ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale  dell'art.  11-quater
della legge 11 febbraio  2019,  n.  12  (recte:  art.  11-quater  del
decreto-legge 14 dicembre 2018, n. 135, recante «Disposizioni urgenti
in materia di sostegno e semplificazione per  le  imprese  e  per  la
pubblica amministrazione», convertito, con modificazioni, nella legge
11 febbraio 2019, n. 12), promosso dalla Regione Toscana, con ricorso
notificato il 10-15 aprile 2019,  depositato  in  cancelleria  il  17
aprile 2019, iscritto al n. 53 del registro ricorsi 2019 e pubblicato
nella  Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  n.  24,  prima   serie
speciale, dell'anno 2019. 
    Visto l'atto di costituzione del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito il Giudice relatore Nicolo'  Zanon  ai  sensi  del  decreto
della Presidente della Corte del 20 aprile 2020, punto 1), lettere a)
e c), in collegamento da remoto, senza discussione orale, in data  23
giugno 2020; 
    deliberato nella camera di consiglio del 25 giugno 2020. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ricorso notificato il 10-15 aprile 2019 e  depositato  il
successivo 17 aprile (reg. ric. n. 53 del 2019), la  Regione  Toscana
ha impugnato l'art. 11-quater della legge 11  febbraio  2019,  n.  12
(recte: art. 11-quater del decreto-legge 14 dicembre  2018,  n.  135,
recante   «Disposizioni   urgenti   in   materia   di   sostegno    e
semplificazione per le imprese e per  la  pubblica  amministrazione»,
convertito, con modificazioni, nella legge 11 febbraio 2019, n.  12),
nella parte in cui, attraverso l'inserimento dei commi 1-quinquies  e
1-septies nell'art. 12 del decreto legislativo 16 marzo 1999,  n.  79
(Attuazione della direttiva 96/92/CE  recante  norme  comuni  per  il
mercato interno dell'energia elettrica), dispone  che  il  canone  di
concessione delle  grandi  derivazioni  idroelettriche,  previsto  al
comma 1-quinquies, ed il canone  aggiuntivo,  di  cui  al  successivo
comma 1-septies,  corrisposti  alle  Regioni,  siano  rispettivamente
destinati - per almeno il (o per un importo non inferiore al) 60  per
cento - alle Province e alle Citta' metropolitane il  cui  territorio
sia interessato dalle medesime derivazioni. 
    Le    disposizioni    impugnate,    secondo    la     ricorrente,
contrasterebbero con gli artt. 117, terzo comma, 118  e  119,  primo,
secondo e quarto comma, della Costituzione. 
    2.- La Regione Toscana ricorda  in  apertura  come  -  nel  testo
novellato dall'art. 11-quater del d.l. n. 135 del 2018 - il  comma  1
dell'art. 12 del d.lgs. n. 79 del 1999 abbia stabilito il passaggio a
titolo gratuito, in favore  delle  Regioni,  della  proprieta'  delle
opere idroelettriche per le quali siano  scadute  le  concessioni  in
atto, o vi siano state revoche e rinunce alle concessioni stesse. 
    Con il medesimo  intervento  normativo  (nuovo  comma  1-bis  del
citato art. 12), lo  Stato  ha  previsto  che  le  Regioni,  ove  non
ritengano sussistere un prevalente interesse pubblico  a  un  diverso
utilizzo delle acque, incompatibile con il  mantenimento  dell'uso  a
fine  idroelettrico,  possono  assegnare  le  concessioni  di  grandi
derivazioni  idroelettriche  a   operatori   economici,   individuati
mediante l'espletamento di gare con procedure ad  evidenza  pubblica,
oppure a societa' a capitale misto pubblico privato  nelle  quali  il
socio privato sia ugualmente scelto attraverso l'espletamento di gare
con procedure ad  evidenza  pubblica,  o  infine  mediante  forme  di
partenariato pubblico-privato. 
    Modalita' e procedure dell'assegnazione dovranno essere  regolate
con leggi regionali entro il 31 dicembre 2020. Sempre mediante  legge
regionale, secondo i criteri indicati nel comma 1-quinquies dell'art.
12, a carico dei concessionari dovra' essere  determinato  un  canone
semestrale. 
    E' stabilito che una quota di tale canone, pari almeno al 60  per
cento, sia destinata «alle province e alle  citta'  metropolitane  il
cui  territorio  e'  interessato  dalle  derivazioni»  (nuovo   comma
1-quinquies dell'art. 12 del d.lgs. n. 79 del  1999).  Inoltre,  fino
alla nuova assegnazione della concessione, il titolare  del  rapporto
scaduto e'  tenuto  a  versare  alla  Regione  un  canone  aggiuntivo
rispetto al canone demaniale, da corrispondere per l'esercizio  degli
impianti nelle more dell'assegnazione. Anche tale  canone  aggiuntivo
e' destinato «per un importo non  inferiore  al  60  per  cento  alle
province e alle citta' metropolitane il cui territorio e' interessato
dalle derivazioni» (nuovo comma 1-septies del citato art. 12). 
    3.- La Regione Toscana assume che le due disposizioni concernenti
la destinazione dei canoni siano illegittime, in quanto impositive di
un vincolo puntuale a favore di Province e Comuni, non  giustificato,
nella materia in questione, dall'esistenza di  funzioni  assegnate  a
tali enti locali. 
    A tale proposito, richiamando  la  giurisprudenza  costituzionale
che ha tratteggiato l'evoluzione della disciplina  delle  derivazioni
idroelettriche (e' citata la sentenza n. 1 del 2008),  la  ricorrente
ricorda che, innovando  il  precedente  regime  di  proprieta'  e  di
gestione statale per le strutture comprese nel territorio di  Regioni
a statuto ordinario, nel 1998 era intervenuta una  nuova  regolazione
della materia (art. 86 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112,
recante «Conferimento di  funzioni  e  compiti  amministrativi  dello
Stato alle regioni ed agli enti locali,  in  attuazione  del  capo  I
della legge 15 marzo 1997, n. 59»). In particolare, pur conservandosi
al momento la proprieta' statale, la gestione del demanio idrico  era
stata trasferita alle Regioni, salvo quella delle grandi  derivazioni
(per le quali le concessioni avrebbero dovuto essere rilasciate dallo
Stato, d'intesa con le Regioni interessate), riservata  appunto  allo
Stato fino a quando non fosse stata recepita la  direttiva  96/92/CE,
del Parlamento  europeo  e  del  Consiglio,  del  19  dicembre  1996,
concernente  norme  comuni  per  il  mercato   interno   dell'energia
elettrica. 
    La direttiva in questione ha  ricevuto  attuazione  con  il  gia'
citato d.lgs. n. 79 del 1999, cosi' determinandosi la condizione  per
il  trasferimento  alle  Regioni  della   completa   gestione   delle
derivazioni. A partire dal 1° gennaio  2001  e'  stato  effettuato  -
mediante il decreto del Presidente  del  Consiglio  dei  ministri  12
ottobre 2000 (Individuazione dei beni e  delle  risorse  finanziarie,
umane, strumentali e organizzative da trasferire alle regioni ed agli
enti  locali  per  l'esercizio   delle   funzioni   e   dei   compiti
amministrativi in materia di demanio idrico) - il trasferimento  alle
Regioni del personale, delle strutture e degli  atti  concernenti  le
derivazioni di acque pubbliche. 
    Con la riforma del Titolo V della Parte  II  della  Costituzione,
alle Regioni ordinarie e'  stata  attribuita  competenza  legislativa
concorrente in materia  di  «produzione,  trasporto  e  distribuzione
nazionale dell'energia» (art. 117, terzo comma, Cost). 
    Resta confermato, secondo la ricorrente, che  nessuna  competenza
e' riservata, nella materia  in  discussione,  a  Province  e  Citta'
metropolitane. 
    4.- La Regione Toscana richiama la giurisprudenza  costituzionale
secondo cui, nell'ambito di una materia  attribuita  alla  competenza
legislativa concorrente, le Regioni  hanno  titolo  a  determinare  i
canoni per le concessioni idroelettriche, fermi restando  i  principi
di  onerosita'  e  proporzionalita'  in  rapporto  all'entita'  dello
sfruttamento della risorsa pubblica e a quella dei profitti  ricavati
(sono citate le sentenze n. 158 del  2016  e  n.  64  del  2014).  La
censurata previsione di una devoluzione obbligatoria del 60 per cento
ad enti territoriali  violerebbe  quindi  l'art.  117,  terzo  comma,
Cost., trattandosi di precetto specifico e  puntuale,  impartito  con
disposizione di dettaglio. 
    Per  altro  verso,  premessa  la  spettanza  alle  Regioni  della
competenza amministrativa nella materia,  la  ricorrente  assume  che
l'incompleta disponibilita' delle entrate finanziarie costituite  dai
canoni per le concessioni idroelettriche si risolve in un ostacolo al
corretto  esercizio  delle   funzioni   relative,   con   conseguente
violazione dell'art. 118 Cost. 
    Per la stessa ragione sarebbe vulnerata  l'autonomia  finanziaria
delle Regioni, garantita dall'art. 119 Cost., e  in  particolare  dal
quarto comma della  previsione  costituzionale.  Secondo  il  computo
prospettato dalla ricorrente,  le  norme  impugnate  priverebbero  la
Regione Toscana di un importo di circa 2,2 milioni di  euro  (su  3,7
milioni complessivi) a fini di  esercizio  delle  proprie  competenze
funzionali nella materia. 
    Ancora,  la  violazione  dell'art.  119,  secondo  comma,   Cost.
emergerebbe,  ad  avviso  della  ricorrente,   dal   fatto   che   le
disposizioni censurate,  contenendo  precetti  specifici  e  puntuali
sull'entita' delle entrate e delle spese, non varrebbero ad esprimere
principi fondamentali  in  materia  di  coordinamento  della  finanza
pubblica, ma  detterebbero  norme  di  dettaglio,  incompatibili  con
l'autonomia finanziaria della Regione (sono citate le sentenze n.  43
del 2016, n. 22 del 2014, n. 217 e n. 139 del 2012, n. 182 del  2011,
n. 237 del 2009, n. 169 del 2007, n. 417 del 2005 e n. 36 del 2004). 
    5.- Il Presidente del Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e
difeso dall'Avvocatura generale dello Stato,  si  e'  costituito  nel
giudizio con atto depositato il 27 maggio 2019. 
    Dopo avere a sua volta riassunto contenuti  ed  evoluzione  della
disciplina in esame, l'Avvocatura chiede che le  questioni  sollevate
dalla  Regione  Toscana  siano  dichiarate  non  fondate,   in   base
all'assunto che lo Stato, nella specie, avrebbe esercitato la propria
competenza legislativa esclusiva in materia di tutela  dell'ambiente,
che comprenderebbe pacificamente l'uso  delle  acque  e  il  relativo
regime concessorio. In proposito sono evocate  due  disposizioni  del
decreto  legislativo  3  aprile  2006,  n.  152  (Norme  in   materia
ambientale), gli artt. 144 (che stabilisce la pertinenza  al  demanio
dello Stato di tutte le acque) e  154  (che  assegna  allo  Stato  la
fissazione di criteri generali per la determinazione, ad opera  delle
Regioni, dei canoni di concessione per l'utenza di acqua pubblica). 
    Spetterebbe bensi' alle Regioni la determinazione dei  canoni  di
concessione, in base alla competenza concorrente prevista (art.  117,
terzo  comma,  Cost.)  in  materia  di   «produzione,   trasporto   e
distribuzione nazionale dell'energia» (sono citate le sentenze n. 158
del 2016, n. 85 e n.  64  del  2014),  ma  la  competenza  statale  a
definire, mediante decreti ministeriali, i criteri  generali  per  la
fissazione della misura dei canoni stessi discenderebbe  dal  secondo
comma  dell'art.  117  Cost.,  ed  in  particolare  dalla  competenza
legislativa esclusiva dello Stato per la «tutela  della  concorrenza»
(e' citata la sentenza n. 59 del 2017). 
    In sostanza, ad avviso della difesa dello  Stato,  la  ricorrente
avrebbe   potuto   dolersi   solo   d'una   determinazione    statale
dell'ammontare  dei  canoni,  cio'  che,  tuttavia,  le  disposizioni
impugnate non prevedono affatto. 
    Quanto  infine  all'obbligatoria  destinazione   di   una   quota
maggioritaria dei canoni alle Province o alle  Citta'  metropolitane,
lo Stato avrebbe esercitato  la  propria  competenza  concorrente  in
materia di «coordinamento della finanza pubblica»  (art.  117,  terzo
comma, Cost.).  D'altronde  -  osserva  l'Avvocatura  generale  -  e'
risalente il principio che  una  parte  delle  risorse  ricavate  dai
canoni riscossi dalle derivazioni idroelettriche  (nella  specie  del
"sovracanone", istituito  dalla  legge  27  dicembre  1953,  n.  959,
recante «Norme modificatrici del T.U. delle leggi sulle acque e sugli
impianti elettrici») debba essere destinata alle comunita' locali che
risentono della presenza delle deviazioni e  delle  opere  idrauliche
nel proprio territorio (sono citate le sentenze di  questa  Corte  n.
533 del 2002, n. 257 del 1982 e n. 132 del 1957). 
    6.- Con memoria depositata il 2 marzo 2020 la Regione Toscana  ha
insistito per l'accoglimento delle proposte questioni di legittimita'
costituzionale. 
    Secondo  la   ricorrente,   dal   quadro   della   giurisprudenza
costituzionale emerge che la quantificazione e l'introito dei  canoni
sono materia di  competenza  concorrente,  in  quanto  relativi  alla
materia   «produzione,   trasporto    e    distribuzione    nazionale
dell'energia» (sono citate le sentenze n. 59 del  2017,  n.  158  del
2016, n. 85 e n. 64 del 2014, n. 205 del 2011 e n. 1  del  2008).  La
competenza statale sarebbe limitata alla determinazione delle  soglie
massime, in ottica di tutela della concorrenza (sentenze  n.  59  del
2017, n. 158 del 2016 e n. 28 del 2014), mentre la determinazione  in
concreto dei canoni spetterebbe alle Regioni, come  confermato  dalla
stessa normativa censurata, dopo che l'intera  gestione  del  demanio
idrico,  e  le  funzioni  concernenti  i  canoni,  sono  state   loro
trasferite dal d.lgs. n. 112 del 1998 (anche con riguardo alle grandi
derivazioni, dopo il recepimento della direttiva 96/92/CE mediante il
d.lgs. n. 79 del 1999). 
    Non sarebbe dunque  conferente  il  riferimento  alle  competenze
statali in materia di tutela dell'ambiente. 
    Quanto alla destinazione necessaria della quota maggioritaria dei
canoni, osserva la ricorrente che il citato d.lgs. n.  112  del  1998
aveva rimesso interamente alle Regioni la gestione dei proventi delle
concessioni, e che sarebbe del  tutto  implausibile  attribuire  alla
riforma del Titolo V della Parte II della Costituzione un effetto  di
parziale riduzione di tale autonomia (e' citata la sentenza di questa
Corte n. 13 del 2004). 
    Privi poi di pertinenza sarebbero anche i rilievi dell'Avvocatura
generale sulla destinazione del sovracanone, basati  sull'assunto  di
una pretesa sua assimilazione al canone  di  concessione,  ed  invece
qualificabile  come   prestazione   patrimoniale   imposta   a   fini
solidaristici, attinente alla materia della finanza locale (e' citata
la sentenza n. 533 del 2002). Ribadisce la ricorrente che, per  parte
sua, il canone di concessione risponde solo ai  criteri  generali  di
onerosita' e di proporzionalita' (sentenza n. 158 del 2016  e  n.  85
del 2014). 
    D'altronde - prosegue la difesa della Regione - lo Stato  avrebbe
potuto imporre  una  parziale  utilizzazione  dei  canoni  in  chiave
compensativa per gli enti territoriali indicando un principio in  tal
senso e lasciando dettare alle Regioni  la  normativa  di  dettaglio,
utile a definire le specifiche modalita' del ristoro  parziale  delle
collettivita' locali, a fronte dell'uso industriale delle acque. 
    Invece,  le   disposizioni   impugnate   avrebbero   direttamente
stabilito la devoluzione automatica di piu' della  meta'  del  canone
alle Province e alle Citta' metropolitane, che pure mancherebbero  di
funzioni in materia e che  non  sarebbero  nemmeno  le  collettivita'
locali piu'  direttamente  interessate  dall'utilizzo  della  risorsa
idrica da parte dei concessionari delle grandi derivazioni. 
    Infine, le  disposizioni  impugnate  non  rientrerebbero  nemmeno
nell'ambito della competenza  statale  per  il  «coordinamento  della
finanza pubblica». Poiche' tali disposizioni conterrebbero previsioni
puntuali e specifiche, che non consentono alla Regione alcun  margine
di attuazione,  anche  quanto  alla  specifica  destinazione  di  una
entrata, non si sarebbe realmente  in  presenza  di  disposizioni  di
principio in tale materia (sono citate le sentenze di questa Corte n.
238 e n. 87 del 2018, n. 183 del 2016, n. 218 e n. 153 del  2015,  n.
289 del 2013 e n. 69 del 2011). 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- La Regione Toscana ha impugnato l'art. 11-quater della  legge
11 febbraio 2019, n. 12 (recte: art. 11-quater del  decreto-legge  14
dicembre 2018, n. 135 recante «Disposizioni  urgenti  in  materia  di
sostegno  e  semplificazione  per  le  imprese  e  per  la   pubblica
amministrazione»,  convertito,  con  modificazioni,  nella  legge  11
febbraio 2019, n. 12), nella parte in cui,  attraverso  l'inserimento
dei  commi  1-quinquies  e  1-septies  nell'art.   12   del   decreto
legislativo 16 marzo 1999, n. 79 (Attuazione della direttiva 96/92/CE
recante norme comuni per il mercato interno dell'energia  elettrica),
dispone  che  il  canone  di  concessione  delle  grandi  derivazioni
idroelettriche,  previsto  al  comma  1-quinquies,   ed   il   canone
aggiuntivo, di cui al successivo comma  1-septies,  corrisposti  alle
Regioni, siano rispettivamente destinati - per almeno il  (o  per  un
importo non inferiore al) 60 per cento - alle Province e alle  Citta'
metropolitane  il  cui  territorio  sia  interessato  dalle  medesime
derivazioni. 
    Ritiene la ricorrente che le disposizioni censurate  violerebbero
anzitutto  l'art.  117,  terzo  comma,  della  Costituzione,  poiche'
determinazione e riscossione dei canoni versati dai concessionari  di
derivazioni  idroelettriche  attengono  alla   materia   «produzione,
trasporto e distribuzione dell'energia»,  di  competenza  legislativa
concorrente tra Stato e Regioni, nel  cui  ambito  e'  preclusa  allo
Stato l'adozione di norme  di  dettaglio,  introduttive  di  precetti
specifici e  puntuali  quanto  alla  destinazione  dei  canoni  cosi'
determinati e riscossi. 
    Vi sarebbe altresi' violazione dell'art. 118  Cost.,  poiche'  le
disposizioni  impugnate  priverebbero  le  Regioni  di  una  cospicua
risorsa finanziaria, ostacolando il corretto esercizio delle funzioni
amministrative assegnate  alle  Regioni  medesime  nella  materia  in
questione. 
    Infine, sarebbe violato  l'art.  119,  primo,  secondo  e  quarto
comma, Cost., poiche' l'introduzione di norme che riducono le risorse
finanziarie utilizzabili dalle Regioni, con previsioni  di  dettaglio
che  esulano  dalla  formulazione  di  principi  fondamentali   della
materia,  relativamente  a  funzioni  legislative  e   amministrative
proprie delle Regioni medesime, provocherebbe per dette  Regioni  una
limitazione dell'autonomia  finanziaria  di  entrata  e  di  spesa  e
pregiudicherebbe il criterio di adeguatezza delle risorse  necessarie
per l'esercizio delle funzioni indicate. 
    2. - Le questioni sollevate su entrambe le disposizioni impugnate
sono fondate, per violazione di tutti i parametri evocati. 
    Cosi' come rilevato dalla  Regione  ricorrente,  e  peraltro  non
contestato dall'Avvocatura generale dello Stato, la disciplina  delle
grandi derivazioni idroelettriche e', per gli aspetti qui  rilevanti,
rimessa alla competenza concorrente di Stato e Regioni, in virtu'  di
quanto stabilito al terzo comma dell'art. 117 Cost.  con  riferimento
alla  materia  «produzione,  trasporto  e   distribuzione   nazionale
dell'energia». 
    In tal senso la giurisprudenza di questa Corte e' costante. 
    Cosi', a fronte di ricorsi regionali che  avevano  impugnato  una
legge statale introduttiva di una  proroga  di  lungo  periodo  delle
concessioni in atto per grandi  derivazioni  idroelettriche,  si  era
chiarito come la competenza esclusiva statale dovesse  riguardare  le
procedure di assegnazione delle concessioni (rientranti nella  tutela
della concorrenza, che peraltro veniva in  quel  caso  frustrata  dal
ritardo imposto nella liberalizzazione del mercato),  ma  la  materia
fosse  per  il  resto   riconducibile,   appunto,   alla   competenza
concorrente concernente l'energia. Un ambito materiale, quest'ultimo,
in cui la legislazione dello Stato e'  chiamata  a  dettare  principi
fondamentali  e  non  invece  norme  di  dettaglio,  tali   dovendosi
considerare  quelle  concernenti  una  determinata  e   generalizzata
proroga dei rapporti concessori in atto (sentenza n. 1 del 2008). 
    Successivamente, di fronte ad un nuovo provvedimento di  proroga,
l'assunto e' stato confermato: «[l]e disposizioni impugnate, [...] in
quanto attengono alla durata ed alla programmazione delle concessioni
di grande derivazione d'acqua per  uso  idroelettrico,  si  ascrivono
alla  materia  "produzione,  trasporto  e   distribuzione   nazionale
dell'energia", attribuita alla competenza legislativa concorrente». E
poiche', anche in quel caso, le norme censurate ponevano un  precetto
specifico e puntuale - prevedendo  la  proroga  automatica  di  dette
concessioni - esse dovevano configurarsi quali  norme  di  dettaglio,
conseguendone l'illegittimita' costituzionale (sentenza  n.  205  del
2011). 
    Ancora piu' rilevante  per  il  caso  di  specie,  e  altrettanto
chiara,   e'   la   giurisprudenza   costituzionale   relativa   alla
quantificazione della misura dei canoni dovuti dai  concessionari  di
impianti di grandi derivazioni d'acqua a scopo idroelettrico, che  ha
particolarmente considerato le interferenze tra legislazione  statale
e regionale al riguardo. Se infatti la sentenza n. 28 del 2014  aveva
limitato la competenza legislativa esclusiva statale alla  disciplina
delle procedure di gara  e  di  assegnazione  delle  concessioni,  la
successiva sentenza n. 64 del 2014 ha  ribadito  la  riconducibilita'
della materia al terzo comma dell'art. 117 Cost., procedendo poi alla
disamina di quelli che, in base alla normativa statale intervenuta al
momento, potevano considerarsi principi  fondamentali  della  materia
«produzione, distribuzione e trasporto nazionale dell'energia».  Essi
erano stati individuati nel principio di onerosita' della concessione
e in quello della proporzionalita'  del  canone  alla  entita'  dello
sfruttamento della risorsa pubblica e all'utilita' economica  che  il
concessionario ne ricava. 
    La sentenza n. 85 del 2014 aveva poi confutato la tesi - anche in
quel giudizio  sostenuta  dall'Avvocatura  generale  a  supporto  del
ricorso  proposto  dallo  Stato  contro  una  legge   regionale   che
determinava la misura dei canoni di concessione idroelettrica  -  che
nella specie fosse rilevante  la  materia  «tutela  dell'ambiente»  e
fosse dunque violata la competenza legislativa esclusiva dello  Stato
stesso:  giacche',  osservo'  questa  Corte,  il  ricorrente   faceva
sostanzialmente riferimento  alla  competenza  in  tema  di  servizio
idrico integrato, «ambito questo ben diverso da quello afferente alle
derivazioni  a  scopo  idroelettrico,  rispetto  al  quale  non  puo'
ritenersi che si verta in materia  di  tutela  dell'ambiente,  quanto
piuttosto prevalentemente in materia di energia». 
    La sentenza n. 158 del 2016 - nel confermare  la  non  conferenza
del riferimento  alla  materia  della  tutela  ambientale  -  ha  poi
specificamente rigettato la tesi secondo cui la disciplina dei canoni
atterrebbe interamente alla «tutela della concorrenza».  Quest'ultimo
ambito rileva, piuttosto, con riguardo alla definizione  di  «criteri
generali» per la fissazione degli importi massimi, restando  comunque
anche quest'ultima determinazione,  nel  rispetto  di  quei  criteri,
rimessa  alla  legislazione  regionale.   In   sintesi,   e'   dunque
«ascrivibile alla tutela della concorrenza  non  l'intera  disciplina
della  determinazione   dei   canoni   delle   concessioni   ad   uso
idroelettrico [...] ma soltanto la definizione dei "criteri generali"
che debbono poi essere seguiti dalle Regioni al momento di  stabilire
la misura dei canoni». Si e'  aggiunto  che,  d'altra  parte,  questa
soluzione e' «in linea con la costante giurisprudenza di questa Corte
secondo cui la natura  di  materia  trasversale  della  tutela  della
concorrenza fa si' che essa possa intersecare qualsivoglia titolo  di
competenza  legislativa  regionale,  ma  "nei   limiti   strettamente
necessari per assicurare gli interessi" cui e' preposta (sentenze  n.
452 del 2007 e n. 272 del 2004)». 
    Questo assunto e' con chiarezza confermato dalla sentenza  n.  59
del 2017, in cui si ribadisce che  determinazione  e  quantificazione
della misura dei canoni  devono  essere  ricondotte  alla  competenza
legislativa  concorrente  in  materia  di  «produzione,  trasporto  e
distribuzione nazionale dell'energia», di  cui  all'art.  117,  terzo
comma, Cost., mentre e' ascrivibile alla «tutela  della  concorrenza»
la definizione, con decreto ministeriale, dei «criteri generali»  che
condizionano la determinazione, da parte delle  Regioni,  dei  valori
massimi dei canoni. La sentenza riafferma, inoltre, che  le  Regioni,
salvo l'onere di adeguarsi a quanto  verra'  stabilito  dallo  Stato,
hanno attualmente titolo, nell'ambito della  propria  competenza,  ai
sensi dell'art. 117, terzo  comma,  Cost.,  a  determinare  i  canoni
idroelettrici nel rispetto dei gia' menzionati principi  fondamentali
della onerosita'  della  concessione  e  della  proporzionalita'  del
canone alla entita'  dello  sfruttamento  della  risorsa  pubblica  e
all'utilita' economica che il concessionario ne ricava (nello  stesso
senso anche la sentenza n. 119 del 2019). 
    Come  si  vede,  pur  non  avendo  mai  direttamente   affrontato
questioni relative alla disciplina dell'utilizzo e della destinazione
dei canoni di spettanza dell'ente concedente,  la  giurisprudenza  di
questa Corte ha  disegnato  un  quadro,  complesso  ma  stabile,  che
riferisce alla materia di competenza concorrente piu' volte ricordata
(«produzione, trasporto e distribuzione nazionale  dell'energia»)  le
disposizioni relative alla misura dei canoni di concessione, in  tale
ambito  spettando  allo  Stato   la   determinazione   dei   principi
fondamentali (onerosita' della  concessione  e  proporzionalita'  del
canone  all'entita'  dello  sfruttamento  della  risorsa  pubblica  e
all'utilita' economica  che  il  concessionario  ne  ricava)  e  alla
Regione la fissazione del quantum, nel rispetto dei criteri  generali
di competenza esclusiva statale  che  condizionano,  per  ragioni  di
tutela della concorrenza, la determinazione dei valori massimi. 
    3. - Pur incorporando proprio le due disposizioni  impugnate  nel
presente giudizio, la piu' recente normativa statale  intervenuta  in
materia di grandi derivazioni idroelettriche - cioe' il d.l.  n.  135
del 2018, come convertito nella legge n. 12 del 2019 - si presenta in
linea con il quadro appena delineato. 
    La nuova disciplina dispone  il  passaggio  in  proprieta'  delle
Regioni delle opere e degli impianti di cui  all'art.  25  del  regio
decreto 11 dicembre 1933, n. 1775 (Testo unico delle disposizioni  di
legge sulle acque e impianti elettrici). Reca altresi' -  a  fini  di
coerenza con la normativa dell'Unione europea - le regole cui  dovra'
attenersi la legislazione regionale a venire, in particolare in  tema
di  modalita'  e  termini  per  lo  svolgimento  delle  procedure  di
assegnazione in concessione delle grandi  derivazioni  idroelettriche
in scadenza, di criteri di ammissione alla  gara,  di  requisiti  dei
partecipanti, ed enuncia altresi' principi e criteri generali per  la
determinazione  dei  canoni.  A  quest'ultimo  proposito,   riconosce
espressamente la  competenza  regionale  quanto  alla  fissazione  in
concreto della misura dei canoni stessi, ribadendo i  gia'  ricordati
principi fondamentali in materia. 
    Nel contesto di tale disciplina, le  due  disposizioni  impugnate
appaiono  dissonanti,  proprio  perche'  connotate  da  un  grado  di
pervasivita' e di dettaglio incompatibile,  sia  con  il  livello  di
principio cui si mantiene  il  resto  della  disciplina  relativa  ai
canoni, sia con la materia nel caso di specie conferente. 
    Il comma 1-quinquies dell'art. 11-quater del d.l. n. 135 del 2018
prevede che il canone  demaniale,  determinato  con  legge  regionale
secondo i principi indicati dalla stessa disposizione, «e'  destinato
per almeno il 60 per cento alle province e alle citta'  metropolitane
il cui territorio e' interessato dalle derivazioni». 
    Il successivo comma 1-septies, a sua  volta,  stabilisce  che  il
titolare di una concessione scaduta deve riversare  alla  Regione  un
«canone aggiuntivo» rispetto al canone demaniale,  «da  corrispondere
per l'esercizio degli impianti nelle more  dell'assegnazione».  Anche
tale canone aggiuntivo, precisa la disposizione, «e' destinato per un
importo non inferiore al 60 per cento alle  province  e  alle  citta'
metropolitane il cui territorio e' interessato dalle derivazioni». 
    Ebbene, al lume della giurisprudenza prima riassunta, e' corretto
l'assunto di fondo della  Regione  ricorrente:  le  scelte  normative
appena descritte si  risolvono,  infatti,  in  previsioni  specifiche
circa  il  quantum  da  destinare  alle  Province   e   alle   Citta'
metropolitane, per fini generali di finanziamento. Non muta certo  la
loro natura - nel senso di collocarle a un livello di principio -  la
circostanza  che  tali  previsioni  indichino  solo  una  percentuale
minima,  consentendo  cosi',  ma  solo  in  astratto,   una   diversa
determinazione regionale: giacche' e' evidente che questa scelta, pur
concepibile, dovrebbe esclusivamente orientarsi verso la destinazione
agli enti ricordati di una quota addirittura maggiore  del  canone  e
del  canone  aggiuntivo,  nella  sola  prospettiva  di   un'ulteriore
riduzione delle entrate regionali. 
    D'altra  parte,  posto  che  canoni  e  canoni  aggiuntivi   sono
determinati dagli atti di concessione, sulla base della  legislazione
statale e delle successive leggi regionali, sulla scorta di parametri
matematici, e' possibile calcolare con una certa precisione il  costo
dell'applicazione  delle  norme  impugnate  a  carico  della  finanza
regionale. E cosi', del resto, ha fatto  la  Regione  ricorrente  nei
propri atti difensivi, con  puntuali  riferimenti  a  dati  analitici
riferiti alle entrate  del  caso  di  specie,  come  richiesto  dalla
giurisprudenza di  questa  Corte  laddove  le  Regioni  lamentino  la
violazione  dei  principi  contenuti  nell'art.  119  Cost.  a  causa
dell'inadeguatezza delle risorse a loro  disposizione  (ex  plurimis,
sentenze n. 83 del 2019, n. 5 del 2018, n. 192 del 2017, n. 249 e  n.
125 del 2015). 
    Risulta cosi' evidente che la legge dello Stato,  attraverso  una
disposizione di dettaglio - disposta, oltretutto, in favore  di  enti
territoriali privi di competenze funzionali o gestionali  in  materia
di grandi derivazioni idroelettriche - stabilisce la destinazione  di
una quota maggioritaria del canone e  del  canone  aggiuntivo  dovuto
alla Regione dai concessionari, spingendosi fino  a  quantificare  in
misura predeterminata (sia pure in termini percentuali)  i  fondi  da
"dirottare" fuori della disponibilita' regionale. 
    Si verifica in tal modo non solo la  violazione  del  riparto  di
competenze stabilito dall'art. 117, terzo comma, Cost.,  ma  altresi'
la lesione degli artt. 118 e 119 Cost., posto  che  dall'applicazione
delle norme impugnate risulterebbero piu' che dimezzati gli  introiti
derivanti dalle concessioni in esame, cio'  che  rende  credibile  il
lamentato  pregiudizio  per  il  pieno  e  corretto  esercizio  delle
funzioni amministrative regionali  in  materia  (art.  89,  comma  1,
lettera i, del decreto legislativo 31 marzo  1998,  n.  112,  recante
«Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello  Stato  alle
regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della legge  15
marzo 1997, n. 59»). 
    In queste condizioni, sono  in  effetti  a  rischio  la  corretta
ripartizione delle risorse, la necessaria corrispondenza  tra  queste
ultime e  le  relative  funzioni  amministrative  e,  in  ultimo,  la
garanzia del buon andamento dei servizi con quelle risorse finanziati
(sentenze n.10 del 2016, n. 188 del 2015, n. 4 del 2014 e n.  51  del
2013).  Ben  vero  che  l'autonomia  finanziaria   costituzionalmente
garantita agli  enti  territoriali,  come  costantemente  afferma  la
giurisprudenza di questa Corte,  non  comporta  una  rigida  garanzia
quantitativa e che le risorse disponibili possono subire modifiche e,
in particolare, riduzioni. Ma  la  giurisprudenza  costituzionale  ha
allo stesso modo chiarito  che  tali  riduzioni  non  devono  rendere
difficile, o addirittura impossibile, lo svolgimento  delle  funzioni
attribuite (ancora sentenza n. 83 del 2019). 
    4.- Non colgono nel segno  gli  argomenti  opposti  dalla  difesa
statale. 
    Non e' conferente l'evocazione, oltretutto piuttosto generica, di
ambiti  di  competenza  implicanti   addirittura   una   riserva   di
legislazione in favore dello Stato, come la «tutela dell'ambiente»  -
che,  come  visto,  la  giurisprudenza  costituzionale  non  ha   mai
considerato pertinente in tema di canoni di concessione relativi alle
grandi  derivazioni  idroelettriche  -  oppure   la   «tutela   della
concorrenza», i cui limiti  di  influenza  nell'ambito  materiale  in
esame sono gia' stati illustrati. 
    Non corretto risulta altresi'  l'ulteriore  argomento  sviluppato
dalla difesa dello  Stato  a  sostegno  della  non  fondatezza  delle
censure, incentrato sull'evocazione di una competenza statale in tema
di «coordinamento della finanza pubblica». 
    L'Avvocatura generale menziona la sentenza n.  533  del  2002  di
questa Corte, nata da impugnative dello Stato e della Regione  Veneto
contro una norma della Provincia autonoma di Bolzano, con la quale si
era disposto che i cosiddetti sovracanoni, relativi a concessioni  di
derivazione di acque pubbliche per uso idroelettrico, fossero versati
alla Provincia contestualmente al versamento dei canoni demaniali. La
sentenza  in  questione  aveva  riferito  la   disciplina   di   tali
sovracanoni alla materia della  «finanza  locale»  -  avuto  riguardo
all'art. 80 del d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670 (Approvazione del testo
unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale  per
il Trentino-Alto Adige) -  e  riconosciuto  il  rango  di  "principio
generale" alle norme statali che destinano le somme riscosse  a  quel
titolo ai consorzi tra i Comuni del bacino  imbrifero  relativo  alla
grande  derivazione  (con  conseguente  illegittimita'  della   legge
provinciale che in quel caso li  destinava,  invece,  alla  Provincia
autonoma di Bolzano). 
    Il riferimento alla  disciplina  dei  sovracanoni  e',  tuttavia,
fuorviante. Questi ultimi - come proprio la sentenza n. 533 del  2002
ha contribuito a chiarire - sono prestazioni patrimoniali diverse  da
quelle concernenti i canoni demaniali, e sono previste e regolate  da
norme apposite (art. 1, comma ottavo, della legge 27  dicembre  1953,
n. 959, recante «Norme modificatrici del T.U. delle leggi sulle acque
e sugli impianti elettrici», e art. 53 del r.d. n.  1775  del  1933),
non interessate dalla recente novella in tema di grandi derivazioni. 
    I sovracanoni si differenziano dal  canone  demaniale,  anzitutto
per il destinatario: non il concedente, ma il consorzio di Comuni,  o
degli enti locali comunque incisi dalle opere destinate a  compensare
l'alterazione del corso naturale delle acque per effetto  della  loro
regimazione artificiale (art. 1, quattordicesimo comma,  della  legge
n. 959 del 1953), o ancora i «Comuni rivieraschi  [e  le]  rispettive
Province» (art. 53, primo comma, del  r.d.  n.  1775  del  1933).  Si
distinguono, inoltre, per la finalizzazione (il progresso economico e
sociale delle popolazioni sulle quali impatta la grande  derivazione,
nonche' la realizzazione di opere  di  sistemazione  montana  non  di
competenza statale). Diversa infine e' la loro natura giuridica,  non
essendo il sovracanone  posto  in  relazione  sinallagmatica  con  il
rilascio della concessione, presentandosi invece  quale  «prestazione
patrimoniale imposta a  fini  solidaristici»  (sentenza  n.  533  del
2002), non  correlata  alla  utilizzazione  dell'acqua  pubblica  (in
particolare, si veda il gia' citato quattordicesimo comma dell'art. 1
della legge n. 959 del 1953). 
    La determinazione dei  sovracanoni  e',  quindi,  riferita  dalla
sentenza n. 533 del  2002  alle  materie  della  «armonizzazione  dei
bilanci pubblici» e del «coordinamento della finanza pubblica  e  del
sistema tributario», in allora entrambe  interamente  comprese  nella
previsione dell'art. 117, terzo comma, Cost. come materie di potesta'
legislativa concorrente. 
    Il fatto e' che la disciplina censurata dalla Regione Toscana non
riguarda  i  sovracanoni  e   non   puo'   quindi   ripetere   quella
finalizzazione economico-sociale che, secondo  l'Avvocatura  generale
dello Stato, dovrebbe giustificarla, e che  dovrebbe  emergere  dalla
destinazione dei fondi ad  enti  locali  genericamente  «interessati»
dalle derivazioni. 
    Del resto, i sovracanoni previsti  dalla  disciplina  attualmente
vigente si distinguono nettamente dal canone demaniale e  dal  canone
aggiuntivo previsti rispettivamente dai commi 1-quinquies e 1-septies
dell'art. 12 del d.lgs. n. 79 del 1999. 
    Questa  conclusione  si  impone  rispetto  al  comma  1-quinquies
dell'art. 12 del d.lgs. n. 79 del 1999, il quale - nel  contesto,  si
ricordi,  di  un  trasferimento  delle   opere   concernenti   grandi
derivazioni alla proprieta' delle Regioni - prescrive nel primo e nel
secondo periodo il pagamento di un canone ad opera dei concessionari,
di natura chiaramente dominicale. 
    Ma vale anche  per  la  seconda  disposizione,  che  riguarda  le
prestazioni  dovute  dai  titolari   di   concessione   scaduta   per
l'esercizio della stessa  fino  alla  sua  (nuova)  assegnazione.  La
norma, che prevede la prosecuzione della fornitura di energia  e  del
versamento del canone gia' indicati al comma  1-quinquies,  prescrive
«un canone aggiuntivo, rispetto  al  canone  demaniale»,  chiaramente
imposto in ragione della possibilita' di esercitare  e  sfruttare  la
concessione  dopo  la  sua  scadenza.  E  anche  per  questo  «canone
aggiuntivo»  e'  previsto  un  versamento  alle  Province  (o  Citta'
metropolitane), in misura non inferiore al 60 per cento. 
    Da un lato non v'e' ragione di supporre che il legislatore  abbia
fatto ricorso  casuale  ad  una  espressione  diversa  da  quella  di
sovracanone, quale quella di «canone aggiuntivo»: espressione che sta
appunto ad indicare un canone che si aggiunge a  quello  demaniale  e
non  si  distingue,  per  natura,  da  questo.  Dall'altro  lato,  la
permanente vigenza della disciplina dei sovracanoni -  non  solo  non
incisa  dalla  complessiva   disciplina   qui   in   questione,   ma,
soprattutto,  non   coinvolta   dall'accoglimento   delle   questioni
sollevate dalla  ricorrente  -  tranquillizza  quanto  al  permanente
adempimento delle  distinte  esigenze  solidaristiche  e  di  finanza
pubblica, a favore degli enti locali  territoriali  interessati,  cui
tale ultima disciplina presiede. 
    Per  quel  che  occorra,  si  deve  aggiungere  che   la   stessa
invocazione della materia del coordinamento della  finanza  pubblica,
con il connesso riparto della  competenza  legislativa  tra  Stato  e
Regioni, implica  un  contesto  normativo  in  cui  sarebbe  comunque
illegittima una normativa statale recante un vincolo  dettagliato  di
destinazione delle entrate spettanti alle  Regioni.  Sicche',  se  la
legislazione statale intendesse, in futuro, configurare correttamente
un principio che affermi il concorso degli enti locali alla fruizione
delle entrate provenienti dai  concessionari  di  grandi  derivazioni
(estendendo  anche  all'ambito  materiale  dei  canoni  demaniali  il
principio affermato in  precedenza  solo  riguardo  ai  sovracanoni),
dovrebbe  prescindere  da  una  quantificazione  in  dettaglio  delle
percentuali di riparto, limitandosi a stabilire  la  "direttiva"  per
una distribuzione, secondo criteri razionali,  dei  fondi  rivenienti
dallo sfruttamento delle derivazioni idroelettriche, tenendo peraltro
conto, in primo luogo, della necessita'  delle  Regioni  di  disporre
delle risorse adeguate  per  il  corretto  esercizio  delle  funzioni
amministrative assegnatele in materia, come gia' si e' detto  (supra,
punto 3). 
    Nell'attuale tenore, invece, entrambe le previsioni censurate  si
mostrano per quello che  sono,  e  cioe'  disposizioni  di  dettaglio
configuranti uno specifico vincolo, quantitativamente determinato, su
entrate di spettanza regionale, che non puo' che  ridurre  fortemente
la capacita' regionale di esercitare correttamente le  corrispondenti
funzioni amministrative, e che dispone la destinazione  maggioritaria
delle risorse medesime al  finanziamento  di  enti  locali  privi  di
funzioni sulle grandi derivazioni idroelettriche, e il cui territorio
e' solo genericamente interessato da queste ultime. 
    Le disposizioni impugnate sono pertanto in contrasto con tutti  i
parametri evocati dalla ricorrente.