Secondo i rimettenti, tali complessive modalita' di assegnazione del premio al turno di ballottaggio, senza correttivi, comporterebbero il rischio che il premio sia attribuito a una formazione politica priva di adeguato radicamento nel corpo elettorale. I giudici a quibus, in sostanza, dubitano della conformita' ai parametri costituzionali evocati delle previsioni normative relative al turno di ballottaggio per l'assegnazione del premio, perche' - a loro dire - il modo in cui tale turno e' concretamente disciplinato determinerebbe un'alterazione eccessiva e sproporzionata della rappresentativita' della Camera dei deputati, in nome dell'esigenza di favorire in Parlamento la formazione di una maggioranza idonea ad assicurare uno stabile e saldo sostegno al Governo. In conseguenza di cio', sollecitano una dichiarazione d'illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 1, lettera f), della legge n. 52 del 2015 e degli art. 1 e 83, comma 5, del d.P.R. n. 361 del 1957, come novellati dall'art. 2, commi 1 e 25, della legge n. 52 del 2015: una pronuncia, cioe', che condurrebbe non gia' alla modifica della specifica disciplina relativa al turno di ballottaggio, ma alla sua caducazione. In definitiva, nella prospettazione dei Tribunali rimettenti, i tre aspetti del turno di ballottaggio criticamente sottolineati (una lista puo' accedere ad esso anche solo raggiungendo il 3 per cento dei voti al primo turno; al ballottaggio, la soglia del 50 per cento piu' uno dei voti necessari per ottenere il premio e' calcolata sui voti validi espressi e non sugli aventi diritto; non sono consentiti apparentamenti o collegamenti tra liste) costituiscono argomenti a sostegno di una censura volta a ottenere l'eliminazione dello stesso turno di ballottaggio, e non singoli profili d'illegittimita' costituzionale (come, invece, sembra ritenere l'Avvocatura generale dello Stato, le cui memorie, infatti, oscillano tra la difesa del turno di ballottaggio in se', e la distinta difesa dell'assenza di ciascuno dei tre caratteri individuati dai rimettenti). La questione e' fondata. Come si e' gia' ricordato, ben puo' il legislatore innestare un premio di maggioranza in un sistema elettorale ispirato al criterio del riparto proporzionale di seggi, purche' tale meccanismo premiale non sia foriero di un'eccessiva sovrarappresentazione della lista di maggioranza relativa (sentenza n. 1 del 2014). Il legislatore ha ritenuto di tener fede alle indicazioni della giurisprudenza costituzionale, sia prevedendo una soglia minima di voti per l'attribuzione del premio di maggioranza, sia disponendo che, qualora nessuna lista raggiunga 340 seggi, si proceda a un turno di ballottaggio tra le due liste piu' votate. Se, come sopra affermato (punto 6), la prima previsione non determina un'irragionevole compressione della rappresentativita' dell'organo elettivo, sono invece le concrete modalita' dell'attribuzione del premio attraverso il turno di ballottaggio a determinare la lesione degli artt. 1, secondo comma, 3 e 48, secondo comma, Cost. Innanzitutto, nel sistema delineato dalla legge n. 52 del 2015, il turno di ballottaggio non e' costruito come una nuova votazione rispetto a quella svoltasi al primo turno, ma come la sua prosecuzione. In questa prospettiva, al turno di ballottaggio accedono le sole due liste piu' votate al primo turno, senza che siano consentite, tra i due turni, forme di collegamento o apparentamento fra liste. Inoltre, la ripartizione percentuale dei seggi, anche dopo lo svolgimento del turno di ballottaggio, resta - per tutte le liste diverse da quella vincente, ed anche per quella che partecipa, perdendo, al ballottaggio - la stessa del primo turno. Il turno di ballottaggio serve dunque ad individuare la lista vincente, ossia a consentire ad una lista il raggiungimento di quella soglia minima di voti che nessuna aveva invece ottenuto al primo turno. E' vero - come osserva l'Avvocatura generale dello Stato - che la soglia minima si innalza, al secondo turno, al 50 per cento piu' uno dei voti, ma non potrebbe che essere cosi', dal momento che le liste ammesse al ballottaggio sono solo due. La legge n. 52 del 2015, prevedendo una competizione risolutiva tra due sole liste, prefigura stringenti condizioni che rendono inevitabile la conquista della maggioranza assoluta dei voti validamente espressi da parte della lista vincente; e poiche', per le caratteristiche gia' ricordate, il ballottaggio non e' che una prosecuzione del primo turno di votazione, il premio conseguentemente attribuito resta un premio di maggioranza, e non diventa un premio di governabilita'. Ne consegue che le disposizioni che disciplinano l'attribuzione di tale premio al ballottaggio incontrano a loro volta il limite costituito dall'esigenza costituzionale di non comprimere eccessivamente il carattere rappresentativo dell'assemblea elettiva e l'eguaglianza del voto. Il rispetto di tali principi costituzionali non e' tuttavia garantito dalle disposizioni censurate: una lista puo' accedere al turno di ballottaggio anche avendo conseguito, al primo turno, un consenso esiguo, e ciononostante ottenere il premio, vedendo piu' che raddoppiati i seggi che avrebbe conseguito sulla base dei voti ottenuti al primo turno. Le disposizioni censurate riproducono cosi', seppure al turno di ballottaggio, un effetto distorsivo analogo a quello che questa Corte aveva individuato, nella sentenza n. 1 del 2014, in relazione alla legislazione elettorale previgente. Il legittimo perseguimento dell'obbiettivo della stabilita' di Governo, di sicuro interesse costituzionale, provoca in tal modo un eccessivo sacrificio dei due principi costituzionali ricordati. Se e' vero che, nella legge n. 52 del 2015, il turno di ballottaggio fra le liste piu' votate ha il compito di supplire al mancato raggiungimento, al primo turno, della soglia minima per il conseguimento del premio, al fine di indicare quale sia la parte politica destinata a sostenere, in prevalenza, il governo del Paese, tale obbiettivo non puo' giustificare uno sproporzionato sacrificio dei principi costituzionali di rappresentativita' e di uguaglianza del voto, trasformando artificialmente una lista che vanta un consenso limitato, ed in ipotesi anche esiguo, in maggioranza assoluta. Anche in questo caso, pertanto, si conclude negativamente lo scrutinio di proporzionalita' e ragionevolezza (art. 3 Cost.), il quale impone di verificare - anche in ambiti, quale quello in esame, connotati da ampia discrezionalita' legislativa - che il bilanciamento dei principi e degli interessi costituzionalmente rilevanti non sia stato realizzato con modalita' tali da determinare il sacrificio o la compressione di uno di essi in misura eccessiva. Le disposizioni censurate producono una sproporzionata divaricazione tra la composizione di una delle due assemblee che compongono la rappresentanza politica nazionale, centro del sistema di democrazia rappresentativa e della forma di governo parlamentare prefigurati dalla Costituzione, da un lato, e la volonta' dei cittadini espressa attraverso il voto, «che costituisce il principale strumento di manifestazione della sovranita' popolare secondo l'art. 1 della Costituzione» (sentenza n. 1 del 2014), dall'altro. E' vero che, all'esito del ballottaggio, il premio non e' determinato artificialmente, conseguendo pur sempre ad un voto degli elettori, ma se il primo turno dimostra che nessuna lista, da sola, e' in grado di conquistare il premio di maggioranza, soltanto le stringenti condizioni di accesso al turno di ballottaggio conducono, attraverso una radicale riduzione dell'offerta politica, alla sicura attribuzione di tale premio. Inoltre, e' vero che la previsione legislativa di un turno di ballottaggio eventuale - basato su una competizione risolutiva fra due sole liste, finalizzata ad attribuire alla lista vincente la maggioranza assoluta dei seggi nell'assemblea rappresentativa - innesta tratti maggioritari nel sistema elettorale delineato dalla legge n. 52 del 2015. Ma tale innesto non cancella la logica prevalente della legge, fondata su una formula di riparto proporzionale dei seggi, che resta tale persino per la lista perdente al ballottaggio, la quale mantiene quelli guadagnati al primo turno. Sicche' il perseguimento della finalita' di creare una maggioranza politica governante in seno all'assemblea rappresentativa, destinata ad assicurare (e non solo a favorire) la stabilita' del governo, avviene a prezzo di una valutazione del peso del voto in uscita fortemente diseguale, al fine dell'attribuzione finale dei seggi alla Camera, in lesione dell'art. 48, secondo comma, Cost. E' necessario sottolineare che non e' il turno di ballottaggio fra liste in se', in astratto considerato, a risultare costituzionalmente illegittimo, perche' in radice incompatibile con i principi costituzionali evocati. In contrasto con gli artt. 1, secondo comma, 3 e 48, secondo comma, Cost. sono invece le specifiche disposizioni della legge n. 52 del 2015, per il modo in cui hanno concretamente disciplinato tale turno, in relazione all'elezione della Camera dei deputati. Il turno di voto qui scrutinato - con premio assegnato all'esito di un ballottaggio in un collegio unico nazionale con voto di lista - non puo' essere accostato alle esperienze, proprie di altri ordinamenti, ove al ballottaggio si ricorre, nell'ambito di sistemi elettorali maggioritari, per l'elezione di singoli rappresentanti in collegi uninominali di ridotte dimensioni. In casi del genere, trattandosi di eleggere un solo rappresentante, il secondo turno e' funzionale all'obbiettivo di ridurre la pluralita' di candidature, fino ad ottenere la maggioranza per una di esse, ed e' dunque finalizzato, oltre che alla elezione di un solo candidato, anche a garantirne l'ampia rappresentativita' nel singolo collegio. Appartiene invece ad una logica diversa - presentandosi quale istanza risolutiva all'interno di una competizione elettorale selettiva fra le sole due liste risultate piu' forti, nell'ambito di un collegio unico nazionale - l'assegnazione di un premio di maggioranza, innestato su una formula elettorale in prevalenza proporzionale, finalizzato a completare la composizione dell'assemblea rappresentativa, con l'obbiettivo di assicurare (e non solo di favorire) la presenza, in quest'ultima, di una maggioranza politica governante. Se utilizzato in un tale contesto, che trasforma in radice la logica e lo scopo della competizione elettorale (gli elettori non votano per eleggere un solo rappresentante di un collegio elettorale di limitate dimensioni, ma per decidere a quale forza politica spetti, nell'ambito di un ramo del Parlamento nazionale, sostenere il governo del Paese), un turno di ballottaggio a scrutinio di lista non puo' non essere disciplinato alla luce della complessiva funzione che spetta ad un'assemblea elettiva nel contesto di un regime parlamentare. Nella forma di governo parlamentare disegnata dalla Costituzione, la Camera dei deputati e' una delle due sedi della rappresentanza politica nazionale (art. 67 Cost.), accanto al Senato della Repubblica. In posizione paritaria con quest'ultimo, la Camera concede la fiducia al Governo ed e' titolare delle funzioni di indirizzo politico (art. 94 Cost.) e legislativa (art. 70 Cost.). L'applicazione di un sistema con turno di ballottaggio risolutivo, a scrutinio di lista, dovrebbe necessariamente tenere conto della specifica funzione e posizione costituzionale di una tale assemblea, organo fondamentale nell'assetto democratico dell'intero ordinamento, considerando che, in una forma di governo parlamentare, ogni sistema elettorale, se pure deve favorire la formazione di un governo stabile, non puo' che esser primariamente destinato ad assicurare il valore costituzionale della rappresentativita'. Le stringenti condizioni cui la legge n. 52 del 2015 sottopone l'accesso al ballottaggio non adempiono, si e' detto, a tali compiti essenziali. Ma non potrebbe essere questa Corte a modificare, tramite interventi manipolativi o additivi, le concrete modalita' attraverso le quali il premio viene assegnato all'esito del ballottaggio, inserendo alcuni, o tutti, i correttivi la cui assenza i giudici rimettenti lamentano. Cio' spetta all'ampia discrezionalita' del legislatore (ad esempio, in relazione alla scelta se attribuire il premio ad una singola lista oppure ad una coalizione tra liste: sentenza n. 15 del 2008), al quale il giudice costituzionale, nel rigoroso rispetto dei propri limiti d'intervento, non puo' sostituirsi. Inoltre, alcuni di questi interventi (che, in astratto considerati, potrebbero rendere il turno di ballottaggio compatibile con i tratti qualificanti dell'organo rappresentativo nazionale) non sarebbero comunque nella disponibilita' di questa Corte, a causa della difficolta' tecnica di restituire, all'esito dello scrutinio di legittimita' costituzionale, una disciplina elettorale immediatamente applicabile, complessivamente idonea a garantire l'immediato rinnovo dell'organo costituzionale elettivo (da ultimo, sentenza n. 1 del 2014). Merita, infine, precisare che l'affermata illegittimita' costituzionale delle disposizioni scrutinate non ha alcuna conseguenza ne' influenza sulla ben diversa disciplina del secondo turno prevista nei Comuni di maggiori dimensioni, gia' positivamente esaminata da questa Corte (sentenze n. 275 del 2014 e n. 107 del 1996). Tale disciplina risponde, infatti, ad una logica distinta da quella che ispira la legge n. 52 del 2015. E' pur vero che nel sistema elettorale comunale l'elezione di una carica monocratica, quale e' il sindaco, alla quale il ballottaggio e' primariamente funzionale, influisce in parte anche sulla composizione dell'organo rappresentativo. Ma cio' che piu' conta e' che quel sistema si colloca all'interno di un assetto istituzionale caratterizzato dall'elezione diretta del titolare del potere esecutivo locale, quindi ben diverso dalla forma di governo parlamentare prevista dalla Costituzione a livello nazionale. Dall'insieme delle considerazioni svolte deriva la dichiarazione d'illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 1, lettera f), della legge n. 52 del 2015 (dalle parole «o, in mancanza» alle parole «tra i due turni di votazione»), dell'ultima parte dell'art. 1, comma 2, del d.P.R. n. 361 del 1957 (ossia delle parole «, ovvero a seguito di un turno di ballottaggio ai sensi dell'art. 83»), e dell'art. 83, comma 5, dello stesso d.P.R. n. 361 del 1957. La normativa che resta in vigore a seguito della caducazione del citato comma 5 dell'art. 83 del d.P.R. n. 361 del 1957 e' idonea a garantire il rinnovo, in ogni momento, dell'organo costituzionale elettivo, cosi' come richiesto dalla costante giurisprudenza costituzionale (oltre alla gia' citata sentenza n. 1 del 2014, sentenze n. 13 del 2012, n. 16 e 15 del 2008, n. 13 del 1999, n. 26 del 1997, n. 5 del 1995, n. 32 del 1993, n. 47 del 1991, n. 29 del 1987). Infatti, qualora, all'esito del primo turno, la lista con la maggiore cifra elettorale nazionale non abbia ottenuto almeno il 40 per cento del totale dei voti validi espressi, s'intende che resta fermo il riparto dei seggi - tra le liste che hanno superato le soglie di sbarramento di cui all'art. 83, comma 1, numero 3), del d.P.R. n. 361 del 1957 - ai sensi del comma 1, numero 4), del medesimo art. 83. 10.- Il Tribunale ordinario di Messina solleva questioni di legittimita' costituzionale su alcune parti della disciplina che la legge n. 52 del 2015 prevede in tema di assegnazione dei seggi e di proclamazione degli eletti. Per asserita violazione dell'art. 56 Cost., sono censurati, in particolare, l'art. 1, comma 1, lettere a), d) ed e), della legge ricordata, e gli artt. 83, commi 1, 2, 3, 4 e 5, e 84, commi 2 e 4, del d.P.R. n. 361 del 1957, questi ultimi come sostituiti dall'art. 2, commi 25 e 26, della medesima legge n. 52 del 2015. Il rimettente lamenta che, in virtu' delle disposizioni ricordate, un seggio, da assegnarsi in una determinata circoscrizione, potrebbe risultare assegnato in un'altra (ingenerando un fenomeno di traslazione di seggi, noto anche con il termine "slittamento"). Assume che tale esito si porrebbe in contrasto con l'art. 56 Cost. e si duole, in particolare, della violazione del suo quarto comma, il quale prevede che «[l]a ripartizione dei seggi tra le circoscrizioni [...] si effettua dividendo il numero degli abitanti della Repubblica, quale risulta dall'ultimo censimento generale della popolazione, per seicentodiciotto e distribuendo i seggi in proporzione alla popolazione di ogni circoscrizione, sulla base dei quozienti interi e dei piu' alti resti». Nella visione del rimettente, tale norma esprimerebbe i principi della rappresentanza cosiddetta territoriale e della responsabilita' dell'eletto rispetto agli elettori che lo hanno votato, asseritamente lesi dalle disposizioni censurate, nelle parti in cui prevedono che, se una lista ha esaurito, in una circoscrizione, il numero dei candidati potenzialmente eleggibili, i seggi spettanti a quella lista vengono trasferiti in un'altra circoscrizione in cui vi siano candidati "eccedentari". 10.1.- L'Avvocatura generale dello Stato eccepisce l'inammissibilita' delle censure, innanzitutto in quanto il giudice a quo non avrebbe illustrato la disciplina prevista dalla legge n. 52 del 2015 in tema di assegnazione dei seggi, limitandosi a lamentare la «complessita' tecnica del meccanismo elettorale» e «la farraginosita' della normativa censurata (ampiamente esposta nel ricorso)». In particolare, la difesa statale assume che le questioni sarebbero inammissibili in quanto il rimettente avrebbe rinviato per relationem al ricorso delle parti. Tale eccezione non e' fondata. Il rimettente ha ricordato le doglianze delle parti e successivamente - sia pure in modo sintetico - ha motivato per quali ragioni le ha ritenute non manifestamente infondate in relazione all'art. 56 Cost. Ha, cioe', chiarito il senso della censura proposta, sia pure esponendo che la farraginosita' della disciplina censurata era stata lamentata nel ricorso delle parti. In definitiva, il giudice a quo rinvia all'atto di parte non per l'individuazione dei termini delle questioni prospettate (come nel precedente ricordato dall'Avvocatura generale dello Stato: ordinanza n. 239 del 2012), ma solo con riferimento all'illustrazione del meccanismo di assegnazione dei seggi. L'Avvocatura generale dello Stato eccepisce, inoltre, la manifesta inammissibilita' delle questioni, in quanto il rimettente avrebbe erroneamente individuato le disposizioni oggetto della questione di legittimita' costituzionale: da un lato, risulterebbe «troppo ampio» il riferimento all'art. 83, commi da 1 a 5, del d.P.R. n. 361 del 1957; dall'altro, sarebbe errato il riferimento all'art. 84, commi 2 e 4, del medesimo corpus normativo. L'eccezione e' solo in parte fondata. Secondo costante giurisprudenza costituzionale, e' possibile circoscrivere l'oggetto del giudizio di legittimita' costituzionale ad una parte soltanto della o delle disposizioni censurate, se cio' e' suggerito dalla motivazione dell'ordinanza di rimessione (ex plurimis, sentenze n. 203 del 2016 e n. 84 del 2016). Per questo, l'eccezione e' da rigettare nella parte in cui lamenta che il riferimento all'art. 83, dal comma 1 al comma 5, del d.P.R. n. 361 del 1957 risulta eccessivamente ampio: ben si comprende, infatti, che la censura relativa alla traslazione dei seggi tra circoscrizioni, nella fase della loro assegnazione, riguarda specificamente l'art. 83, comma 1, numero 8), del d.P.R. n. 361 del 1957. L'eccezione e' invece, fondata per la parte in cui sottolinea che il Tribunale ordinario di Messina, pur lamentando la possibilita' che si verifichino casi di traslazione di seggi da una circoscrizione ad un'altra, ha erroneamente fatto oggetto di censura anche i commi 2 e 4 dell'art. 84 del d.P.R. n. 361 del 1957, come sostituiti dall'art. 2, comma 26, della medesima legge n. 52 del 2015, i quali, invece, consentono che si verifichino traslazioni di seggi, nella fase della proclamazione degli eletti, da un collegio plurinominale ad un altro. La traslazione di seggi da una circoscrizione ad un'altra nella fase della proclamazione degli eletti e' infatti consentita dall'art. 84, comma 3, del medesimo d.P.R. n. 361 del 1957. La censura del rimettente, in riferimento all'art. 84, commi 2 e 4, del d.P.R. n. 361 del 1957 e' dunque inammissibile per aberratio ictus (sentenze n. 140 del 2016, n. 216 e n. 157 del 2015; ordinanze n. 182, n. 153, n. 47 e n. 24 del 2016, n. 128 del 2015). D'altra parte, anche a intenderla come rivolta all'eventuale traslazione di un seggio, nella fase della proclamazione degli eletti, da un collegio plurinominale ad un altro, la censura sarebbe inammissibile per assoluta carenza di motivazione. Il rimettente, infatti, si limita a lamentare lo slittamento tra circoscrizioni, e soprattutto non si interroga sull'eventualita' che l'art. 56, quarto comma, Cost. esprima un principio vincolante anche per la distribuzione dei seggi nei collegi, cioe' in relazione ad ambiti territoriali piu' ridotti rispetto alle circoscrizioni. 10.2.- Resta dunque da scrutinare nel merito, rispetto a quanto disposto dall'art. 56, quarto comma, Cost., la questione avente ad oggetto l'art. 83, comma 1, numero 8), del piu' volte citato d.P.R. n. 361 del 1957, che regola l'assegnazione dei seggi tra le diverse circoscrizioni (e non anche tra i collegi plurinominali), insieme all'art. 1, comma 1, lettere a), d) ed e), della legge n. 52 del 2015, il quale - nella prospettiva del rimettente - riassume i caratteri del sistema elettorale che consentono l'effetto traslativo dei seggi qui lamentato. E' utile preliminarmente ricordare che la legge n. 52 del 2015 - come prevede l'art. 1, comma 1, lettera a) - suddivide il territorio nazionale in venti circoscrizioni, a loro volta ripartite in cento collegi plurinominali (fatti salvi i collegi uninominali nelle circoscrizioni Valle d'Aosta e Trentino-Alto Adige), individuati con decreto legislativo. L'indicazione del numero dei seggi da attribuire alle singole circoscrizioni e ai singoli collegi plurinominali di ciascuna circoscrizione spetta, ai sensi dell'art. 3 del d.P.R. n. 361 del 1957, ad un decreto del Presidente della Repubblica, da approvare contestualmente a quello di convocazione dei comizi elettorali, «sulla base dei risultati dell'ultimo censimento generale della popolazione, riportati dalla piu' recente pubblicazione ufficiale dell'Istituto nazionale di statistica». Tale operazione e' effettuata prima dello svolgimento delle elezioni. Il giudice a quo censura, invero, il meccanismo normativo di assegnazione dei seggi alle singole liste previsto all'esito delle elezioni, sulla base dei voti ottenuti da ciascuna lista (meccanismo che, secondo quanto prevede l'art. 1, comma 1, lettera d, della legge n. 52 del 2015, si fonda su una attribuzione dei seggi su base nazionale con il metodo dei quozienti interi e dei piu' alti resti). Secondo tale disciplina, dopo che l'Ufficio centrale nazionale ha stabilito quanti seggi spettano a ciascuna lista a livello nazionale (art. 83, comma 1, numeri 1, 2, 3, 4, 5, 6 e 7, e commi 2, 3, 4, 5 e 6, del d.P.R. n. 361 del 1957), il medesimo ufficio, ai sensi del censurato art. 83, comma 1, numero 8), del citato d.P.R., distribuisce i seggi nelle varie circoscrizioni, in proporzione al numero di voti che ogni lista ha ottenuto in ciascuna di esse (con l'eccezione delle circoscrizioni Trentino-Alto Adige e Valle d'Aosta). L'ufficio deve quindi verificare - e proprio in questa fase puo' verificarsi l'eventualita' della traslazione - se la somma dei seggi assegnati alle liste nelle circoscrizioni corrisponda al numero dei seggi loro spettanti a livello nazionale, ovvero se vi siano liste che, in base al riparto a livello circoscrizionale, ne hanno ottenuti di piu' (liste cosiddette "eccedentarie") ovvero di meno (liste cosiddette "deficitarie") rispetto a quelli loro spettanti a livello nazionale. In tale secondo caso, l'Ufficio centrale nazionale e' chiamato ad operare delle correzioni. L'art. 83, comma 1, numero 8), prevede che i seggi siano sottratti, a partire dalla lista che ha il maggior numero di seggi eccedenti (e, in caso di parita', a partire da quella che ha ottenuto la maggiore cifra elettorale nazionale), proseguendo poi con le altre liste, in ordine decrescente di seggi eccedenti. L'ufficio sottrae tali seggi nelle circoscrizioni in cui la lista li ha ottenuti con le minori parti decimali dei quozienti di attribuzione (ossia, con un numero minore di voti). Quei seggi, cosi' sottratti, sono assegnati, nella medesima circoscrizione, alle liste deficitarie per le quali le parti decimali dei quozienti di attribuzione non hanno dato luogo all'assegnazione di alcun seggio (ossia nei casi in cui la lista non ha ottenuto il seggio perche' il numero di voti conseguiti non e' stato sufficiente a raggiungere un quoziente intero). Se non e' possibile che tale compensazione si realizzi secondo le modalita' appena ricordate - in quanto non vi siano, in una medesima circoscrizione, liste deficitarie con parti decimali dei quozienti inutilizzate - l'Ufficio centrale nazionale deve proseguire, per la stessa lista eccedentaria, nell'ordine dei decimali crescenti, fino ad individuare un'altra circoscrizione all'interno della quale sia contestualmente possibile sottrarre il seggio alla lista eccedentaria e assegnarlo a quella deficitaria. Il complesso di tali previsioni - e in particolare quella da ultimo ricordata (introdotta, al Senato, nel corso dei lavori preparatori della legge n. 52 del 2015) - ha l'obbiettivo di consentire che le compensazioni avvengano all'interno di una medesima circoscrizione, anche a costo di danneggiare la lista eccedentaria, la quale potrebbe risultare privata del seggio non nella circoscrizione dove ha ottenuto meno voti, ma in quella in cui ne ha ottenuti di piu'. E tale operazione e' condotta allo scopo di impedire che le compensazioni avvengano, come piu' frequentemente accadeva nella vigenza dei precedenti sistemi elettorali, tra circoscrizioni diverse. Dunque, proprio per evitare che si verifichino traslazioni di seggi da una circoscrizione ad un'altra. Infatti, solo nell'ipotesi in cui - nonostante tutte le operazioni descritte - permanga l'impossibilita' di effettuare la compensazione tra liste eccedentarie e deficitarie in una medesima circoscrizione, si applica, quale norma di chiusura, la disposizione censurata, contenuta nell'ultimo periodo dell'art. 83, comma 1, numero 8) («[n]el caso in cui non sia possibile fare riferimento alla medesima circoscrizione ai fini del completamento delle operazioni precedenti, fino a concorrenza dei seggi ancora da cedere, alla lista eccedentaria vengono sottratti i seggi nelle circoscrizioni nelle quali essa li ha ottenuti con le minori parti decimali del quoziente di attribuzione, e alla lista deficitaria sono conseguentemente attribuiti seggi nelle altre circoscrizioni nelle quali abbia le maggiori parti decimali del quoziente di attribuzione non utilizzate»). Alla luce di tali premesse, la questione non e' fondata. L'Avvocatura generale dello Stato, ai fini del rigetto, obietta che l'art. 56, quarto comma, Cost. vincolerebbe il legislatore a tenere in conto l'entita' della popolazione di ogni circoscrizione, con riferimento specifico alle elezioni della Camera dei deputati, nella sola fase, preliminare alle elezioni, della ripartizione dei seggi tra le circoscrizioni. Tale norma costituzionale, invece, non riguarderebbe il meccanismo di assegnazione dei seggi alle singole liste, effettuato dopo le elezioni. L'obiezione non coglie nel segno. Sostenere che i contenuti precettivi dell'art. 56, quarto comma, Cost. si riferiscano soltanto al momento antecedente alle elezioni, ossia alla sola ripartizione dei seggi fra le diverse circoscrizioni e non anche alla fase della loro assegnazione alle liste dopo le elezioni, autorizzerebbe il sostanziale aggiramento del significato della norma costituzionale. Essa non si limita, invero, a prescrivere che i seggi da assegnare a ciascuna circoscrizione siano ripartiti in proporzione alla popolazione, prima delle elezioni. Essa intende anche impedire che tale ripartizione possa successivamente esser derogata, al momento della assegnazione dei seggi alle diverse liste nelle circoscrizioni, sulla base dei voti conseguiti da ciascuna di esse. La contraria lettura, sulla base di un'interpretazione formalistica dell'art. 56, quarto comma, Cost., potrebbe legittimare, all'esito del voto, anche consistenti traslazioni di seggi da una circoscrizione all'altra, tali da pregiudicare la garanzia di una proporzionale distribuzione dei seggi sul territorio nazionale. La non fondatezza della questione, con riferimento allo specifico sistema elettorale previsto, per la Camera dei deputati, dalla legge n. 52 del 2015, deriva, piuttosto, dalla circostanza, prima dimostrata, che il complesso sistema di assegnazione dei seggi previsto dalla disciplina introdotta dalla legge n. 52 del 2015 dispiega ampie cautele proprio allo scopo di evitare la traslazione che il giudice a quo lamenta. E dal fatto che l'effetto traslativo, attraverso l'applicazione della disposizione indubbiata, si presenta, di risulta, solo se il ricorso a quelle cautele si riveli inutile, in casi limite che il legislatore intende come del tutto residuali. La non fondatezza della censura si rivela, ancor piu' nitidamente, alla luce della necessita' di interpretare il disposto di cui all'art. 56, quarto comma, Cost. in modo non isolato, ma in sistematica lettura con i principi desumibili dagli artt. 67 e 48 Cost. Da questo punto di vista, il sistema di assegnazione dei seggi nelle circoscrizioni previsto dalla legge n. 52 del 2015 - che ricomprende, quale ipotesi residuale, la disposizione censurata - costituisce l'esito del bilanciamento fra principi ed esigenze diversi, non sempre tra loro perfettamente armonizzabili (analogamente, sia pure con riferimento alla diversa disciplina prevista per l'elezione dei membri italiani del Parlamento europeo, sentenza n. 271 del 2010). Da un lato, il principio desumibile, appunto, dall'art. 56, quarto comma, Cost., posto a garanzia di una rappresentanza commisurata alla popolazione di ciascuna porzione del territorio nazionale; dall'altro, la necessita' di consentire l'attribuzione dei seggi sulla base della cifra elettorale nazionale conseguita da ciascuna lista (soluzione, tra l'altro, funzionale - nel sistema elettorale ora in esame - allo scopo di individuare le liste che superano la soglia di sbarramento del 3 per cento, secondo quanto previsto anche dall'art. 1, comma 1, lettera e, della legge n. 52 del 2015, nonche' la lista cui eventualmente attribuire il premio di maggioranza); infine l'esigenza di tenere conto, nella prospettiva degli elettori, del consenso ottenuto da ciascuna lista nelle singole circoscrizioni, alla luce dell'art. 48 Cost. Il disposto di cui all'art. 56, quarto comma, Cost. non puo' essere infatti inteso nel senso di richiedere, quale soluzione costituzionalmente obbligata, un'assegnazione di seggi interamente conchiusa all'interno delle singole circoscrizioni, senza tener conto dei voti che le liste ottengono a livello nazionale (come, ad esempio, nel caso di un sistema elettorale interamente fondato su collegi uninominali a turno unico; oppure di un sistema proporzionale con riparto dei seggi solo a livello circoscrizionale, senza alcun recupero dei resti a livello nazionale). L'art. 56, quarto comma, Cost. non e' preordinato a garantire la rappresentanza dei territori in se' considerati (sentenza n. 271 del 2010), ma, come si e' detto, tutela la distinta esigenza di una distribuzione dei seggi in proporzione alla popolazione delle diverse parti del territorio nazionale: la Camera resta, infatti, sede della rappresentanza politica nazionale (art. 67 Cost.), e la ripartizione in circoscrizioni non fa venir meno l'unita' del corpo elettorale nazionale, essendo le singole circoscrizioni altrettante articolazioni di questo nelle varie parti del territorio. Con riferimento al sistema elettorale introdotto dalla legge n. 52 del 2015, se e' costituzionalmente legittimo che il riparto di seggi avvenga a livello nazionale (eventualita' che del resto il giudice a quo non contesta), l'art. 56, quarto comma, Cost. deve essere quindi osservato fin tanto che cio' sia ragionevolmente possibile, senza escludere la legittimita' di residuali ed inevitabili ipotesi di traslazione di seggi da una circoscrizione ad un'altra. In definitiva, il meccanismo di riparto dei seggi previsto dall'art. 83, comma 1, numero 8), del d.P.R. n. 361 del 1957, non viola l'art. 56, quarto comma, Cost., poiche' la traslazione di un seggio da una circoscrizione ad un'altra costituisce, nella procedura di assegnazione dei seggi, un'ipotesi residuale, che puo' verificarsi, per ragioni matematiche e casuali, solo quando non sia stato possibile, applicando le disposizioni vigenti, individuare nessuna circoscrizione in cui siano compresenti una lista eccedentaria ed una deficitaria con parti decimali dei quozienti non utilizzati. La questione non e', infine, fondata nemmeno con riferimento al primo comma dell'art. 56 Cost., che contiene il principio del voto diretto. Quest'ultimo, esigendo che l'elezione dei deputati avvenga direttamente ad opera degli elettori, senza intermediazione alcuna, non viene in considerazione in relazione alle disposizioni censurate. 11.- Il Tribunale ordinario di Messina solleva questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 1, lettera g), della legge n. 52 del 2015 e degli artt. 18-bis, comma 3, primo periodo, 19, comma 1, primo periodo, e 84, comma 1, del d.P.R. n. 361 del 1957, come modificati o sostituiti dall'art. 2, commi 10, lettera c), 11 e 26, della legge n. 52 del 2015. I parametri costituzionali la cui lesione e' lamentata sono l'art. 48, secondo comma, Cost. e, nel solo dispositivo dell'ordinanza di rimessione, gli artt. 1, primo e secondo comma, 2, 51, primo comma, 56, primo e quarto comma, Cost. Le questioni cosi' sollevate investono le previsioni in base alle quali le liste, nei singoli collegi, sono composte da un candidato capolista e da un elenco di candidati, tra i quali ultimi l'elettore puo' esprimere fino a due preferenze per candidati di sesso diverso scelti tra quelli non capilista. Il giudice a quo, dopo aver illustrato il sistema introdotto dalla legge n. 52 del 2015 e aver ricordato i contenuti della sentenza n. 1 del 2014 di questa Corte, osserva che, in linea di principio, un sistema misto - «in parte blindato ed in parte preferenziale» - potrebbe ritenersi coerente con le indicazioni di quella pronuncia. Dubita, tuttavia, che il sistema cosi' introdotto garantisca all'elettore la possibilita' di esprimere un voto diretto, libero e personale, in quanto, particolarmente per gli elettori che votano per le liste di minoranza, potrebbe concretamente realizzarsi un effetto distorsivo dovuto al formarsi di una rappresentanza parlamentare largamente dominata dai capilista bloccati, «pur se con il correttivo della multicandidatura». Il giudice a quo, in altri termini, osserva che, con alta probabilita', solo la lista che consegue il premio otterra' eletti con le preferenze, mentre gli eletti nelle liste di minoranza saranno unicamente o perlopiu' capilista bloccati. E cio', egli sottolinea, pur con il correttivo della «multicandidatura»: il rimettente, dunque, non intende censurare la disposizione che consente ai capilista di candidarsi in piu' collegi (al massimo dieci), ma si mostra, anzi, consapevole del fatto che tale possibilita' puo' produrre l'effetto di liberare seggi per candidati scelti attraverso il voto di preferenza (ad esempio, se una lista presenta dieci capilista diversi, ciascuno candidato in dieci collegi, potrebbe ottenere, al massimo, dieci eletti senza preferenze; se, all'estremo opposto, quella lista presenta un diverso capolista in ciascuno dei cento collegi, potrebbe avere fino a cento eletti senza preferenze). Ciononostante, il rimettente lamenta la violazione della liberta' del diritto di voto degli elettori delle liste di minoranza. Mentre, infatti, la lista che consegue il premio di maggioranza, ottenendo 340 seggi, avra' con certezza almeno 240 deputati eletti con le preferenze (e anche di piu' se - come detto - i capilista si candidano in piu' collegi), alle liste perdenti non potranno che essere attribuiti i restanti 278 seggi e, se tali liste sono in numero superiore a tre, in teoria potrebbero ottenere soltanto deputati eletti senza preferenze. 11.1.- Preliminarmente all'esame del merito della questione, va rilevato che sono inammissibili le censure proposte con riferimento agli artt. 1, primo e secondo comma, 2, 51, primo comma, 56, primo e quarto comma, Cost., in quanto non motivate, non essendo tali parametri costituzionali neppure evocati nella parte motiva, ma esclusivamente nel dispositivo (sentenze n. 59 del 2016, n. 248 del 2015, n. 100 del 2015; ordinanze n. 122 e n. 33 del 2016). Deve invece essere rigettata l'eccezione d'inammissibilita' dell'Avvocatura generale dello Stato, la quale assume che la questione sarebbe posta in modo contraddittorio. Il rimettente, essa sostiene, dapprima avrebbe affermato che la previsione di soli capilista bloccati e liste corte sarebbe conforme a quanto affermato, in materia, dalla giurisprudenza di questa Corte, per poi lamentare comunque che le disposizioni censurate si porrebbero in contrasto con l'art. 48 Cost. in relazione all'elezione dei candidati delle liste di minoranza. Inoltre, per la difesa statale, il rimettente avrebbe cosi' affermato, solo apoditticamente e senza dimostrarlo, che risulterebbero eletti «tutti e soli i capilista» di queste ultime. In realta', il giudice a quo, pur consapevole che le «multicandidature» dei capilista possono attenuare l'effetto lesivo che lamenta - l'elezione di soli candidati bloccati nelle liste di minoranza - ha tuttavia ritenuto prevalenti le conseguenze asseritamente incostituzionali delle disposizioni censurate, in quanto l'elezione di candidati con preferenze sarebbe comunque rimessa, per quelle liste, alle scelte dei singoli partiti. 11.2.- Cosi' formulata, la questione non e' fondata. Nella sentenza n. 1 del 2014, questa Corte rilevo' che il sistema allora vigente determinava la lesione della liberta' del voto garantita dall'art. 48, secondo comma, Cost., poiche' non consentiva all'elettore alcun margine di scelta dei propri rappresentanti, prevedendo un voto per una lista composta interamente da candidati bloccati, nell'ambito di circoscrizioni molto ampie e in presenza di liste con un numero assai elevato di candidati, potenzialmente corrispondenti all'intero numero dei seggi assegnati alla circoscrizione, percio' difficilmente conoscibili dall'elettore. In quel sistema, alla totalita' dei parlamentari, senza alcuna eccezione, mancava il sostegno della indicazione personale degli elettori, in lesione della logica della rappresentanza prevista dalla Costituzione. Simili condizioni di voto, che imponevano all'elettore di una lista di scegliere in blocco anche tutti i numerosi candidati in essa elencati - che non aveva avuto modo ne' di conoscere ne' di valutare - percio' automaticamente destinati, in ragione della posizione in lista, a diventare deputati o senatori, rendevano quella disciplina «non comparabile ne' con altri sistemi caratterizzati da liste bloccate solo per una parte dei seggi, ne' con altri caratterizzati da circoscrizioni elettorali di dimensioni territorialmente ridotte, nelle quali il numero dei candidati da eleggere sia talmente esiguo da garantire l'effettiva conoscibilita' degli stessi e con essa l'effettivita' della scelta e la liberta' del voto (al pari di quanto accade nel caso dei collegi uninominali)». In sostanza, mentre lede la liberta' del voto un sistema elettorale con liste bloccate e lunghe di candidati, nel quale e' in radice esclusa, per la totalita' degli eletti, qualunque indicazione di consenso degli elettori, appartiene al legislatore discrezionalita' nella scelta della piu' opportuna disciplina per la composizione delle liste e per l'indicazione delle modalita' attraverso le quali prevedere che gli elettori esprimano il proprio sostegno ai candidati. Alla luce di tali premesse, le disposizioni censurate non determinano una lesione della liberta' del voto dell'elettore, presidiata dall'art. 48, secondo comma, Cost. Il sistema elettorale previsto dalla legge n. 52 del 2015 si discosta da quello previgente per tre aspetti essenziali: le liste sono presentate in cento collegi plurinominali di dimensioni ridotte, e sono dunque formate da un numero assai inferiore di candidati; l'unico candidato bloccato e' il capolista, il cui nome compare sulla scheda elettorale (cio' che valorizza la sua preventiva conoscibilita' da parte degli elettori); l'elettore puo', infine, esprimere sino a due preferenze, per candidati di sesso diverso tra quelli che non sono capilista. Ne' e' irrilevante, nella complessiva valutazione di una siffatta disciplina, la circostanza che la selezione e la presentazione delle candidature (sentenze n. 429 del 1995 e n. 203 del 1975), nonche', come nel caso di specie, l'indicazione di candidati capilista, e' anche espressione della posizione assegnata ai partiti politici dall'art. 49 Cost., considerando, peraltro, che tale indicazione, tanto piu' delicata in quanto quei candidati sono bloccati, deve essere svolta alla luce del ruolo che la Costituzione assegna ai partiti, quali associazioni che consentono ai cittadini di concorrere con metodo democratico a determinare, anche attraverso la partecipazione alle elezioni, la politica nazionale. Si deve, per di piu', osservare che l'effetto del quale il giudice a quo in prevalenza si duole - le liste di minoranza potrebbero avere eletti solo tra i capilista bloccati - costituisce una conseguenza (certo rilevante politicamente) che deriva, di fatto, anche dal modo in cui il sistema dei partiti e' concretamente articolato, e che non puo', di per se', tradursi in un vizio d'illegittimita' costituzionale (sull'irrilevanza dei cosiddetti inconvenienti di fatto nel giudizio costituzionale, ex multis, sentenze n. 219 e n. 192 del 2016; ordinanze n. 122 e n. 93 del 2016). Inoltre e infine, come correttamente osserva l'Avvocatura generale dello Stato, molte sono le variabili in grado di determinare quanti candidati sono eletti con o senza preferenze: oltre al numero dei capilista candidati in piu' collegi, che possono liberare seggi da assegnare ad eletti con preferenze, rileva anche la diffusione, sul territorio nazionale, del consenso che ciascuna lista ottiene. L'effetto temuto presuppone che tale consenso sia omogeneamente diffuso per tutte le liste di minoranza. Laddove esso sia invece concentrato soprattutto in determinati collegi, una lista potra' conseguire, in questi, piu' di un seggio, eleggendo cosi', oltre al capolista, uno o piu' candidati con preferenze. 12.- I Tribunali ordinari di Torino, Perugia, Trieste e Genova, con argomenti largamente coincidenti, ritengono non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale avente ad oggetto l'art. 85 del d.P.R. n. 361 del 1957 (come modificato dall'art. 2, comma 27, della legge n. 52 del 2015), il quale prevede che il deputato eletto in piu' collegi plurinominali deve dichiarare alla Presidenza della Camera dei deputati, entro otto giorni dalla data dell'ultima proclamazione, quale collegio plurinominale prescelga. Secondo i rimettenti, tale disposizione consente al candidato capolista, eletto in piu' collegi plurinominali, di optare in base ad una sua mera valutazione di opportunita', e non subordina tale opzione ad alcun criterio oggettivo e predeterminato, rispettoso, nel massimo grado possibile, della volonta' espressa dagli elettori. Per tutti i giudici a quibus, tale disciplina violerebbe percio' gli artt. 3 e 48 Cost., in quanto il voto di preferenza espresso nei confronti di candidati non bloccati verrebbe vanificato nel collegio arbitrariamente prescelto dal candidato capolista eletto in piu' collegi: la sua opzione potrebbe, infatti, impedire l'attribuzione di un seggio ad un candidato che pure abbia ottenuto molti voti di preferenza, se il capolista sceglie quel collegio; al contrario, la sua scelta potrebbe determinare l'elezione di un candidato che abbia ottenuto anche un esiguo consenso personale, nel caso in cui il capolista non opti per tale collegio. Osserva, in particolare, il Tribunale ordinario di Torino (e gli altri rimettenti in termini analoghi) che l'arbitrarieta' della scelta del collegio da parte del capolista plurieletto determina un effetto di distorsione tra il voto di preferenza espresso dagli elettori e il suo esito "in uscita" in quel collegio. Tale effetto sarebbe lesivo dei principi di uguaglianza e liberta' del voto, senza che alcun valore costituzionale sia invocabile a tutela della disciplina censurata. 12.1.- In tutti i giudizi, l'Avvocatura generale dello Stato eccepisce l'inammissibilita' questione. I rimettenti sarebbero, infatti, incorsi in una contraddizione nella formulazione della motivazione e del petitum, poiche' avrebbero lamentato l'assenza di vincoli all'esercizio del diritto di opzione del candidato capolista, evocando percio' un intervento additivo o manipolativo di questa Corte, mentre nel dispositivo avrebbero sollecitato una pronuncia di tipo seccamente ablativo della disposizione. Osserva, inoltre, la difesa statale come una pronuncia di accoglimento della questione «determinerebbe un'inammissibile vuoto normativo che potrebbe avere come conseguenza l'impossibilita' di applicare la legge nella sua interezza», cio' che, secondo costante giurisprudenza costituzionale, non sarebbe possibile (sono ricordate le sentenze della Corte costituzionale n. 13 del 2012 e n. 29 del 1987). L'eccezione non e' fondata. Nella sostanza, l'obiezione dell'Avvocatura generale dello Stato - ad avviso della quale la questione dovrebbe incorrere in una pronuncia di inammissibilita' perche' sussiste in materia discrezionalita' legislativa, molteplici essendo le soluzioni idonee a colmare la lacuna derivante dall'accoglimento e nessuna risultando a rime costituzionalmente obbligate - finisce per confondersi con il merito stesso della censura, che deve percio' essere affrontato. 12.2.- La questione e' fondata. L'assenza nella disposizione censurata di un criterio oggettivo, rispettoso della volonta' degli elettori e idoneo a determinare la scelta del capolista eletto in piu' collegi, e' in contraddizione manifesta con la logica dell'indicazione personale dell'eletto da parte dell'elettore, che pure la legge n. 52 del 2015 ha in parte accolto, permettendo l'espressione del voto di preferenza. L'opzione arbitraria consente al capolista bloccato eletto in piu' collegi di essere titolare non solo del potere di prescegliere il collegio d'elezione, ma altresi', indirettamente, anche di un improprio potere di designazione del rappresentante di un dato collegio elettorale, secondo una logica idonea, in ultima analisi, a condizionare l'effetto utile dei voti di preferenza espressi dagli elettori. Obietta l'Avvocatura generale dello Stato che, nel sistema elettorale proporzionale antecedente al 1993, ai candidati eletti in piu' collegi era costantemente attribuita una libera facolta' di scelta del collegio d'elezione. Ricorda, inoltre, la sentenza n. 104 del 2006 di questa Corte, in cui si e' affermato che «[i]l diritto di optare per una delle circoscrizioni nelle quali il candidato e' risultato eletto costituisce il modo per consentirgli di instaurare uno specifico legame, in termini di rappresentanza politica, con il corpo degli elettori appartenenti ad un determinato collegio ed e' esplicazione del diritto di elettorato passivo, garantito a tutti i cittadini dall'art. 51, primo comma, Cost.». A tali osservazioni e' agevole replicare che nel sistema elettorale antecedente al 1993, come pure nel sistema per l'elezione dei membri italiani al Parlamento europeo, cui specificamente si riferisce la sentenza invocata, il voto di preferenza poteva essere accordato a qualunque candidato, il quale, se eletto in piu' circoscrizioni, ragionevolmente poteva scegliere a discrezione quella in cui essere proclamato. Inoltre, l'accesso alle multicandidature non era riservato ai capilista, ma anche agli altri candidati. Ben diverso e' il sistema introdotto dalla legge n. 52 del 2015: in questo, solo i capilista sono bloccati e possono candidarsi in piu' collegi, e sono costoro a determinare poi, con la loro opzione, l'elezione - o la mancata elezione - di candidati che hanno invece ottenuto voti di preferenza. Da questo punto di vista, non errano i giudici a quibus laddove lamentano che l'opzione arbitraria affida irragionevolmente alla decisione del capolista il destino del voto di preferenza espresso dall'elettore nel collegio prescelto, determinando una distorsione del suo esito in uscita, in violazione non solo del principio dell'uguaglianza ma anche della personalita' del voto, tutelati dagli artt. 3 e 48, secondo comma, Cost. Ne' la garanzia di alcun altro interesse di rango costituzionale potrebbe bilanciare tale lesione, poiche' la libera scelta dell'ambito territoriale in cui essere eletto - al fine di instaurare uno specifico legame, in termini di responsabilita' politica, con il corpo degli elettori appartenenti ad un determinato collegio - potrebbe semmai essere invocata da un capolista che in quel collegio abbia guadagnato l'elezione con le preferenze, ma non certo, ed in ipotesi a danno di candidati che le preferenze hanno ottenuto, da un capolista bloccato. Accertata l'illegittimita' costituzionale dell'art. 85 del d.P.R. n. 361 del 1957 (come modificato dall'art. 2, comma 27, della legge n. 52 del 2015) nella parte in cui consente l'opzione arbitraria, questa Corte deve riconoscere - nella rigorosa osservanza dei limiti dei propri poteri, tanto piu' in materia elettorale, connotata da ampia discrezionalita' legislativa (sentenze n. 1 del 2014, n. 242 del 2012, n. 271 del 2010, n. 107 del 1996, n. 438 del 1993; ordinanza n. 260 del 2002) - che piu' d'uno sono, in realta', i possibili criteri alternativi, coerenti con la disciplina della legge n. 52 del 2015 in tema di candidature e voto di preferenza. Infatti, e solo in via meramente esemplificativa, secondo una logica volta a premiare il voto di preferenza espresso dagli elettori, potrebbe stabilirsi che il capolista candidato in piu' collegi debba esser proclamato eletto nel collegio in cui il candidato della medesima lista - il quale sarebbe eletto in luogo del capolista - abbia riportato, in percentuale, meno voti di preferenza rispetto a quelli ottenuti dai candidati in altri collegi con lo stesso capolista. Ancora, secondo una logica assai diversa, tesa a valorizzare il rilievo e la visibilita' della sua candidatura, potrebbe invece prevedersi che il capolista candidato in piu' collegi debba essere proclamato eletto in quello dove la rispettiva lista ha ottenuto, sempre in percentuale, la maggiore cifra elettorale, in relazione agli altri collegi in cui lo stesso si era presentato quale capolista. La scelta tra questi ed altri possibili criteri, e tra i vantaggi e i difetti che ciascuno di essi presenta, appartiene alla ponderata valutazione del legislatore, e non puo' essere compiuta dal giudice costituzionale. Da tale considerazione, pero', non consegue la rinuncia al dovere, che questa Corte ha, di dichiarare costituzionalmente illegittima una disposizione che tale risulti, nella parte che i giudici a quibus effettivamente censurano. Infatti, all'esito della caducazione dell'art. 85 del d.P.R. n. 361 del 1957, nella parte in cui prevede che il deputato eletto in piu' collegi plurinominali debba dichiarare alla Presidenza della Camera dei deputati quale collegio nominale prescelga, permane, nella stessa disposizione, quale criterio residuale, quello del sorteggio. Tale criterio e' gia' previsto dalla porzione di disposizione non coinvolta dall'accoglimento della questione, e non e' dunque introdotto ex novo, in funzione sostitutiva dell'opzione arbitraria caducata: e' in realta' cio' che rimane, allo stato, dell'originaria volonta' del legislatore espressa nella medesima disposizione coinvolta dalla pronuncia di illegittimita' costituzionale. Il permanere del criterio del sorteggio restituisce pertanto, com'e' indispensabile, una normativa elettorale di risulta anche per questa parte immediatamente applicabile all'esito della pronuncia, idonea a garantire il rinnovo, in ogni momento, dell'organo costituzionale elettivo (da ultimo, sentenze n. 1 del 2014, n. 13 del 2012, n. 16 e n. 15 del 2008). Ma appartiene con evidenza alla responsabilita' del legislatore sostituire tale criterio con altra piu' adeguata regola, rispettosa della volonta' degli elettori. 13.- Il Tribunale ordinario di Genova solleva questioni di legittimita' costituzionale, per violazione degli artt. 1, secondo comma, 3 e 48, secondo comma, Cost., dell'art. 83, comma 3, del d.P.R. n. 361 del 1957, come sostituito dall'art. 2, comma 25, della legge n. 52 del 2015. Il giudice a quo parrebbe lamentare che il meccanismo di attribuzione dei seggi, nella Regione autonoma Trentino-Alto Adige, determini una violazione della rappresentativita' delle minoranze politiche nazionali, nel caso in cui queste non siano collegate con una lista vincitrice di seggi in tale Regione a statuto speciale. Poiche' i seggi assegnati nella Regione Trentino-Alto Adige concorrono a determinare il numero dei seggi attribuiti, a livello nazionale, sia alla lista che consegue il premio di maggioranza sia alle liste di minoranza; e poiche', in particolare, il numero effettivo dei seggi da distribuire tra le liste di minoranza e' variabile, dipendendo da quanti seggi siano gia' assegnati a tali liste, purche' collegate con candidati nei collegi uninominali in tale Regione, il rimettente sembra assumere che le liste di minoranza non collegate risulterebbero penalizzate, concorrendo all'assegnazione di un numero inferiore di seggi. 13.1.- L'Avvocatura generale dello Stato eccepisce l'inammissibilita' della questione per plurime ragioni. Sussisterebbe innanzitutto un difetto di motivazione sulla non manifesta infondatezza, essendo l'ordinanza di rimessione assistita, per questa parte, da argomentazioni sintetiche e il giudice a quo sarebbe inoltre incorso in un'aberratio ictus, avendo sottoposto a censura la sola disposizione che prevede l'assegnazione dei seggi, in ragione proporzionale, alle liste che a livello nazionale non conseguono il premio - ossia l'art. 83, comma 3, del d.P.R. n. 361 del 1957, come modificato dall'art. 2, comma 25, della legge n. 52 del 2015 - e non, invece, le disposizioni che determinano realmente l'effetto in tesi lamentato, ossia gli artt. 92-bis, 92-ter e 92-quater (in particolare, il suo comma 7), del medesimo d.P.R. n. 361 del 1957, i quali regolano l'assegnazione dei seggi in Trentino-Alto Adige, e che sono stati introdotti dall'art. 2, commi 29, 30, 31 e 32, della legge n. 52 del 2015 Tali eccezioni sono fondate e la questione e' pertanto inammissibile. In primo luogo, le disposizioni produttive dell'effetto lamentato non sono quelle censurate dal giudice a quo, ma quelle diverse che correttamente la difesa statale identifica. E' del resto lo stesso rimettente, riferendo la doglianza delle parti del giudizio principale, a ricordare espressamente che queste avevano eccepito anche l'illegittimita' costituzionale dell'art. 2, commi 29, 30, 31 e 32, della legge n. 52 del 2015, cioe' proprio delle disposizioni che avrebbe dovuto sottoporre a scrutinio di legittimita' costituzionale. Ma di tali disposizioni non e' riportato, nell'ordinanza di rimessione, nemmeno il contenuto e, soprattutto, il dispositivo della stessa censura, infine, il solo art. 83, comma 3, del d.P.R. n. 361 del 1957. In secondo luogo, la prospettazione del rimettente, che non si da' peraltro carico di illustrare il meccanismo elettorale della cui legittimita' costituzionale dubita, appare talmente sintetica da rendere oscura la complessiva censura sollevata (sentenze n. 102 del 2016, n. 247 del 2015; ordinanze n. 227, n. 118, n. 47 e n. 32 del 2016). Non e' chiarito a quali «minoranze nazionali» il rimettente intenda riferirsi, ed e' solo presumibile che l'ordinanza alluda (non gia' a minoranze linguistiche non protette ma) alle liste di minoranza a livello nazionale, cioe' a minoranze politiche. Ancora, non sono esaurientemente descritte le ragioni per cui tali liste di minoranza risulterebbero discriminate nell'assegnazione dei seggi, tutte avendo, in linea teorica, la possibilita' di apparentarsi con i candidati nei collegi uninominali della Regione Trentino-Alto Adige. Non e' spiegato per quali ragioni il meccanismo elettorale genericamente lamentato costituisca «uno degli ulteriori effetti indiretti del doppio turno», dal momento che, secondo la legge n. 52 del 2015, una ripartizione proporzionale dei seggi alle liste di minoranza avviene ovviamente anche quando il premio e' assegnato al primo turno. Infine, non si comprende perche' il rimettente lamenti le conseguenze negative derivanti dall'attribuzione di soli tre seggi in ragione proporzionale, quando l'effetto che presumibilmente sospetta d'illegittimita' costituzionale deriverebbe, piuttosto, dal sistema di distribuzione dei complessivi undici seggi assegnati a tale Regione a statuto speciale (otto con sistema maggioritario e tre con riparto proporzionale). 14.- Il Tribunale ordinario di Messina sospetta l'illegittimita' costituzionale di due disposizioni del d.lgs. n. 533 del 1993, relativo all'elezione del Senato, e in particolare degli artt. 16, comma 1, lettera b), e 17, i quali stabiliscono la percentuale di voti che le coalizioni di liste e le liste non collegate devono conseguire, in ciascuna Regione, per accedere al riparto dei seggi. Nel proprio percorso argomentativo, particolarmente sintetico, il giudice a quo, dapprima ricorda che le disposizioni relative alle soglie di sbarramento previste dal vigente sistema elettorale del Senato hanno contenuti diversi rispetto a quelli previsti dalla legge elettorale n. 52 del 2015 per l'elezione della Camera, e che tale differenza pregiudicherebbe l'obbiettivo della governabilita', potendosi formare maggioranze non coincidenti nei due rami del Parlamento. Quindi, assume la non manifesta infondatezza della questione, per violazione degli artt. 1, 3, 48, secondo comma, 49 e 51 Cost., limitandosi a ricordare che la sentenza n. 1 del 2014 di questa Corte, nel dichiarare l'illegittimita' costituzionale della disciplina relativa al premio di maggioranza per il Senato, aveva affermato che quella disciplina comprometteva il funzionamento della forma di governo parlamentare. 14.1.- Cosi' formulata, la questione e' inammissibile, per insufficiente motivazione sulla non manifesta infondatezza e oggettiva oscurita' del petitum. Il rimettente solleva questioni di legittimita' costituzionale sulle disposizioni che prevedono le soglie di sbarramento per l'elezione del Senato senza confrontare tali soglie con quelle introdotte dalla legge n. 52 del 2015 (che neppure cita), per poi dedurne che la diversita' dei due sistemi elettorali pregiudicherebbe la formazione di maggioranze omogenee nei due rami del Parlamento, in asserita lesione dei parametri costituzionali ricordati. Non illustra, tuttavia, le ragioni per cui sarebbero le diverse soglie di sbarramento, e non altre, e assai piu' rilevanti, differenze riscontrabili tra i due sistemi elettorali (ad esempio, un premio di maggioranza previsto solo dalla disciplina elettorale per la Camera), ad impedire, in tesi, la formazione di maggioranze omogenee nei due rami del Parlamento. Lamenta, inoltre, la lesione di plurimi parametri costituzionali (gli artt. 1, 3, 48, secondo comma, 49 e 51 Cost.), dai contenuti e dai significati all'evidenza diversi, senza distintamente motivare le ragioni per le quali ciascuno sarebbe violato. Per costante giurisprudenza di questa Corte (ex multis, sentenze n. 120 del 2015, n. 236 del 2011; ordinanze n. 26 del 2012, n. 321 del 2010 e n. 181 del 2009), tuttavia, non basta l'indicazione delle norme da raffrontare, per valutare la compatibilita' dell'una rispetto al contenuto precettivo dell'altra, ma e' necessario motivare il giudizio negativo in tal senso e, se del caso, illustrare i passaggi interpretativi operati al fine di enucleare i rispettivi contenuti di normazione. La singolarita' della prospettazione risiede anche nella circostanza che essa non chiarisce quale delle due diverse discipline, quanto all'entita' delle soglie di sbarramento, dovrebbe essere uniformata all'altra; mentre sembra sfuggire al rimettente che l'ipotetico accoglimento della questione sollevata condurrebbe semplicemente alla caducazione delle censurate disposizioni della legge elettorale del Senato, derivandone il permanere di una distinta diversita' tra i due sistemi: nessuna soglia di sbarramento a livello regionale nella disciplina del Senato, e il mantenimento di una soglia del 3 per cento, calcolata a livello nazionale, per la Camera. 15.- Il Tribunale ordinario di Messina solleva, infine, questione di legittimita' costituzionale dell'art. 2, comma 35, della legge n. 52 del 2015, in virtu' del quale le disposizioni contenute nel medesimo art. 2, cioe' quelle che apportano modifiche al d.P.R. n. 361 del 1957, ridisegnando il sistema per l'elezione della Camera dei deputati, si applicano a decorrere dal 1° luglio 2016. Il giudice a quo ritiene che tale previsione violi gli artt. 1, 3, 48, primo comma, 49, 51, primo comma, e 56, primo comma, Cost., in quanto, «in caso di nuove elezioni a legislazione elettorale del Senato invariata (pur essendo in itinere la riforma costituzionale di questo ramo del Parlamento), si produrrebbe una situazione di palese ingovernabilita', per la coesistenza di due diverse maggioranze». Il rimettente ha sollevato la questione in epoca antecedente (17 febbraio 2016) all'approvazione in sede parlamentare (avvenuta in data 12 aprile 2016) del disegno di legge di revisione costituzionale finalizzato, tra l'altro, alla trasformazione del Senato della Repubblica e al superamento dell'assetto bicamerale paritario. Alla data dell'ordinanza di rimessione, la nuova legge elettorale per la Camera dei deputati era gia' entrata in vigore. Il legislatore, ipotizzando una rapida conclusione del procedimento di revisione costituzionale, e al fine di evitare la compresenza di due sistemi elettorali diversi, aveva disposto che tale legge fosse applicabile a decorrere dal 1° luglio 2016. Il giudice a quo, con prospettazione peraltro molto sintetica, censura proprio la scelta legislativa di differire l'efficacia delle nuove disposizioni al 1° luglio 2016, anziche' all'effettiva conclusione del procedimento di revisione costituzionale. Tale scelta e' ritenuta lesiva dei parametri costituzionali ricordati, poiche' consentirebbe, da quella data, che i due rami del Parlamento siano rinnovati con due sistemi elettorali differenti, sul presupposto che questa difformita' possa produrre maggioranze parlamentari non coincidenti. 15.1.- La questione e' inammissibile. Il rimettente si limita a sottoporre a generica ed assertiva critica la diversita' tra i due sistemi elettorali, senza indicare quali caratteri differenziati di tali due sistemi determinerebbero «una situazione di palese ingovernabilita', per la coesistenza di due diverse maggioranze». La mera affermazione di disomogeneita' e' insufficiente a consentire l'accesso della censura sollevata allo scrutinio di merito e alla identificazione di un petitum accoglibile. In secondo luogo, i parametri costituzionali la cui lesione e' lamentata (ossia gli artt. 1, 3, 48, primo comma, 49, 51, primo comma, e 56, primo comma, Cost.) sono evocati solo numericamente, senza una distinta motivazione delle ragioni per le quali ciascuno sarebbe violato. Vale anche in tal caso il richiamo alla giurisprudenza costituzionale (citata supra, punto 14) che sottolinea come non sia sufficiente l'indicazione delle norme da raffrontare, per valutare la compatibilita' dell'una rispetto al contenuto precettivo dell'altra, ma sia necessario motivare il giudizio negativo in tal senso e illustrare i passaggi interpretativi operati al fine di enucleare i rispettivi contenuti di normazione. Peraltro, non e' nemmeno lamentata dal rimettente la lesione delle due disposizioni costituzionali che dovrebbero necessariamente venire in considerazione (cioe' gli artt. 94, primo comma, e 70 Cost.) laddove si intenda sostenere che due leggi elettorali «diverse» compromettano, sia il funzionamento della forma di governo parlamentare delineata dalla Costituzione repubblicana, nella quale il Governo deve avere la fiducia delle due Camere, sia l'esercizio della funzione legislativa, attribuita collettivamente a tali due Camere. 15.2.- Fermo restando quanto appena affermato, questa Corte non puo' esimersi dal sottolineare che l'esito del referendum ex art. 138 Cost. del 4 dicembre 2016 ha confermato un assetto costituzionale basato sulla parita' di posizione e funzioni delle due Camere elettive. In tale contesto, la Costituzione, se non impone al legislatore di introdurre, per i due rami del Parlamento, sistemi elettorali identici, tuttavia esige che, al fine di non compromettere il corretto funzionamento della forma di governo parlamentare, i sistemi adottati, pur se differenti, non ostacolino, all'esito delle elezioni, la formazione di maggioranze parlamentari omogenee.