ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale  dell'art.  2,  comma
2-bis,  della  legge  24  marzo  2001,  n.  89  (Previsione  di  equa
riparazione  in  caso  di  violazione  del  termine  ragionevole  del
processo  e  modifica  dell'articolo  375  del  codice  di  procedura
civile), inserito dall'art. 55, comma 1, lettera a),  numero  2,  del
decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83 (Misure urgenti per  la  crescita
del paese), convertito, con modificazioni, nella legge 7 agosto 2012,
n. 134, promosso dalla Corte d'appello di  Firenze  nel  procedimento
vertente tra F. L.M. e il Ministero della  giustizia,  con  ordinanza
del 23 settembre 2019, iscritta al n. 36 del registro ordinanze  2020
e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n.  11,  prima
serie speciale, dell'anno 2020. 
    Udito nella camera di consiglio del 4 novembre  2020  il  Giudice
relatore Stefano Petitti; 
    deliberato nella camera di consiglio del 4 novembre 2020. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza del 23 settembre 2020, la  Corte  d'appello  di
Firenze  ha  sollevato  questione  di   legittimita'   costituzionale
dell'art.  2,  comma  2-bis,  della  legge  24  marzo  2001,  n.   89
(Previsione di equa riparazione in caso  di  violazione  del  termine
ragionevole del processo e modifica dell'articolo 375 del  codice  di
procedura civile), inserito dall'art. 55, comma 1, lettera a), numero
2, del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83  (Misure  urgenti  per  la
crescita del paese), convertito, con  modificazioni,  nella  legge  7
agosto 2012, n. 134, nella parte  in  cui  prevede  che  il  processo
penale si considera iniziato con l'assunzione della qualita' di parte
civile in capo alla persona offesa dal  reato  ai  fini  del  computo
della durata ragionevole, per contrasto con l'art. 117, primo  comma,
della Costituzione, in relazione all'art. 6 della Convenzione europea
per  la  salvaguardia  dei  diritti  dell'uomo   e   delle   liberta'
fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata  e
resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848. 
    1.1.- Il magistrato designato della Corte  d'appello  di  Firenze
premette che F. L.M. ha proposto  domanda  di  equa  riparazione,  ai
sensi della legge n. 89  del  2001,  per  l'eccessiva  durata  di  un
procedimento penale a carico di A.G. 
    F.   L.M.   aveva   presentato   in   data   11   dicembre   2012
denuncia-querela nei confronti  di  A.G.,  il  quale  venne  iscritto
nell'apposito registro della Procura della Repubblica di Prato il  24
gennaio 2013 per i reati di cui agli  artt.  582  e  660  del  codice
penale.  L'ordinanza  di  rimessione  riferisce   che   le   indagini
preliminari    si    erano    protratte     ingiustificatamente     e
improduttivamente oltre  il  termine  previsto  dalla  legge  per  la
definizione del procedimento, nonostante le  richieste  di  sollecito
all'esercizio dell'azione penale depositate dal legale di F. L.M.  in
data 3 dicembre 2013 (con  allegata  documentazione  medica  relativa
alle lesioni subite e ai postumi delle stesse) e  in  data  17  marzo
2015. Di seguito, nel verbale  di  sommarie  informazioni  rilasciate
alla polizia giudiziaria il 7 luglio 2018, F. L.M. aveva ribadito  il
proprio interesse alla prosecuzione dell'azione penale,  riservandosi
la  costituzione  di   parte   civile,   e   aveva   anche   prodotto
documentazione medica e delle spese sostenute. In  data  29  novembre
2018 era stata, infine, notificata a F. L.M., quale  persona  offesa,
la richiesta di  archiviazione  dalla  Procura  della  Repubblica  di
Prato,  in  quanto  i  reati  ipotizzati  risultavano   estinti   per
prescrizione. 
    2.- La  Corte  d'appello  di  Firenze  evidenzia  come,  in  base
all'art. 2, comma 2-bis, della legge n. 89 del 2001,  «[i]l  processo
penale si considera iniziato con l'assunzione della qualita' (...) di
parte civile», e cio' indurrebbe a  respingere  la  domanda  di  equa
riparazione. Per il giudice a quo tale norma si  porrebbe,  tuttavia,
in contrasto con la giurisprudenza della Corte  europea  dei  diritti
dell'uomo, in particolare con la sentenza 7  dicembre  2017,  Arnoldi
contro Italia, secondo cui nel diritto italiano  la  posizione  della
parte lesa che, in attesa di potersi costituire parte  civile,  abbia
esercitato almeno uno dei diritti e  facolta'  ad  essa  riconosciuti
dalla legislazione  interna,  non  differisce,  per  quanto  riguarda
l'applicabilita' dell'art. 6 CEDU, da quella della parte civile. 
    3.- L'ordinanza di rimessione richiama poi la sentenza n. 184 del
2015  di   questa   Corte,   che   ha   dichiarato   l'illegittimita'
costituzionale del censurato art. 2, comma 2-bis, nella parte in  cui
prevede che il processo penale si considera iniziato con l'assunzione
della qualita' di imputato, ovvero quando l'indagato ha avuto  legale
conoscenza della chiusura delle indagini preliminari, anziche' quando
l'indagato, in seguito a un atto dell'autorita' giudiziaria, ha avuto
conoscenza del procedimento  penale  a  suo  carico.  Tale  sentenza,
ricorda  il  rimettente,  preso   atto   dell'ingresso   nel   nostro
ordinamento del principio sancito dall'art. 6 della CEDU, ha concluso
che l'equa riparazione deve avere ad oggetto non soltanto la fase che
la  normativa  nazionale  qualifica  come  "processo",  ma  anche  le
attivita' procedimentali che la precedono, ove idonee  a  determinare
il danno al cui ristoro e'  preposta  l'azione.  Individuato,  cosi',
nella  CEDU  il  parametro  interposto   con   cui   confrontare   la
legittimita' delle scelte legislative in punto di  equa  riparazione,
la sentenza n. 184 del 2015 ha chiarito come la nozione di "processo"
si renda  per  cio'  stesso  autonoma  dalle  ripartizioni  per  fasi
dell'attivita' giudiziaria finalizzata  all'accertamento  dei  reati,
per come viene disegnata dal legislatore nazionale. 
    4.- La Corte d'appello di Firenze, sulla base  dello  schema  del
contrasto  tra  norma  nazionale  e  norma   convenzionale,   dubita,
pertanto, della legittimita' costituzionale dell'art. 2, comma 2-bis,
della legge n. 89 del 2001,  atteso  che  tale  norma,  ai  fini  del
computo della ragionevole durata del processo penale, non  prende  in
considerazione la persona  offesa,  che  sia  anche  danneggiata  dal
reato, allorche' quest'ultima abbia esercitato gia' nel  corso  delle
indagini preliminari uno dei diritti e delle  facolta'  che  le  sono
riconosciuti dal codice di procedura penale. 
    4.1.- La questione, per il giudice rimettente, e'  rilevante  sia
per  l'evidente   applicabilita'   alla   fattispecie   della   norma
richiamata, sia perche' proprio a causa del termine  non  ragionevole
dell'attivita' investigativa e' stata poi chiesta l'archiviazione del
procedimento per intervenuta prescrizione del reato. 
    4.2.- L'interpretazione che escludesse dal computo  del  "termine
ragionevole"  la  fase  del  procedimento   penale   anteriore   alla
costituzione di  parte  civile  si  risolverebbe  in  una  violazione
dell'art. 6 della CEDU, richiamato espressamente dalla  stessa  legge
n. 89 del 2001. La Corte d'appello di Firenze osserva come la nozione
di causa, o di processo, considerata dalla CEDU,  si  identifica  con
qualsiasi procedimento che si svolga dinanzi agli organi pubblici  di
giustizia  per  l'affermazione  o  la  negazione  di  una   posizione
giuridica di diritto o di soggezione facente capo al soggetto che  il
processo promuova o subisca: ai fini  dell'applicazione  dell'art.  6
CEDU, il diritto di far perseguire o condannare  terze  persone  deve
necessariamente andare di pari passo con l'esercizio da  parte  della
vittima del suo diritto di intentare un'azione  civile,  offerta  dal
diritto interno. La Corte rimettente osserva,  quindi,  come  per  la
Corte europea dei diritti dell'uomo  non  rileva  lo  status  formale
della persona offesa nell'ambito del  procedimento  penale  italiano,
occorrendo,  invece,  verificare:  a)  se  l'interessata   intendesse
ottenere la tutela del suo  diritto  civile  o  «far  valere  il  suo
diritto a una riparazione» nell'ambito del procedimento penale; b) se
l'esito della fase delle indagini preliminari fosse determinante  per
il «diritto di carattere civile in causa». 
    5.- Nel caso in esame, chiarisce il giudice a quo, F. L.M.  aveva
manifestato l'intenzione di ottenere  la  tutela  di  un  diritto  di
carattere civile; la causa riguardava  una  denuncia  per  lesioni  e
molestie produttive di danni  risarcibili;  la  querelante,  oltre  a
chiedere  la  punizione  del  colpevole,  aveva  manifestato  la  sua
intenzione di costituirsi parte  civile  nel  procedimento  penale  e
aveva chiesto di  essere  avvisata  dell'eventuale  archiviazione  ai
sensi dell'art. 408 del codice di procedura penale. 
    5.1.- L'ordinanza  di  rimessione  argomenta  come,  nel  diritto
italiano, la posizione della parte lesa che,  in  attesa  di  potersi
efficacemente  costituire  parte   civile,   abbia   esercitato   nel
procedimento  penale  almeno  uno  dei  diritti  e   delle   facolta'
espressamente riconosciuti dalla legge alla vittima del reato  (quali
il  diritto  di  ricevere  informazioni,  di  chiedere  al   pubblico
ministero la  produzione  di  un  mezzo  di  prova,  di  nominare  un
rappresentante, di presentare memorie), non differisce  in  sostanza,
ai fini dell'applicabilita' dell'art. 6 CEDU, da quella  della  parte
civile. 
    5.2.- La Corte rimettente  rileva,  quindi,  come  nella  vicenda
sottoposta al suo esame la ricorrente, oltre ad aver dichiarato, come
visto, di voler essere  informata  circa  l'eventuale  archiviazione,
aveva prodotto documenti e aveva piu' volte sollecitato  il  pubblico
ministero, cosi' dimostrando di nutrire, in  pendenza  dell'attivita'
investigativa, una legittima aspettativa in ordine alla futura tutela
dei suoi interessi civili nell'ambito del procedimento penale. 
    5.3.- Ad  avviso  del  giudice  a  quo,  neppure  rileverebbe  la
possibilita', offerta dal diritto interno, di utilizzo della via  del
giudizio civile, in alternativa a quella del giudizio penale,  atteso
che, quando l'ordinamento  giuridico  nazionale  offre  alla  persona
sottoposta alla giustizia un ricorso volto alla tutela di un  diritto
di carattere civile, lo Stato  ha  l'obbligo  di  vigilare  affinche'
quest'ultimo goda delle garanzie fondamentali  dell'art.  6  CEDU,  e
cio' anche quando l'interessato  abbia  intentato  o  avrebbe  potuto
intentare, in base alle norme nazionali, un'azione diversa. Ad avviso
del giudice rimettente, per determinare il «termine ragionevole»  del
procedimento penale, con riguardo al soggetto che sostenga di  essere
stato leso da un reato, occorrerebbe far capo al momento  in  cui  lo
stesso eserciti uno  dei  diritti  e  delle  facolta'  che  gli  sono
espressamente riconosciuti  dalla  legge,  in  tal  modo  dimostrando
l'interesse attribuito da quello  alla  tutela  del  suo  diritto  di
carattere civile. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- La Corte d'appello di Firenze, con ordinanza del 23 settembre
2020, ha sollevato questione di legittimita' costituzionale dell'art.
2, comma 2-bis, della legge 24 marzo 2001, n. 89 (Previsione di  equa
riparazione  in  caso  di  violazione  del  termine  ragionevole  del
processo  e  modifica  dell'articolo  375  del  codice  di  procedura
civile), inserito dall'art. 55, comma 1, lettera a),  numero  2,  del
decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83 (Misure urgenti per  la  crescita
del paese), convertito, con modificazioni, nella legge 7 agosto 2012,
n. 134, nella  parte  in  cui  prevede  che  il  processo  penale  si
considera iniziato con l'assunzione della qualita' di parte civile in
capo alla persona offesa dal reato ai fini del computo  della  durata
ragionevole,  per  contrasto  con  l'art.  117,  primo  comma,  della
Costituzione, in relazione all'art. 6 della Convenzione  europea  per
la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle  liberta'  fondamentali
(CEDU), firmata  a  Roma  il  4  novembre  1950,  ratificata  e  resa
esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848. 
    1.1.- Per il giudice a quo, la norma  censurata  si  porrebbe  in
contrasto con la  giurisprudenza  della  Corte  europea  dei  diritti
dell'uomo, in particolare con la sentenza 7  dicembre  2017,  Arnoldi
contro Italia, secondo cui nel diritto italiano  la  posizione  della
parte lesa che, in attesa di potersi costituire parte  civile,  abbia
esercitato almeno uno dei diritti e  facolta'  ad  essa  riconosciuti
dalla legislazione  interna,  non  differisce,  per  quanto  riguarda
l'applicabilita' dell'art. 6 CEDU, da quella della parte civile. 
    2.- La questione non e' fondata. 
    3.- Questa Corte, con la sentenza n. 184 del  2015,  ha  ritenuto
fondata la questione  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  2,
comma 2-bis, della legge n. 89 del 2001, sollevata, con riguardo alla
peculiare posizione dell'imputato, in riferimento all'art. 117, primo
comma, Cost., in relazione all'art. 6 CEDU, nella  parte  in  cui  la
medesima norma prevedeva  che  il  processo  penale  si  considerasse
iniziato con l'assunzione della qualita' di imputato,  ovvero  quando
l'indagato  avesse  avuto  legale  conoscenza  della  chiusura  delle
indagini preliminari, anziche' quando l'indagato,  in  seguito  a  un
atto dell'autorita' giudiziaria, avesse comunque avuto conoscenza del
procedimento penale a suo carico. 
    La sentenza n. 184 del 2015 ha avvertito che, una volta penetrato
nel nostro ordinamento, per effetto della  giurisprudenza  europea  e
con valore di fonte sovra-legislativa, il principio che collega  alla
lesione del diritto alla ragionevole  durata  del  processo,  sancito
dall'art. 6 della CEDU, una pretesa riparatoria nei  confronti  dello
Stato, viene da se' che  l'equa  riparazione  abbia  ad  oggetto  non
soltanto la fase che la normativa nazionale qualifica "processo",  ma
anche le attivita' procedimentali che  la  precedono,  ove  idonee  a
determinare  il  danno  al  cui   ristoro   e'   preposta   l'azione.
Determinante e' stato ritenuto il richiamo alla giurisprudenza  della
Corte europea dei diritti dell'uomo, la quale, in piu'  pronunce,  ha
dedotto dall'art.  6  della  CEDU  la  regola  che  impone,  ai  fini
dell'indennizzo   conseguente   all'inosservanza   del   termine   di
ragionevole durata del processo penale, di tenere conto  del  periodo
che segue  la  comunicazione  ufficiale,  proveniente  dall'autorita'
competente, dell'accusa di avere commesso un reato.  La  sentenza  n.
184 del 2015 ha quindi reputato tale approdo  ermeneutico  del  tutto
consono alle finalita'  perseguite  dal  giudizio  di  riparazione  e
sollecitate dall'osservanza del canone del giusto processo in  ambito
convenzionale. In altri  termini,  se  si  individua  nella  CEDU  il
parametro interposto con cui confrontare la legittimita' delle scelte
legislative in punto di equa riparazione, la nozione di "processo" si
rende  per  cio'  stesso  autonoma  dalle   ripartizioni   per   fasi
dell'attivita' giudiziaria finalizzata  all'accertamento  dei  reati,
per come viene disegnata dal legislatore nazionale. 
    La violazione del diritto a una celere definizione  del  processo
penale,  ex  art.  6  CEDU,  giustifica,  cosi',  la  pretesa  di  un
indennizzo idoneo a ristorare il patimento  cagionato  dall'eccessiva
pendenza dell'accusa, quando la stessa sia stata espressa  per  mezzo
di un atto dell'autorita' giudiziaria e abbia in tal  modo  acquisito
una consistenza tale da ripercuotersi significativamente  sulla  vita
dell'indagato. 
    Questa Corte ha ancora avuto modo di evidenziare  nella  sentenza
n. 184 del 2015 che la discrezionalita' legislativa riconosciuta agli
Stati  nella  determinazione  di  quanto  spetta  a  titolo  di  equa
riparazione deve comunque  manifestarsi  nel  rispetto  dei  principi
cardine che la Corte europea trae dall'art.  6  della  CEDU  e  senza
incidere sull'an del diritto. In tale prospettiva,  questa  Corte  ha
accertato che l'art. 2, comma 2-bis, con riferimento  alla  posizione
dell'imputato, non osservava  nessuna  di  tali  condizioni.  Non  la
prima,  perche'  il  legislatore  italiano  si  e'  svincolato  dalla
generale nozione di "processo" penale rilevante ai sensi dell'art.  6
della Convenzione, tale da abbracciare  anche  parte  delle  indagini
preliminari, per ripiegare sulla  qualificazione  nazionale  di  tale
istituto.  Non  la  seconda,  giacche'  e'  ben  possibile   che   il
superamento del termine ragionevole, da cui dipende il  diritto  alla
riparazione garantito dalla  CEDU,  derivi  soltanto  aggiungendo  il
periodo di svolgimento delle indagini al  computo  della  durata  del
successivo processo penale. 
    Pur dopo  aver  ristabilito  la  conformita'  a  Costituzione  e,
mediatamente, alla CEDU  dell'art.  2,  comma  2-bis,  nel  senso  di
considerare iniziato il processo penale gia'  quando  l'indagato,  in
seguito a un atto dell'autorita' giudiziaria, abbia avuto  conoscenza
del procedimento penale a suo carico, la sentenza n. 184 del 2015  ha
precisato, peraltro, come persista la  discrezionalita'  del  giudice
dell'equa riparazione nel verificare, alla luce dei fattori  indicati
dalla Corte EDU e dal legislatore, se  l'eventuale  inosservanza  dei
termini  di  legge  comporti  o  meno  violazione  del  diritto  alla
ragionevole durata del processo. 
    4.-  Con  la  sentenza  n.  36  del  2016,  che   ha   dichiarato
l'illegittimita' costituzionale dell'art. 2, comma 2-bis, della legge
n. 89 del 2001, nella parte in cui tale norma determinava  la  durata
considerata  ragionevole  del  processo  di  primo  grado   di   equa
riparazione, questa Corte ha ravvisato poi nella stessa legge "Pinto"
l'intento  del  legislatore  di   sottrarre   alla   discrezionalita'
giudiziaria la  determinazione  della  congruita'  del  termine,  per
affidarla invece ad una previsione legale di carattere generale. 
    E ancora, in altre pronunce, questa Corte  ha  affermato  che  la
discrezionalita' che la CEDU accorda allo Stato aderente nella scelta
del rimedio interno per far fronte alla violazione della  ragionevole
durata  del  processo,  in  particolare  ove  si  opti   per   quello
risarcitorio, incontra il limite dell'effettivita'  (sentenze  n.  88
del 2018 e n. 30 del 2014). 
    5.- La questione posta dalla Corte d'appello di Firenze  investe,
allora, la previsione legale di carattere generale con cui l'art.  2,
comma 2-bis, della legge n. 89 del 2001 ha provveduto  a  determinare
la congruita' del termine  di  durata  del  processo  penale  per  la
persona offesa dal reato, considerandolo iniziato soltanto da  quando
la stessa  assume  la  qualita'  di  parte  civile.  Occorre  percio'
verificare la legittimita' di tale scelta legislativa interna in tema
di equa riparazione, alla luce del parametro  interposto  individuato
nella CEDU, analizzando gli interessi di cui e' portatrice la persona
offesa  dal  reato  gia'  prima  del  momento  in  cui  l'ordinamento
nazionale attribuisce ad essa la qualita' di «parte civile», e dunque
avendo riguardo alle  attivita'  procedimentali  che  precedono  tale
momento,  ove  comunque   idonee   a   determinare   il   danno   per
l'irragionevole protrazione del processo penale secondo il canone  di
ambito  convenzionale,  al   cui   ristoro   e'   preposta   l'azione
risarcitoria. 
    6.- La  costante  giurisprudenza  di  questa  Corte  guarda  alla
persona offesa dal reato nel processo penale come soggetto  portatore
di un duplice interesse: quello al risarcimento  del  danno,  che  si
esercita  mediante  la  costituzione  di  parte  civile,   e   quello
all'affermazione della responsabilita' penale dell'autore del  reato,
che si esercita mediante un'attivita'  di  supporto  e  di  controllo
dell'operato del pubblico ministero (sentenza n. 23 del 2015). 
    6.1.- L'assetto generale del processo, posto a base del codice di
procedura penale del 1988, e' ispirato all'idea della separazione dei
giudizi, penale e civile, essendosi rivelata prevalente, nel  disegno
del legislatore, l'esigenza di speditezza e di sollecita  definizione
dei processi  rispetto  all'interesse  del  soggetto  danneggiato  di
avvalersi del processo penale ai fini del  riconoscimento  delle  sue
pretese di natura civilistica (sentenze n. 353 del 1994 e n. 192  del
1991). 
    6.2.- L'intervento nel processo penale della parte civile  trova,
invero, giustificazione, oltre che nella necessita'  di  tutelare  un
legittimo interesse della persona offesa dal reato, nell'unicita' del
fatto storico, valutabile sotto il  duplice  profilo  dell'illiceita'
penale  e  dell'illiceita'  civile,  realizzando   cosi'   non   solo
un'esigenza di economia dei giudizi, ma anche evitando  un  possibile
contrasto di pronunce. Tuttavia, l'azione per il  risarcimento  o  le
restituzioni ben puo' avere ab initio  una  propria  autonomia  nella
naturale sede del giudizio civile, con un iter del tutto indipendente
rispetto   al   giudizio   penale,   senza   che   sussistano    quei
condizionamenti che, viceversa, la legge impone nel caso  in  cui  si
sia preferito esercitare l'azione civile nell'ambito del procedimento
penale, e che sono giustificati dal  fatto  che  oggetto  dell'azione
penale  e'   l'accertamento   della   responsabilita'   dell'imputato
(sentenza n. 532 del 1995). 
    6.3.- Il disegno del legislatore italiano del codice di procedura
penale del 1988, per come costantemente ricostruito da questa  Corte,
guarda, pertanto, alla persona offesa, quale «soggetto eventuale  del
procedimento  o  del  processo»,  e  non  quale  parte  principale  e
necessaria (ordinanze n. 254 del 2011 e n. 339 del 2008). Il  diverso
risalto attribuito agli interessi della parte civile e  dell'imputato
nel sistema processuale penale viene giustificato dalla constatazione
che alla prima e' comunque assicurato  un  diretto  e  incondizionato
ristoro dei propri diritti attraverso l'azione sempre esercitabile in
sede propria (sentenze n. 217  del  2009  e  n.  168  del  2006).  Il
titolare  dell'azione  per  il  risarcimento  del  danno  o  per   le
restituzioni da reato, puo', dunque,  chiedere  tutela  nel  processo
civile  del  tutto  indipendentemente  dal  giudizio  penale,  previa
valutazione comparativa dei vantaggi e degli svantaggi  insiti  nella
opzione concessagli (sentenza n. 94 del 1996; ordinanza  n.  424  del
1998). 
    6.4.- Cosi' si sono ritenute legittime  sia  l'attribuzione  alla
persona offesa di poteri circoscritti rispetto a quelli  riconosciuti
al pubblico ministero o all'indagato, sia  la  previsione  di  limiti
alla possibilita' per la "potenziale" parte civile di far  valere  le
sue ragioni nel giudizio penale, in maniera da precludere l'esercizio
dell'azione di danno prima e al di fuori della  fase  processuale  in
senso proprio, non potendosi dare la costituzione di "parte"  se  non
allorche' sia insorto un vero e  proprio  rapporto  processuale.  Ne'
rileverebbe in senso opposto a tali conclusioni  -  che  lasciano  al
legislatore la scelta della configurazione della  tutela  civilistica
in vista degli scopi propri  del  processo  penale  -  l'esigenza  di
tutelare   una   eventuale   esplicita   manifestazione    preventiva
dell'intenzione  del  danneggiato   di   costituirsi   parte   civile
anteriormente all'esercizio dell'azione penale, restando  pur  sempre
intatta anche  in  tale  evenienza  la  sua  facolta'  di  esercitare
l'azione di risarcimento nella sede civile (sentenza n. 192 del 1991;
ordinanza n. 124 del 1999). 
    7.- Il dubbio  sulla  legittimita'  costituzionale  dell'art.  2,
comma 2-bis, della legge n. 89 del 2001,  per  contrasto  con  l'art.
117, primo comma, Cost., in  relazione  all'art.  6  CEDU,  sollevato
dalla Corte d'appello di Firenze con  riguardo  al  dies  a  quo  del
termine di durata del processo  penale  per  la  persona  offesa  dal
reato, muove dall'interpretazione emersa nella sentenza Arnoldi della
Corte europea dei diritti dell'uomo, secondo la  quale,  nel  diritto
italiano, la posizione della parte lesa che,  in  attesa  di  potersi
costituire parte civile, abbia esercitato almeno uno  dei  diritti  e
facolta'  ad  essa  riconosciuti  dalla  legislazione  interna,   non
differisce, ai fini dell'osservanza del canone del giusto processo in
ambito  convenzionale,  da  quella  della  parte  civile.  In  questa
sentenza, la Corte EDU ha ribadito che l'applicabilita' dell'art.  6,
paragrafo 1, della Convenzione non puo' dipendere dal  riconoscimento
dello status formale di «parte» ad opera del diritto  nazionale,  che
lo spirito della Convenzione  impone  di  non  intendere  il  termine
«contestazione»  in  un'accezione  troppo  tecnica  e  di  darne  una
definizione  materiale  piuttosto  che  formale,   e   che   non   e'
determinante per la tutela convenzionale la data del  deposito  della
domanda di risarcimento. Cio' che piuttosto e' apparso decisivo  alla
Corte EDU per  l'operativita'  dell'art  6,  paragrafo  1,  e'  stato
verificare: a) se, nel caso deciso, la ricorrente avesse  inteso,  in
sostanza, ottenere la tutela del suo diritto civile o «far valere  il
suo diritto a una riparazione» nell'ambito del  procedimento  penale;
b) se l'esito della  fase  delle  indagini  preliminari  fosse  stato
determinante per il «diritto di carattere civile in causa». 
    La predetta sentenza ha comunque riaffermato che «la  Convenzione
non sancisce ne'  il  diritto  (...)  alla  "vendetta  privata",  ne'
l'actio popularis [e che] percio', il diritto  di  far  perseguire  o
condannare penalmente terze persone non puo' essere  ammesso  di  per
se'», sicche' nell'ipotesi in cui la persona  presenti  denuncia  con
finalita' puramente  repressive  l'art.  6  non  trova  applicazione.
Viceversa, nella vicenda esaminata dalla Corte EDU, era riscontrabile
come la ricorrente gia' con la denuncia presentata avesse manifestato
la volonta' di ottenere tutela di un suo diritto civile e di chiedere
poi,  al  momento  opportuno,  una  riparazione  per   la   correlata
violazione di quel diritto di carattere civile di  cui  sosteneva  di
essere titolare. D'altro canto, tale sentenza, proprio tenendo  conto
delle  peculiarita'  del  sistema  giuridico  interno  italiano,   ha
ritenuto l'art. 6, paragrafo 1,  applicabile  alla  parte  lesa  che,
ancor prima dell'udienza preliminare, nella quale  costituirsi  parte
civile,  abbia  esercitato  quei   diritti   e   facolta'   ad   essa
espressamente riconosciuti dalla legge  e  consistenti  nel  ricevere
informazioni,  sollecitare  il  pubblico   ministero,   nominare   un
rappresentante, presentare memorie ed  indicare  elementi  di  prova,
condurre  indagini,  opporsi  alla  richiesta  di   archiviazione   e
ricorrere per cassazione avverso la decisione di archiviazione. 
    8.-  Osserva  questa  Corte  che  le  esigenze  di  tutela  degli
interessi della persona offesa, contemplate nella piu'  volte  citata
sentenza della Corte EDU, in correlazione alla peculiarita' del  caso
concreto,   non   depongono   comunque    per    la    illegittimita'
costituzionale, in riferimento all'art. 117, primo comma, Cost. e  al
parametro interposto di cui all'art.  6,  paragrafo  1,  della  CEDU,
della previsione legislativa di carattere generale dettata  dall'art.
2, comma 2-bis, della legge n. 89 del 2001, nella  parte  in  cui  la
norma censurata, ai fini del computo  della  durata  ragionevole  del
processo penale, considera  iniziato  quest'ultimo,  per  la  persona
offesa, con l'assunzione della qualita' di parte civile. 
    9.- Per ravvisare il contrasto, denunciato dalla Corte  d'appello
di Firenze, tra l'indicato art. 2, comma 2-bis, e la richiamata norma
interposta, in riferimento all'art. 117, primo comma,  Cost.,  e  per
postulare, percio', il computo complessivo del termine di ragionevole
durata, con decorrenza anticipata rispetto  a  quanto  stabilito  dal
medesimo art. 2, comma 2-bis, occorrerebbe verificare la  necessaria,
e non occasionale, identita'  tra  il  diritto  di  carattere  civile
spettante alla persona offesa gia' durante il periodo di  svolgimento
delle indagini preliminari e la  posizione  soggettiva  di  carattere
privato da essa azionata a seguito della costituzione di parte civile
nel processo penale, identita' da cui discenderebbe,  percio',  sotto
il profilo dell'effettivita'  del  pregiudizio  subito,  altresi'  la
necessaria unitarieta' dell'interesse a che il  complessivo  giudizio
penale si concluda in termini ragionevoli. 
    10.- L'ipotizzato procedimento inferenziale,  che  porti  in  via
generale ed astratta, sotto l'aspetto della  eccessiva  durata,  alla
omogeneizzazione  ed  al  cumulo  sostanziale  tra  il  segmento  del
processo in cui la persona offesa  si  sia  resa  attiva  durante  le
indagini preliminari e il segmento conseguente poi alla  costituzione
di parte civile, si rivela erroneo per svariate ragioni. 
    10.1.- Deve considerarsi innanzitutto come la persona offesa  dal
reato, cui fa riferimento l'art. 90 del codice di procedura penale, e
il soggetto al quale il reato ha recato danno, contemplato  dall'art.
74 cod. proc. pen. ai fini della  legittimazione  all'azione  civile,
non sono immancabilmente coincidenti. La persona offesa  e'  soltanto
il titolare dell'interesse direttamente protetto dalla  norma  penale
incriminatrice, e quindi la  sua  individuazione  e'  correlata  alla
struttura del reato, mentre l'individuazione del danneggiato riflette
le conseguenze privatistiche dell'illecito penale. 
    10.2.- In capo alla persona offesa si  concentrano,  in  realta',
interessi di natura duplice e non omogenea:  un  interesse  e'  volto
all'affermazione della responsabilita' penale dell'autore del  reato,
e si esercita  mediante  un'attivita'  di  supporto  e  di  controllo
dell'operato del pubblico ministero; un altro interesse e' diretto al
risarcimento del danno e si  esercita  mediante  la  costituzione  di
parte civile. 
    Le facolta' e i diritti, di cui, in particolare, agli  artt.  90,
90-bis, 101, 336, 341, 360, 369, 377, 394,  408,  410,  410-bis  cod.
proc. pen., sono attribuiti dalla legge alla persona offesa e non  al
danneggiato, e sono comunque volti a coadiuvare il pubblico ministero
ai  fini  dell'esercizio  dell'azione  penale,  ovvero  a  conseguire
l'accertamento del fatto-reato e la giusta punizione  del  colpevole.
Non si tratta, quindi, di poteri e facolta'  funzionali  alla  tutela
anticipata del diritto potenziale riconosciuto alla parte civile e il
loro esercizio non deve percio' implicare  una  retrodatazione  della
decorrenza  del  periodo  dei  patimenti  connessi   all'accertamento
processuale del credito risarcitorio da reato. Viceversa,  solo  dopo
che sia stata esercitata l'azione penale, nel sistema del  codice  di
procedura penale italiano emerge la primarieta'  della  parte  civile
costituita, cui vengono attribuiti poteri processuali finalizzati  al
soddisfacimento della domanda risarcitoria. 
    La valenza strettamente  personale,  e  non  patrimoniale,  della
qualita' della persona offesa trae significativa conferma dal dettato
del comma 3 dell'art. 90 cod. proc. pen.,  il  quale  attribuisce  ai
«prossimi congiunti» (e non agli eredi) le facolta' e  i  diritti  ad
essa spettanti ove sia deceduta in conseguenza del reato. 
    10.3.- I  diritti  e  le  facolta'  riconosciuti  dal  codice  di
procedura  penale  alla  persona  offesa  nel  corso  delle  indagini
preliminari, allo scopo di far perseguire o condannare l'indagato,  e
consistenti, indicativamente, nel presentare  memorie,  nell'indicare
elementi di prova, nel nominare un difensore, nel  proporre  querela,
nell'interloquire sulla proroga delle indagini o sulla  richiesta  di
archiviazione, risultano, pertanto, estranei di norma all'ambito  del
«diritto di carattere civile  in  causa»  di  cui  all'art.  6  della
Convenzione. Del resto, non puo' sottacersi che la stessa  condizione
cui e' subordinata la possibilita' di costituzione della parte civile
- e cioe' l'esercizio dell'azione penale  -  e'  pur  sempre  rimessa
all'iniziativa del pubblico ministero; con  la  precisazione  che  lo
stesso decreto del giudice, che accolga la richiesta di archiviazione
formulata dal pubblico ministero e  respinga  l'opposizione  proposta
dalla persona offesa, non e' suscettibile di impugnazione se non  nei
soli casi di mancato rispetto  delle  regole  poste  a  garanzia  del
contraddittorio formale, non potendo poi essere oggetto di censura le
valutazioni poste a fondamento dell'ordinanza di archiviazione. 
    10.4.- Il sistema italiano vigente,  giacche'  ispirato  all'idea
della separazione dei giudizi, scongiura  ogni  automatica  incidenza
determinante  dell'esito  delle  indagini  preliminari,   semmai   di
eccessiva durata, sul «diritto di carattere civile»  del  danneggiato
da  reato,  sempre  tutelabile  con   la   proposizione   dell'azione
restitutoria o risarcitoria innanzi al giudice civile. L'interferenza
degli approdi del processo penale sulla pretesa civile di  danno,  ai
sensi degli artt. 75 e 652  cod.  proc.  pen.,  discende,  piuttosto,
unicamente dalla scelta che il danneggiato compie proprio mediante la
costituzione di parte civile, la  quale  configura  l'unico  modo  di
esercizio dell'azione civile nel processo penale stesso. 
    10.5.- La soluzione adottata dal  legislatore  nazionale  con  la
previsione legale di carattere generale dettata  dall'art.  2,  comma
2-bis, della legge n. 89 del 2001, secondo cui, ai fini  del  computo
del termine ragionevole, il processo  penale  si  considera  iniziato
soltanto con l'assunzione della qualita' di parte civile,  si  rivela
percio' coerente con la ricostruzione sistematica che, prima e al  di
fuori della formale instaurazione del rapporto processuale,  nega  al
danneggiato la facolta'  di  far  valere  in  sede  penale,  sia  pur
soltanto in senso sostanziale, il «diritto di  carattere  civile»  al
risarcimento. 
    11.- Esulano, peraltro, dalle  finalita'  perseguite  dai  rimedi
avverso la violazione del diritto al rispetto del termine ragionevole
del  processo  di  cui  all'art.  6,  paragrafo  1,  CEDU,   trovando
appropriata ed effettiva risposta mediante ricorso ad altre azioni  e
in altre sedi, i profili attinenti all'accertamento  di  una  qualche
responsabilita' correlata ai ritardi o alle inerzie  nell'adozione  o
nella richiesta dei provvedimenti necessari a prevenire  o  reprimere
comportamenti penalmente rilevanti. 
    12.- Per le  considerazioni  che  precedono,  la  questione  deve
essere dichiarata non fondata.