ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art.  68,  comma
3, del d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3 (Testo unico  delle  disposizioni
concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato),  promosso
dal Consiglio di giustizia amministrativa per  la  Regione  Siciliana
nel procedimento vertente tra P. M. e l'Universita'  degli  studi  di
M., con ordinanza del 3 luglio 2019, iscritta al n. 195 del  registro
ordinanze 2019 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 46, prima serie speciale, dell'anno 2019. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nelle camere di consiglio del 18 novembre 2020 e 11 gennaio
2021 il Giudice relatore Giancarlo Coraggio; 
    deliberato nella camera di consiglio dell'11 gennaio 2021. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Il Consiglio  di  giustizia  amministrativa  per  la  Regione
Siciliana, con ordinanza del 3 luglio 2019, iscritta al  n.  195  del
reg. ord. 2019, ha sollevato questione di legittimita' costituzionale
dell'art. 68, comma 3, del d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3 (Testo  unico
delle disposizioni concernenti  lo  statuto  degli  impiegati  civili
dello Stato), in riferimento agli artt. 3 e 32 della Costituzione. 
    2.-  La  suddetta   norma   e'   sospettata   di   illegittimita'
costituzionale nella parte in cui «per il caso  di  "gravi  patologie
che richiedano terapie temporaneamente e/o parzialmente  invalidanti"
non esclude dal  computo  dei  consentiti  18  mesi  di  assenza  per
malattia i periodi non computabili secondo l'art. 35, comma  14,  del
c.c.n.l. 2006-2009 - comparto Universita', vale a dire i  "giorni  di
ricovero ospedaliero o di day hospital e  quelli  di  assenza  dovuti
alle conseguenze certificate delle terapie"». 
    3.- Il rimettente premette che il TAR Sicilia,  Catania,  sezione
prima, era  stato  adito  dalla  professoressa  P.  M.,  ricercatrice
universitaria confermata, presso un dipartimento dell'Universita'  di
M. 
    Alla stessa era stata diagnosticata una grave patologia che aveva
comportato la sottoposizione  ad  esami  clinici,  ad  un  intervento
chirurgico e, successivamente, a terapie  salvavita  (radioterapia  e
terapia farmacologica). 
    Con decreto del rettore, l'Universita' aveva proceduto al recesso
datoriale dal rapporto di lavoro, per scadenza del periodo massimo di
aspettativa per motivi di salute. 
    Il TAR Sicilia, nel rigettare l'impugnazione del  recesso,  aveva
escluso che potesse trovare applicazione la disciplina contenuta  nel
Contratto collettivo nazionale di lavoro (CCNL) relativo al personale
del comparto Universita' per il quadriennio normativo  2006-2009,  in
quanto  il  rapporto  di  lavoro  dei  docenti  e   dei   ricercatori
universitari era  sottoposto  ad  uno  statuto  speciale  di  diritto
pubblico,  disciplinato  dal  d.P.R.   11   luglio   1980,   n.   382
(Riordinamento  della  docenza  universitaria,  relativa  fascia   di
formazione nonche' sperimentazione organizzativa e didattica). 
    In  particolare,  la  ricorrente  aveva  invocato  l'applicazione
dell'art. 35,  comma  14,  del  suddetto  contratto  collettivo,  che
stabilisce che, in caso di gravi  patologie  che  richiedano  terapie
temporaneamente  e/o  parzialmente  invalidanti,  sono  esclusi   dal
computo dei giorni di  assenza  per  malattia,  oltre  ai  giorni  di
ricovero ospedaliero o di  day  hospital,  anche  quelli  di  assenza
dovuti alle conseguenze certificate delle terapie. 
    4.- Tanto premesso, il Consiglio di giustizia  amministrativa  ha
escluso  l'applicabilita'  alla  fattispecie  al  suo   esame   della
disciplina contrattuale sopra richiamata, in quanto  il  rapporto  di
pubblico impiego del ricercatore universitario non e' privatizzato, e
per  l'assenza  per  malattia  trova   applicazione   la   disciplina
pubblicistica. 
    5.-  Il  giudice  a  quo  ha  ricordato  che  l'aspettativa   per
infermita' nel rapporto di impiego  pubblico  e'  disciplinata  dagli
artt. 68 e 70 del d.P.R. n. 3 del  1957,  che  prevedono  un  periodo
massimo di assenza continuativa per malattia pari a  18  mesi,  e  un
periodo  massimo  cumulato  di  assenza  per  malattia  e  motivi  di
famiglia, pari a due anni e mezzo nel quinquennio  (con  possibilita'
di estensione, su domanda, per altri sei mesi, e dunque per un totale
di tre anni), senza escludere dal computo i periodi  di  assenza  per
grave patologia, per ricovero e intervento  chirurgico  e  successive
terapie salvavita. 
    6.- Pertanto, si determinerebbe una disparita' di trattamento tra
dipendenti pubblici in regime di impiego privatizzato,  e  dipendenti
pubblici in regime di impiego non privatizzato, in  danno  di  questi
ultimi, atteso che  nel  periodo  massimo  di  assenza  per  malattia
vengono computati anche periodi di assenza per gravi patologie, come,
nella specie, quella oncologica. 
    Cio' darebbe luogo ad una  «discriminazione  rilevante  ai  sensi
degli artt. 3 e 32 Cost.». 
    A tale disparita' di trattamento non  potrebbe  ovviarsi  facendo
diretta applicazione dell'art. 35, comma  14,  del  citato  CCNL  del
comparto Universita', trattandosi, come detto, di previsione che  non
trova applicazione al rapporto di pubblico impiego non privatizzato. 
    Ne' la disparita' di trattamento  sarebbe  superabile  attraverso
l'interpretazione costituzionalmente orientata degli artt.  68  e  70
del d.P.R. n. 3 del 1957, atteso che il testo normativo non  consente
piu' opzioni ermeneutiche. 
    7.-  Come  si  evince  dalla  complessiva  prospettazione   della
censura,  la  norma  censurata  violerebbe  anche  il  principio   di
ragionevolezza, in quanto, pur essendo volta a garantire  il  diritto
alla conservazione del posto di  lavoro  rispetto  alle  assenze  per
malattia,  non  esclude  dal  computo  del  periodo  di  comporto  le
cosiddette terapie salvavita, nei termini precisati dal rimettente. 
    8.- Il Consiglio  di  giustizia  amministrativa  per  la  Regione
Siciliana ha affermato la rilevanza della questione poiche',  se  nel
periodo di assenza per malattia non fosse stato compreso  il  periodo
non computabile in base alla disposizione  del  contratto  collettivo
del comparto Universita', la lavoratrice, che  gia'  aveva  usufruito
dell'aspettativa per motivi diversi dalla malattia, non avrebbe perso
il posto di lavoro. 
    9.- E' intervenuto in giudizio il Presidente  del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, che ha prospettato la non fondatezza della questione. 
    La difesa dello Stato, dopo aver ricordato  che  il  rapporto  di
lavoro dei dipendenti  pubblici  non  contrattualizzati,  tra  cui  i
ricercatori universitari, e' disciplinato dal d.P.R. n. 3  del  1957,
ha illustrato la disciplina sancita dall'art. 68, convenendo sul dato
che la stessa differisce  da  quella  prevista  dalla  contrattazione
collettiva. 
    Tuttavia, cio' non darebbe luogo  a  disparita'  di  trattamento,
atteso che l'art. 68, comma 3, del d.P.R. n. 3 del  1957,  garantisce
in misura adeguata e ragionevole il diritto  alla  conservazione  del
posto di lavoro. 
    Andrebbe, altresi', considerato l'interesse datoriale  a  potersi
valere della prestazione lavorativa, che e' resa anche allo scopo  di
realizzare finalita' e valori costituzionalmente  tutelati,  connessi
non solo al buon andamento  della  pubblica  amministrazione,  quanto
piuttosto  alla  promozione  e  allo  sviluppo  della  ricerca  quali
interessi primari dello Stato, come sancito dagli artt. 9 e 33 Cost. 
    L'Avvocatura  dello  Stato  ha  rilevato,  inoltre,   che   altri
contratti collettivi, sia del settore pubblico contrattualizzato, che
di quello privato, prevedono un minore periodo  di  comporto,  e  che
pertanto lo standard di tutela minima da assicurare non  puo'  essere
tratto  da  quella  accordata  dalla  contrattazione  collettiva;  in
proposito, andrebbe considerato che l'art.  2110  del  codice  civile
consente una differente regolamentazione. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Il Consiglio  di  giustizia  amministrativa  per  la  Regione
Siciliana, con ordinanza del 3 luglio 2019, iscritta al  n.  195  del
reg. ord. 2019, ha sollevato questione di legittimita' costituzionale
dell'art. 68, comma 3, del d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3 (Testo  unico
delle disposizioni concernenti  lo  statuto  degli  impiegati  civili
dello Stato), in riferimento agli artt. 3 e 32 della Costituzione. 
    2.- La norma e' sospettata di illegittimita' costituzionale nella
parte in cui «per il caso di "gravi patologie che richiedano  terapie
temporaneamente e/o parzialmente invalidanti" non esclude dal computo
dei consentiti  18  mesi  di  assenza  per  malattia  i  periodi  non
computabili  secondo  l'art.  35,  comma  14,  c.c.n.l.  2006-2009  -
comparto Universita', vale a dire i "giorni di ricovero ospedaliero o
di  day  hospital  e  quelli  di  assenza  dovuti  alle   conseguenze
certificate delle terapie"». 
    3.- Deduce il rimettente che il periodo di assenza per  malattia,
nel pubblico impiego non privatizzato, e' disciplinato dagli artt. 68
e 70 del d.P.R. n. 3 del 1957, che prevedono un  periodo  massimo  di
assenza continuata  pari  a  diciotto  mesi,  e  un  periodo  massimo
cumulato di assenza per malattia e per motivi di famiglia, pari a due
anni e mezzo nel  quinquennio  (con  possibilita'  di  una  ulteriore
estensione, su domanda, per altri sei mesi, e dunque per un totale di
tre anni), senza escludere dal computo i periodi di assenza per grave
patologia, per ricovero e intervento chirurgico e successive  terapie
salvavita,  cio'  che  invece  e'  previsto  per  l'impiego  pubblico
contrattualizzato. 
    A tal fine si prende  in  considerazione  la  disciplina  dettata
dall'art. 35 del Contratto  collettivo  nazionale  di  lavoro  (CCNL)
relativo al personale del comparto  Universita'  per  il  quadriennio
normativo 2006-2009 e il biennio economico 2006-2007,  il  cui  comma
14,  in  particolare,  prevede:  «In  caso  di  gravi  patologie  che
richiedano terapie temporaneamente e/o parzialmente invalidanti  sono
esclusi dal computo dei giorni di assenza  per  malattia  di  cui  al
comma  1  del  presente  articolo,  oltre  ai  giorni   di   ricovero
ospedaliero o di day hospital anche quelli  di  assenza  dovuti  alle
conseguenze certificate delle terapie [...]». 
    Pertanto, si delineerebbe una disparita' di  trattamento  tra  le
due categorie di dipendenti pubblici, una «discriminazione  rilevante
ai· sensi degli artt. 3 e 32 Cost.». 
    3.1.- La norma  censurata,  come  emerge  dall'esame  complessivo
delle deduzioni svolte dal rimettente, violerebbe anche il  principio
di ragionevolezza, in quanto, sebbene intenda  garantire  il  diritto
alla conservazione del posto di  lavoro  rispetto  alle  assenze  per
malattia, non tiene conto delle situazioni  derivanti  dalle  moderne
terapie salvavita, caratterizzate dalla obbiettiva impossibilita'  di
adempiere ai doveri d'ufficio. 
    4.- Va premesso che per i dipendenti pubblici, cosi' come  per  i
lavoratori del settore privato, la malattia come causa di sospensione
del rapporto di lavoro trova la sua regolazione  nell'art.  2110  del
codice civile, il  quale,  nell'affermare  in  via  di  principio  la
conservazione  del  posto  di  lavoro  ed  il  relativo   trattamento
economico, rinvia per gli aspetti quantitativi e temporali alla legge
o al contratto collettivo di riferimento. 
    E' dunque possibile che fra le due discipline emergano differenze
anche sostanziali; ed e' cio' che  in  effetti  accade  nel  caso  di
specie  in  ordine  al  riconoscimento  del  cosiddetto  periodo   di
comporto. 
    5.-  Venendo  al  merito  della  questione  sollevata,  non  puo'
condividersi l'assunto del rimettente  che  tale  differenza  sarebbe
lesiva  dell'art.  3  Cost.  sotto  il  profilo  del   principio   di
uguaglianza. 
    5.1.- Si deve osservare, in linea generale, che  i  due  tipi  di
rapporto di lavoro che vengono in rilievo presentano  caratteristiche
strutturali  che  con  l'andare  del  tempo  si  sono   sempre   piu'
differenziate, e cio' lungi dal  potersi  considerare  una  anomalia,
suscettibile di  censura  ai  sensi  del  principio  di  uguaglianza,
risponde alle obiettive differenze di  status,  legate  al  carattere
privatizzato o meno del rapporto. 
    E' questo, in particolare, che e' avvenuto nel caso di specie  in
cui esistono due diverse discipline delle complessive  relazioni  fra
malattia e rapporto di lavoro,  discipline  espressione  di  delicati
punti di equilibrio, che sono legati alle specificita'  del  relativo
rapporto, e che  pertanto  non  sono  suscettibili  di  un  confronto
diretto. 
    5.2.-  A  maggior  ragione  poi  non  e'  possibile  prendere  in
considerazione il trattamento del particolare profilo qui  in  esame,
elevando il contenuto di una delle  due  discipline  -  nella  specie
quella contrattuale - a tertium comparationis, non essendo  in  alcun
modo possibile una sua valutazione isolata dal contesto. 
    6.- Tuttavia il mancato riconoscimento del  periodo  di  comporto
manifesta   una    intrinseca    irrazionalita'    che    lo    rende
costituzionalmente illegittimo per violazione, sotto  questo  diverso
profilo, dell'art. 3 Cost., con assorbimento  del  residuo  parametro
(art. 32 Cost.). 
    7.- Esso infatti e' la manifestazione di un ritardo  storico  del
legislatore rispetto alla contrattazione collettiva. 
    Quest'ultima (il CCNL del comparto Universita' non e' isolato  al
riguardo), con la sua naturale dinamicita',  e'  stata  in  grado  di
tener conto del progressivo sviluppo dei protocolli di  cura  per  le
gravi patologie, e in particolare delle cosiddette terapie  salvavita
con i loro pesanti effetti invalidanti;  cio'  al  contrario  non  e'
avvenuto per la disciplina normativa, che, risalente  ad  anni  ormai
lontani, non e' piu' adeguata al contesto attuale,  caratterizzato  -
come si e' detto - dalla profonda evoluzione delle terapie. 
    8.- Ne' puo' affermarsi - come  prospettato  dalla  difesa  dello
Stato - che i principi di cui agli artt. 9 e 33  Cost.,  trattandosi,
nel caso di specie, di personale docente universitario, impedirebbero
una cosi' prolungata assenza dal servizio. 
    E' vero, infatti, che i valori protetti da questi  articoli  sono
meritevoli della massima considerazione, ma non possono costituire un
ostacolo alla stabilita' del rapporto di lavoro. 
    9.-  Pertanto,  va  dichiarata  l'illegittimita'   costituzionale
dell'art. 68, comma 3, del d.P.R. n. 3 del 1957, nella parte in  cui,
per il caso di gravi patologie che richiedano terapie temporaneamente
e/o parzialmente invalidanti, non esclude dal computo dei  consentiti
diciotto  mesi  di  assenza  per  malattia  i  giorni   di   ricovero
ospedaliero o di  day  hospital  e  quelli  di  assenza  dovuti  alle
conseguenze certificate delle terapie.