ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art.  14,  comma
1, del decreto legislativo 14 marzo  2011,  n.  23  (Disposizioni  in
materia di federalismo Fiscale Municipale), nel testo anteriore  alle
modifiche apportate dall'art. 1, comma 715, della legge  27  dicembre
2013, n. 147, recante «Disposizioni per la  formazione  del  bilancio
annuale e  pluriennale  dello  Stato  (Legge  di  stabilita'  2014)»,
promosso dalla  Commissione  tributaria  provinciale  di  Milano  nel
giudizio vertente tra la Tecnogras srl  e  l'Agenzia  delle  entrate,
Direzione provinciale II di Milano, con ordinanza del 2 luglio  2019,
iscritta al n. 191 del registro ordinanze  2019  e  pubblicata  nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica  n.  45,  prima  serie  speciale,
dell'anno 2019. 
    Visti l'atto di costituzione della Tecnogras srl, nonche'  l'atto
di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; 
    udito nell'udienza pubblica  del  18  novembre  2020  il  Giudice
relatore Luca Antonini; 
    uditi l'avvocato Giulio Enea Vigevani  per  la  Tecnogras  srl  e
l'avvocato dello  Stato  Gianni  De  Bellis  per  il  Presidente  del
Consiglio dei ministri, in collegamento da remoto, ai sensi del punto
1) del decreto del Presidente della Corte del 30 ottobre 2020; 
    deliberato nella camera di consiglio del 19 novembre 2020. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza del 2 luglio 2019,  la  Commissione  tributaria
provinciale (CTP) di Milano ha sollevato, in riferimento  agli  artt.
3,  41  e  53   della   Costituzione,   questioni   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 14, comma  1,  del  decreto  legislativo  14
marzo 2011, n. 23 (Disposizioni in  materia  di  federalismo  Fiscale
Municipale), nel testo anteriore alle modifiche  apportate  dall'art.
1,  comma  715,  della  legge  27  dicembre  2013,  n.  147,  recante
«Disposizioni per la formazione del bilancio  annuale  e  pluriennale
dello Stato (Legge di stabilita' 2014)», ai sensi del quale l'imposta
municipale propria (IMU) «e' indeducibile dalle imposte erariali  sui
redditi e dall'imposta regionale sulle attivita' produttive». 
    1.1.- Il rimettente riferisce che le  questioni  sono  sorte  nel
corso di un  giudizio  promosso  dalla  Tecnogras  srl,  «attiva  nel
settore   immobiliare   (acquisto,   vendita,   locazione,   leasing,
costruzione,  ristrutturazione)  e  proprietaria  di  diverse  unita'
immobiliari», per il rimborso di parte dell'imposta sul reddito delle
societa' (IRES) interamente versata per il 2012 (anno  in  cui  aveva
partecipato con altra societa' controllata al consolidato fiscale  in
qualita' di consolidante). Il rimettente soggiunge  che  il  rimborso
attiene alla parte corrispondente  a  quanto  pagato  in  conseguenza
dell'indeducibilita' dell'IMU, quest'ultima a sua volta integralmente
corrisposta, nel medesimo periodo 2012, «su immobili propri», con  la
precisazione  che  «[t]ale  esborso  [...]  deriva   dagli   immobili
strumentali della societa' stessa». 
    1.2.- In  punto  di  rilevanza,  la  CTP  precisa  che  la  norma
censurata: a)  stabilisce  l'indeducibilita'  dell'IMU  dall'IRES  in
deroga all'art. 99, comma 1, del d.P.R. 22  dicembre  1986,  n.  917,
recante «Approvazione del testo unico delle imposte sui redditi»  (di
seguito anche: TUIR), a norma del quale tutte le imposte, diverse  da
quelle sui redditi e quelle per le quali e' prevista la rivalsa, sono
deducibili nell'esercizio in cui avviene il pagamento; b) si  applica
ratione temporis al periodo d'imposta a cui si riferisce la richiesta
di rimborso; c) «conduce inevitabilmente al rigetto della richiesta e
del ricorso poiche' inibisce il rimborso». 
    1.3.- In  punto  di  non  manifesta  infondatezza  il  rimettente
ritiene che il censurato art. 14, comma 1, del d.lgs. n. 23 del  2011
violi: 
    a) l'art. 53 Cost.,  sotto  il  profilo  dell'effettivita'  della
capacita' contributiva, in  quanto,  nel  disporre  l'indeducibilita'
dell'IMU dall'IRES, farebbe gravare  la  tassazione  su  «un  reddito
d'impresa in  parte  fittizio,  in  contrasto  con  il  principio  di
capacita'  contributiva»;  cio'  muovendo  dal  presupposto  che:  i)
«[l]'indeducibilita' totale o parziale [...] e' ammissibile  soltanto
con  riguardo  a  costi  che  presentano   elementi   di   incertezza
nell'inerenza o nella determinazione, o ancora qualora sia fondato il
pericolo che la deduzione di tali costi rischi di coprire  l'elusione
o l'evasione  fiscale»;  ii)  la  spesa  per  il  pagamento  dell'IMU
relativa agli immobili strumentali della societa' stessa deve  essere
considerata un costo certo e inerente alla produzione del reddito; 
    b) l'art. 53 Cost., sotto il profilo  del  divieto  della  doppia
imposizione, atteso che la societa' ricorrente nel giudizio a quo, in
ragione della proprieta' degli immobili, sarebbe «costretta a pagare,
di fatto, due volte un'imposta sulla base del medesimo  presupposto»,
il che potrebbe, peraltro, «condurre all'esaurimento della  capacita'
contributiva, o comunque puo'  costituire  un  carico  eccessivo  che
supera il limite massimo tollerabile per il prelievo tributario»; 
    c) gli artt. 3 e  53  Cost.,  con  riferimento  al  principio  di
ragionevolezza, poiche' il censurato regime  di  indeducibilita',  in
assenza di una valida giustificazione, non sarebbe «coerente  con  la
struttura stessa del presupposto» dell'IRES,  tributo  che,  a  norma
dell'art. 75, comma 1, TUIR,  «si  applica  sul  reddito  complessivo
netto»: e' vero infatti che  il  legislatore  in  materia  tributaria
«gode di  una  discrezionalita'  ampia  nel  fissare  il  presupposto
d'imposta; tuttavia, nell'individuazione  dei  singoli  elementi  che
concorrono   alla   formazione    della    base    imponibile    tale
discrezionalita' si restringe in modo considerevole» essendo tenuto a
strutturare il tributo in modo coerente con il presupposto prescelto; 
    d) l'art. 3 Cost., quanto al principio  di  uguaglianza  formale,
poiche' la mancata deducibilita' avrebbe «un impatto sul piano  della
cd.  equita'  orizzontale»,  sottoponendo  irragionevolmente  a   una
maggiore tassazione la societa' che si serve di immobili  strumentali
di  proprieta'  rispetto  a  quella  che  invece  utilizza   immobili
strumentali che non sono di sua proprieta'; 
    e) l'art. 41 Cost., avuto riguardo al principio  di  liberta'  di
iniziativa  economica  privata,  in   quanto   la   norma   censurata
penalizzerebbe indebitamente la scelta dell'impresa di investire  gli
utili nell'acquisto degli immobili strumentali,  senza  che  peraltro
siano rinvenibili «differenze qualitative apprezzabili del  costo  in
esame rispetto alla generalita' dei costi deducibili»  in  base  alla
disciplina generale dell'IRES. 
    2.- Con atto depositato il 26 novembre 2019, si e' costituita  la
Tecnogras srl,  chiedendo  che  la  norma  censurata  sia  dichiarata
incostituzionale. 
    La societa' afferma di condividere «pienamente la  prospettazione
del Giudice a quo». 
    Quanto alla rilevanza, la difesa privata ritiene che «[n]on  puo'
[...] sussistere alcun dubbio sul fatto che la  norma  rilevante  nel
giudizio  a  quo»  sia  quella   censurata,   considerato   che,   in
particolare, e' lo stesso legislatore ad aver  escluso  ogni  effetto
retroattivo dell'art. 1, comma 715, della  legge  n.  147  del  2013,
disponendo che  la  parziale  deducibilita'  dell'IMU  relativa  agli
immobili  strumentali  avesse  effetto  «a  decorrere   dal   periodo
d'imposta in corso al 31 dicembre 2013». 
    La parte ritiene, poi, di doversi confrontare con le  motivazioni
della sentenza n. 163 del 2019,  emessa  successivamente  all'odierna
ordinanza  di  rimessione,  con  cui  questa  Corte   ha   dichiarato
l'inammissibilita', per difetto  di  motivazione  sulla  rilevanza  e
incongruenza nella prospettazione, di una questione  di  legittimita'
«che, sotto alcuni profili, appare simile a quella odierna»  perche':
a) avente parimenti a oggetto l'art. 14, comma 1, del  d.lgs.  n.  23
del 2011, ma nella formulazione cosi' come sostituita dal citato art.
1, comma 715, della  legge  n.  147  del  2013;  b)  prospettata  con
riferimento all'art. 53 Cost.,  sotto  il  profilo  dell'effettivita'
della capacita' contributiva. Ad avviso della societa',  entrambe  le
ragioni che hanno condotto alla citata pronuncia di  inammissibilita'
non ricorrerebbero nel caso di  specie.  L'ordinanza  di  rimessione,
infatti, recherebbe, da un lato, una  diffusa  motivazione  circa  la
rilevanza della questione e, dall'altro, una  precisa  individuazione
della norma censurata. 
    Da ultimo, la parte privata osserva che la  norma  indubbiata  ha
cessato di avere efficacia a decorrere dal periodo d'imposta in corso
al  31  dicembre  2013;  pertanto  a  distanza  di  molti   anni   le
controversie ancora  pendenti  che  riguardano  la  sua  applicazione
sarebbero plausibilmente «un numero limitato», cosicche'  l'auspicata
declaratoria di incostituzionalita' «non comporterebbe il rischio  di
determinare  alcuna  significativa  alterazione  dell'equilibrio   di
bilancio». 
    3.- Con atto depositato il 26 novembre 2019,  e'  intervenuto  il
Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e   difeso
dall'Avvocatura generale dello  Stato,  chiedendo  che  le  questioni
siano dichiarate inammissibili o comunque infondate. 
    3.1.- La difesa statale innanzitutto ripercorre il complesso iter
evolutivo  in  cui  si  e'  sviluppata  la  graduale  previsione   di
deducibilita' dell'IMU. 
    Cio' premesso, ad avviso della difesa dello Stato,  la  questione
prospettata sarebbe inammissibile «[i]n analogia» a  quanto  statuito
da questa Corte nella sopra citata sentenza n. 163 del 2019,  poiche'
«il giudice a quo omette  di  confrontarsi  con  i  regimi  normativi
relativi ad  altri  periodi  d'imposta  altrettanto  rilevanti  nella
fattispecie per il suo esame». 
    3.2.- Nel merito, l'Avvocatura ritiene,  quanto  alla  violazione
dell'art. 53 Cost., che il rimettente muova dall'erroneo  presupposto
interpretativo per cui «tutte  le  imposte  siano  sempre  deducibili
l'una dalla base imponibile dell'altra»,  mentre  rientrerebbe  nella
discrezionalita' del legislatore  regolare  la  materia  degli  oneri
deducibili  e  in  particolare  di  quelli   natura   fiscale.   Tale
disciplina, infatti, atterrebbe «in sostanza  alla  congruita'  delle
aliquote che e' compito esclusivo del legislatore valutare e  fissare
in  relazione  ai  diversi  obiettivi  della  politica  economica   e
fiscale». 
    Inoltre  proprio  la  conformita'  al  principio   di   capacita'
contributiva dovrebbe portare a considerare  la  deducibilita'  degli
oneri fiscali come  un'eccezione  e  a  ritenere  che,  dato  il  suo
carattere di  agevolazione,  «semmai  lo  strumento  della  deduzione
dall'imponibile vada riservato  dal  legislatore  ad  altro  tipo  di
oneri,  non  coattivi,  dei  quali  si  intende  per  varie   ragioni
incentivare l'assunzione da parte dei contribuenti». 
    Sotto un diverso  profilo  la  difesa  erariale  precisa  che  la
previsione dell'integrale indeducibilita' dell'IMU avrebbe costituito
una non irragionevole «misura eccezionale e temporanea, per  il  solo
anno 2012», giustificata dalla «grave crisi economica  che  il  Paese
stava attraversando», la quale aveva,  tra  l'altro,  determinato  il
legislatore ad anticipare  l'introduzione  dell'IMU  proprio  a  tale
anno. Per queste ragioni la norma  censurata  sarebbe  finalizzata  a
conciliare  le  esigenze  finanziarie  dello  Stato  con  quelle  del
cittadino chiamato a contribuire ai bisogni  della  vita  collettiva,
come del resto gia' concluso da questa Corte,  con  riferimento  agli
artt. 3 e 53 Cost., nella sentenza n. 574 del 1988. 
    Ad avviso dell'Avvocatura andrebbe  inoltre  considerato  che  le
medesime argomentazioni varrebbero a legittimare dal punto  di  vista
costituzionale anche il successivo regime di deducibilita'  parziale,
introdotto dal 2013 e poi nel tempo modificato, in quanto  espressivo
del non irragionevole esercizio discrezionale del potere  legislativo
nella valutazione contingente di tale bilanciamento. 
    La difesa statale ritiene, infine, che la denunciata duplicazione
dell'imposizione dovrebbe considerarsi esclusa in ragione del diverso
presupposto impositivo dell'IMU, imposta  patrimoniale  di  carattere
reale, rispetto a IRES  e  IRPEF,  imposte  personali  incidenti  sui
flussi di reddito del contribuente. Onde, la legittima coesistenza di
detti tributi. 
    Infine,  osserva   l'Avvocatura,   la   censura   formulata   con
riferimento all'art. 41 Cost.  dovrebbe  ritenersi  inammissibile  in
quanto meramente  enunciata  o  comunque  infondata  poiche'  tramite
«l'agevolazione  fiscale   il   legislatore   vuole   promuovere   la
competitivita' delle imprese nell'interesse generale, senza che possa
dirsi sussistente ne' un  obbligo  per  il  medesimo  legislatore  di
estendere  la  misura  agevolativa,  ne'   tanto   meno   la   palese
arbitrarieta' o irrazionalita'  nella  scelta  discrezionale  di  non
estendere il beneficio». 
    4.- In prossimita' dell'udienza la Tecnogras  srl  ha  presentato
memoria, replicando  in  modo  analitico  alle  argomentazioni  della
difesa erariale. 
    La difesa della parte insiste per l'accoglimento delle  questioni
e,  in  particolare,  ritiene  non  condivisibile  l'argomento  della
transitorieta' ed eccezionalita' della  norma  censurata,  utilizzato
dall'Avvocatura generale e basato sulla circostanza che  la  suddetta
norma e' rimasta in vigore solo per il 2012. 
    Osserva, infatti, la societa' che, «nel momento in cui e' entrata
in vigore, la norma oggetto del presente giudizio non aveva carattere
transitorio o eccezionale e soltanto una successiva  valutazione  del
legislatore ha portato a una sua  riscrittura  (e  cio'  proprio  nel
malcelato tentativo di rimediare ai profili di illegittimita'  che  i
commentatori hanno da subito evidenziato rispetto al  totale  divieto
di deducibilita')». 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Con ordinanza del 2 luglio 2019,  la  Commissione  tributaria
provinciale (CTP) di Milano ha sollevato, in riferimento  agli  artt.
3,  41  e  53   della   Costituzione,   questioni   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 14, comma  1,  del  decreto  legislativo  14
marzo 2011, n. 23 (Disposizioni in  materia  di  federalismo  Fiscale
Municipale), nel testo anteriore alle modifiche  apportate  dall'art.
1,  comma  715,  della  legge  27  dicembre  2013,  n.  147,  recante
«Disposizioni per la formazione del bilancio  annuale  e  pluriennale
dello Stato (Legge di stabilita' 2014)», ai sensi del quale l'imposta
municipale propria (IMU) «e' indeducibile dalle imposte erariali  sui
redditi e dall'imposta regionale sulle attivita' produttive» (IRAP). 
    1.1.- A giudizio del rimettente la disposizione violerebbe: 
    a) l'art. 53 Cost.,  sotto  il  profilo  dell'effettivita'  della
capacita' contributiva, in  quanto,  nel  disporre  l'indeducibilita'
dell'IMU dall'imposta sul  reddito  delle  societa'  (IRES),  farebbe
gravare la tassazione su «un reddito d'impresa in parte fittizio,  in
contrasto con il  principio  di  capacita'  contributiva»;  cio'  sul
presupposto  che:  i)  «l'indeducibilita'  totale   o   parziale   e'
ammissibile soltanto con riguardo a costi che presentano elementi  di
incertezza nell'inerenza o nella determinazione, o ancora qualora sia
fondato il pericolo che la deduzione di tali costi rischi di  coprire
l'elusione o l'evasione fiscale»;  ii)  la  spesa  per  il  pagamento
dell'IMU relativa agli immobili  strumentali  della  societa'  stessa
deve essere considerata un costo certo e inerente alla produzione del
reddito; 
    b) l'art. 53 Cost., sotto il profilo  del  divieto  della  doppia
imposizione, atteso che la societa' ricorrente nel giudizio a quo, in
ragione della proprieta' degli immobili, sarebbe «costretta a pagare,
di fatto, due volte un'imposta sulla base del medesimo  presupposto»,
il che potrebbe, peraltro, «condurre all'esaurimento della  capacita'
contributiva, o comunque puo'  costituire  un  carico  eccessivo  che
supera il limite massimo tollerabile per il prelievo tributario»; 
    c) gli artt. 3 e  53  Cost.,  con  riferimento  al  principio  di
ragionevolezza, poiche' il censurato regime  di  indeducibilita',  in
assenza di una valida giustificazione, non sarebbe «coerente  con  la
struttura stessa del presupposto» dell'IRES,  tributo  che,  a  norma
dell'art. 75, comma 1, del d.P.R. 22 dicembre 1986, n.  917,  recante
«Approvazione del testo unico delle imposte sui redditi» (di  seguito
anche: TUIR), «si applica sul reddito  complessivo  netto»:  e'  vero
infatti che  il  legislatore  in  materia  tributaria  «gode  di  una
discrezionalita'  ampia  nel  fissare   il   presupposto   d'imposta;
tuttavia, nell'individuazione dei  singoli  elementi  che  concorrono
alla  formazione  della  base  imponibile  tale  discrezionalita'  si
restringe in modo considerevole»  essendo  tenuto  a  strutturare  il
tributo in modo coerente con il presupposto prescelto; 
    d) l'art. 3 Cost., quanto al principio  di  uguaglianza  formale,
poiche' la mancata deducibilita' avrebbe «un impatto sul piano  della
cd.  equita'  orizzontale»,  sottoponendo  irragionevolmente  a   una
maggiore tassazione la societa' che si serve di immobili  strumentali
di  proprieta'  rispetto  a  quella  che  invece  utilizza   immobili
strumentali che non sono di sua proprieta'; 
    e) l'art. 41 Cost., avuto riguardo al principio  di  liberta'  di
iniziativa  economica  privata,  in   quanto   la   norma   censurata
penalizzerebbe indebitamente la scelta dell'impresa di investire  gli
utili nell'acquisto degli immobili strumentali,  senza  che  peraltro
siano rinvenibili «differenze qualitative apprezzabili del  costo  in
esame rispetto alla generalita' dei costi deducibili»  in  base  alla
disciplina generale dell'IRES. 
    1.2.-  Preliminarmente  e'   necessario   delimitare   il   thema
decidendum. 
    Dalla  motivazione  e  dal  tenore  letterale  dell'ordinanza  di
rimessione  si  evince  chiaramente  che  le   questioni   riguardano
unicamente il rimborso dell'IRES nella misura  dell'importo  dell'IMU
corrisposta nell'anno 2012 dalla contribuente - societa' «attiva  nel
settore  immobiliare»  -  in  relazione  a  «immobili  propri   [...]
strumentali   della   societa'   stessa».   Dal    complesso    delle
argomentazioni sulla non manifesta infondatezza risulta  infatti  che
viene  richiesta  una  pronuncia  di  accoglimento  delle   questioni
limitatamente alla parte in cui la norma censurata prevede,  ai  fini
della   determinazione    dell'IRES,    l'indeducibilita'    dell'IMU
corrisposta per gli immobili strumentali. Non e', invece, oggetto  di
censura,   da   parte   del   giudice   a    quo,    la    previsione
dell'indeducibilita' dell'IMU dall'IRAP. 
    La possibilita'  di  «circoscrivere  l'oggetto  del  giudizio  di
legittimita' costituzionale ad  una  parte  soltanto  della  o  delle
disposizioni  censurate,  se  cio'  e'  suggerito  dalla  motivazione
dell'ordinanza di rimessione»,  trova  del  resto  costante  conforto
nella giurisprudenza di questa Corte (ex plurimis,  sentenze  n.  108
del 2019, n. 35 del 2017, n. 203 del 2016 e n. 244 del 2011). 
    1.3.- Ai fini della rilevanza, il rimettente ha  sufficientemente
descritto la fattispecie da cui e' originata la richiesta di rimborso
dell'IRES,   specificando   che   l'importo   domandato   corrisponde
all'esborso dell'IMU  derivante  «dagli  immobili  strumentali  della
societa'  stessa»  e,  altresi',  correttamente  precisando  che,  in
mancanza di un effetto retroattivo dello ius superveniens,  la  sorte
del giudizio principale resta regolata dall'art.  14,  comma  1,  del
d.lgs. n. 23 del 2011, nella sua formulazione in vigore per  il  solo
2012, che costituisce appunto oggetto dell'odierna censura. 
    Va in particolare osservato che la natura strumentale,  accertata
dal rimettente, degli immobili sui quali era stata corrisposta  l'IMU
nel 2012 non e' incompatibile con l'oggetto dell'attivita'  d'impresa
della  srl  contribuente,  indicato  nell'ordinanza   di   rimessione
(«acquisto,     vendita,     locazione,     leasing,     costruzione,
ristrutturazione» nel settore immobiliare): di qui  la  plausibilita'
della  suddetta  qualificazione  di  strumentalita'  degli   immobili
fornita dal giudice a quo, del resto non contestata ne' nel  giudizio
principale, ne' nel giudizio di costituzionalita'. 
    1.4.-  Da  tali  considerazioni  discende  anche   l'infondatezza
dell'eccezione  formulata  dall'Avvocatura  generale   dello   Stato,
secondo la quale le  questioni  prospettate  sarebbero  inammissibili
«[i]n analogia» a quanto statuito da questa Corte nella  sentenza  n.
163 del 2019, anch'essa in tema di deducibilita' dell'IMU  dall'IRES,
poiche' il giudice a  quo  avrebbe  omesso  (come  nell'ordinanza  di
rimessione esaminata con  detta  sentenza)  «di  confrontarsi  con  i
regimi normativi relativi  ad  altri  periodi  d'imposta  altrettanto
rilevanti nella fattispecie per il suo esame». 
    Non  solo,  infatti,  da  almeno  due  punti  dell'ordinanza   di
rimessione si evince che la CTP ha esaminato in modo adeguato, seppur
sinteticamente, l'evoluzione normativa del censurato art.  14,  comma
1, al fine di trarne conseguenze coerenti e non  contraddittorie  con
le questioni prospettate; ma, come prima precisato, la valutazione da
compiere nel presente giudizio e' circoscritta alla sola formulazione
in vigore nel 2012 del citato articolo. Pertanto, nel caso di specie,
non e' replicabile la  richiamata  motivazione  di  inammissibilita',
addotta con riferimento a una differente fattispecie  dalla  sentenza
n. 163 del 2019. 
    2.- Nel merito, le questioni sono  fondate  in  riferimento  agli
artt. 3 e 53 Cost. sotto il profilo della  coerenza  e  quindi  della
ragionevolezza. 
    2.1.- E' opportuno premettere che  la  censurata  indeducibilita'
dell'IMU  dall'imponibile  dell'IRES  si  pone  all'interno   di   un
complesso sviluppo normativo, che ha condotto,  ben  al  di  la'  del
fisiologico effetto  di  un'imposta  patrimoniale,  all'esito  di  un
particolare aggravio della pressione fiscale a carico  delle  imprese
proprietarie di immobili strumentali. 
    Il tributo, infatti, e' stato in origine previsto nell'ambito del
d.lgs. n. 23 del 2011 sul federalismo fiscale  municipale,  attuativo
della legge 5 maggio 2009, n. 42 (Delega al  Governo  in  materia  di
federalismo  fiscale,   in   attuazione   dell'articolo   119   della
Costituzione), e diretto a spostare l'asse del prelievo sul  comparto
immobiliare dallo Stato  ai  Comuni,  in  vista  degli  obiettivi  di
rafforzarne il grado di  autonomia  finanziaria,  di  valorizzare  il
principio  di  correlazione  tra  imposizione   e   funzioni   e   di
semplificare il sistema della finanza locale. 
    A tale scopo,  in  particolare,  si  prevedeva  che  a  decorrere
dall'anno 2014 fossero introdotte nell'ordinamento fiscale due  nuove
forme di imposizione municipale: a) una imposta  municipale  propria;
b) una imposta municipale secondaria. 
    La prima, la cosiddetta IMU, riuniva in un unico, nuovo,  tributo
la  precedente  imposta  comunale  sugli  immobili  (ICI)  (che  gia'
significativamente aveva ampliato il livello della finanza autonoma),
e l'imposta (statale) sul reddito delle persone fisiche (IRPEF)  -  e
relative addizionali  -  dovuta  in  relazione  ai  redditi  fondiari
(riguardanti i beni non locati). Si attribuiva in tal modo ai  Comuni
un significativo gettito erariale, compensato da  una  corrispondente
riduzione dei trasferimenti statali;  cosi'  limitando  il  grado  di
finanza derivata. 
    La seconda imposta - destinata pero' a rimanere prima inattuata e
poi abrogata dall'art. 1, comma 25, della legge 28 dicembre 2015,  n.
208 recante «Disposizioni per la formazione del  bilancio  annuale  e
pluriennale dello Stato (legge di stabilita' 2016)» -  perseguiva  il
medesimo scopo di semplificazione  accorpando  altri  tributi  minori
locali in un'unica forma impositiva. 
    Per quanto qui interessa e' opportuno precisare che ai Comuni,  a
cui era destinato l'intero gettito dell'IMU e a cui si consentiva una
manovra in aumento o in diminuzione fino allo 0,30 per cento,  veniva
attribuita la facolta' di ridurne fino  alla  meta'  l'aliquota  «nel
caso in cui abbia ad  oggetto  immobili  non  produttivi  di  reddito
fondiario ai sensi dell'articolo 43 del citato testo unico di cui  al
decreto del Presidente della Repubblica n. 917 del 1986,  ovvero  nel
caso in cui abbia ad oggetto immobili posseduti dai soggetti  passivi
dell'imposta sul reddito delle societa'» (art. 8, comma 7, del citato
d.lgs. n. 23 del 2011). 
    Tale disposizione  era  funzionale  a  consentire  ai  Comuni  di
evitare  che  il  nuovo  tributo  determinasse  un  incremento  della
pressione fiscale sulle imprese: infatti l'IMU, calibrata in modo  da
risultare sostanzialmente a saldo zero (nell'aliquota standard  dello
0,76 per cento) per  il  contribuente  persona  fisica  (che  avrebbe
corrisposto al Comune quanto prima versava allo  Stato  a  titolo  di
IRPEF fondiaria), senza questa misura di riduzione si sarebbe risolta
in un aggravio per quei soggetti, come le  imprese  (o  i  lavoratori
autonomi), proprietari di immobili  strumentali,  che  non  versavano
IRPEF fondiaria. 
    2.2.- La linearita' di questo disegno e' stata pero' travolta  da
una serie di interventi normativi immediatamente successivi che hanno
radicalmente trasformato, gia' dal 2012, l'IMU. 
    In particolare, in conseguenza  dell'acuirsi  della  grave  crisi
finanziaria, proprio sull'IMU si e' scaricato gran parte del peso  di
una  manovra  emergenziale  che,  soprattutto  per  le  imprese,   ha
aggravato il livello dell'imposizione patrimoniale sugli  immobili  e
ha,  peraltro,  anche  inciso  fortemente  sul  grado  di   autonomia
finanziaria dei Comuni. 
    Infatti  con  il  decreto-legge   6   dicembre   2011,   n.   201
(Disposizioni urgenti per la crescita, l'equita' e il  consolidamento
dei conti pubblici) ), convertito, con modificazioni, nella legge  22
dicembre 2011, n. 214 - il cosiddetto "decreto salva  Italia"  -,  e'
stata disposta l'anticipazione dell'introduzione  dell'IMU  al  2012;
sono stati introdotti moltiplicatori delle rendite catastali  che  ne
hanno notevolmente incrementato l'incidenza; e' stato attribuito allo
Stato, pur mantenendo il carattere municipale dell'imposta, meta' del
gettito su tutti gli immobili, a eccezione dell'abitazione principale
e dei  fabbricati  rurali  a  uso  strumentale;  e'  stata,  inoltre,
prevista l'applicazione dell'imposta anche all'abitazione principale. 
    Di li' a poco, con l'art. 1, comma 380, della legge  24  dicembre
2012, n. 228, recante «Disposizioni per la  formazione  del  bilancio
annuale e pluriennale dello Stato (Legge  di  stabilita'  2013)»,  il
quadro e' stato nuovamente  modificato,  definendo  cosi'  le  grandi
linee dell'assetto attuale: a) la menzionata riserva allo Stato,  che
riguardava  prevalentemente  l'IMU  sulle  seconde  case,  e'   stata
sostituita con una riserva allo stesso dell'intero gettito IMU dovuto
sugli immobili a uso produttivo classificati nel gruppo  catastale  D
(ovverosia capannoni industriali e opifici); b) tale gettito e' stato
determinato  ad  aliquota  standard  dello  0,76  per  cento,   cosi'
sostanzialmente impedendo la possibilita', in  precedenza  accordata,
per i Comuni, di dimezzare l'IMU sugli immobili  strumentali;  c)  e'
stata  ribadita  espressamente  la   possibilita'   dei   Comuni   di
incrementare, trattenendo il  relativo  gettito,  fino  a  0,3  punti
percentuali tale aliquota standard sugli immobili a  uso  produttivo,
portandola quindi fino all'1,06 per cento (art.1, comma 380,  lettera
g, della legge n. 228 del 2012). 
    2.3.- Una volta definito questo assetto,  il  legislatore  si  e'
subito mostrato  avvertito  che  esso  era  divenuto  particolarmente
gravoso e critico per le imprese. Gia' l'incipit dell'art.  1,  comma
1, del decreto-legge 21 maggio 2013, n.  54  (Interventi  urgenti  in
tema   di   sospensione   dell'imposta   municipale    propria,    di
rifinanziamento di ammortizzatori sociali in deroga,  di  proroga  in
materia  di  lavoro  a  tempo   determinato   presso   le   pubbliche
amministrazioni e di eliminazione  degli  stipendi  dei  parlamentari
membri del Governo), convertito, con modificazioni,  nella  legge  18
luglio 2013, n. 85, significativamente afferma: «[n]elle more di  una
complessiva riforma della  disciplina  dell'imposizione  fiscale  sul
patrimonio immobiliare [...] volta, in particolare,  a  riconsiderare
l'articolazione della potesta' impositiva a livello statale e locale,
e la deducibilita'  ai  fini  della  determinazione  del  reddito  di
impresa  dell'imposta  municipale  propria  relativa  agli   immobili
utilizzati per attivita' produttive». 
    Inoltre, nell'agosto del 2013 (a pochi giorni  della  conversione
del  suddetto  decreto-legge)  il  Dipartimento  delle  finanze   del
Ministero dell'economia e delle finanze, nel  documento  «Ipotesi  di
revisione del prelievo sugli immobili»,  esaminava  espressamente  il
tema della «deducibilita' ai fini della determinazione del reddito di
impresa  dell'imposta  municipale  propria  relativa  agli   immobili
utilizzati per attivita' produttive». In particolare, preso atto  che
«[c]on il passaggio dall'ICI  all'IMU,  gli  immobili  di  proprieta'
delle imprese hanno subito un  incremento  di  prelievo,  dovuto  sia
all'aumento  delle  aliquote  e   dei   coefficienti   moltiplicativi
applicati alle rendite catastali, sia alla circostanza che l'IMU  non
ha sostituito le imposte sui redditi che gravano  sugli  immobili  ad
uso produttivo (mentre ha sostituito il prelievo IRPEF sui redditi di
tutti gli altri immobili non locati)», viene evidenziato  come  «[i]l
riferimento  alla  deducibilita'  dell'IMU  relativa  agli   immobili
utilizzati per attivita' produttive ai fini della determinazione  del
reddito di impresa contenuto nell'art. 1 del D.L.  n.  54  del  2013,
prospetta un intervento che sarebbe in linea con quanto  avviene  nei
principali Paesi europei e,  inoltre,  consentirebbe  di  superare  i
problemi di  incostituzionalita'  che  l'indeducibilita'  attualmente
prevista puo' porre sul piano della capacita' contributiva». 
    Tuttavia, mentre il menzionato d.l. n. 54 del  2013,  cosi'  come
convertito, aveva solo sospeso il pagamento  della  prima  rata  2013
dell'IMU sull'abitazione principale (fattispecie che poi la legge  n.
147 del 2013 avrebbe  definitivamente  escluso  dalla  tassazione  in
relazione a immobili classificati nelle categorie diverse da A/1, A/8
e A/9), l'intervento sulla  norma  oggetto  dell'odierna  censura  e'
concretamente avvenuto solo con l'art. 1,  commi  715  e  716,  della
legge  n.  147  del  2013,  che  l'ha   sostituita   stabilendo   che
«[l]'imposta municipale propria relativa agli immobili strumentali e'
deducibile ai fini della determinazione del reddito di impresa e  del
reddito derivante dall'esercizio di arti e professioni» nella  misura
del 30 per cento per il periodo d'imposta in  corso  al  31  dicembre
2013 e del 20 per cento dal 1° gennaio 2014. 
    Sono poi seguite ulteriori modifiche: l'art. 1, comma  12,  della
legge 30 dicembre 2018, n. 145 (Bilancio di  previsione  dello  Stato
per l'anno finanziario 2019 e bilancio pluriennale  per  il  triennio
2019-2021),  ha  innalzato  al  40  per  cento  la   percentuale   di
deducibilita' dell'IMU a decorrere dal 1° gennaio 2019 (art. 19 della
medesima legge n. 145 del 2018). In realta' questa  disposizione  non
e' mai stata effettivamente applicata, poiche' prima  con  l'art.  3,
comma 1, del decreto-legge 30 aprile 2019, n. 34 (Misure  urgenti  di
crescita economica e per la risoluzione di specifiche  situazioni  di
crisi), convertito, con modificazioni, nella legge 28 giugno 2019, n.
58, e poi con l'art. 1, commi 4, 772 e 773, della legge  27  dicembre
2019,  n.  160  (Bilancio  di  previsione  dello  Stato  per   l'anno
finanziario 2020 e bilancio pluriennale per il  triennio  2020-2022),
le percentuali sono state rimodulate nei seguenti termini: 
    - 50 per cento per il periodo d'imposta successivo  a  quello  in
corso al 31 dicembre 2018; 
    - 60 per cento per il periodo d'imposta successivo  a  quello  in
corso al 31 dicembre 2019; 
    - 60 per cento per il periodo d'imposta successivo  a  quello  in
corso al 31 dicembre 2020; 
    - 100 per cento per i periodi d'imposta successivi  a  quello  in
corso al 31 dicembre 2021. 
    3.- La descritta evoluzione, nel  denotare  un  quadro  normativo
poco lineare e sistematico, lascia  in  ogni  caso  intravedere  come
proprio l'indeducibilita'  totale  dell'IMU  ai  fini  delle  imposte
erariali sui  redditi,  dato  il  forte  impatto  sul  sistema  delle
imprese,  sia  risultata  ben  presto,  per  stessa  ammissione   del
legislatore, uno dei temi critici e quindi da riformare. 
    In effetti la deducibilita' in  esame,  rispondendo  a  finalita'
intrinseche al prelievo, non si pone affatto, contrariamente a quanto
sostenuto dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  sul  piano  delle
agevolazioni  fiscali  propriamente  dette,  che  sono   dettate   da
finalita' extrafiscali e rispetto alle  quali  la  giurisprudenza  di
questa Corte - che pertanto qui non rileva - ha riconosciuto un'ampia
discrezionalita' (purche' non trasmodi  in  palese  irrazionalita'  e
arbitrarieta') al legislatore (ex plurimis, sentenze n. 264 e n.  177
del 2017). 
    La  deducibilita'  qui  considerata  attiene,  invece,  a  quegli
istituti tributari nei quali e'  «ravvisabile  la  prevalenza  di  un
carattere strutturale, dal momento che la sottrazione all'imposizione
(o la sua riduzione) e' resa necessaria dall'applicazione coerente  e
sistematica del presupposto del tributo» (sentenza n. 120 del  2020).
Nella medesima pronuncia questa Corte ha precisato che tali  istituti
non sono  riconducibili  a  quelli  in  cui  «invece,  la  natura  di
agevolazione e' propriamente riscontrabile, perche', a differenza  di
quelli  appena  descritti,  essi  presuppongono  l'esistenza  di  una
capacita' contributiva coerente con la struttura del tributo, ma,  in
deroga (gia', in tal senso, sentenza n. 159 del 1985)  al  dictum  de
omni di cui all'art. 53, primo comma, Cost.,  prevedono,  per  motivi
extrafiscali, forme di  esenzione,  di  tassazione  sostitutiva  piu'
favorevole o altre misure comunque dirette a rendere meno  gravoso  o
non  incidente  il  carico  tributario  in  relazione  a  determinate
fattispecie». 
    La deducibilita' dell'IMU dall'imponibile dell'IRES assume natura
strutturale  in  quanto,  come  si  approfondira'  di   seguito,   il
legislatore ha espressamente individuato il presupposto dell'IRES nel
possesso di un «reddito complessivo netto» (art. 75, comma 1,  TUIR);
cio' a differenza di quanto ha invece stabilito per alcune  categorie
di reddito, come, ad esempio, i redditi  di  lavoro  dipendente,  che
sono computati al lordo, senza deduzione  (analitica)  dei  costi  di
produzione. 
    E' ben vero che il  TUIR  fissa  poi  regole  specifiche  per  la
misurazione del reddito d'impresa, precisando, per alcune  componenti
positive o negative risultanti dal conto economico, la misura in  cui
possono  concorrere  alla  determinazione  del  reddito  complessivo,
ovverosia  alla  base  imponibile  dell'IRES.  Tuttavia,  costituisce
principio imprescindibile della determinazione del reddito  d'impresa
quello di inerenza del costo da portare in deduzione. 
    Nella sua formulazione essenziale, «[i]l  principio  di  inerenza
dei costi deducibili si ricava dalla nozione di reddito d'impresa  ed
esprime una correlazione tra costi ed attivita' d'impresa in concreto
esercitata, traducendosi in un giudizio di carattere qualitativo, che
prescinde,  in  se',  da  valutazioni  di   tipo   utilitaristico   o
quantitativo» (Corte di cassazione, sezione quinta  civile,  sentenza
22 gennaio 2020, n. 1290); sostanzialmente conforme, ex  plurimis,  a
Corte di cassazione, sezione quinta civile, sentenza 11 gennaio 2018,
n. 450): tale principio da un lato definisce e  dall'altro  delimita,
escludendo  i  costi  che  si  collocano  in   una   sfera   estranea
all'esercizio  dell'impresa,  l'area  dei  costi  che  concorrono  al
reddito tassabile. 
    Da  tale  principio  il  legislatore  non  puo'   arbitrariamente
prescindere: questo infatti costituisce il  presidio  della  verifica
della ragionevolezza delle  deroghe  rispetto  all'individuazione  di
quel reddito netto complessivo che il legislatore stesso ha assunto a
presupposto dell'IRES. 
    3.1.- Tale principio si riflette anche sui costi fiscali. 
    Va precisato, infatti, che in relazione agli oneri fiscali l'art.
99, comma 1, del TUIR  (rubricato  «Oneri  fiscali  e  contributivi»)
sancisce in via  generale  il  principio  della  deducibilita'  delle
imposte dal reddito, stabilendo  che  «[l]e  imposte  sui  redditi  e
quelle per le quali e' prevista la rivalsa,  anche  facoltativa,  non
sono  ammesse  in  deduzione.  Le  altre  imposte   sono   deducibili
nell'esercizio in cui avviene il pagamento». 
    Tale disciplina prevede espressamente dunque solo due  esclusioni
dalla  regola  della   deducibilita',   del   tutto   ragionevoli   e
confermative del principio di tassazione al  netto:  a)  una  attiene
alle imposte per le quali e' prevista la rivalsa (il cui peso non  e'
sopportato dall'impresa, onde la logicita'  della  mancata  deduzione
del relativo onere); b) l'altra riguarda le imposte sui redditi (che,
in quanto derivanti dal reddito, non  possono  logicamente  rientrare
tra gli antecedenti causali di questo). 
    Quanto alle «altre imposte», il richiamato  art.  99  TUIR,  come
detto, ne stabilisce la deducibilita',  affermando  un  criterio  si'
derogabile dal legislatore, ma non quando vengano  in  considerazione
fattispecie  come  quella  in  esame,  relative  a  un  tributo  (non
commisurato al reddito e  ne'  oggetto  di  rivalsa)  direttamente  e
pienamente inerente alla produzione del reddito. 
    Un tributo cosi' caratterizzato costituisce,  infatti,  un  costo
fiscale inerente di cui non si puo' precludere,  senza  compromettere
la coerenza del disegno impositivo, la deducibilita' una volta che il
legislatore abbia, nella propria discrezionalita', stabilito  per  il
reddito d'impresa il criterio di tassazione al netto. 
    In questa prospettiva, dunque,  correttamente  le  considerazioni
del rimettente concentrano la censura  sull'indeducibilita'  dell'IMU
relativa ai beni  strumentali,  che  rappresenta  un  onere  certo  e
inerente, costituendo un  costo  necessitato  che  si  atteggia  alla
stregua  di  un   ordinario   fattore   della   produzione,   a   cui
l'imprenditore non puo' sottrarsi. 
    3.2.- La disposizione  censurata  contrasta,  pertanto,  con  gli
artt. 3 e 53 Cost., sotto il profilo della coerenza  e  quindi  della
ragionevolezza, con assorbimento di ogni altra questione. 
    L'ampia discrezionalita' del legislatore tributario nella  scelta
degli indici  rivelatori  di  capacita'  contributiva  (ex  plurimis,
sentenza n. 269 del 2017) non si traduce in un  potere  discrezionale
altrettanto  esteso  nell'individuazione  dei  singoli  elementi  che
concorrono  alla  formazione  della  base   imponibile,   una   volta
identificato il presupposto d'imposta: quest'ultimo diviene, infatti,
il limite e la misura delle successive scelte del legislatore. 
    E' del resto principio consolidato nella giurisprudenza di questa
Corte che il controllo «in ordine alla lesione dei  principi  di  cui
all'art. 53 Cost., come specificazione del fondamentale principio  di
uguaglianza di cui all'art. 3 Cost.», si  riconduce  a  un  «giudizio
sull'uso ragionevole, o meno, che il legislatore stesso  abbia  fatto
dei suoi poteri discrezionali  in  materia  tributaria,  al  fine  di
verificare la coerenza interna della struttura  dell'imposta  con  il
suo presupposto economico» (sentenza n. 116 del 2013;  ma  anche,  ex
plurimis, sentenze n. 10 del 2015, n. 223 del 2012, n. 111 del  1997,
nonche', in senso analogo, gia' sentenza n. 42 del 1980). 
    Quindi, con riferimento all'IRES, una volta  che  il  legislatore
nella sua discrezionalita'  abbia  identificato  il  presupposto  nel
possesso del «reddito complessivo netto», scegliendo di  privilegiare
tra  diverse  opzioni  quella  della  determinazione  analitica   del
reddito, non puo', senza rompere  un  vincolo  di  coerenza,  rendere
indeducibile un costo fiscale chiaramente e interamente inerente. 
    Quanto precede e' ampiamente sufficiente per l'accoglimento delle
questioni di legittimita'  costituzionale  sollevate  in  riferimento
agli artt. 3 e 53 Cost. Tuttavia  non  e'  inopportuno  sottolineare,
altresi', che la rottura del vincolo  di  coerenza  interna  comporta
effetti  concreti  di  distorsione  fiscale,  determinando   numerose
irragionevoli  conseguenze,  alcune  delle  quali  evidenziate  dallo
stesso rimettente nel prospettare  altri  profili  di  illegittimita'
costituzionale. 
    Nel caso in esame, ad esempio, il  mancato  riconoscimento  della
deducibilita' si riflette in un  aggravio  del  tributo  sui  redditi
causato soltanto dalla misura dell'IMU (divenuta, come  si  e'  visto
particolarmente incidente per le imprese), che  potrebbe,  di  fatto,
azzerare lo stesso reddito netto o che paradossalmente  potrebbe,  in
via di diritto, essere incrementata esponenzialmente dal  legislatore
con  il  solo  limite   della   capacita'   contributiva   desumibile
dall'imposta indeducibile. Senza che si dia luogo a  un  fenomeno  di
doppia imposizione giuridica (perche' i presupposti  di  IMU  e  IRES
sono diversi), rimane comunque fermo che in tal  modo  l'entita'  del
prelievo  IRES  subito  da  ciascun  soggetto  risulta   in   realta'
irragionevolmente determinata da un indice di capacita'  contributiva
riferito a un presupposto diverso dal reddito netto. 
    Altra conseguenza della rottura del principio di coerenza e', nel
caso di specie, l'indebita penalizzazione, rilevata  dal  rimettente,
di quelle imprese che abbiano scelto (opzione non certo  biasimabile,
perche' funzionale alla  solidita'  dell'azienda)  di  investire  gli
utili  nell'acquisto  della  proprieta'  degli  immobili  strumentali
rispetto a quelle  che  svolgono  la  propria  attivita'  utilizzando
immobili in locazione: solo queste  ultime  possono  infatti  dedurre
tutti i costi (i relativi canoni), non essendo soggette, come  invece
le prime, all'IMU (indeducibile). 
    3.3.- Va precisato che quanto detto non esclude in  assoluto  che
il legislatore possa prevedere limiti alla deducibilita'  dei  costi,
anche  se  effettivamente  sostenuti  nell'ambito   di   un'attivita'
d'impresa; tuttavia forme di deducibilita' parziale o  forfetaria  si
devono giustificare in termini di proporzionalita' e  ragionevolezza,
come ad esempio al fine di: a) evitare indebite deduzioni di spese di
dubbia  inerenza;  b)  evitare  ingenti  costi  di  accertamento;  c)
prevenire fenomeni di evasione o elusione. 
    Si  tratta  di  deroghe  che  rispondono  a  esigenze  di  tutela
dell'interesse fiscale (non immediatamente rinvenibili  nel  caso  in
esame, che concerne beni  immobili,  ovvero  i  cosiddetti  "beni  al
sole", difficilmente  sfruttabili  per  manovre  evasive,  elusive  o
erosive) o che possono rispondere anche a finalita' extrafiscali,  ma
sempre  riferibili  a  specifici  valori  costituzionali,  come,   ad
esempio, nel caso dell'indeducibilita' dei costi da reato al fine  di
penalizzare condotte disapprovate dall'ordinamento. 
    Fuori da queste ipotesi le deroghe stentano  a  trovare  adeguata
ragione  giustificatrice:  alla  mera   esigenza   di   gettito,   in
particolare,  il  legislatore  e'  tenuto  a   rispondere   in   modo
trasparente,  aumentando  l'aliquota  dell'imposta  principale,   non
attraverso incoerenti manovre sulla deducibilita', che  si  risolvono
in  discriminatori,  sommersi  e  rilevanti  incrementi  della   base
imponibile a danno solo di alcuni contribuenti. 
    Rimarcando il valore della inderogabilita' del dovere tributario,
questa Corte, ha del resto precisato che tale  «qualifica,  tuttavia,
dato il contesto sistematico in cui si colloca,  si  giustifica  solo
nella misura in cui il sistema tributario rimanga saldamente ancorato
al complesso  dei  principi  e  dei  relativi  bilanciamenti  che  la
Costituzione prevede e consente, tra cui, appunto,  il  rispetto  del
principio di capacita' contributiva (art. 53 Cost.). [S]icche' quando
il  legislatore  disattende  tali  condizioni,  si  allontana   dalle
altissime  ragioni  di  civilta'  giuridica  che  fondano  il  dovere
tributario:  in  queste  ipotesi  si  determina  un'alterazione   del
rapporto  tributario,   con   gravi   conseguenze   in   termini   di
disorientamento non solo dello stesso sviluppo  dell'ordinamento,  ma
anche del relativo contesto sociale» (sentenza n. 288 del 2019). 
    3.4.-  Nemmeno  puo'  porsi  a  giustificazione  della  integrale
indeducibilita' disposta dalla norma censurata quanto asserito  dalla
difesa erariale sul carattere di «misura  eccezionale  e  temporanea,
per il solo anno 2012»  che  essa  rivestirebbe,  giustificata  dalla
«grave crisi economica che il Paese stava attraversando» e che  aveva
determinato il  legislatore  ad  anticipare  l'introduzione  dell'IMU
proprio a tale anno. 
    Non solo questa Corte ha  gia'  precisato  che  di  per  se'  «la
temporaneita'   dell'imposizione   non   costituisce   un   argomento
sufficiente a fornire  giustificazione  a  un'imposta,  che  potrebbe
comunque  risultare  disarticolata   dai   principi   costituzionali»
(sentenza n.  288  del  2019),  ma  tale  carattere  non  e'  nemmeno
propriamente riferibile - come osserva la parte privata - alla  norma
censurata, nella cui struttura l'integrale indeducibilita'  e'  stata
prevista come permanente  e  solo  accidentalmente,  per  effetto  di
discrezionali e successivi interventi del legislatore,  e'  risultata
limitata all'anno 2012. 
    3.5.-   Deve   quindi   essere   dichiarata   la   illegittimita'
costituzionale del censurato art. 14, comma 1, del d.lgs. n.  23  del
2011 nella parte in  cui  prevede  l'indeducibilita'  dell'IMU  sugli
immobili  strumentali  dall'imponibile  delle  imposte  sui   redditi
d'impresa. 
    La riscontrata violazione del principio di coerenza e  quindi  di
ragionevolezza ai sensi degli  artt.  3  e  53  Cost.,  rilevata  con
riguardo alla indeducibilita'  dell'IMU  sugli  immobili  strumentali
dall'imponibile dell'IRES, infatti non  puo'  che  coinvolgere  anche
l'indeducibilita' dal reddito d'impresa ai fini  dell'IRPEF,  poiche'
per effetto del rinvio disposto dall'art. 56  TUIR  -  «[i]l  reddito
d'impresa e' determinato secondo le disposizioni della sezione I  del
capo II del titolo II, salvo quanto stabilito nel  presente  capo»  -
esso  si  determina  sostanzialmente  secondo  le  regole   dell'IRES
disposte all'art. 81 e seguenti TUIR. 
    4.- Infine questa Corte ha valutato se  procedere  all'estensione
d'ufficio in via consequenziale, ai sensi dell'art. 27 della legge 11
marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della
Corte costituzionale), della  suddetta  pronuncia  di  illegittimita'
costituzionale alle disposizioni successive a quella censurata e  che
negli anni hanno previsto una parziale deducibilita'  dell'IMU  sugli
immobili strumentali  con  riguardo  ai  redditi  di  impresa,  senza
tuttavia disporre l'integrale deducibilita': art. 1, commi 715 e 716,
della legge n. 147 del 2013; art. 3, comma 1,  del  d.l.  n.  34  del
2019, convertito, con modificazioni, nella legge n. 58 del 2019; art.
1, commi 4 e 773, della legge n. 160  del  2019,  limitatamente  alla
parte in cui prevede la deducibilita' parziale dell'IMU. 
    Ha ritenuto pero'  che  non  sussistano  i  presupposti  di  tale
estensibilita'. Nel descritto percorso, infatti, il  legislatore  (in
sostanziale analogia con quanto  accaduto  nel  caso  deciso  con  la
sentenza n. 187 del 2016) si e'  gradualmente  corretto  -  prendendo
atto via, via, di esigenze di equilibrio del bilancio (art. 81 Cost.)
- fino a giungere  alla  virtuosa  previsione,  certamente  non  piu'
procrastinabile,  della  totale  deducibilita'  a  partire  dal  2022
(secondo quanto oggi previsto dall'art. 1, comma 773, della legge  n.
160 del 2019).