivazione sulla non manifesta infondatezza,  determinano
l'impossibilita' di  comprendere  l'effettivo  petitum  avanzato  dal
giudice a quo (sentenze n. 130 e n. 32 del 2016, n. 247 e n. 126  del
2015). 
    6.- Il Tribunale ordinario di Genova ritiene  che  l'attribuzione
di 340 seggi alla lista che, al primo turno di votazione, ottenga,  a
livello nazionale,  il  40  per  cento  dei  voti  -  calcolata  tale
percentuale   sui   suffragi   validamente   espressi   -    comprima
irragionevolmente l'eguaglianza  del  voto  e  la  rappresentativita'
della Camera, e censura percio' l'art. 1, comma 1, lettera f),  della
legge n. 52 del 2015 e gli artt. 1 e 83, commi 1, numeri 5) e  6),  e
2, 3 e 4, del d.P.R. n. 361 del 1957, come rispettivamente modificati
e sostituiti dall'art. 2, commi 1 e 25, della legge n. 52  del  2015,
lamentando la violazione degli  artt.  1,  secondo  comma,  3  e  48,
secondo comma, Cost. 
    Il giudice a quo, pur osservando che - in astratto considerata  -
la soglia minima di voti necessaria per ottenere  il  premio  non  si
presterebbe a censure, dubita della  ragionevolezza  in  concreto  di
tale  soglia  dopo  aver  operato  alcuni  calcoli  matematici,   che
dimostrerebbero l'eccessiva distorsione del voto in uscita  a  favore
della lista vincente al primo turno. 
    Tale distorsione, in particolare, deriverebbe  dalla  circostanza
che il calcolo della percentuale e' operato sul numero di voti validi
espressi e non in relazione al  complesso  degli  aventi  diritto  al
voto, dovendosi inoltre considerare,  nella  valutazione  dell'intero
sistema, la compresenza del premio e della soglia di sbarramento  del
3 per cento su base nazionale per l'accesso delle  liste  al  riparto
dei seggi. 
    Alla luce di tali argomenti,  il  giudice  a  quo  sollecita  una
dichiarazione di illegittimita' costituzionale delle disposizioni che
prevedono il premio di maggioranza al primo turno. 
    Cosi' formulata, la questione non e' fondata. 
    Preliminarmente, e'  da  rilevare  che  questa  Corte  ha  sempre
riconosciuto al legislatore un'ampia  discrezionalita'  nella  scelta
del sistema elettorale  che  ritenga  piu'  idoneo  in  relazione  al
contesto  storico-politico  in  cui  tale  sistema  e'  destinato  ad
operare, riservandosi una possibilita' di intervento limitata ai casi
nei   quali   la   disciplina   introdotta   risulti   manifestamente
irragionevole (sentenze n. 1 del 2014, n. 242 del 2012,  n.  271  del
2010, n. 107 del 1996, n. 438 del 1993, ordinanza n. 260  del  2002).
Con specifico riferimento  a  sistemi  elettorali  che  innestano  un
premio di maggioranza su  di  un  riparto  di  seggi  effettuato  con
formula  proporzionale,  la  giurisprudenza  costituzionale  ha  gia'
affermato che, in assenza della previsione di una  soglia  minima  di
voti e/o di seggi cui  condizionare  l'attribuzione  del  premio,  il
meccanismo premiale e' foriero di un'eccessiva  sovrarappresentazione
della lista di maggioranza relativa (sentenze n. 1 del  2014,  n.  13
del 2012, n. 16 e n. 15 del 2008). 
    Le   disposizioni   portate   ora   all'esame   di   legittimita'
costituzionale prevedono, invero, una soglia minima  di  voti  validi
per l'attribuzione del premio, pari al 40 per cento di questi. Si  e'
pertanto in presenza di un premio "di maggioranza", che  consente  di
attribuire  la  maggioranza  assoluta  dei  seggi   in   un'assemblea
rappresentativa alla  lista  che  abbia  conseguito  una  determinata
maggioranza relativa.  Alla  luce  della  ricordata  discrezionalita'
legislativa in materia, tale soglia non appare in se'  manifestamente
irragionevole, poiche' volta a bilanciare i  principi  costituzionali
della necessaria  rappresentativita'  della  Camera  dei  deputati  e
dell'eguaglianza del voto, da un lato, con gli  obbiettivi,  pure  di
rilievo costituzionale, della stabilita'  del  governo  del  Paese  e
della rapidita' del processo decisionale, dall'altro. 
    A  ritenere  il  contrario,  si  dovrebbe  argomentare   la   non
compatibilita' con  i  principi  costituzionali  di  una  determinata
soglia numerica per l'attribuzione del premio, fino a  considerare  -
quale condizione  per  il  positivo  scrutinio  di  ragionevolezza  e
proporzionalita' della disciplina premiale -  la  sola  attribuzione,
non gia'  di  un  premio  "di  maggioranza",  ma  di  un  premio  "di
governabilita'", condizionato al raggiungimento di  una  soglia  pari
almeno al 50 per cento  dei  voti  e/o  dei  seggi,  e  destinato  ad
aumentare, al fine  di  assicurare  la  formazione  di  un  esecutivo
stabile, il numero di seggi di una lista  o  di  una  coalizione  che
quella soglia abbia gia' autonomamente raggiunto. 
    Al  cospetto  della  discrezionalita'  spettante  in  materia  al
legislatore, sfugge dunque, in linea di principio,  al  sindacato  di
legittimita' costituzionale una valutazione sull'entita' della soglia
minima in concreto prescelta dal legislatore (attualmente pari al  40
per cento dei voti validi, e del resto progressivamente innalzata nel
corso dei lavori parlamentari  che  hanno  condotto  all'approvazione
della legge  n.  52  del  2015).  Ma  resta  salvo  il  controllo  di
proporzionalita' riferito alle ipotesi in cui la  previsione  di  una
soglia irragionevolmente bassa  di  voti  per  l'attribuzione  di  un
premio  di  maggioranza  determini   una   tale   distorsione   della
rappresentativita'  da  comportarne  un  sacrificio   sproporzionato,
rispetto al legittimo  obbiettivo  di  garantire  la  stabilita'  del
governo del Paese e di favorire il processo decisionale. 
    L'esito dello scrutinio fin qui condotto non e'  inficiato  dalla
circostanza, messa criticamente in luce dal giudice a quo, per cui la
soglia del 40 per  cento  e'  calcolata  sui  voti  validi  espressi,
anziche'  sul  complesso  degli  aventi  diritto  al  voto.  Pur  non
potendosi in astratto escludere che, in periodi di  forte  astensione
dal voto, l'attribuzione del premio avvenga a favore di una lista che
dispone di un'esigua rappresentativita' reale, condizionare il premio
al raggiungimento di una soglia calcolata sui  voti  validi  espressi
ovvero sugli aventi  diritto  costituisce  oggetto  di  una  delicata
scelta politica, demandata alla discrezionalita'  del  legislatore  e
non certo soluzione costituzionalmente obbligata (sentenza n. 173 del
2005). 
    Del resto, anche nella  sentenza  n.  1  del  2014  questa  Corte
accolse la questione di legittimita' costituzionale  in  relazione  a
disposizioni elettorali che  non  prevedevano  l'attribuzione  di  un
premio condizionato al raggiungimento di una soglia  minima  di  voti
e/o di seggi, senza alcun riferimento agli aventi diritto al voto. 
    Infine, nemmeno pone  in  discussione  la  conclusione  raggiunta
l'ulteriore carattere criticamente evocato dal rimettente al fine  di
sollecitare  l'accoglimento  delle  questioni  sollevate,  cioe'   la
presenza, accanto al premio, di un correttivo alla rappresentativita'
(sentenza n. 1 del 2014), costituito dalla soglia di sbarramento  del
3 per cento sui voti validamente espressi su  base  nazionale,  quale
condizione per l'accesso delle liste al riparto dei seggi. 
    In linea generale, infatti, anche «[l]a previsione di  soglie  di
sbarramento e quella delle modalita' per la loro  applicazione  [...]
sono tipiche manifestazioni della  discrezionalita'  del  legislatore
che intenda evitare la frammentazione della rappresentanza  politica,
e contribuire alla governabilita'» (sentenza n. 193 del 2015). 
    Nel caso di specie, invero, il giudice a quo dubita degli effetti
derivanti dalla contestuale previsione di un premio di maggioranza  e
di una soglia di sbarramento, traendo proprio da tale compresenza  la
convinzione dell'illegittimita' costituzionale del premio. 
    Tuttavia, in primo luogo, le previsioni della  legge  n.  52  del
2015 introducono una  soglia  di  sbarramento  non  irragionevolmente
elevata,  che  non  determina,  di  per   se',   una   sproporzionata
distorsione della rappresentativita' dell'organo elettivo. 
    Inoltre, non puo' essere la compresenza di premio e soglia, nelle
specifiche  forme  ed  entita'  concretamente  previste  dalla  legge
elettorale,   a   giustificare   una    pronuncia    d'illegittimita'
costituzionale  del  premio.  Ben  vero  che  qualsiasi   soglia   di
sbarramento     comporta     un'artificiale     alterazione     della
rappresentativita' di un organo elettivo, che  in  astratto  potrebbe
aggravare  la  distorsione  pure  indotta  dal  premio.  Ma  non   e'
manifestamente irragionevole che il  legislatore,  in  considerazione
del sistema politico-partitico che intende disciplinare attraverso le
regole   elettorali,   ricorra    contemporaneamente,    nella    sua
discrezionalita', a entrambi tali meccanismi. Del resto, se il premio
ha lo  scopo  di  assicurare  l'esistenza  di  una  maggioranza,  una
ragionevole soglia di sbarramento puo' a sua volta  contribuire  allo
scopo di non ostacolarne la formazione. Ne' e' da trascurare  che  la
soglia  puo'   favorire   la   formazione   di   un'opposizione   non
eccessivamente frammentata, cosi' attenuando, anziche' aggravando,  i
disequilibri  indotti  dalla  stessa   previsione   del   premio   di
maggioranza. 
    7.-  Il  Tribunale  ordinario  di  Genova  solleva  questioni  di
legittimita' costituzionale - per violazione degli artt.  1,  secondo
comma, 3 e 48, secondo comma, Cost. - dell'art. 1, comma  1,  lettera
f), della legge n. 52 del 2015, nella parte in cui prevede che  «sono
comunque attribuiti  340  seggi  alla  lista  che  ottiene,  su  base
nazionale, almeno il 40 per cento dei voti validi», e  dell'art.  83,
commi 1, numeri 5) e 6), 2, 3 e 4 del d.P.R. n. 361  del  1957,  come
sostituito dall'art. 2, comma 25, della legge n. 52 del 2015, poiche'
tali disposizioni consentono l'assegnazione del premio di maggioranza
alla lista che abbia ottenuto il maggior numero di  voti,  anche  nel
caso in cui due liste superino, al primo turno, il 40  per  cento  di
essi. 
    Se e' da respingere l'eccezione  d'inammissibilita'  per  carenze
motivazionali  sollevata  dall'Avvocatura   generale   dello   Stato,
risultando chiaro ed argomentato cio' che il giudice a  quo  lamenta,
la questione non e' comunque fondata nel merito. 
    Il  rimettente  assume,  correttamente,   che   le   disposizioni
censurate debbano essere interpretate nel senso che - nell'ipotesi in
cui due liste superino, al primo turno, il 40 per cento dei voti - il
premio di maggioranza andrebbe comunque assegnato, e attribuito  alla
lista che ha ottenuto  piu'  voti.  Ritiene  tuttavia  che,  in  tale
ipotesi,  la  lista  risultata  seconda  vedrebbe   irragionevolmente
ridotto il proprio numero di deputati, per effetto della  distorsione
derivante dall'attribuzione del premio,  con  lesione  dei  parametri
costituzionali evocati. 
    Sull'esito del voto al primo turno possono essere formulate varie
ipotesi, il cui realizzarsi e' piu' o meno probabile o  possibile,  a
seconda del concreto atteggiarsi del sistema politico. Ma e' comunque
nella logica di un sistema elettorale con premio di  maggioranza  che
alle liste di minoranza, a  prescindere  dalla  percentuale  di  voti
raggiunta, sia attribuito un numero di  seggi  inferiore  rispetto  a
quello  che  sarebbe  loro  assegnato  nell'ambito  di   un   sistema
proporzionale senza correttivi. Tale logica, ovviamente,  vale  anche
per la lista che  giunge  seconda,  ne'  rileva  la  circostanza  che
anch'essa abbia ottenuto il 40 per  cento  dei  voti  validi,  ma  un
numero totale di voti inferiore, in  assoluto,  rispetto  alla  lista
vincente. 
    Il  giudice  rimettente  domanda  una  pronuncia  additiva,   che
dichiari costituzionalmente illegittime  le  disposizioni  censurate,
nella  parte  in  cui  non  escludono   l'assegnazione   del   premio
nell'ipotesi descritta. 
    Tale richiesta non ha alcun fondamento,  innanzitutto  alla  luce
della appena affermata (punto 6) non manifesta irragionevolezza delle
previsioni della legge n. 52 del 2015 che disciplinano l'assegnazione
del premio al primo turno. 
    Inoltre,  e  infine  -  anche   a   prescindere   dall'intrinseca
contraddittorieta' di un sistema elettorale, quale quello prefigurato
dal rimettente, che stabilisca di non assegnare il premio se al primo
turno due liste superino il 40 per  cento  dei  voti,  ovvero  se  lo
scarto di voti tra la lista vincente e le altre  non  corrisponda  ad
una determinata quantita' o  percentuale  -  un'addizione  di  questo
genere non  apparterrebbe  in  radice  ai  poteri  di  questa  Corte,
spettando, semmai, alla discrezionalita' del legislatore. 
    8.- Lo stesso Tribunale ordinario di Genova solleva questioni  di
legittimita' costituzionale - sempre per violazione  degli  artt.  1,
secondo comma, 3 e 48, secondo comma, Cost. - dell'art. 1,  comma  1,
lettera f), della legge n. 52 del 2015 e degli  artt.  83,  commi  1,
numeri 5) e 6), 2 e 5, e 83-bis, comma 1, numeri 1), 2), 3) e 4), del
d.P.R. n. 361 del 1957, come novellati dall'art. 2, comma  25,  della
legge n. 52 del 2015 - ritenendo che tali  disposizioni  imporrebbero
irragionevolmente di procedere ad un turno di ballottaggio  anche  se
una lista abbia ottenuto, al primo turno, 340 seggi, ma non il 40 per
cento dei voti.  Osserva,  in  particolare,  il  giudice  a  quo  che
l'obbligo di procedere anche in questo caso al turno di  ballottaggio
sarebbe contraddittorio rispetto alla  ratio  stessa  che  ispira  la
legge n. 52 del 2015, quella cioe' di consentire la formazione di una
salda maggioranza politica, in seggi, alla Camera. 
    L'Avvocatura generale dello Stato eccepisce l'inammissibilita' di
tali questioni per due ragioni. 
    Ritiene, in primo luogo, che il rimettente non  abbia  illustrato
le ragioni che impediscono di interpretare le disposizioni  censurate
nel senso che, se una lista raggiunge al primo turno  340  seggi,  ma
non anche il 40 per cento dei voti, il  ballottaggio  non  ha  luogo,
deducendo da cio'  l'inammissibilita'  della  questione.  Tale  prima
eccezione va  rigettata,  concernendo  in  realta'  il  merito  della
questione e non la sua ammissibilita'. 
    In secondo luogo, assume l'Avvocatura generale dello Stato che il
caso ipotizzato dal rimettente sia solo virtuale e  che,  dunque,  la
questione  sarebbe  inammissibile  perche'  ipotetica.   Anche   tale
eccezione non e' fondata, dal momento che non  si  puo'  in  assoluto
escludere - ed e' la stessa  Avvocatura  ad  ammetterlo  -  che  tale
eventualita' possa realmente verificarsi, sia  pure  in  ipotesi  del
tutto residuali. 
    Nel merito, la questione non e' tuttavia fondata. 
    Le disposizioni censurate stabiliscono che, all'esito  del  primo
turno di votazione, l'Ufficio centrale nazionale verifica se la cifra
elettorale nazionale  della  lista  che  ha  ottenuto  piu'  suffragi
corrisponda ad almeno il 40 per cento  del  totale  dei  voti  validi
espressi (art. 83, comma 1, numero 5, del d.P.R. n. 361 del 1957)  e,
quindi, se tale lista abbia conseguito almeno  340  seggi  (art.  83,
comma 1, numero 6, del d.P.R. n. 361 del 1957). 
    Se la verifica di cui al comma 1, numero 5), del citato  art.  83
ha avuto esito negativo, si procede ad un turno di  ballottaggio  fra
le liste che abbiano ottenuto al primo turno le  due  maggiori  cifre
elettorali nazionali. 
    Se, invece, e' la verifica di cui al comma 1, numero 6), ad  aver
fornito esito negativo - poiche' la lista ha ottenuto il 40 per cento
dei voti ma  non  ha  conseguito  340  seggi  -  a  tale  lista  sono
attribuiti seggi aggiuntivi, sino ad arrivare a 340. 
    Dalla formulazione letterale di queste disposizioni,  compendiate
nel primo periodo dell'art. 1, comma 1, lettera f), della legge n. 52
del 2015 («sono attribuiti comunque 340 seggi alla lista che ottiene,
su base nazionale, almeno il 40  per  cento  dei  voti  validi»),  il
rimettente deduce che debba essere indetto il turno  di  ballottaggio
anche nel caso in cui una lista abbia ottenuto 340 seggi, ma  non  il
40 per cento dei voti. Censura, dunque,  l'irragionevolezza  di  tale
soluzione, asserendone la contraddittorieta' e lamentando che da essa
deriverebbe un'eccessiva compressione  dell'eguaglianza  del  voto  e
della rappresentativita' della Camera. 
    Il giudice a quo giunge tuttavia a tale soluzione muovendo da  un
errato presupposto interpretativo (ex multis,  sentenze  n.  204,  n.
203, n. 106 e n. 95 del 2016). 
    Ben vero che l'art. 83,  comma  1,  numero  7),  del  piu'  volte
ricordato  d.P.R.  n.  361  del  1957  stabilisce  che  resta   ferma
l'attribuzione dei seggi effettuata dall'Ufficio  centrale  se  abbia
avuto esito positivo «la verifica di cui al numero 6)»  del  comma  1
del medesimo articolo, ossia nel caso in cui la lista che ha ottenuto
il 40 per cento dei voti «abbia conseguito almeno 340 seggi».  Ed  e'
anche vero che il succedersi delle operazioni di  verifica  stabilite
ai numeri 5) e 6) del comma 1 dell'art. 83 puo' far ritenere che solo
una lista che abbia ottenuto il 40 per cento  dei  voti  possa  anche
aver ottenuto 340 seggi.  In  altre  parole,  il  modo  in  cui  sono
letteralmente delineate le distinte operazioni di  verifica  (nonche'
lo stesso tenore testuale dell'art. 1,  comma  1,  lettera  f,  della
legge n. 52 del 2015) sembra non ricomprendere proprio l'ipotesi  che
il giudice a quo individua, cioe' il caso  in  cui  una  lista  abbia
conseguito 340 seggi ma non il 40  per  cento  del  totale  dei  voti
validamente espressi. Si verserebbe percio' in un'ipotesi in cui  non
ha dato esito positivo la verifica di cui  al  comma  1,  numero  6),
dell'art. 83, derivandone la necessita' del turno di ballottaggio. 
    L'interpretazione   meramente   letterale   delle    disposizioni
ricordate e' tuttavia fuorviante, poiche' consegna  un  risultato  il
quale, prima ancora che irragionevole, e' in contrasto con  la  ratio
complessiva cui e' ispirata la legge n. 52 del 2015.  Tale  risultato
puo' e deve essere evitato attraverso una lettura  sistematica  delle
disposizioni  rilevanti  al  fine  di  stabilire  se  il   turno   di
ballottaggio debba o meno aver luogo, ricomprendendo in  essa  l'art.
83, comma 1, numero 7), del d.P.R. n. 361 del 1957, che,  invece,  il
giudice  a  quo,  ne'  censura,  ne'  considera  nel   proprio   iter
argomentativo. 
    Poiche', infatti, carattere distintivo della legge elettorale  in
esame e' quello di favorire la formazione di una  maggioranza,  ossia
fare in modo che una lista disponga, alla Camera, di  340  seggi,  si
deve interpretare l'appena citato art. 83, comma 1, numero  7)  -  il
cui significato, come detto,  il  rimettente  non  tenta  nemmeno  di
lumeggiare - nel senso  che  resta  ferma  l'attribuzione  dei  seggi
effettuata dall'Ufficio centrale nazionale (quella di cui al comma 1,
numero 4, del citato art. 83), quando la lista  abbia  gia'  ottenuto
340 seggi, cioe' quando abbia avuto «esito positivo» la  verifica  di
cui al comma 1, numero  6),  della  medesima  disposizione,  anche  a
prescindere dalla percentuale dei voti ottenuti  da  tale  lista.  In
altri termini, l'esito positivo cui si riferisce quella  disposizione
non puo' non ricomprendere anche  l'ipotesi  che  il  giudice  a  quo
considera. E poiche' in tale ipotesi  l'obbiettivo  perseguito  dalla
legge e' gia' stato raggiunto, non e' necessario procedere  al  turno
di ballottaggio. Ne consegue la non fondatezza della questione. 
    9.- Con argomentazioni  in  larga  parte  coincidenti,  e  talora
sovrapponibili, i Tribunali ordinari di Torino,  Perugia,  Trieste  e
Genova dubitano della compatibilita' con gli artt. 1, secondo  comma,
3, e 48, secondo comma, Cost. delle disposizioni della  legge  n.  52
del 2015, nelle  parti  in  cui  prevedono  -  se  nessuna  lista  ha
raggiunto, al primo turno, almeno il 40 per cento del totale dei voti
validi espressi - un turno di ballottaggio fra le liste  che  abbiano
superato la soglia di sbarramento nazionale del 3 per cento e abbiano
ottenuto, al primo turno, le due maggiori cifre elettorali nazionali.
Censurano, di conseguenza, l'art. 1, comma 1, lettera f), della legge
n. 52 del 2015 e l'art. 83, comma 5, del d.P.R. n. 361 del 1957, come
sostituito dall'art. 2, comma 25, della legge  n.  52  del  2015.  Il
Tribunale ordinario di Genova coinvolge nella censura anche l'art.  1
del d.P.R. n. 361 del 1957, come modificato  dall'art.  2,  comma  1,
della legge n. 52 del 2015. 
    9.1.-    L'Avvocatura    generale    dello    Stato     eccepisce
l'inammissibilita' delle questioni per tre distinte ragioni. 
    In relazione alle ordinanze dei  Tribunali  ordinari  di  Torino,
Perugia e Trieste, le questioni sarebbero,  anzitutto,  inammissibili
per erronea o  inesatta  indicazione  della  disposizione  sospettata
d'illegittimita'  costituzionale.  I  giudici  a  quibus,  censurando
l'intero art. 1, comma 1, lettera f), della legge n. 52 del 2015, non
avrebbero correttamente individuato la porzione di  disposizione  che
regola il turno di ballottaggio, coinvolgendo anche le parti di  essa
che prevedono le modalita' di attribuzione del premio al primo turno. 
    Questa prima eccezione non e' fondata, in quanto l'oggetto  della
questione e' facilmente individuabile. Si tratta della seconda  parte
dell'art. 1, comma 1, lettera f), dalle parole «o, in mancanza,» sino
al termine del periodo, dovendosi tenere altresi' conto del fatto che
i  rimettenti   sospettano   d'illegittimita'   costituzionale,   nel
contempo, anche l'art. 83, comma 5, del d.P.R. n. 361 del  1957  che,
appunto, prevede il turno di ballottaggio. E' infatti  ben  possibile
circoscrivere l'oggetto del giudizio di  legittimita'  costituzionale
ad una parte della disposizione censurata,  se  cio'  e'  chiaramente
suggerito,  come  in  questo  caso,  dalla  complessiva   motivazione
dell'ordinanza (ex plurimis, sentenze n. 203 del 2016  e  n.  84  del
2016). 
    Secondo la difesa statale, le questioni  sollevate  dagli  stessi
Tribunali ordinari di Torino, Perugia e Trieste  sarebbero,  inoltre,
inammissibili per contraddittorieta' della prospettazione, in  quanto
i rimettenti riterrebbero necessario il superamento di un  quorum  di
aventi diritto al voto al solo  turno  di  ballottaggio,  in  cui  e'
assegnato un premio di maggioranza pari al 5 per cento dei seggi,  ma
non anche nel primo turno, in cui, invece, il premio puo' raggiungere
il 15 per cento di questi. 
    Anche tale eccezione non e' fondata. L'obiezione  dell'Avvocatura
generale  dello  Stato  si  spiega  alla  luce  della   ben   diversa
prospettiva assunta da quest'ultima circa il turno di ballottaggio, e
riguarda  quindi  il  merito  della  questione,  non  invece  la  sua
ammissibilita'. Inoltre, la  prospettazione  dei  rimettenti  non  e'
contraddittoria, perche' essi illustrano con ampiezza di argomenti le
ragioni per le quali ritengono che i parametri costituzionali evocati
siano violati dalla sola previsione di un turno di ballottaggio. 
    Infine  -  eccepisce  la  difesa  statale  con  riferimento  alle
questioni sollevate dai  Tribunali  ordinari  di  Torino,  Trieste  e
Genova - i giudici a quibus sarebbero incorsi in una aberratio ictus,
non avendo ricompreso tra le disposizioni oggetto di  censura  quella
che prevede la soglia di sbarramento al 3 per cento. 
    Nemmeno questa eccezione ha fondamento, se  si  considera  che  i
rimettenti non contestano  la  soglia  di  sbarramento  in  se',  ne'
chiedono a questa Corte di pronunciarsi su  di  essa.  Piuttosto,  si
dolgono del fatto che al premio  possano  accedere  liste  che  hanno
ottenuto, al primo turno, anche una percentuale assai bassa di  voti,
essendo in linea teorica sufficiente il 3 per cento dei voti validi. 
    9.2.-  Quanto  al  merito  della  censura,  i  giudici  a  quibus
lamentano che la maggioranza risultante  dal  turno  di  ballottaggio
sarebbe «artificiosa», in quanto il legislatore si sarebbe limitato a
prevedere che a tale turno accedano le sole  due  liste  piu'  votate
(purche' ottengano il 3 per cento dei voti validi espressi, o  il  20
per cento se rappresentative di minoranze linguistiche); in quanto il
premio sarebbe attribuito a chi ottiene il 50 per cento piu' uno  dei
voti validi espressi, senza alcuna considerazione  per  l'importanza,
anche rilevante, che potrebbe assumere l'astensione  dal  voto,  come
prevedibile  conseguenza  della   radicale   riduzione   dell'offerta
elettorale nel  turno  di  ballottaggio,  e  quindi  senza  prevedere
correttivi, quali, ad esempio, il raggiungimento di un quorum  minimo
di votanti in tale turno, o di un quorum minimo al primo turno; e  in
quanto e' esclusa, in vista  del  turno  di  ballottaggio,  qualsiasi
forma di collegamento fra liste.