ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 656,  comma
9, lettera a), del codice di procedura penale, promosso dal Tribunale
ordinario di Agrigento, sezione prima penale, in funzione di  giudice
dell'esecuzione, nel procedimento penale  a  carico  di  S.  P.,  con
ordinanza del 16  luglio  2018,  iscritta  al  n.  183  del  registro
ordinanze 2018 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 1, prima serie speciale, dell'anno 2019. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio del 18  giugno  2019  il  Giudice
relatore Francesco Vigano'. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza del 16 luglio 2018, iscritta al r.  o.  n.  183
del 2018, il Tribunale ordinario di Agrigento, sezione prima  penale,
in funzione di giudice dell'esecuzione, ha sollevato, in  riferimento
agli articoli 3, primo comma, e 27, terzo comma, della  Costituzione,
questioni di legittimita'  costituzionale  dell'art.  656,  comma  9,
lettera a), del codice  di  procedura  penale,  nella  parte  in  cui
stabilisce che la sospensione dell'esecuzione di cui al comma 5 della
medesima disposizione non puo'  essere  disposta  nei  confronti  dei
condannati per il delitto di furto  in  abitazione  di  cui  all'art.
624-bis, comma primo, del codice penale. 
    1.1.-  Espone   il   rimettente   di   essere   stato   investito
dell'incidente di esecuzione, ai sensi dell'art. 670 cod. proc. pen.,
promosso da un condannato per il delitto di furto  in  abitazione  di
cui all'art. 624-bis, comma primo, cod. pen., il  quale  chiedeva  la
sospensione dell'ordine di esecuzione della  pena  di  otto  mesi  di
reclusione e di 300 euro di multa emesso dal pubblico ministero, onde
poter presentare istanza di ammissione ad una misura alternativa alla
detenzione ai sensi dell'art. 656, comma 5, cod. proc. pen. 
    Tale istanza non potrebbe, peraltro, essere allo  stato  accolta,
ad essa ostando la previsione di cui alla disposizione censurata, che
per l'appunto vieta di sospendere l'esecuzione della  pena  detentiva
nei confronti, inter alios, dei condannati per il delitto di furto in
abitazione. 
    1.2.- Il giudice a quo  dubita,  tuttavia,  della  compatibilita'
della disposizione in parola con gli artt.  3,  comma  primo,  e  27,
comma terzo, Cost. 
    1.2.1.- La disposizione censurata violerebbe,  anzitutto,  l'art.
3, comma primo, Cost., in ragione del suo contrasto con i principi di
ragionevolezza, uguaglianza e proporzionalita'. 
    Se del  tutto  ragionevole  sarebbe  il  divieto  di  sospensione
dell'ordine di esecuzione nei confronti dei condannati per i  delitti
di cui all'art. 4-bis della legge  26  luglio  1975,  n.  354  (Norme
sull'ordinamento  penitenziario  e  sulla  esecuzione  delle   misure
privative e limitative della liberta'), i quali non  sono  ammessi  a
misure alternative se non al ricorrere  delle  stringenti  condizioni
poste dal medesimo art. 4-bis, la previsione di un tale divieto per i
condannati per furto in  abitazione  -  inserita  nella  disposizione
dall'art. 2, lettera m), del decreto-legge  23  maggio  2008,  n.  92
(Misure urgenti in materia di  sicurezza  pubblica),  convertito  con
modificazioni nella legge 24  luglio  2008,  n.  125  -  risulterebbe
invece irrazionale. Essa  determinerebbe  infatti,  da  un  lato,  un
ingiustificato deteriore  trattamento  per  il  furto  in  abitazione
rispetto alle omologhe figure del  furto  con  strappo  e  del  furto
pluriaggravato,  non  interessate  dal  divieto;  e,  dall'altro,  un
parimenti  ingiustificato  trattamento   deteriore   del   furto   in
abitazione rispetto ai piu' gravi delitti di  rapina  ed  estorsione,
parimenti non abbracciati - nelle forme non aggravate -  dal  divieto
in esame. 
    La previsione  censurata  si  esporrebbe  dunque,  a  parere  del
giudice a quo, ai medesimi rilievi che hanno condotto  questa  Corte,
nella  sentenza  n.  125  del  2016,  a  dichiarare  l'illegittimita'
costituzionale del divieto di sospensione dell'ordine di carcerazione
in relazione ai condannati per furto con strappo, previsto al secondo
comma  dello  stesso  art.  624-bis  cod.  pen.,  in   relazione   in
particolare  all'agevole  ipotizzabilita'  di  «casi  in   cui,   nel
progredire dell'azione delittuosa, il furto con strappo si  trasforma
in una rapina, per la  necessita'  di  vincere  la  resistenza  della
vittima, o anche in  una  rapina  impropria,  per  la  necessita'  di
contrastare la reazione  della  vittima  dopo  la  sottrazione  della
cosa». Con conseguente irragionevolezza - rilevata dalla sentenza  in
parola -  di  una  disciplina  che,  come  quella  allora  censurata,
prevedeva il divieto di sospendere l'ordine di esecuzione rispetto al
solo delitto di furto con strappo, ma non - in particolare - rispetto
a quello piu' grave di rapina, pur oggetto di una possibile,  e  anzi
agevolmente ipotizzabile, progressione criminosa. 
    La disposizione censurata  si  fonderebbe,  inoltre,  su  di  una
«aprioristica presunzione di pericolosita', oltrepassando  il  limite
della  non  manifesta  irragionevolezza  delle  scelte  legislative»,
colpendo anche chi abbia commesso un  reato  di  modesta  gravita'  e
abbia  riportato  condanna  a  una  pena  detentiva  breve,  come  il
condannato nel giudizio a quo. 
    1.2.2.-  La  disposizione  in  parola  violerebbe,  altresi',  il
principio rieducativo di cui all'art. 27, comma terzo, Cost. 
    L'applicazione  rigida  e  automatica  della  detenzione,   senza
possibilita' di valutazione - anteriore all'ingresso nell'istituto di
pena del  condannato  -  da  parte  del  tribunale  di  sorveglianza,
risulterebbe infatti in contrasto con il finalismo rieducativo  della
pena, che postulerebbe sempre una «valutazione  individualizzata  del
prevenuto» in relazione  alla  concedibilita'  o  meno  dei  benefici
previsti dall'ordinamento penitenziario. 
    1.2.3.- Infine - e «pur senza affiancare ai  parametri  "interni"
della prospettata  questione  di  legittimita'  costituzionale  [...]
quello "interposto" costituito dalla Convenzione Europea dei  Diritti
dell'Uomo» -, il giudice a quo osserva come la prospettata  questione
di   legittimita'   costituzionale   tragga   forza    anche    dalla
giurisprudenza della Corte europea dei  diritti  dell'uomo,  rispetto
agli obblighi da essa fissati nei confronti dell'ordinamento italiano
in relazione al  superamento  della  situazione  di  sovraffollamento
degli istituti penitenziari: esigenza alla quale sarebbe tra  l'altro
funzionale   il   meccanismo   della   sospensione    dell'esecuzione
dell'ordine di esecuzione della pena stabilito dall'art.  656,  comma
5, cod. proc. pen., irragionevolmente precluso ai condannati  per  il
delitto di furto in abitazione. 
    1.3.- Quanto alla rilevanza della questione nel giudizio  a  quo,
il rimettente osserva come l'istanza  del  condannato  sia  destinata
senz'altro a essere respinta sulla base della disposizione censurata,
insuscettibile di interpretazione conforme a Costituzione; mentre  il
suo  accoglimento  si  imporrebbe  nell'ipotesi  in  cui  essa  fosse
dichiarata illegittima in parte qua. 
    2.- E' intervenuto nel giudizio il Presidente del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, chiedendo che le questioni siano  dichiarate  inammissibili  e
infondate. 
    Ad avviso  dell'Avvocatura  generale  dello  Stato,  infatti,  la
scelta   legislativa   non    potrebbe    ritenersi    manifestamente
irragionevole, trovando essa fondamento nella pericolosita'  presunta
dell'autore del fatto; e cio' non diversamente da quanto  accade  nei
confronti dei condannati per rapina  aggravata,  ai  sensi  dell'art.
628, terzo comma, n. 3-bis, cod. pen., «nel comune presupposto che il
delitto sia commesso in abitazione», rispetto ai quali pure opera  il
divieto di sospensione dell'ordine di esecuzione. 
    3.- La parte del giudizio principale  non  si  e'  costituita  in
giudizio. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Con l'ordinanza indicata in epigrafe, il Tribunale  ordinario
di  Agrigento,  sezione  prima  penale,  in   funzione   di   giudice
dell'esecuzione, ha sollevato, in riferimento  agli  artt.  3,  primo
comma,  e  27,  terzo  comma,  della   Costituzione,   questioni   di
legittimita' costituzionale dell'art. 656, comma 9, lettera  a),  del
codice di procedura penale, nella parte  in  cui  stabilisce  che  la
sospensione  dell'esecuzione  di  cui  al  comma  5  della   medesima
disposizione non puo' essere disposta nei  confronti  dei  condannati
per il delitto di furto in abitazione di cui all'art. 624-bis,  comma
primo, del codice penale. 
    2.- Non puo' essere accolta l'eccezione di inammissibilita' delle
questioni,  sollevata  dall'Avvocatura  generale   dello   Stato   in
relazione alla non  irragionevolezza  della  scelta  legislativa,  in
quanto - all'evidenza - attinente al merito delle questioni medesime,
e non alla loro ammissibilita'. 
    3.- Nel merito, le questioni non sono pero' fondate. 
    3.1.- Il rimettente argomenta la contrarieta' all'art.  3,  comma
primo, Cost. della disposizione censurata  essenzialmente  sotto  due
profili:  da  un  lato,  l'asserita   irragionevole   disparita'   di
trattamento tra i condannati per furto in abitazione e  i  condannati
per una serie di altri delitti, tra cui in particolare la rapina;  e,
dall'altro, l'irragionevolezza di una  «presunzione  aprioristica  di
pericolosita'» anche nei confronti di persone  ritenute  responsabili
di fatti di reato di modesta gravita' e condannate, pertanto, a  pene
detentive brevi. 
    3.1.1.- Sotto il primo profilo,  il  giudice  a  quo  ritiene  di
trarre argomenti decisivi dalla sentenza n. 125  del  2016,  con  cui
questa  Corte  ha  dichiarato  l'illegittimita'  costituzionale   del
divieto di  sospensione  dell'ordine  di  esecuzione  originariamente
previsto dall'art. 656, comma 9, cod. proc. pen.  nei  confronti  dei
condannati per furto con strappo. In  tale  occasione,  la  Corte  ha
ritenuto, in effetti, manifestamente irragionevole una disciplina che
prevedeva un trattamento processuale deteriore per un  delitto  -  il
furto con strappo - certamente meno  grave  di  quello  -  la  rapina
semplice, nella sua forma "propria"  (art.  628,  primo  comma,  cod.
pen.) o "impropria" (art. 628, secondo comma, cod. pen.) - nel  quale
e' agevole ipotizzare che  il  primo  delitto  possa  trasmodare,  in
relazione alla possibile, e statisticamente frequente, reazione della
vittima. 
    Come giustamente rileva l'Avvocatura generale  dello  Stato,  una
situazione  simile  non  ricorre,  pero',  rispetto   al   furto   in
abitazione, destinato a trasmodare non gia'  nel  delitto  di  rapina
semplice, bensi' in quello di rapina  aggravata  ai  sensi  dell'art.
628, terzo comma, n. 3-bis, cod. pen., per essere stato  commesso  il
fatto nei medesimi luoghi indicati dall'art.  624-bis,  primo  comma,
cod. pen.; ipotesi aggravata compresa nell'elenco dei delitti di  cui
all'art. 4-bis, comma 1-ter, della  legge  26  luglio  1975,  n.  354
(Norme sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure
privative e limitative della liberta'), per i  quali  pure  opera  il
divieto di sospensione dell'ordine  di  esecuzione  previsto  per  il
(mero) furto in abitazione. 
    Ne' puo' essere tacciato in termini di manifesta irragionevolezza
il differente trattamento previsto per  i  condannati  per  furto  in
abitazione rispetto a chi si  sia  stato  condannato  per  furto  con
strappo (dopo la menzionata sentenza n.  125  del  2016)  ovvero  per
altre ipotesi di furto aggravato  o  pluriaggravato.  Il  divieto  di
sospensione dell'ordine  dell'esecuzione  trova  infatti  la  propria
ratio nella  discrezionale,  e  non  irragionevole,  presunzione  del
legislatore relativa alla particolare gravita' del fatto di chi,  per
commettere il furto, entri in un'abitazione altrui, ovvero  in  altro
luogo di privata dimora o nelle  sue  pertinenze,  e  della  speciale
pericolosita' soggettiva manifestata dall'autore di un simile reato. 
    3.1.2.-  Neppure  puo',  nella  specie,   essere   ravvisato   un
irragionevole   e   «aprioristico»   automatismo   legislativo:    il
legislatore, infatti, ha, con valutazione immune da censure sul piano
costituzionale, ritenuto che - indipendentemente dalla gravita' della
condotta posta in essere dal condannato, e  dall'entita'  della  pena
irrogatagli  -  la  pericolosita'   individuale   evidenziata   dalla
violazione dell'altrui domicilio rappresenti ragione sufficiente  per
negare in via generale ai condannati  per  il  delitto  in  esame  il
beneficio della sospensione dell'ordine di  carcerazione,  in  attesa
della  valutazione  caso  per  caso,  da  parte  del   tribunale   di
sorveglianza, della possibilita' di concedere al singolo condannato i
benefici compatibili con il suo titolo di reato e la durata della sua
condanna. 
    3.2.- Quanto  poi  alla  dedotta  violazione  del  principio  del
necessario finalismo rieducativo della  pena  sancito  dall'art.  27,
comma terzo, Cost., che postulerebbe sempre - secondo  il  giudice  a
quo - una «valutazione individualizzata del prevenuto»  in  relazione
alla possibilita' di concedergli i benefici previsti dall'ordinamento
penitenziario, conviene osservare che la disciplina  in  questa  sede
censurata non esclude affatto tale valutazione individualizzata. Essa
resta infatti demandata al tribunale di sorveglianza in sede di esame
dell'istanza di concessione dei  benefici,  che  il  condannato  puo'
comunque presentare una volta passata in giudicato la sentenza che lo
riguarda. 
    3.3.- Ne', infine, possono essere  tratti  argomenti  decisivi  a
sostegno della prospettazione del giudice a quo dalla  giurisprudenza
della Corte europea dei diritti dell'uomo che concerne la  situazione
di sovraffollamento delle carceri  italiane,  giurisprudenza  che  il
rimettente peraltro evoca meramente ad abundantiam,  senza  formulare
alcuna specifica censura sul punto ex art. 117, primo comma, Cost. 
    Se  e',  infatti,  indubbio  che  il  meccanismo  di  sospensione
automatica dell'ordine di esecuzione di cui all'art.  656,  comma  5,
cod. proc. pen. sia anche funzionale a evitare l'inutile ingresso nel
sistema penitenziario - gia' afflitto da grave sovraffollamento -  di
condannati che potrebbero essere ammessi  a  misure  alternative  sin
dall'inizio  dell'esecuzione  della  pena,  non  puo'  d'altra  parte
negarsi un margine di discrezionalita' del legislatore, sempre  entro
i  limiti  segnati  dalla  non  manifesta   irragionevolezza,   nella
definizione delle  categorie  di  detenuti  che  di  tale  meccanismo
possono beneficiare. 
    4.- Fermo tutto quanto precede,  questa  Corte  ritiene  comunque
necessario  segnalare  al  legislatore,  per   ogni   sua   opportuna
valutazione,  l'incongruenza  cui  puo'  dar  luogo  il  difetto   di
coordinamento attualmente esistente tra la disciplina  processuale  e
quella sostanziale relativa ai presupposti per accedere  alle  misure
alternative  alla  detenzione,  in  relazione  alla  situazione   dei
condannati  nei  cui  confronti  non  e'  prevista   la   sospensione
dell'ordine di carcerazione ai sensi dell'art.  656,  comma  5,  cod.
proc. pen., ai quali - tuttavia - la vigente  disciplina  sostanziale
riconosce la possibilita' di accedere a talune misure alternative sin
dall'inizio  dell'esecuzione  della  pena:  come,  per  l'appunto,  i
condannati per i reati elencati dall'art. 656, comma 9,  lettera  a),
cod. proc. pen., diversi da  quelli  di  cui  all'art.  4-bis  ordin.
penit. (per i quali l'accesso  ai  benefici  penitenziari  e'  invece
subordinato a specifiche stringenti condizioni). 
    Cio', in particolare, in  relazione  al  rischio  -  specialmente
accentuato nel caso di  pene  detentive  di  breve  durata,  peraltro
indicative  di  solito  di  una  minore  pericolosita'  sociale   del
condannato  -  che  la  decisione  del  tribunale   di   sorveglianza
intervenga dopo che il  soggetto  abbia  ormai  interamente  o  quasi
scontato la propria pena. Eventualita', quest'ultima,  purtroppo  non
infrequente, stante il notorio sovraccarico di lavoro che affligge la
magistratura di sorveglianza, nonche'  il  tempo  necessario  per  la
predisposizione  della  relazione  del  servizio  sociale  in  merito
all'osservazione del condannato in carcere.