ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nei giudizi di legittimita' costituzionale  dell'art.  43,  primo
comma,  lettera  a),  del  regio  decreto  18  giugno  1931,  n.  773
(Approvazione del testo unico delle  leggi  di  pubblica  sicurezza),
promossi dal  Tribunale  amministrativo  regionale  per  la  Toscana,
sezione seconda, e dal  Tribunale  amministrativo  regionale  per  il
Friuli-Venezia Giulia,  sezione  prima,  con  una  ordinanza  del  16
gennaio e due ordinanze dell'11 giugno 2018, iscritte rispettivamente
ai numeri 79, 147 e 148 del  registro  ordinanze  2018  e  pubblicate
nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica numeri 21 e 42, prima serie
speciale, dell'anno 2018. 
    Visti gli atti di intervento del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio del  20  marzo  2019  il  Giudice
relatore Francesco Vigano'. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza del 16 gennaio 2018 (r. o. n. 79 del 2018),  il
Tribunale amministrativo regionale per la Toscana,  sezione  seconda,
ha sollevato, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, questione
di legittimita' costituzionale dell'art. 43, primo comma, lettera a),
del regio decreto 18 giugno 1931,  n.  773  (Approvazione  del  testo
unico delle leggi di pubblica sicurezza), «nella parte in cui prevede
un generalizzato divieto di rilasciare il porto d'armi  alle  persone
condannate a pena detentiva per il reato di  furto  senza  consentire
alcun  apprezzamento   discrezionale   all'Autorita'   amministrativa
competente». 
    1.1.- Il giudice a quo premette di essere chiamato a pronunciarsi
su un ricorso diretto all'annullamento del provvedimento con  cui  e'
stata respinta l'istanza di rinnovo della licenza di porto di  fucile
per  uso  venatorio   presentata   dal   ricorrente   alla   questura
territorialmente competente. 
    L'istanza in parola era stata respinta in  quanto  il  ricorrente
risultava condannato, con sentenza della Corte d'Appello  di  Firenze
pronunciata il 25 gennaio 1980 e  divenuta  irrevocabile,  alla  pena
detentiva di due anni di reclusione e 200.000 lire  di  multa  per  i
delitti di «furto aggravato e falso titolo di credito». 
    Il ricorrente esponeva nel giudizio a quo di  avere  ottenuto  la
riabilitazione, la quale a suo avviso  avrebbe  dovuto  escludere  il
prodursi di un automatico effetto  ostativo  al  rilascio  del  porto
d'armi in seguito a una pregressa  condanna  alla  reclusione,  tanto
piu' se assai risalente nel tempo. Il ricorrente osservava inoltre di
avere, in passato, ottenuto il porto d'armi per uso venatorio,  e  di
avere pertanto soltanto  chiesto  il  rinnovo  di  una  licenza  gia'
concessagli, sottolineando infine di avere sempre mantenuto, dopo  la
condanna in questione, una condotta di vita specchiata. 
    1.2.- Rilevato che il ricorrente ha ottenuto, rispettivamente, la
riabilitazione nel 1991, e il primo rilascio del porto d'armi per uso
venatorio gia' nel 1986, e successivi provvedimenti  di  rinnovo  del
titolo senza soluzione di continuita' fino  all'istanza  attuale,  il
giudice rimettente osserva che la disposizione  censurata,  a  tenore
della quale «non puo' essere conceduta la licenza di  portare  armi»,
tra l'altro, «a chi ha riportato condanna alla reclusione per delitti
non colposi contro le  persone  commessi  con  violenza,  ovvero  per
furto, rapina, estorsione, sequestro di persona a scopo di  rapina  o
di estorsione», e' stata oggetto di due contrapposte  interpretazioni
da parte del Consiglio di Stato. 
    In base al primo e piu' risalente orientamento,  qualora  per  il
reato  ostativo  al  rilascio   del   titolo   sia   intervenuta   la
riabilitazione  ai   sensi   dell'art.   178   del   codice   penale,
l'automatismo preclusivo posto dalla disposizione censurata  verrebbe
meno,  aprendosi  cosi'  la   possibilita'   di   un   «apprezzamento
discrezionale prognostico  da  parte  dell'Amministrazione»,  si'  da
tener conto non solo del reato commesso,  ma  anche  di  «ogni  altro
fatto utile a tale scopo come  i  pregressi  rilasci  o  rinnovi  del
titolo; la condotta tenuta nel tempo dall'interessato e, in generale,
ogni elemento utile a far luce  sulla  personalita'  dell'interessato
medesimo, compresa la riabilitazione» (sono citate  le  sentenze  del
Consiglio di Stato, sezione terza, 4 marzo 2015, n. 1072;  10  luglio
2013, n. 3719; 12 febbraio 2013, n. 822). 
    Rileva tuttavia il giudice a quo che tale indirizzo e' stato piu'
di recente superato da un parere e da una sentenza del  Consiglio  di
Stato (Consiglio di Stato, sezione prima, parere 11 luglio  2016,  n.
1620; sezione terza, sentenza 9 novembre 2016, n. 4660).  In  base  a
questo piu' recente orientamento, la  licenza  di  porto  d'armi  non
potrebbe essere concessa - e quella rilasciata  andrebbe  ritirata  -
nel caso di condanna per uno dei reati elencati  all'art.  43,  primo
comma, del TULPS, anche in presenza di  riabilitazione.  Quest'ultima
avrebbe infatti soltanto l'effetto di estinguere gli "effetti  penali
della condanna" strettamente intesi,  ossia  quegli  effetti  che  si
producono sulla successiva  applicazione  della  sola  legge  penale,
sostanziale o processuale. Solo per le "autorizzazioni di polizia" di
cui all'art. 11 del TULPS,  d'altra  parte,  il  legislatore  avrebbe
espressamente inteso dare rilievo alla  riabilitazione,  al  fine  di
rendere flessibile la regola del diniego del titolo a chi ha commesso
determinati reati; non altrettanto avrebbe stabilito  il  legislatore
in relazione alle regole speciali sulla "licenza di portare armi"  di
cui all'art. 43 in  esame.  Tale  distinzione  sarebbe  basata  sulla
diversa natura delle attivita' sottoposte ad  autorizzazione:  mentre
le autorizzazioni di polizia di cui  all'art.  11  hanno  ad  oggetto
attivita' lavorative, l'art. 43 si riferisce a uno specifico  settore
nel quale non e' in discussione la possibilita' di  svolgere  o  meno
un'attivita'  lavorativa,  ma  sono  coinvolti   particolari   valori
concernenti la tutela dell'ordine  e  della  sicurezza  pubblica.  Ne
deriverebbe che, in presenza  di  condanna  dell'interessato  a  pena
detentiva,  non   residuerebbe   alcun   margine   di   apprezzamento
discrezionale per l'amministrazione, la  quale  sarebbe  vincolata  a
negare (o revocare) la licenza. 
    1.3.- Il giudice a quo ritiene dunque che,  sulla  base  di  tale
piu' recente orientamento del Consiglio di Stato, il ricorso dovrebbe
essere respinto. 
    1.4.-   Il   Tribunale   rimettente   dubita,   tuttavia,   della
legittimita' costituzionale dell'art. 43, primo  comma,  lettera  a),
del TULPS, cosi' come interpretato dalla giurisprudenza piu'  recente
del Consiglio di Stato, in riferimento al principio di ragionevolezza
di cui all'art. 3 Cost. 
    Posto, infatti, che il divieto assoluto e automatico di concedere
il porto d'armi e' indefettibilmente riconnesso dalla norma censurata
a un reato (il furto) che  e'  estraneo  all'uso  delle  armi  e  non
incide, in astratto, sul loro utilizzo, ad avviso del  rimettente  la
norma  eccederebbe  il  proprio  scopo,  identificato  nella  «tutela
dell'ordine  e  della  sicurezza  pubblica  sotto  il  profilo  della
verifica di affidabilita' dei soggetti cui viene concessa la  licenza
di portare armi». 
    Pur rammentando che questa Corte ha stabilito che la facolta'  di
portare e usare armi non costituisce oggetto di un diritto  assoluto,
bensi' rappresenta una deroga  eccezionale  al  generale  divieto  di
girare armati sancito dall'ordinamento, che  richiede  un  preventivo
accertamento dell'idoneita' e affidabilita' del soggetto  richiedente
(e' citata la sentenza n. 440 del 1993), il giudice a quo ritiene non
rispondente a tale esigenza di preventivo accertamento la  previsione
di «un divieto  automatico  e  generalizzato  derivante  da  condanne
penali dallo stesso [interessato] subite a lunga distanza di tempo  e
nemmeno incidenti direttamente sull'utilizzo delle armi, come  accade
nel caso di specie». L'inesistenza di qualsiasi potere di valutazione
discrezionale  dell'autorita'   amministrativa   apparirebbe   allora
eccessiva rispetto allo scopo della norma, tanto piu'  in  casi  come
quello in esame, in cui il titolo abilitativo era stato costantemente
rinnovato dall'autorita' di polizia. 
    Il rimettente  osserva  in  proposito  che  questa  Corte,  nella
sentenza n. 202 del 2013, relativa al diniego di rilascio  o  rinnovo
del permesso di soggiorno allo straniero condannato  per  determinati
reati, ha rilevato che «gli automatismi procedurali  sono  basati  su
una presunzione assoluta di pericolosita' e devono  quindi  ritenersi
arbitrari laddove non rispondono a dati di esperienza  generalizzati,
quando cioe' sia  agevole  formulare  ipotesi  di  accadimenti  reali
contrari  alla  generalizzazione  posta  a  base  della   presunzione
stessa». 
    Nel caso  di  specie,  ad  avviso  del  rimettente,  si  potrebbe
facilmente formulare una tale ipotesi gia'  «sulla  scorta  dei  dati
esperienziali desumibili dagli atti di causa», non  risultando  alcun
episodio connotato da un cattivo  utilizzo  dell'arma  da  parte  del
ricorrente in tutto l'esteso lasso di tempo in cui egli aveva  goduto
della licenza di portare armi.  D'altra  parte,  l'automatismo  della
preclusione in questione risulterebbe irragionevole, nella misura  in
cui collega  indefettibilmente  il  diniego  del  porto  d'armi  alla
commissione di un reato, quale il furto, non connesso  all'uso  delle
armi. E l'automatismo apparirebbe  tanto  piu'  ingiustificabile  se,
come nel caso de quo, sia intervenuta la  riabilitazione,  «la  quale
presuppone che il condannato abbia dato prove effettive e costanti di
buona condotta al fine di un  giudizio  prognostico  sul  suo  futuro
comportamento (art. 179, comma primo, c.p.)». 
    2.- E' intervenuto il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,
rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura   generale   dello   Stato,
chiedendo che la questione sia dichiarata infondata. 
    Premesso  che  «nel  vigente  ordinamento  non  sono  previste  e
tutelate posizioni di diritto soggettivo in ordine alla detenzione  e
al porto di armi», l'Avvocatura generale dello Stato  rammenta  come,
con la sentenza n. 440 del 1993, questa Corte abbia  rilevato  che  i
titoli connessi all'uso e al  porto  delle  armi  non  rientrano  nel
regime ordinario delle autorizzazioni, costituendo delle eccezioni ad
un preciso divieto sancito dall'art. 699, cod. pen., e  dall'art.  4,
primo comma, della legge 18 aprile 1975, n.  110  (Norme  integrative
della disciplina vigente per il controllo delle armi, delle munizioni
e degli esplosivi), assistite  da  particolari  cautele  che  possono
legittimamente  configurarsi  solo   a   seguito   di   rilascio   di
autorizzazione da parte dell'autorita'. 
    Secondo  l'Avvocatura  generale  dello  Stato,  l'inclusione  del
delitto di furto nel catalogo dei  reati  ostativi  al  provvedimento
abilitativo in  questione  non  potrebbe  reputarsi  irragionevole  e
ingiustificato, trattandosi «di delitto c.d. predatorio, in ordine al
quale gia' il codificatore del 1930 aveva  previsto  quale  specifica
aggravante, peraltro ad effetto speciale, quella del portare  indosso
armi, senza farne uso (cfr. art. 625,  comma  1,  n.  3)  c.p.)».  Di
talche' «chi si sia reso responsabile di  questo  delitto,  ben  puo'
essere ritenuto in grado di attentare all'altrui patrimonio con l'uso
di armi o, quanto meno, portandole con se', pur senza farne uso». 
    L'automatismo   in   questione,   pertanto,   costituirebbe   per
l'Avvocatura generale dello  Stato  «un  riflesso  del  principio  di
stretta legalita', permeante  l'intera  disciplina  delle  armi»,  il
quale  consentirebbe  «di  scongiurare  possibili  arbitri  da  parte
dell'Autorita', assicurando un trattamento uniforme ai cittadini tale
da evitare disparita' di trattamento», rischio  invece  prefigurabile
ove  si  sostituisse  l'automatismo  con  una  valutazione  di   tipo
discrezionale (sono citate le sentenze di questa  Corte  n.  202  del
2013 e n. 148 del 2008, nonche' l'ordinanza n.  146  del  2002).  Ne'
varrebbe obiettare che, nel caso di specie, l'interessato  non  abbia
mai dato causa ad alcun episodio di  cattivo  utilizzo  dell'arma  in
trent'anni. Per superare la presunzione di  pericolosita'  posta  dal
legislatore occorrerebbero, infatti, «dati  statistici  rilevanti  su
ampia scala e ben piu' penetranti» del riferimento  al  singolo  caso
concreto operato dal giudice rimettente. 
    L'esclusione di margini  di  valutazione  discrezionale  in  capo
all'amministrazione  anche  in  caso  di  intervenuta  riabilitazione
penale  ex  art.  178  cod.  pen.,  nelle  fattispecie  di  cui  alla
disposizione censurata costituirebbe una  «scelta  incensurabile  del
legislatore  nel  rispetto   del   parametro   costituzionale   della
ragionevolezza ex  art.  3  Cost.».  Nello  specifico  settore  delle
licenze di porto d'armi,  infatti,  non  sarebbe  in  discussione  la
possibilita' di  svolgere  o  meno  un'attivita'  lavorativa,  mentre
sarebbero  coinvolti  «particolari  valori  concernenti   la   tutela
dell'ordine e della sicurezza pubblica». 
    In conclusione  il  porto  d'armi,  non  costituendo  un  diritto
assoluto  ma  rappresentando,  invece,  un'eccezione  al  divieto  di
portare le armi, «puo' divenire operante soltanto  nei  confronti  di
persone riguardo alle quali esista la perfetta e  completa  sicurezza
circa il buon uso delle  armi  stesse»;  il  che  spiegherebbe  anche
l'insufficienza della  riabilitazione  ai  fini  del  rilascio  della
relativa licenza. 
    3.- Con due ordinanze dell'11 giugno 2018 (r. o. n. 147 e n.  148
del   2018),   il   Tribunale   amministrativo   regionale   per   il
Friuli-Venezia  Giulia,  sezione  prima,   ha   sollevato   identiche
questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 43,  primo  comma,
lettera a), TULPS, «nella parte in cui stabilisce  che  "...non  puo'
essere conceduta la licenza di portare armi: a) a  chi  ha  riportato
condanna  alla  reclusione...  per  furto..."  per  contrasto  con  i
principi di eguaglianza, proporzionalita'  e  ragionevolezza  di  cui
all'art.  3  della  Costituzione,  nella  parte  in  cui  prevede  un
generalizzato divieto di rilasciare  il  porto  d'armi  alle  persone
condannate a pena detentiva per il reato di  furto  senza  consentire
alcun  apprezzamento   discrezionale   all'Autorita'   amministrativa
competente». 
    3.1.-  Pur  presentando  motivazioni  tra  loro  coincidenti,  le
ordinanze  originano  da  due  giudizi  amministrativi  vertenti   su
fattispecie non perfettamente sovrapponibili. 
    3.1.1.- Nel caso oggetto dell'ordinanza r. o. n. 147 del 2018, il
giudice rimettente  e'  chiamato  a  pronunciarsi  sui  dinieghi  del
rinnovo del porto d'armi di fucile  per  lo  sport  del  tiro  e  del
rinnovo della carta europea d'arma da fuoco, dinieghi che l'autorita'
amministrativa ha fondato  sull'art.  43  del  TULPS,  per  avere  il
ricorrente riportato una condanna detentiva definitiva per il delitto
di furto. 
    3.1.2.- Nel caso oggetto dell'ordinanza r. o. n.  148  del  2018,
invece, il giudice  rimettente  deve  pronunciarsi  sul  diniego  del
rinnovo della licenza per esercitare  l'industria  della  riparazione
delle armi comuni e sul connesso ordine di  immediata  cessazione  di
tale attivita', nonche' di chiusura al pubblico della stessa; diniego
che l'autorita' amministrativa ha fondato sull'art. 9,  primo  comma,
della legge n. 110 del 1975, ai sensi del quale «le autorizzazioni di
polizia prescritte per la fabbricazione, la raccolta,  il  commercio,
l'importazione,  l'esportazione,  la  collezione,  il  deposito,   la
riparazione e il trasporto di armi  di  qualsiasi  tipo  non  possono
essere rilasciate  alle  persone  che  si  trovino  nelle  condizioni
indicate nell'articolo 43 [del TULPS]». 
    Osserva il rimettente che, avendo  il  ricorrente  riportato  una
condanna a pena detentiva definitiva per il delitto di furto,  l'art.
43, primo  comma,  lettera  a),  del  TULPS  renderebbe  operante  la
condizione ostativa di cui all'art. 9, primo comma,  della  legge  n.
110 del 1975 rispetto alla  possibilita'  di  concedere  licenza  per
esercitare, tra l'altro, l'industria  della  riparazione  delle  armi
comuni. 
    3.2.-  Quanto  alla  rilevanza  delle  questioni,   entrambe   le
ordinanze evidenziano che la  disposizione  censurata  imporrebbe  il
rigetto dei ricorsi. 
    3.3.- Quanto poi alla non manifesta infondatezza delle questioni,
il giudice a quo muove parimenti dal confronto dei  due  orientamenti
interpretativi   formatisi   sulla   disposizione   censurata,   gia'
ampiamente illustrati dal TAR Toscana nell'ordinanza r. o. n. 79  del
2018 (supra, punto 1.2.). 
    Il rimettente, ritenuto di non  poter  aderire  «all'orientamento
cd. "evolutivo", ostandovi, allo  stato,  la  formulazione  letterale
della norma di cui e' stata fatta applicazione  nel  caso  specifico,
ma,  al  contempo,  di  non  poter  nemmeno   seguire   acriticamente
l'orientamento tradizionale, che non condivide», solleva questione di
legittimita' costituzionale nei termini e sotto  i  profili  indicati
supra, al punto 3. 
    Richiamando in entrambe le ordinanze gli argomenti svolti dal TAR
Toscana nell'ordinanza r. o. n. 79 del 2018,  il  rimettente  osserva
come questa Corte abbia ritenuto, nella sentenza  n.  202  del  2013,
l'arbitrarieta'  degli  automatismi  procedurali   fondati   su   una
presunzione assoluta di  pericolosita'  non  rispondente  a  dati  di
esperienza generalizzati, rispetto  ai  quali,  cioe',  «sia  agevole
formulare ipotesi di accadimenti reali contrari alla generalizzazione
posta a base della presunzione stessa». Si tratterebbe di  un'ipotesi
formulabile per  entrambi  i  casi  dei  giudizi  principali,  ove  i
ricorrenti hanno ottenuto, dopo  il  primo  rilascio  delle  licenze,
successivi rinnovi senza soluzione di  continuita',  senza  aver  mai
dato causa ad alcun episodio di cattivo  uso  delle  armi.  Nel  caso
dell'ordinanza r. o. n. 148  del  2018  (relativa  alla  licenza  per
esercitare  l'industria  della  riparazione   delle   armi   comuni),
soccorrerebbe l'ulteriore dato dell'intervenuto rinnovo della licenza
di porto d'armi di fucile per uso caccia ottenuto dal ricorrente  nel
2015,  con  un  provvedimento  fondato   proprio   sull'affidabilita'
dell'interessato. 
    Secondo il rimettente, inoltre,  l'irragionevolezza  della  norma
censurata emergerebbe  anche  dalla  considerazione  che,  oggi,  gli
autori di reati come quelli commessi  dai  ricorrenti  potrebbero  di
regola beneficiare dell'esclusione della punibilita' per  particolare
tenuita' del fatto prevista dall'art.  131-bis  cod.  pen.,  evitando
cosi' le conseguenze pregiudizievoli in ordine alla  possibilita'  di
ottenere la licenza di porto d'armi, subite,  per  mero  automatismo,
dai ricorrenti. 
    Il giudice a quo, infine, rileva  come  la  norma  censurata  non
consenta «di valorizzare in alcun modo la intervenuta riabilitazione,
sebbene non siano  sconosciute  all'ordinamento  ipotesi  in  cui  la
riabilitazione produce  effetti  che  vanno  al  di  la'  dell'ambito
penale». Una di tali  ipotesi  sarebbe  in  particolare  disciplinata
dall'art. 120, comma 1, del decreto legislativo 20  aprile  1992,  n.
285 (Nuovo codice della  strada),  che  «riconosce  espressi  effetti
favorevoli   di    carattere    amministrativo    ai    provvedimenti
riabilitativi,  pur  a  fronte  della   commissione   di   reati   di
significativa offensivita'  e  che,  con  particolare  riguardo  alle
esigenze di salvaguardare la sicurezza della circolazione, potrebbero
indurre a dubitare dell'effettivo riconseguimento  dell'affidabilita'
necessaria per ottenere il rilascio di una nuova patente di guida». 
    4.- In entrambi  i  giudizi  e'  intervenuto  il  Presidente  del
Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e  difeso   dall'Avvocatura
generale dello Stato, chiedendo  alternativamente  che  le  questioni
vengano dichiarate inammissibili o che vengano restituiti gli atti al
giudice a quo per una nuova valutazione  della  rilevanza  alla  luce
dello ius superveniens, e, in subordine,  che  le  questioni  vengano
dichiarate infondate. 
    4.1.- L'Avvocatura generale dello  Stato  rileva  preliminarmente
che, successivamente al  deposito  delle  ordinanze,  e'  entrato  in
vigore il  decreto  legislativo  10  agosto  2018,  n.  104,  recante
«Attuazione della direttiva (UE) 2017/853 del  Parlamento  europeo  e
del  Consiglio,  del  17  maggio  2017,  che  modifica  la  direttiva
91/477/CEE del Consiglio, relativa al controllo  dell'acquisizione  e
della detenzione di armi». In forza dell'art. 3, lettera e), di  tale
decreto legislativo, l'art. 43, secondo comma, del  TULPS,  e'  stato
modificato nel senso che «la licenza puo' essere ricusata ai soggetti
di cui al primo comma qualora sia intervenuta la riabilitazione». 
    Ad avviso dell'Avvocatura generale dello Stato, il nuovo  secondo
comma della disposizione  censurata  segnerebbe  il  venir  meno,  in
presenza di riabilitazione, della preclusione assoluta al possesso di
armi per i soggetti gia' condannati per furto  (o  per  taluno  degli
altri reati indicati al primo  comma  dell'articolo  censurato),  con
conseguente   attribuzione   all'amministrazione   di    un    potere
discrezionale sulla concessione o meno delle licenze in questione. 
    Stante l'intervenuta riabilitazione a favore  dei  ricorrenti  in
entrambi i giudizi a quibus, la questione  incidentale  non  potrebbe
essere decisa da questa Corte senza la previa restituzione degli atti
al giudice rimettente per un rinnovato  esame  della  rilevanza  alla
luce della nuova disposizione. 
    4.2.- In subordine, «ove non si  ritenesse  che  la  sopravvenuta
modifica normativa produca gli effetti sopra  rilevati  nel  presente
giudizio», l'Avvocatura generale dello Stato ritiene che la questione
vada dichiarata infondata per le medesime ragioni riferite supra,  al
punto 2. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Con ordinanza del 16 gennaio 2018 (r. o. n. 79 del 2018),  il
Tribunale amministrativo regionale per la Toscana,  sezione  seconda,
ha sollevato, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, questione
di legittimita' dell'art. 43, primo  comma,  lettera  a),  del  regio
decreto 18 giugno 1931, n. 773 (Approvazione del  testo  unico  delle
leggi  di  pubblica  sicurezza),  «nella  parte  in  cui  prevede  un
generalizzato divieto di rilasciare  il  porto  d'armi  alle  persone
condannate a pena detentiva per il reato di  furto  senza  consentire
alcun  apprezzamento   discrezionale   all'Autorita'   amministrativa
competente». 
    Con due distinte ordinanze dell'11 giugno 2018 (r. o. n. 147 e n.
148  del  2018),  il  Tribunale  amministrativo  regionale   per   il
Friuli-Venezia  Giulia,  sezione  prima,   ha   sollevato   identiche
questioni di legittimita' costituzionale della medesima disposizione. 
    2.-  I  tre   giudizi   devono   essere   riuniti,   in   ragione
dell'identita' delle questioni sollevate. 
    3.- La questione sollevata  dal  TAR  Friuli-Venezia  Giulia  con
l'ordinanza di cui al r. o. n. 148  del  2018  e'  inammissibile  per
aberratio ictus. 
    Come illustrato al punto 3.1.2. del Ritenuto in fatto,  nel  caso
oggetto del procedimento a quo il ricorrente impugna il provvedimento
di diniego del rinnovo della licenza per esercitare l'industria della
riparazione delle armi comuni  e  il  connesso  ordine  di  immediata
cessazione di tale attivita', nonche' di chiusura al  pubblico  della
stessa. La licenza in questione e'  tuttavia  disciplinata  non  gia'
dall'art. 43 del TULPS, censurato dal  rimettente,  ma  dall'art.  9,
primo comma, della legge 18 aprile 1975, n.  110  (Norme  integrative
della disciplina vigente per il controllo delle armi, delle munizioni
e degli esplosivi). 
    Quest'ultima disposizione prevede, al primo periodo, che «[o]ltre
quanto   stabilito   dall'art.   11   [del   TULPS],   e   successive
modificazioni,  le  autorizzazioni  di  polizia  prescritte  per   la
fabbricazione,   la   raccolta,   il    commercio,    l'importazione,
l'esportazione, la collezione,  il  deposito,  la  riparazione  e  il
trasporto di armi di qualsiasi tipo  non  possono  essere  rilasciate
alle persone che si trovino nelle condizioni  indicate  nell'articolo
43 dello stesso testo unico». 
    L'art. 43 del TULPS  e'  bensi'  richiamato  dall'art.  9,  primo
comma, della legge n. 110 del 1975, ma al solo fine  di  identificare
la classe di soggetti rispetto ai quali opera la speciale preclusione
posta dallo stesso art. 9. Tale preclusione - anche in considerazione
delle peculiarita' delle  attivita'  cui  si  riferisce  quest'ultima
disposizione, che comportano di regola la disponibilita' di  un  gran
numero di armi e sono pertanto connotate da elevata  pericolosita'  -
ha una propria  ragione  giustificativa,  evidentemente  distinta  da
quella che sorregge il richiamato art. 43. 
    La mancata censura della  disposizione  direttamente  applicabile
nel caso di specie  da  parte  dell'ordinanza  di  rimessione  rende,
pertanto, inammissibile la questione in essa prospettata. 
    4.- Non  puo'  invece  essere  accolta  la  richiesta,  formulata
dall'Avvocatura generale dello Stato, di restituzione degli atti  per
una  nuova  valutazione  delle  questioni   alla   luce   dello   ius
superveniens, in riferimento all'entrata in  vigore,  successivamente
alle ordinanze di rimessione r. o. n. 147 e  n.  148  del  2018,  del
decreto legislativo 10 agosto 2018, n. 104, recante «Attuazione della
direttiva (UE) 2017/853 del Parlamento europeo e del  Consiglio,  del
17 maggio 2017, che modifica la direttiva 91/477/CEE  del  Consiglio,
relativa al controllo dell'acquisizione e della detenzione di  armi»,
che ha tra l'altro modificato  il  secondo  comma  dell'art.  43  del
TULPS, in questa sede censurato. 
    Nella versione in vigore alla data delle ordinanze di rimessione,
l'art. 43, secondo comma, del TULPS disponeva che «[l]a licenza  puo'
essere ricusata ai condannati per delitto  diverso  da  quelli  sopra
menzionati [ossia per delitto diverso da quelli elencati al comma  1]
e a chi non puo' provare la sua buona condotta o non da'  affidamento
di non abusare  delle  armi».  In  seguito  alla  modifica  apportata
dall'art. 3, lettera e), del  citato  d.lgs.  n.  104  del  2018,  la
disposizione prevede oggi che «la licenza puo' essere ricusata» anche
«ai soggetti di  cui  al  primo  comma  qualora  sia  intervenuta  la
riabilitazione». 
    La  modifica  normativa  attenua,  dunque,  la  rigidita'   della
preclusione posta dal primo comma dell'art. 43 nei confronti  di  chi
abbia riportato condanne per i delitti ivi menzionati,  ripristinando
un   potere   discrezionale   dell'autorita'   amministrativa   nella
valutazione  dei  presupposti  della  concessione  della  licenza  di
portare armi allorche' il condannato abbia ottenuto la riabilitazione
ai sensi dell'art. 178 del codice penale. 
    La restituzione  degli  atti  ai  giudici  a  quibus  sollecitata
dall'Avvocatura generale dello Stato sarebbe  tuttavia  inutile,  dal
momento che la citata modifica normativa non potrebbe comunque essere
applicata nei giudizi di fronte agli stessi pendenti. In  virtu'  del
principio tempus regit actum,  infatti,  una  normativa  sopravvenuta
rispetto all'adozione dei provvedimenti amministrativi impugnati  non
puo' spiegare effetti nei giudizi di impugnazione  dei  provvedimenti
stessi (ex plurimis, sentenze n. 7 del 2019, n. 49 e n. 30 del  2016,
n. 151 del 2014 e n. 90 del 2013; ordinanza n. 76 del 2018). 
    5.- Nel merito, le questioni non sono fondate. 
    5.1.- L'art. 43 del TULPS prevede, al primo comma, che «[o]ltre a
quanto e' stabilito dall'art. 11 non puo' essere conceduta la licenza
di portare armi: a) a chi ha riportato condanna alla  reclusione  per
delitti non colposi contro le persone commessi con  violenza,  ovvero
per furto, rapina, estorsione, sequestro di persona a scopo di rapina
o di estorsione; b) a chi ha riportato condanna  a  pena  restrittiva
della liberta' personale per violenza o  resistenza  all'autorita'  o
per delitti contro la personalita'  dello  Stato  o  contro  l'ordine
pubblico; c) a chi ha riportato condanna per diserzione in  tempo  di
guerra, anche se amnistiato, o per porto abusivo di armi». 
    Secondo i giudici rimettenti, l'automatismo preclusivo  stabilito
dalla disposizione  censurata  -  automatismo  che,  secondo  i  piu'
recenti orientamenti del Consiglio di Stato,  non  lascerebbe  alcuno
spazio  a   valutazioni   discrezionali   da   parte   dell'autorita'
amministrativa - contrasterebbe con i principi di ragionevolezza e di
proporzionalita' sanciti dall'art. 3 Cost. 
    Cio' in quanto, in primo luogo,  la  disposizione  censurata  non
consentirebbe di attribuire alcun rilievo  a  circostanze  successive
alla condanna che attestino l'affidabilita' dell'interessato, come il
lungo tempo trascorso dalla condanna, l'avvenuta riabilitazione, o la
stessa ininterrotta concessione della licenza di porto  d'armi  senza
che si sia verificato alcun abuso da parte del suo titolare. 
    In secondo luogo, la disposizione sancirebbe irragionevolmente un
automatismo ostativo anche rispetto a fatti di reato  di  particolare
tenuita', che potrebbero oggi non dare luogo ad  alcuna  condanna  ai
sensi dell'art. 131-bis cod. pen. 
    Infine, il meccanismo  preclusivo  stabilito  dalla  disposizione
censurata darebbe  luogo  a  una  disciplina  irragionevolmente  piu'
severa di quella apprestata da altre disposizioni che - ad esempio in
materia di concessione della patente di guida - attribuiscono effetti
favorevoli alla riabilitazione intervenuta dopo la condanna. 
    5.2.- Questa Corte non condivide la  prospettazione  dei  giudici
rimettenti. 
    Come  ricordato  dagli  stessi  giudici  a   quibus   oltre   che
dall'Avvocatura generale dello Stato, questa  Corte  ha  sottolineato
nella sentenza n. 440 del 1993 che «il porto d'armi  non  costituisce
un diritto assoluto, rappresentando,  invece,  eccezione  al  normale
divieto di portare le armi e che puo' divenire operante soltanto  nei
confronti di  persone  riguardo  alle  quali  esista  la  perfetta  e
completa sicurezza circa il "buon  uso"  delle  armi  stesse»;  e  ha
osservato, altresi', che «[d]alla eccezionale permissivita' del porto
d'armi e dai rigidi  criteri  restrittivi  regolatori  della  materia
deriva che il controllo  dell'autorita'  amministrativa  deve  essere
piu' penetrante rispetto al controllo  che  la  stessa  autorita'  e'
tenuta ad effettuare con riguardo a provvedimenti permissivi di  tipo
diverso, talora volti a rimuovere ostacoli  a  situazioni  giuridiche
soggettive di cui sono titolari i richiedenti». 
    Proprio    in    ragione    dell'inesistenza,    nell'ordinamento
costituzionale  italiano,  di  un  diritto  di  portare  armi,   deve
riconoscersi  in   linea   di   principio   un   ampio   margine   di
discrezionalita' in capo al legislatore  nella  regolamentazione  dei
presupposti in presenza dei quali puo' essere concessa al privato  la
relativa licenza, nell'ambito di bilanciamenti che - entro il  limite
della  non  manifesta  irragionevolezza  -  mirino   a   contemperare
l'interesse dei soggetti che richiedono la licenza  di  porto  d'armi
per  motivi   giudicati   leciti   dall'ordinamento   e   il   dovere
costituzionale di tutelare, da parte  dello  Stato,  la  sicurezza  e
l'incolumita' pubblica (su tale dovere, ex plurimis, sentenze n.  115
del 1995, n. 218 del 1988, n. 4 del 1977, n. 31 del 1969 e n.  2  del
1956): beni, questi ultimi, che una diffusione incontrollata di  armi
presso i privati potrebbe porre in grave pericolo, e che pertanto  il
legislatore  ben  puo'  decidere  di  tutelare  anche  attraverso  la
previsione di requisiti soggettivi di  affidabilita'  particolarmente
rigorosi per chi intenda chiedere la licenza di portare armi. 
    Non puo', di conseguenza, ritenersi manifestamente  irragionevole
una disciplina, pur particolarmente severa come quella ora all'esame,
che sancisce un divieto assoluto  di  concessione  della  licenza  di
porto d'armi anche nei confronti di  chi  sia  stato  condannato  per
furto e abbia  ottenuto  la  riabilitazione,  dal  momento  che  tale
delitto comporta  pur  sempre  una  diretta  aggressione  ai  diritti
altrui, che pregiudica in maniera significativa la sicurezza pubblica
e al tempo stesso rivela una grave mancanza di rispetto delle  regole
basilari della convivenza civile da parte del suo autore. 
    Resta naturalmente libero il legislatore, entro il  limite  della
non  manifesta  irragionevolezza,  di   declinare   diversamente   il
bilanciamento tra i  contrapposti  interessi  in  gioco,  ad  esempio
attraverso previsioni - come quella introdotta  con  il  gia'  citato
d.lgs. n. 104 del 2018, della quale i ricorrenti nei giudizi a quibus
potranno ora avvalersi reiterando le rispettive domande alle questure
competenti - che attenuino la rigidita' della preclusione,  allorche'
sia intervenuta la riabilitazione del condannato.