ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'art.  131,  comma
3, del decreto del Presidente della Repubblica  30  maggio  2002,  n.
115,  recante:  «Testo  unico  delle   disposizioni   legislative   e
regolamentari in materia di spese di giustizia. (Testo A)»,  promossi
dal Tribunale ordinario di Roma, con ordinanze del 21 giugno e del 17
settembre 2018, iscritte  rispettivamente  al  n.  154  del  registro
ordinanze 2018 e al n. 8 del registro  ordinanze  2019  e  pubblicate
nella  Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  n.  44,  prima   serie
speciale, dell'anno 2018 e n.  6,  prima  serie  speciale,  dell'anno
2019. 
    Visti gli atti di intervento del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio del  5  giugno  2019  il  Giudice
relatore Aldo Carosi. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza del 21 giugno 2018 (r. o. n. 154 del 2018),  il
Tribunale ordinario di Roma ha sollevato, in riferimento  agli  artt.
1, 3, 4, 24, 35, primo comma, e 36 della Costituzione,  questioni  di
legittimita' costituzionale dell'art. 131, comma 3, del  decreto  del
Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115,  recante:  «Testo
unico delle disposizioni legislative e regolamentari  in  materia  di
spese di giustizia. (Testo A)». 
    Riferisce  il  rimettente  che,  nel  corso  di  un  procedimento
regolato dall'art.  696-bis  del  codice  di  procedura  civile,  per
l'espletamento di una consulenza tecnica  preventiva  ai  fini  della
composizione di  una  lite  e  in  presenza  di  una  fattispecie  di
ammissione al patrocinio a spese dello Stato, e' stato  conferito  un
apposito incarico ai consulenti tecnici. 
    Nel corso del procedimento sarebbe emerso che gli onorari  dovuti
ai predetti consulenti non potevano essere corrisposti perche'  anche
la parte (il coniuge dell'ammesso al patrocinio) a carico della quale
erano stati posti gli oneri della consulenza  non  era  in  grado  di
ottemperarvi e che si doveva pertanto applicare l'art. 131, comma  3,
del d.P.R. n. 115 del 2002. 
    Tale disposizione stabilisce, al riguardo, che gli onorari dovuti
al consulente tecnico di parte e all'ausiliario del  magistrato  sono
prenotati a debito, a domanda, anche nel caso  di  transazione  della
lite, se non e' possibile la ripetizione dalla parte a  carico  della
quale sono poste le spese processuali, o dalla stessa parte  ammessa,
per vittoria della causa o per revoca dell'ammissione. 
    Secondo  il  rimettente,  la  previsione  sarebbe   irragionevole
perche' si fonderebbe sul principio, confermato dal diritto  vivente,
per  cui  i  consulenti  tecnici   del   giudice   debbono   lavorare
gratuitamente nel  caso  in  cui  una  parte  sia  stata  ammessa  al
patrocinio a spese dello Stato e non  vi  siano  altri  soggetti  sui
quali possa farsi gravare  il  diritto  al  compenso  per  il  lavoro
svolto. 
    1.1.- In ordine  alla  rilevanza,  premesso  che  si  tratta  del
procedimento  disciplinato  dall'art.  696-bis   cod.   proc.   civ.,
procedimento  che  non  sarebbe  destinato  a  concludersi  con   una
pronuncia  sulle  spese  in  base  all'art.  91  cod.   proc.   civ.,
trattandosi di fattispecie riconducibile al quinto comma del predetto
art. 696-bis, il giudice a quo  deduce  che  soltanto  attraverso  la
pronuncia di illegittimita' costituzionale potrebbe essere  garantito
un compenso ai consulenti nominati nel procedimento al suo esame. 
    Infatti, disposta la prenotazione a debito ed emesso  il  decreto
di liquidazione, non sarebbe comunque  dato  corso  al  pagamento  da
parte del Ministero della giustizia  (come  chiarito,  in  proposito,
dalla  circolare   8   giugno   2016,   recante   «Quesiti   relativi
all'interpretazione dell'art. 131, comma 3, del d.P.R. n. 115 del  30
maggio 2002 e successive modificazioni») in virtu' delle disposizioni
che regolano il procedimento di prenotazione a debito, alle quali  si
atterrebbe il medesimo Ministero, nel rigoroso rispetto della lettera
della legge. 
    1.2.- Il rimettente si dichiara  consapevole  del  fatto  che  la
norma censurata e' stata piu' volte sottoposta  all'esame  di  questa
Corte con esito negativo; tuttavia, ritiene che gli specifici profili
di  incostituzionalita'  inerenti  alla  fattispecie  concreta  siano
diversi e  ulteriori  rispetto  a  quelli  vagliati  dalla  pregressa
giurisprudenza della Consulta. 
    Il Ministero della giustizia avrebbe emanato la  gia'  menzionata
circolare 8 giugno 2016, che il rimettente afferma di condividere, in
cui sarebbe stata data contezza del fatto che  l'amministrazione  non
da' seguito ai decreti di liquidazione  dei  giudici  in  favore  dei
consulenti tecnici nei procedimenti in cui vi sia stata ammissione al
patrocinio a spese dello Stato e prenotazione  a  debito  e  non  sia
possibile ottenerne il pagamento a carico delle parti. Tale pagamento
non seguirebbe necessariamente la richiesta di prenotazione a  debito
da parte del consulente, poiche' non vi sarebbe alcun automatismo tra
la  prenotazione  a  debito  e  il  pagamento  degli   onorari,   che
risulterebbe meramente eventuale, essendo normativamente condizionato
all'effettivo recupero  della  somma  prenotata  a  debito  da  parte
dell'ufficio giudiziario (la norma dell'art. 3, lettera s,  definisce
«prenotazione a debito» l'annotazione «a futura memoria di  una  voce
di spesa, per la quale non vi e' pagamento,  ai  fini  dell'eventuale
successivo recupero»). 
    In conclusione, rammentata la differenza tra  la  prenotazione  a
debito, che consiste, appunto, nell'annotazione a futura  memoria  di
una voce di spesa  per  la  quale  non  e'  possibile  realizzare  la
correlata entrata, secondo il giudice rimettente la  norma  in  esame
assimilerebbe alle "spese" non sostenute dallo Stato, per le quali la
prenotazione  a  debito  sarebbe  appropriata,   "spese"   che,   per
definizione, non dovrebbero essere condizionate dal previo  recupero,
vigendo il nuovo orientamento legislativo  del  patrocinio  a  carico
dell'erario. 
    Non osterebbe  a  una  pronuncia  nel  merito  l'esercizio  della
discrezionalita' legislativa perche' questa incontra il limite  della
ragionevolezza e della coerenza interna del sistema normativo. 
    Il rimettente, anche se ritiene le precedenti argomentazioni gia'
idonee a decidere la questione sollevata, aggiunge la  considerazione
che,  in  via   generale,   appare   difficilmente   sostenibile   la
ragionevolezza del  diverso  trattamento  che  riceve  il  consulente
tecnico nel giudizio penale, al quale  vengono  anticipati  compensi,
rispetto al trattamento riservatogli nel  giudizio  civile.  Inoltre,
con specifico riferimento al procedimento  di  cui  all'art.  696-bis
cod. proc. civ., evidenzia che non e' configurabile la soccombenza in
detto  giudizio,  dal  momento  che  esso  si  conclude  o   con   la
conciliazione o con il deposito della relazione; ne', come gia' detto
in precedenza, sarebbe configurabile una posteriore  regolamentazione
delle spese, anche in considerazione del fatto che la successiva fase
del giudizio e' meramente eventuale. 
    2.- e' intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri,  che
ha concluso per l'inammissibilita' o la manifesta infondatezza  della
questione sollevata. 
    Essa  sarebbe  astratta   e   meramente   ipotetica,   e   dunque
irrilevante, dal  momento  che  non  risulterebbe  che  i  consulenti
tecnici  abbiano  chiesto  l'immediato   pagamento   dei   rispettivi
compensi, tanto piu' che non sarebbe loro consentito - come si evince
dall'art. 63 cod. proc. civ. e dall'art.  366  del  codice  penale  -
rifiutare di prestare la relativa attivita', avendo manifestato,  con
l'iscrizione  all'albo,  un  consenso  preventivo  alla  nomina   (al
riguardo e' citata la sentenza di questa Corte n. 136 del  2016).  La
rilevanza della questione non potrebbe  derivare  dal  fatto  che  il
rimettente ha attribuito  ai  consulenti  un  fondo  spese:  infatti,
l'art. 83 del d.P.R. n. 115 del  2002  prevede  che  la  liquidazione
delle spese e dei compensi debba avvenire al termine di ciascuna fase
processuale. 
    Inoltre  il  giudice  rimettente  avrebbe  omesso   il   doveroso
tentativo di interpretazione adeguatrice della disposizione in esame. 
    Nel merito, la questione, affrontata piu' volte da questa  Corte,
sarebbe manifestamente infondata. 
    Il senso della disposizione sarebbe  infatti  quello  di  onerare
l'ausiliario del giudice della riscossione del compenso  dalle  parti
e, solo qualora cio' non fosse possibile,  ammettere  la  riscossione
mediante prenotazione a debito. Per tale  motivo,  la  Corte  avrebbe
escluso il paventato vulnus anche nel caso in cui risulti preclusa la
possibilita' di recuperare l'onorario dal soccombente o nel  caso  in
cui la consulenza venga disposta in  un  procedimento  di  volontaria
giurisdizione. 
    Dovrebbe, inoltre, escludersi la lesione dell'art.  3  Cost.  per
disparita' di trattamento tra l'ausiliario del giudice e il difensore
della parte  ammessa  al  patrocinio  a  spese  dello  Stato,  stante
l'eterogeneita' delle figure processuali  messe  a  confronto,  cosi'
come tra l'ausiliario del giudice nel processo penale e nel  processo
civile, per l'ontologica diversita' dei due tipi di processo. 
    3.- Il medesimo Tribunale ordinario di Roma, con ordinanza del 17
settembre 2018 (r.  o.  n.  8  del  2019),  nel  corso  di  un  altro
procedimento instaurato ai sensi dell'art. 696-bis cod.  proc.  civ.,
ha sollevato identica questione di legittimita' costituzionale. 
    In punto di rilevanza, in particolare, dal momento che era emerso
che i ricorrenti godevano del patrocinio  a  spese  dello  Stato,  il
giudice rimettente espone che  «prospettandosi  la  certezza  che  lo
svolgimento dell'impegnativo lavoro che andava a  richiedere  ai  due
professionisti C.T.U. sarebbe stato [...] surrettiziamente  a  titolo
gratuito, si riservava di provvedere». 
    4.- Anche in questo giudizio e'  intervenuto  il  Presidente  del
Consiglio dei ministri  che  ha  concluso  per  l'inammissibilita'  o
l'infondatezza della questione  di  legittimita'  costituzionale  con
motivazioni sostanzialmente analoghe  al  precedente  intervento.  In
particolare, ne  ha  sostenuto  l'infondatezza  sul  rilievo  che  la
disposizione censurata dovesse essere interpretata in  modo  tale  da
garantire il compenso al consulente tecnico. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Con due ordinanze di analogo tenore (r. o. n. 154 del 2018  e
n. 8 del 2019) il Tribunale ordinario  di  Roma,  nel  corso  di  due
procedimenti promossi  ai  sensi  dell'art.  696-bis  del  codice  di
procedura   civile,   ha   sollevato   questioni   di    legittimita'
costituzionale dell'art. 131, comma 3,  del  decreto  del  Presidente
della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, recante: «Testo unico  delle
disposizioni legislative e  regolamentari  in  materia  di  spese  di
giustizia. (Testo A)», deducendo la violazione degli artt. 1,  3,  4,
24, 35, primo comma, e 36 della Costituzione. 
    La disposizione censurata stabilisce che gli  onorari  dovuti  al
consulente tecnico di parte  e  all'ausiliario  del  magistrato  sono
prenotati a debito, a domanda, anche nel caso  di  transazione  della
lite, se non e' possibile la ripetizione dalla parte a  carico  della
quale sono poste le spese processuali, o dalla stessa  parte  ammessa
al patrocinio a spese dello Stato, per vittoria  della  causa  o  per
revoca  dell'ammissione.  Analoga  disciplina  e'  disposta  per  gli
onorari del notaio per lo svolgimento di funzioni  demandategli  (nei
casi previsti dalla legge) dal magistrato, nonche'  per  l'indennita'
di custodia del bene sequestrato. 
    Essa consente, dunque, la prenotazione a debito del compenso  del
consulente (e dei soggetti assimilati) successivamente alla richiesta
del relativo pagamento alle parti del giudizio. 
    Secondo il Tribunale rimettente, l'art. 131, comma 3, del  d.P.R.
n. 115 del 2002 violerebbe, tra gli altri parametri, l'art. 3  Cost.,
in quanto irragionevolmente, nel caso in  cui  una  parte  sia  stata
ammessa al patrocinio a spese  dello  Stato  e  non  vi  siano  altri
soggetti sui quali possa farsi gravare  il  pagamento  degli  onorari
dovuti, non garantirebbe all'ausiliario del giudice un  compenso  per
la prestazione svolta. 
    2.- In ragione della comunanza di oggetto, le  ordinanze  possono
riunirsi, per essere decise con unica sentenza. 
    3.- Preliminarmente, va dichiarata la manifesta  inammissibilita'
della  questione  sollevata  dal  Tribunale  ordinario  di  Roma  con
ordinanza del 17 settembre 2018 (r. o. n. 8 del 2019). 
    Il  rimettente  ha  sollevato  la  questione  «prospettandosi  la
certezza che lo svolgimento  dell'impegnativo  lavoro  che  andava  a
richiedere  ai  due  professionisti  C.T.U.   sarebbe   stato   [...]
surrettiziamente a titolo gratuito», sospendendo il  giudizio.  Sotto
questo profilo la questione e' dunque astratta e  ipotetica,  perche'
prematura,  e  risulta  priva  di  rilevanza,  dal  momento  che   il
rimettente  non  e'  chiamato  a  decidere  sul   compenso,   nemmeno
determinato in via provvisoria (art. 8 del d.P.R. n.  115  del  2002)
del consulente tecnico. 
    4.- Le ulteriori  eccezioni  sollevate  dall'Avvocatura  generale
dello Stato devono essere respinte. 
    Non e' condivisibile l'affermazione circa l'asserita carenza  del
requisito dell'incidentalita'. Il giudizio introdotto  dall'ordinanza
r. o. n. 154 del 2018  risulta,  difatti,  connotato  da  un  petitum
distinto  e  autonomo  rispetto  alle   questioni   di   legittimita'
costituzionale   sollevate,   in   quanto   volto    all'accertamento
dell'inadempimento  di  obbligazioni  sanitarie  da  parte  dell'ente
ospedaliero  mediante  espletamento   di   una   consulenza   tecnica
preventiva. 
    E', inoltre, infondata l'ulteriore eccezione di  inammissibilita'
sollevata dall'Avvocatura generale dello Stato, secondo la  quale  il
giudice a quo non  avrebbe  adeguatamente  vagliato  la  possibilita'
alternativa  di  interpretare  la  disposizione  censurata  in   modo
conforme  a  Costituzione.  Il  rimettente,  difatti,  esclude   tale
possibilita'   in   considerazione   del   tenore   letterale   della
disposizione. 
    Egli precisa che, per effetto della definizione legislativa della
«prenotazione a debito», non e' possibile che, nella specie, lo Stato
si accolli gli onorari delle consulenze, in assenza di un debitore da
esso proficuamente escusso.  E'  costante  l'orientamento  di  questa
Corte,  secondo  cui  «[a]  fronte  di  adeguata  motivazione   circa
l'impedimento ad un'interpretazione  costituzionalmente  compatibile,
dovuto specificamente al "tenore letterale della disposizione", [...]
"la possibilita' di un'ulteriore interpretazione alternativa, che  il
giudice a quo non ha ritenuto di  fare  propria,  non  riveste  alcun
significativo rilievo ai fini del rispetto delle regole del  processo
costituzionale,  in  quanto  la  verifica  dell'esistenza   e   della
legittimita' di  tale  ulteriore  interpretazione  e'  questione  che
attiene al merito della controversia, e non alla sua  ammissibilita'"
(sentenza n. 221 del 2015)» (da ultimo, sentenza n. 12 del 2019). 
    Infine, il petitum risulta individuato, in via gradata,  come  si
esprime il rimettente, nella «strada maestra della  dichiarazione  di
incostituzionalita'» o «quantomeno» nella sentenza interpretativa  di
accoglimento della  questione  che  dichiari  l'illegittimita'  della
disposizione nel solo significato difforme dalla Costituzione. 
    5.- Ai fini della decisione da assumere e'  utile  premettere  un
quadro riassuntivo dell'evoluzione normativa e  della  giurisprudenza
costituzionale in materia. 
    5.1.- L'art. 131 del d.P.R. n. 115 del 2002,  nel  prevedere  gli
effetti dell'ammissione al patrocinio a spese dello  Stato,  enumera,
al comma 2, le spese  prenotate  a  debito  e,  al  comma  4,  quelle
anticipate dall'erario. 
    Al comma 3, primo periodo, invece, prevede per gli onorari dovuti
al consulente tecnico di parte e all'ausiliario  del  magistrato,  la
prenotazione a debito, a domanda, anche nel caso di transazione della
lite, se non e' possibile la ripetizione dalla parte a  carico  della
quale sono poste le spese processuali, o dalla stessa parte  ammessa,
per vittoria della causa o per revoca dell'ammissione. Il  successivo
periodo dispone, inoltre, che lo stesso trattamento si applichi  agli
onorari di notaio per lo svolgimento di funzioni  ad  essi  demandate
dal magistrato nei casi previsti  dalla  legge  e  all'indennita'  di
custodia del bene sottoposto a sequestro. 
    La disposizione censurata consente,  dunque,  la  prenotazione  a
debito solo successivamente alla previa infruttuosa intimazione  alle
parti  del  giudizio  che,  secondo  la  costante  giurisprudenza  di
legittimita'  (ex  multis,  Corte  di  cassazione,   sezione   sesta,
ordinanza 9 febbraio 2018, n.  3239;  sezione  seconda,  sentenza  12
novembre 2015, n. 23133) sono solidalmente tenute al pagamento  delle
spese della consulenza. 
    L'art. 3, comma 1, del medesimo d.P.R.  definisce,  alla  lettera
s), «"prenotazione a debito" [...] l'annotazione a futura memoria  di
una voce di spesa,  per  la  quale  non  vi  e'  pagamento,  ai  fini
dell'eventuale    successivo    recupero»;    alla    lettera     t),
«"anticipazione" [...]  il  pagamento  di  una  voce  di  spesa  che,
ricorrendo i presupposti previsti dalla legge, e' recuperabile». 
    Infine, in base all'art. 133 del  d.P.R.  n.  115  del  2002,  il
provvedimento che pone a carico della parte soccombente  non  ammessa
al patrocinio la rifusione delle spese  processuali  a  favore  della
parte ammessa dispone che il pagamento sia eseguito  a  favore  dello
Stato. Qualora lo Stato non recuperi, il successivo art. 134  dispone
che se la vittoria della causa o la composizione della lite ha  posto
la parte ammessa al patrocinio in condizione di poter  restituire  le
spese erogate in suo  favore,  su  questa  lo  Stato  ha  diritto  di
rivalsa. 
    Le  disposizioni  da  ultimo  richiamate  trovano   evidentemente
applicazione nelle ipotesi in cui il processo dia un  esito  positivo
per la parte ammessa al  patrocinio  a  carico  dello  Stato,  mentre
qualora quest'ultima sia soccombente non  vi  sara'  pagamento  della
parte abbiente in favore dello Stato  delle  spese  processuali,  ne'
successivo recupero di dette spese. In questo  caso,  difatti,  nulla
potrebbe  chiedersi  alla  parte  abbiente,  perche'   e'   risultata
vittoriosa,  e  nulla  alla  parte  non  abbiente,  che  e'   rimasta
soccombente nella lite. 
    La relazione illustrativa che accompagna lo schema del menzionato
d.P.R.  n.  115  del  2002,  in   maniera   significativa,   segnala,
relativamente al comma 3 dell'art. 131, quanto segue: «- in generale,
l'ipotesi della prenotazione a debito successivamente all'infruttuosa
escussione da parte del professionista, appare un'ipotesi  di  scuola
piuttosto che una concreta possibilita', ma in tal senso e' la  norma
originaria; -  in  particolare,  per  quanto  attiene  ai  consulenti
tecnici: i soli onorari (le spese sostenute per l'incarico e le spese
e indennita' di trasferta sono anticipate, v. comma successivo)  sono
a domanda prenotati a debito e riscossi con le  spese  solo  dopo  la
vana escussione del condannato alle spese non ammesso e  dell'ammesso
in caso di revoca dell'ammissione,  cui  e'  equiparata  la  vittoria
della causa. Rispetto al r. d. del 1923,  la  disciplina  incorporata
nel testo unico e' uguale per le spese, mentre  e'  diversa  per  gli
onorari, perche' prima erano automaticamente  prenotati  a  debito  e
recuperati nei confronti del condannato non ammesso e dell'ammesso in
caso di revoca o di vittoria a certe condizioni. Oggi, il  consulente
tecnico  agisce  direttamente  e,  solo  se  non   recupera,   chiede
l'annotazione a debito e prova  il  recupero  nelle  forme  ordinarie
delle altre spese». 
    5.2.- Questa  Corte  ha  gia'  scrutinato  la  disposizione  oggi
censurata e, sin dalla sentenza n. 287  del  2008,  ha  ritenuto  che
«[i]l rimettente muove dal presupposto  interpretativo  secondo  cui,
nei casi di ammissione di una  parte  al  patrocinio  a  spese  dello
Stato, la disposizione censurata puo' comportare, in materia  civile,
che l'ausiliario del magistrato svolga la sua opera gratuitamente. Al
contrario,  tale   disposizione   disciplina   il   procedimento   di
liquidazione degli onorari dell'ausiliario medesimo, predisponendo il
rimedio residuale della prenotazione a debito, a domanda, proprio  al
fine  di  evitare  che  il  diritto  alla   loro   percezione   venga
pregiudicato dalla impossibile ripetizione dalle parti del giudizio». 
    Quindi, la successiva ordinanza n. 408 del 2008 ha ribadito  «che
questa Corte, con la sentenza n.  287  del  2008,  ha  affermato  che
l'art. 131, comma 3, del d.P.R. n. 115 del 2002, nel disciplinare  il
procedimento di liquidazione degli onorari  dell'ausiliario,  prevede
il rimedio residuale della prenotazione  a  debito  (con  conseguente
pagamento da parte dell'Erario), proprio al fine di  evitare  che  il
diritto alla  loro  percezione  venga  pregiudicato  dall'impossibile
ripetizione dalle parti processuali»,  fornendo  una  interpretazione
degli artt. 3 e 131 del d.P.R. n.  115  del  2002  nei  termini  gia'
riportati e poi confermati nelle  successive  ordinanze  n.  195  del
2009, n. 203 e n. 88 del 2010. 
    Tale indirizzo e' stato ribadito in relazione  agli  onorari  del
consulente tecnico, precisandosi che «sono manifestamente infondati i
connessi dubbi in ordine alla concreta possibilita' [...] di  vedersi
corrisposti i propri compensi [dal momento che] questi  o  graveranno
sui soggetti di cui al citato articolo 131 del d.lgs. n. 115 del 2002
ovvero, laddove sia impossibile ripeterli da costoro,  se  ne  potra'
chiedere la prenotazione a  debito,  con  successiva  liquidazione  a
carico dell'Erario» (ordinanza n. 12 del 2013 e, nello stesso  senso,
ordinanza n. 88 del 2013). 
    Secondo  le  menzionate  decisioni,  dunque,  il  professionista,
esperito infruttuosamente il  tentativo  di  recupero  nei  confronti
delle parti, ha diritto a vedersi corrispondere il suo onorario,  con
"liquidazione"  a  carico  dell'erario,  non  subordinata  al  previo
recupero da parte dell'erario stesso. Tale interpretazione, tuttavia,
si pone in contrasto con la disciplina della prenotazione  a  debito,
che non consente il pagamento degli  onorari  se  non  attraverso  la
previa realizzazione del credito erariale. 
    Per tale motivo, la  suddetta  opzione  ermeneutica  adottata  da
questa Corte non ha potuto trovare  seguito  nella  prassi,  rendendo
impossibile - con riguardo a fattispecie come quella in  esame  -  la
liquidazione degli  onorari  e  delle  altre  competenze  contemplate
nell'art. 131, comma 3, del d.P.R. n. 115 del 30 maggio 2002. 
    Anche    il     rimettente     ha     inevitabilmente     aderito
all'interpretazione contenuta nella precitata circolare del Ministero
della  giustizia   8   giugno   2016,   recante   «Quesiti   relativi
all'interpretazione dell'art. 131, comma 3, del d.P.R. n. 115 del  30
maggio 2002 e  successive  modificazioni».  Quest'ultima,  dopo  aver
ricostruito  l'iter  normativo  e   giurisprudenziale   della   norma
impugnata sottolineando che la liquidazione segue necessariamente  la
richiesta di prenotazione  a  debito  da  parte  del  consulente,  ha
concluso per l'inesistenza di un automatismo tra  la  prenotazione  a
debito e il pagamento a carico dell'erario, poiche'  detto  pagamento
presuppone il previo  effettivo  recupero  della  somma  prenotata  a
debito. 
    6.- Alla luce di tali  premesse,  la  questione  e'  fondata,  in
riferimento all'art.  3  Cost.,  sotto  il  profilo  del  difetto  di
ragionevolezza. 
    Va chiarito che siffatta pronuncia di  accoglimento  si  muove  -
fatta  salva  la  diversa  interpretazione  della  disciplina   della
prenotazione a debito precedentemente precisata  -  nel  solco  della
pregressa giurisprudenza di questa Corte, la quale  ha  affermato  il
tramonto della logica del gratuito  patrocinio,  ormai  integralmente
sostituito dal principio del patrocinio a carico dell'erario. 
    Secondo  il  costante  orientamento  emergente   dalle   pronunce
precedentemente richiamate,  la  finalita'  del  nuovo  istituto  del
patrocinio a spese dello Stato e'  quella  di  assicurare  la  tutela
dell'indigente  con  carico  all'erario  in  tutti  i  casi  in   cui
particolari categorie professionali espletano attivita' di assistenza
nei confronti dell'indigente medesimo. Cio' esclude  che  per  alcune
fattispecie vi possano essere deroghe ispirate alla  superata  logica
del gratuito patrocinio. 
    Non puo' essere invece condiviso il sopra richiamato  assunto  di
tale giurisprudenza secondo cui la locuzione «prenotazione a  debito»
possa essere letta come anticipazione degli onorari  a  carico  dello
Stato,  a  cio'  ostando  l'insormontabile  ostacolo  della  testuale
definizione legislativa della  prenotazione  a  debito,  secondo  cui
detta prenotazione si risolve in una annotazione a futura memoria  ai
fini dell'eventuale successivo recupero. 
    La disposizione censurata, come  correttamente  interpretata  dal
ricorrente,  risulta   pero'   viziata   sotto   il   profilo   della
ragionevolezza proprio perche', in luogo dell'anticipazione da  parte
dell'erario, prevede,  a  carico  dei  soggetti  che  hanno  prestato
l'attivita'  di  assistenza,  l'onere  della  previa  intimazione  di
pagamento e l'eventuale successiva prenotazione a debito del relativo
importo  («se  non  e'  possibile  la  ripetizione»).  Infatti,  tale
meccanismo procedimentale, unitamente all'applicazione  dell'istituto
della prenotazione a debito, impedisce  il  rispetto  della  coerenza
interna  del  nuovo  sistema  normativo   incentrato   sulla   regola
dell'assunzione, a carico  dello  Stato,  degli  oneri  afferenti  al
patrocinio del non abbiente. 
    L'art. 131, comma 3, del d.P.R. n. 115  del  2002,  dunque,  deve
essere dichiarato costituzionalmente illegittimo nella parte  in  cui
prevede che gli onorari  e  le  indennita'  dovuti  ai  soggetti  ivi
indicati siano previamente oggetto  di  intimazione  di  pagamento  e
successivamente  eventualmente  prenotati  a  debito  (in   caso   di
impossibilita' di «ripetizione»),  anziche'  direttamente  anticipati
dall'erario. 
    7.- Rimangono assorbite  le  ulteriori  questioni  sollevate  dal
rimettente.