ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art.  12,  comma
6, della  legge  19  febbraio  2004,  n.  40  (Norme  in  materia  di
procreazione medicalmente assistita), dell'art. 64, comma 1,  lettera
g), della legge 31 maggio 1995, n. 218 (Riforma del sistema  italiano
di diritto internazionale privato),  e  dell'art.  18  del  d.P.R.  3
novembre  2000,  n.  396  (Regolamento  per   la   revisione   e   la
semplificazione  dell'ordinamento  dello  stato   civile,   a   norma
dell'articolo 2, comma 12, della  legge  15  maggio  1997,  n.  127),
promosso  dalla  Corte  di  cassazione,  sezione  prima  civile,  nel
procedimento vertente tra il Ministero dell'interno e altro e P. F. e
F. B., in proprio e quali genitori di P. B.F., con ordinanza  del  29
aprile 2020,  iscritta  al  n.  99  del  registro  ordinanze  2020  e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della  Repubblica  n.  35,  prima
serie speciale, dell'anno 2020. 
    Visti gli atti di costituzione di P. F. e F.  B.,  in  proprio  e
quali  genitori  di  P.  B.F.,  nonche'  l'atto  di  intervento   del
Presidente del Consiglio dei ministri; 
    udito nell'udienza  pubblica  del  27  gennaio  2021  il  Giudice
relatore Francesco Vigano'; 
    uditi gli avvocati Antonio Saitta, in collegamento da remoto,  ai
sensi del punto 1) del decreto del  Presidente  della  Corte  del  30
ottobre 2020, e Alexander Schuster per P. F. e F. B.,  in  proprio  e
quali genitori di P.  B.F.,  nonche'  l'avvocato  dello  Stato  Wally
Ferrante per il Presidente del Consiglio dei ministri; 
    deliberato nella camera di consiglio del 28 gennaio 2021. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza del 29 aprile 2020,  la  Corte  di  cassazione,
sezione prima civile, ha sollevato - in riferimento agli artt. 2,  3,
30, 31 e  117,  primo  comma,  della  Costituzione,  quest'ultimo  in
relazione all'art. 8 della Convenzione europea dei diritti  dell'uomo
(CEDU), agli artt. 2, 3, 7, 8, 9 e 18 della Convenzione  sui  diritti
del fanciullo, fatta a New York il 20  novembre  1989,  ratificata  e
resa esecutiva con legge 27 maggio 1991, n. 176, e all'art. 24  della
Carta  dei  diritti  fondamentali  dell'Unione  europea   (CDFUE)   -
questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 12, comma 6, della
legge 19 febbraio 2004, n.  40  (Norme  in  materia  di  procreazione
medicalmente assistita), dell'art. 64, comma  1,  lettera  g),  della
legge 31 maggio 1995, n. 218 (Riforma del sistema italiano di diritto
internazionale privato) e dell'art. 18 del d.P.R. 3 novembre 2000, n.
396   (Regolamento   per   la   revisione   e   la    semplificazione
dell'ordinamento dello stato civile, a norma dell'articolo  2,  comma
12, della legge 15 maggio 1997, n. 127),  «nella  parte  in  cui  non
consentono, secondo l'interpretazione attuale  del  diritto  vivente,
che possa essere riconosciuto e dichiarato esecutivo,  per  contrasto
con  l'ordine  pubblico,  il  provvedimento   giudiziario   straniero
relativo all'inserimento nell'atto  di  stato  civile  di  un  minore
procreato con le modalita' della gestione per altri (altrimenti detta
"maternita'  surrogata")   del   c.d.   genitore   d'intenzione   non
biologico». 
    1.1.- Secondo quanto espone il giudice a quo, il caso che ha dato
origine al giudizio riguarda un bambino nato nel 2015  in  Canada  da
una donna nella quale era stato impiantato un embrione formato con  i
gameti di una donatrice anonima e di un uomo di cittadinanza italiana
(P. F.), unito in matrimonio in Canada - con atto poi  trascritto  in
Italia nel registro delle unioni civili - con  altro  uomo,  pure  di
cittadinanza italiana (F.  B.),  con  il  quale  aveva  condiviso  il
progetto genitoriale. 
    Al momento della  nascita  del  bambino,  le  autorita'  canadesi
avevano formato un atto di nascita che indicava come genitore il solo
P. F., mentre non erano stati menzionati ne'  F.  B.,  ne'  la  madre
surrogata  che  aveva  partorito  il  bambino,   ne'   la   donatrice
dell'ovocita. Accogliendo il ricorso dei  due  uomini,  nel  2017  la
Corte Suprema della British Columbia aveva dichiarato che entrambi  i
ricorrenti dovevano essere considerati genitori del bambino, e  aveva
disposto la corrispondente rettifica dell'atto di nascita in Canada. 
    I due uomini avevano quindi chiesto all'ufficiale di stato civile
italiano di rettificare  anche  l'atto  di  nascita  del  bambino  in
Italia, sulla  base  del  provvedimento  della  Corte  Suprema  della
British Columbia. In seguito al rifiuto  opposto  a  tale  richiesta,
essi  avevano  chiesto   alla   Corte   d'appello   di   Venezia   il
riconoscimento  del  provvedimento  canadese  in  Italia   ai   sensi
dell'art. 67 della legge n. 218 del 1995. 
    Nel 2018 la Corte d'appello di Venezia aveva accolto il  ricorso,
riconoscendo l'efficacia in Italia del provvedimento. 
    L'Avvocatura dello Stato aveva tuttavia  interposto  ricorso  per
cassazione nell'interesse del Ministero dell'interno  e  del  Sindaco
del Comune ove era stato trascritto l'originario atto di nascita  del
minore. 
    1.2.- Investita di tale ricorso, la prima  sezione  civile  della
Corte di cassazione prende atto che nel frattempo e' stata depositata
la sentenza delle Sezioni unite civili 8 maggio 2019,  n.  12193,  la
quale  ha  affermato  il  principio  secondo  cui  non  puo'   essere
riconosciuto nel nostro ordinamento un  provvedimento  straniero  che
riconosca il rapporto  di  genitorialita'  tra  un  bambino  nato  in
seguito a maternita' surrogata e il genitore "d'intenzione".  Secondo
le Sezioni unite, tale  riconoscimento  troverebbe  infatti  ostacolo
insuperabile nel divieto  di  surrogazione  di  maternita',  previsto
dall'art. 12, comma 6, della legge n. 40 del 2004, qualificabile come
principio di ordine pubblico, in quanto  posto  a  tutela  di  valori
fondamentali,  quali  la  dignita'  della   gestante   e   l'istituto
dell'adozione. 
    Tuttavia, la Sezione rimettente dubita  della  compatibilita'  di
tale principio di  diritto,  costituente  diritto  vivente,  con  una
pluralita' di parametri costituzionali. 
    1.3.- Anzitutto, il divieto di riconoscimento in esame violerebbe
l'art. 117, primo comma, Cost., in relazione ai diritti del minore al
rispetto della propria vita privata e familiare (art. 8 CEDU), a  non
subire discriminazioni, a vedere preso in  considerazione  preminente
il proprio interesse, a essere immediatamente registrato alla nascita
e ad avere un nome, a conoscere i propri genitori, a essere  da  loro
allevato e a non esserne separato (rispettivamente, artt. 2, 3, 7,  8
e 9 della Convenzione sui diritti del fanciullo), al principio  della
responsabilita' comune dei genitori per l'educazione e  la  cura  del
figlio (art. 18  della  medesima  Convenzione),  nonche'  ai  diritti
riconosciuti dall'art. 24 CDFUE. 
    La sussistenza di tali violazioni si desumerebbe in  particolare,
secondo la Corte  rimettente,  dal  parere  consultivo  della  grande
camera della Corte europea dei diritti dell'uomo, reso  su  richiesta
della Corte di cassazione francese il 10 aprile 2019, con il quale si
e' affermato, da un lato, che  il  diritto  al  rispetto  della  vita
privata del bambino, ai sensi  dell'art.  8  CEDU,  richiede  che  il
diritto nazionale offra una possibilita' di riconoscimento del legame
di filiazione con il genitore d'intenzione; e, dall'altro,  che  tale
riconoscimento non comporta necessariamente l'obbligo di  trascrivere
l'atto di nascita straniero nei  registri  dello  stato  civile,  ben
potendo il diritto al rispetto della vita privata del  minore  essere
tutelato anche per altra via, e in particolare mediante l'adozione da
parte del genitore d'intenzione, a condizione pero' che le  modalita'
di adozione previste dal diritto interno garantiscano  l'effettivita'
e  la  celerita'  di  tale  procedura,  conformemente   all'interesse
superiore del bambino. 
    Secondo la  Sezione  rimettente,  l'attuale  diritto  vivente  in
Italia non sarebbe adeguato rispetto  agli  standard  di  tutela  dei
diritti del minore stabiliti in sede convenzionale, dal  momento  che
la  possibilita'  del  ricorso  all'istituto  dell'adozione  in  casi
particolari da parte del genitore "d'intenzione", ai sensi  dell'art.
44, comma 1, lettera d), della legge 4 maggio 1983  n.  184  (Diritto
del minore ad una famiglia), riconosciuta dalle Sezioni unite  civili
nella richiamata sentenza n. 12193 del 2019, non creerebbe  «un  vero
rapporto di filiazione». Tale forma di adozione porrebbe infatti  «il
genitore non biologico in una situazione di inferiorita' rispetto  al
genitore biologico»; non creerebbe legami parentali con  i  congiunti
dell'adottante ed  escluderebbe  il  diritto  a  succedere  nei  loro
confronti; e non garantirebbe,  comunque,  quella  tempestivita'  del
riconoscimento del rapporto di  filiazione  che  e'  richiesta  dalla
Corte EDU nell'interesse del minore.  D'altra  parte,  l'adozione  in
casi  particolari  resterebbe  rimessa  alla  volonta'  del  genitore
"d'intenzione",  lasciando   cosi'   aperta   la   possibilita'   per
quest'ultimo «di sottrarsi  all'assunzione  di  responsabilita'  gia'
manifestata e legittimata nel paese in cui  il  minore  e'  nato»;  e
sarebbe, altresi', condizionata all'assenso all'adozione da parte del
genitore biologico, che potrebbe non prestarlo in caso di crisi della
coppia. 
    1.4.- Il diritto vivente  cristallizzato  dalla  pronuncia  delle
Sezioni unite risulterebbe, altresi', contrastante con gli  artt.  2,
3, 30 e 31  Cost.,  dai  quali  si  evincerebbero  -  in  materia  di
filiazione  -  i  principi  di  uguaglianza,   non   discriminazione,
ragionevolezza e proporzionalita'. 
    Sarebbe infatti violato il diritto del minore  all'inserimento  e
alla stabile permanenza nel proprio  nucleo  familiare,  inteso  come
formazione sociale tutelata dalla Carta  costituzionale,  nonche'  il
diritto alla stessa identita' del minore, senza che  tale  violazione
possa  ritenersi  giustificata  nell'ottica  di  tutela  della  madre
"surrogata", che non trarrebbe comunque alcun vantaggio  dal  mancato
riconoscimento del  rapporto  di  filiazione  tra  il  bambino  e  il
genitore d'intenzione. 
    In secondo luogo, il figlio nato da maternita' surrogata  sarebbe
discriminato  rispetto  a  ogni  altro  bambino,  in  conseguenza  di
circostanze delle quali egli non porta alcuna responsabilita'. 
    Sarebbe, altresi', irragionevole  consentire  di  riconoscere  il
rapporto di genitorialita' in capo al  genitore  biologico  e  non  a
quello "d'intenzione", posto che il primo - avendo fornito  i  propri
gameti nella formazione dell'embrione - sarebbe ancor piu'  coinvolto
nella  pratica  procreativa,  dalla   cui   illiceita'   nel   nostro
ordinamento  deriva  l'asserita  contrarieta'   all'ordine   pubblico
italiano del  riconoscimento  dello  status  di  genitore  del  padre
"d'intenzione". 
    Infine,  sarebbe   irragionevole   precludere   al   giudice   la
possibilita' di valutare caso per  caso  l'interesse  del  minore  al
riconoscimento del legame con il genitore  "d'intenzione",  con  cio'
sacrificandosi automaticamente la tutela dei diritti del bambino  per
condannare il comportamento dei genitori (sono citate le sentenze  di
questa Corte n. 7 del 2013, n. 31 del 2012 e n. 494 del 2002). 
    2.- E' intervenuto in giudizio il Presidente  del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, chiedendo che le questioni siano  dichiarate  inammissibili  o
infondate. 
    2.1.-   L'inammissibilita'   discenderebbe:    a)    dall'erronea
assunzione a parametro interposto del giudizio  di  costituzionalita'
del parere consultivo della Corte EDU, non vincolante e reso in  base
al  Protocollo  n.  16  alla  CEDU,  che  non  e'  stato   ratificato
dall'Italia;  b)  dall'omessa  sperimentazione   dell'interpretazione
conforme: a fronte del novum costituito dal parere della  Corte  EDU,
la Sezione rimettente avrebbe potuto e  dovuto  investire  nuovamente
della questione le sezioni  unite,  ai  sensi  dell'art.  374,  terzo
comma,  del  codice  di  procedura  civile,  invece   di   promuovere
l'incidente di costituzionalita'. 
    2.2.- Nel merito, le questioni sarebbero comunque infondate. 
    2.2.1.- Le conclusioni cui sono pervenute le sezioni unite  della
Corte di cassazione nella richiamata sentenza n. 12193 del  2019  non
sarebbero  contraddette  dal  parere  della  Corte  EDU,   che,   pur
affermando la necessita'  del  riconoscimento  del  rapporto  tra  il
minore nato  all'estero  tramite  surrogazione  di  maternita'  e  il
genitore d'intenzione, riconosce un margine  di  apprezzamento  degli
Stati contraenti sulla scelta delle modalita' di tale  riconoscimento
(trascrizione dell'atto di nascita straniero nei  registri  di  stato
civile oppure adozione). 
    2.2.2.- Per altro verso, l'adozione  ex  art.  44,  primo  comma,
lettera d), della  legge  n.  184  del  1983  non  configurerebbe  un
procedimento  piu'  lungo  o  complesso  rispetto  al  riconoscimento
dell'atto o provvedimento  straniero  e  alla  sua  trascrizione  nei
registri di stato civile  italiani,  che  presupporrebbe  pur  sempre
l'attivazione di un procedimento giurisdizionale in caso  di  rifiuto
di annotazione da parte dell'ufficiale di stato civile. 
    2.2.3.- Le norme censurate, nell'interpretazione offertane  dalle
sezioni unite della Corte di  cassazione,  sarebbero  poi  pienamente
conformi agli orientamenti espressi da questa Corte nelle sentenze n.
221 del 2019 (che ha ritenuto non contrastante con la Costituzione la
preclusione, per le  coppie  dello  stesso  sesso,  all'accesso  alla
procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo) e n.  237  del
2019 (che ha ritenuto  inammissibile  la  questione  di  legittimita'
costituzionale della «norma che si desume» dagli artt. 250 e 449  del
codice civile, 29, comma 2, e 44, comma 1,  del  d.P.R.  n.  396  del
2000, 5 e 8 della legge n. 40 del 2004, censurata nella parte in  cui
non consentiva, ad avviso del rimettente, la formazione in Italia  di
un atto di nascita in cui venissero riconosciute come genitori di  un
cittadino di nazionalita' straniera due persone dello stesso  sesso).
Nemmeno  nella  sentenza  n.  162  del  2014  -  che  ha   dichiarato
l'illegittimita' costituzionale del divieto di fecondazione eterologa
in caso di patologia che  sia  causa  di  sterilita'  o  infertilita'
assolute ed  irreversibili  -  questa  Corte  avrebbe  mai  messo  in
discussione la legittimita' del divieto di surrogazione di maternita'
di cui all'art. 12, comma 6, della legge 40 del 2004. 
    La stessa sezione prima civile della Corte di cassazione, in  una
pronuncia coeva all'ordinanza di rimessione (sentenza 22 aprile 2020,
n. 8029), si sarebbe conformata ai principi stabiliti  dalle  Sezioni
unite nella sentenza n. 12193 del 2019. 
    2.2.4.- Alla luce della giurisprudenza  di  questa  Corte,  della
Corte EDU e della Corte di cassazione, pertanto, le  norme  censurate
dalla  Sezione  rimettente  non  lederebbero  alcuno  dei   parametri
costituzionali invocati: non l'art. 2, da cui non discenderebbe alcun
diritto alla genitorialita', inteso come aspirazione a procreare e  a
crescere dei figli; non  l'art.  3,  per  l'incomparabilita'  tra  la
condizione di sterilita' o infertilita'  delle  coppie  eterosessuali
cui e'  consentita  la  procreazione  medicalmente  assistita,  e  la
condizione di fisiologica infertilita' delle coppie omosessuali;  non
gli artt. 30 e 31 Cost., poiche' la tutela dell'interesse del  minore
non potrebbe essere  affidata  alla  pratica  della  surrogazione  di
maternita', offensiva della  dignita'  della  donna  e  lesiva  delle
relazioni umane; non, infine, gli artt. 117, primo comma, Cost.  e  8
CEDU, alla luce della sentenza della Corte EDU, grande camera, del 24
gennaio 2017, Paradiso e Campanelli contro Italia,  che  ha  ritenuto
insufficiente, per l'accertamento di un legame di  «vita  familiare»,
la mera esistenza di un progetto genitoriale, in  assenza  di  legami
biologici tra il minore e gli aspiranti genitori. 
    2.2.5.- Non sussisterebbe, infine, alcuna discriminazione in base
all'orientamento sessuale, atteso che la surrogazione  di  maternita'
e'  vietata  tanto  alle  coppie  eterosessuali,  quanto   a   quelle
omosessuali. 
    2.2.6.- Ne' indicazioni di segno contrario si  potrebbero  trarre
dagli artt. 12 CEDU e 9 CDFUE, che, nel  riconoscere  il  diritto  di
sposarsi e di costituire una famiglia,  demandano  alle  legislazioni
nazionali il compito di disciplinare tali diritti. 
    La scelta del  legislatore  italiano  di  non  equiparare  unioni
civili e matrimonio, per quanto concerne la  filiazione,  riposerebbe
sull'esigenza di fornire adeguata tutela ai best interests del minore
e  si  collocherebbe  pienamente  nel  solco   della   giurisprudenza
costituzionale, che ha  da  un  lato  escluso  che  l'aspirazione  al
riconoscimento  giuridico  dell'unione   omosessuale   possa   essere
realizzata  soltanto  attraverso  una  equiparazione  al   matrimonio
(sentenza n. 138 del 2010), e  dall'altro  lato  ha  posto  l'accento
sull'«elevato grado di disvalore che il nostro ordinamento riconnette
alla surrogazione di maternita'» (sentenza n. 272 del 2017). 
    2.2.7.- Quanto all'art. 24 CDFUE, parimenti assunto  a  parametro
interposto,  non  si  rinverrebbe  nell'ordinanza  alcuna   «disamina
specifica» in relazione a tale profilo. 
    3.- Si sono costituiti in giudizio F. B. e P. F., «in  proprio  e
in qualita' di genitori» del minore P. B.F., chiedendo l'accoglimento
delle questioni sollevate dalla Corte di cassazione  ed  evidenziando
come  il  riconoscimento  degli  interessi  preminenti  del   minore,
consacrato dalle fonti costituzionali e pattizie, faccia parte «di un
patrimonio comune del costituzionalismo contemporaneo, che  non  puo'
non essere partecipato anche dal nostro ordinamento». 
    Tali interessi risulterebbero  irragionevolmente  pregiudicati  -
con violazione degli artt. 2, 3, 30, 31, 117, primo comma, Cost., 8 e
14 CEDU - dalla disciplina censurata, che  impedisce  al  giudice  di
compiere il bilanciamento piu' opportuno in ciascun caso  concreto  a
salvaguardare   tutti   gli   interessi   in   gioco,   non   essendo
«costituzionalmente  ammissibile  che  l'esigenza  di  verita'  della
filiazione si imponga in modo automatico sugli interessi del  minore»
(e' richiamata la sentenza di questa Corte n. 272 del 2017). 
    4.- J.E. N., madre gestazionale del minore P. B.F.,  ha  spiegato
intervento ad adiuvandum, dichiarato inammissibile  da  questa  Corte
con ordinanza n. 271 del 2020. 
    5.-  Sono  state  depositate  varie  opinioni  scritte  ai  sensi
dell'art. 4-ter delle Norme integrative per i  giudizi  davanti  alla
Corte costituzionale. Con decreto del Presidente della  Corte  del  2
dicembre 2020, tutte le opinioni sono state  ammesse,  tranne  quella
presentata dalla Rete Italiana contro l'Utero in Affitto, in  difetto
di allegazioni e produzioni documentali atte a dimostrare il possesso
dei requisiti di legittimazione richiesti dal comma 1 del  richiamato
art. 4-ter. 
    5.1.-   Con   l'opinione   presentata   l'11   settembre    2020,
l'Associazione Luca Coscioni per la liberta' di  ricerca  scientifica
a.p.s. e  l'Associazione  radicale  Certi  Diritti  a.p.s.  auspicano
l'accoglimento delle questioni, che non porrebbero in discussione  il
divieto di maternita' surrogata vigente nell'ordinamento italiano, ma
riguarderebbero unicamente lo status del minore nato attraverso  tale
pratica. 
    La  preclusione  al  riconoscimento  dello   status   filiationis
costituito all'estero  tramite  surrogazione  di  maternita'  avrebbe
effetti punitivi e discriminatori  in  danno  di  un  soggetto  terzo
incolpevole, ossia il minore. 
    Le norme censurate sarebbero inoltre affette  da  «irrazionalita'
per  inappropriatezza  ed  inefficacia»,  poiche'  il  dato   sociale
dimostrerebbe l'ampia diffusione del  fenomeno  della  genitorialita'
delle  coppie  dello  stesso  sesso  e  la  «valutazione  complessiva
pubblica» in termini di  «normalita',  di  pregi  e  di  difetti,  di
positivo e negativo, come per tutte le coppie». 
    In  subordine,  le  associazioni  sollecitano  una  pronuncia  di
inammissibilita'  o  infondatezza  delle  questioni,   basata   sulla
possibilita' di interpretazione  costituzionalmente  orientata  della
disciplina censurata. 
    5.2.-  Con  l'opinione   presentata   il   14   settembre   2020,
l'Associazione Nazionale  Famiglie  Adottive  e  Affidatarie  (ANFAA)
auspica  invece  la  reiezione  delle   questioni,   osservando   che
l'istituto dell'adozione, disciplinato dalla legge n. 184  del  1983,
realizza il diritto del minore ad avere una famiglia, nell'ambito  di
un   procedimento   che   impone   una   previa   rigorosa   verifica
dell'idoneita' dei genitori affidatari e adottivi e nel quadro di  un
sistema che prevede severe sanzioni penali a  presidio  del  rispetto
delle procedure di adozione. 
    La  maternita'   surrogata,   non   imponendo   alcuna   verifica
sull'idoneita' degli aspiranti genitori e consentendo  una  sorta  di
compravendita del minore, attuata attraverso  lo  sfruttamento  delle
madri gestazionali, sarebbe invece fenomeno assimilabile al  traffico
di minori, come tale meritevole di essere disincentivato e represso. 
    5.3.- Con l'opinione  presentata  il  14  settembre  2020,  anche
l'Associazione Amici dei Bambini (Ai.Bi.),  l'Associazione  Comunita'
Papa Giovanni  XXIII  e  l'associazione  Famiglie  per  l'Accoglienza
ritengono che la repressione penale della  maternita'  surrogata  non
sia contraria all'interesse del minore,  ma  intenda,  al  contrario,
tutelarlo, proteggendo la relazione con la  madre,  che,  invece,  la
surrogazione mira intenzionalmente a interrompere. 
    L'interesse del minore si realizzerebbe attribuendo la maternita'
a colei che partorisce e affidando - nel solo caso di  abbandono  del
minore, o di incapacita' della famiglia  d'origine  a  garantirne  la
cura  -  all'adozione,  attuata  con  le  garanzie  del  procedimento
giurisdizionale  e  previa  puntuale  verifica  dell'idoneita'  degli
aspiranti genitori adottivi, la realizzazione di  una  genitorialita'
disgiunta dal dato biologico. 
    Tali elementi di garanzia per il minore sarebbero  assenti  nella
surrogazione di  maternita',  la  cui  legittimazione  -  tramite  il
riconoscimento  dello  status   filiationis   costituito   all'estero
mediante il ricorso a detta pratica - rischierebbe di indebolire  «la
capacita' del corpo  sociale  ad  apprestare  sostegno,  tramite  gli
istituti dell'affidamento e della adozione, a  minori  che  risultano
privi di una adeguata famiglia di origine». 
    5.4.-  Con  l'opinione   presentata   il   15   settembre   2020,
l'Avvocatura per i diritti LGBTI a.p.s. auspica invece l'accoglimento
delle questioni,  sottolineando  la  necessita'  di  distinguere  tra
divieto di surrogazione di maternita' e tutela del nato a seguito del
ricorso  a  tale  pratica.  Dalla  giurisprudenza  costituzionale  si
trarrebbe il principio per  cui,  «al  di  la'  delle  scelte  che  i
genitori possono compiere anche in violazione della  legge  italiana,
l'interesse primario da salvaguardare deve rimanere quello  del  nato
al riconoscimento formale del proprio  status  filiationis,  elemento
costitutivo della sua identita' personale protetta, oltre  che  dagli
artt. 7 e 8 della Convenzione dei diritti  del  fanciullo  del  1989,
anche dagli artt. 2, 30 e 31 della Costituzione». 
    Le conclusioni cui sono pervenute le sezioni unite della Corte di
cassazione  nella  sentenza  n.  12193  del  2019  si  porrebbero  in
contrasto con la stessa giurisprudenza costituzionale, secondo cui il
divieto della  gestazione  per  altri  non  preclude  al  giudice  di
valutare nel singolo caso la sussistenza dell'interesse del minore  a
mantenere il proprio status nei confronti del genitore che non  vanti
con esso alcun legame biologico (e' citata la  sentenza  n.  272  del
2017). Cio' tanto piu' che la legge n. 40 del 2004, pur  vietando  la
surrogazione di maternita', nulla dispone quanto alle conseguenze per
il nato da tale pratica. 
    Occorrerebbe infine  considerare  come  altri  ordinamenti,  come
quello francese e tedesco, pur  vietando  la  gestazione  per  altri,
apprestino  tutela  al  minore  nato  dal  ricorso  a  tale  pratica,
consentendo la trascrizione  degli  atti  di  nascita  stranieri  che
indichino una doppia paternita'. 
    6.- Con articolata memoria illustrativa depositata in prossimita'
dell'udienza pubblica, le parti F. B. e P.  F.  hanno  insistito  per
l'accoglimento delle questioni. 
    6.1.-  Queste  ultime  sarebbero   pienamente   ammissibili:   il
rimettente non avrebbe potuto disattendere la sentenza n.  12193  del
2019 delle sezioni unite della Corte di cassazione, qualificabile  in
termini  di  diritto  vivente,  ma  solo   sollevare   questione   di
legittimita' costituzionale della disciplina  censurata,  cosi'  come
interpretata da detta pronuncia (sono citate le  sentenze  di  questa
Corte n. 299 del 2005 e n. 266 del 2006). Ne'  sarebbe  configurabile
alcun obbligo di  rimettere  nuovamente  le  questioni  alle  Sezioni
unite, atteso che l'art. 1  della  legge  costituzionale  9  febbraio
1948, n. 1 (Norme sui giudizi di legittimita' costituzionale e  sulle
garanzie d'indipendenza  della  Corte  Costituzionale)  «non  ammette
alcun filtro preventivo fra il giudice a quo e la Corte». 
    6.2.- Il parere del 10 aprile 2019 della Corte EDU sarebbe  stato
correttamente preso in considerazione dal rimettente  non  in  quanto
parametro  interposto  o  fonte  normativa   vincolante,   ma   quale
«strumento  interpretativo  che  il  giudice   nazionale   non   puo'
ignorare», essendo  stato  pronunziato  all'unanimita'  dalla  Grande
camera  e  costituendo  codificazione  di  un  «diritto  consolidato»
relativo alla Convenzione. 
    6.3.-  La  fattispecie  in  discussione  nel   giudizio   a   quo
differirebbe sia da quella che veniva in rilievo  nella  sentenza  n.
272 del 2017 di questa Corte (per il significativo  collegamento  con
un ordinamento straniero, stante la cittadinanza canadese del  minore
P. B.F.), sia da quella oggetto della richiamata sentenza Paradiso  e
Campanelli della Corte EDU (per la sussistenza di un legame  genetico
tra  uno  dei  genitori  e  il  bambino),  sia,  infine,  da   quella
considerata dalla Corte di cassazione, sezione  prima  civile,  nella
sentenza 11 novembre 2014, n. 24001 (per la piena  conformita'  della
gestazione per altri alla lex loci). 
    6.4.- L'ordine pubblico di cui all'art. 64 della legge n. 218 del
1995 (cui rinvia l'art. 65 della stessa legge, a sua volta richiamato
dal successivo art. 66), unico  ostacolo  al  riconoscimento  di  uno
status filiationis gia' stabilito dallo  Stato  di  cittadinanza  del
minore,  dovrebbe  essere  interpretato  in  senso   restrittivo;   e
l'interesse  del  minore,  al  pari  degli   altri   valori   supremi
dell'ordinamento che, con esso,  determinano  la  nozione  di  ordine
pubblico, non potrebbe che essere valutato  dal  giudice  in  ciascun
caso concreto, conformemente alle indicazioni della sentenza  n.  272
del 2017 di questa Corte e del parere consultivo della Corte EDU. 
    6.5.- Anche il confronto con le esperienze di  altri  ordinamenti
mostrerebbe  come  il  divieto  di  maternita'  surrogata   non   sia
d'ostacolo alla possibilita' di garantire la continuita' dello status
familiare dei minori nati in Stati che ammettano tale pratica. 
    6.6.- Il  richiamo  all'art.  24  CDFUE  operato  dal  rimettente
sarebbe  meramente  funzionale  a  dimostrare   la   sussistenza   di
un'irragionevole disparita'  di  trattamento,  rilevante  ex  art.  3
Cost.: mentre gli status familiari costituiti - anche  a  seguito  di
gestazione per altri - in uno Stato  membro  dell'Unione  europea  (o
costituiti in uno Stato terzo e ivi riconosciuti) possono «circolare»
negli altri Stati membri, in forza della liberta' di circolazione del
cittadino  dell'Unione,  i  minori  italiani  vedrebbero  la  propria
continuita' di status interrotta «per il sol  fatto  che  entrambi  i
genitori sono italiani o per il fatto che non hanno risieduto  in  un
altro Stato membro». 
    6.7.-  L'orientamento  delle  sezioni  unite   della   Corte   di
cassazione  negherebbe  al  minore  la  possibilita'  di   conseguire
l'«allineamento dello status giuridico con lo  stato  di  fatto»,  in
contrasto  con  le  esigenze  di  tutela  del  diritto  all'identita'
personale  discendenti  dalla  stessa  giurisprudenza  costituzionale
(sono citate le sentenze di questa Corte n. 494 del 2002 e n. 120 del
2001). Tale diritto, riconosciuto anche  dall'art.  9,  primo  comma,
della Convenzione sui diritti del fanciullo, implicherebbe «anche  il
riconoscimento della genitorialita' cosi'  come  affermata  da  altro
Stato di cui il minore e' cittadino e con il quale possiede un legame
qualificato». 
    6.8.- L'attuale assetto del diritto vivente implicherebbe per  il
minore nato da maternita' surrogata una capitis deminutio  del  tutto
analoga, se non piu' grave, rispetto  a  quella  in  danno  ai  figli
cosiddetti incestuosi, rimossa da questa Corte con la sentenza n. 494
del 2002, atteso  che  il  bambino  dovrebbe  patire  le  conseguenze
sanzionatorie di una condotta posta in essere dai genitori,  in  nome
di «una concezione "totalitaria" della famiglia». 
    6.9.- Il riconoscimento  dello  status  filiationis  rispetto  al
genitore d'intenzione non minerebbe il diritto del minore a conoscere
le proprie origini ma, al  contrario,  lo  rafforzerebbe,  in  quanto
proprio la prospettiva di poter conseguire la trascrizione  dell'atto
di  nascita  del  minore  nato  all'estero  da  maternita'  surrogata
incentiverebbe i genitori a versare  nei  registri  di  stato  civile
italiani la relativa documentazione, cosi' consentendo al  figlio  di
avere accesso alle informazioni relative alla propria nascita. 
    6.10.- Quanto al ricorso all'adozione in casi  particolari,  esso
non sarebbe conforme alle esigenze  di  tutela  degli  interessi  del
minore, considerati da un lato i limitati effetti di tale istituto e,
dall'altro lato, le caratteristiche  del  procedimento  di  adozione,
attivabile solo su domanda dell'adottante e con l'assenso  dell'altro
genitore. La procedura di adozione sarebbe inoltre caratterizzata  da
cadenze temporali particolarmente dilatate, pari a circa cinque anni,
non compatibili con le esigenze di celerita' evidenziate dalla  Corte
EDU nel parere del 10 aprile 2019. Del resto, la  stessa  Corte  EDU,
nella sentenza 28 giugno 2007, Wagner e J.M.W.L. contro  Lussemburgo,
avrebbe ritenuto insufficiente a garantire il  rispetto  dell'art.  8
CEDU  la  possibilita',  offerta   dall'ordinamento   lussemburghese,
dell'adozione   «semplice»   (assimilabile   all'adozione   in   casi
particolari) di una minore la cui adozione  «piena»,  pronunciata  in
Peru', non era stata riconosciuta in Lussemburgo. 
    Al contrario, nel contesto del  giudizio  sulla  riconoscibilita'
del provvedimento straniero ex art. 67 della legge n. 218  del  1995,
la Corte d'appello potrebbe svolgere  con  celerita'  ogni  opportuna
indagine circa il  contesto  familiare  e  il  legame  tra  minore  e
genitore  d'intenzione  e  prendere  altresi'  in  considerazione  le
modalita'   di   realizzazione    della    gestazione    per    altri
nell'ordinamento straniero di volta in volta considerato. 
    6.11.-  Sarebbe  infine  estranea  al   thema   decidendum   ogni
considerazione relativa all'orientamento sessuale  dei  soggetti  che
ricorrono alla  gestazione  per  altri,  alla  luce  dell'ininfluenza
dell'orientamento sessuale sull'idoneita' genitoriale. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Con l'ordinanza indicata in epigrafe, la Corte di cassazione,
sezione prima civile, ha sollevato - in riferimento agli artt. 2,  3,
30,  31,  117,  primo  comma,  della  Costituzione,  quest'ultimo  in
relazione all'art. 8 della Convenzione europea dei diritti  dell'uomo
(CEDU), agli artt. 2, 3, 7, 8, 9 e 18 della Convenzione  sui  diritti
del fanciullo, fatta a New York il 20  novembre  1989,  ratificata  e
resa esecutiva con legge 27 maggio 1991, n. 176, e all'art. 24  della
Carta  dei  diritti  fondamentali  dell'Unione  europea   (CDFUE)   -
questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 12, comma 6, della
legge 19 febbraio 2004, n.  40  (Norme  in  materia  di  procreazione
medicalmente assistita), dell'art. 64, comma  1,  lettera  g),  della
legge 31 maggio 1995, n. 218 (Riforma del sistema italiano di diritto
internazionale privato) e dell'art. 18  del  decreto  del  Presidente
della  Repubblica  3  novembre  2000,  n.  396  (Regolamento  per  la
revisione e la semplificazione dell'ordinamento dello stato civile, a
norma dell'articolo 2, comma 12, della legge 15 maggio 1997, n. 127),
«nella parte in cui non consentono, secondo l'interpretazione attuale
del diritto vivente,  che  possa  essere  riconosciuto  e  dichiarato
esecutivo, per contrasto  con  l'ordine  pubblico,  il  provvedimento
giudiziario straniero relativo  all'inserimento  nell'atto  di  stato
civile di un minore procreato con le  modalita'  della  gestione  per
altri (altrimenti detta "maternita'  surrogata")  del  c.d.  genitore
d'intenzione non biologico». 
    2.- In sostanza, le questioni di legittimita' che questa Corte e'
chiamata a esaminare riguardano lo  stato  civile  dei  bambini  nati
attraverso   la   pratica   della   maternita'   surrogata,   vietata
nell'ordinamento italiano dall'art. 12, comma 6, della  legge  n.  40
del 2004. 
    Piu' in particolare, e' qui in  discussione  la  possibilita'  di
dare effetto nell'ordinamento  italiano  a  provvedimenti  giudiziari
stranieri che riconoscano come genitore  del  bambino  non  solo  chi
abbia fornito i  propri  gameti,  e  dunque  il  genitore  cosiddetto
"biologico"; ma anche la persona  che  abbia  condiviso  il  progetto
genitoriale pur senza fornire il proprio apporto genetico,  e  dunque
il cosiddetto genitore "d'intenzione". 
    La prima sezione civile della Corte di  cassazione  dubita  della
legittimita' costituzionale del  diritto  vivente,  risultante  dalla
sentenza delle Sezioni unite civili 8  maggio  2019,  n.  12193,  che
esclude il riconoscimento  dell'efficacia  nell'ordinamento  italiano
del provvedimento giurisdizionale straniero con il  quale  sia  stato
dichiarato un rapporto di filiazione tra un  minore  nato  all'estero
mediante  il  ricorso  alla  maternita'  surrogata  e   il   genitore
"d'intenzione" cittadino italiano, in ragione del ritenuto  contrasto
di tale riconoscimento con il divieto di surrogazione  di  maternita'
stabilito dal menzionato art. 12, comma 6,  della  legge  n.  40  del
2004, qualificabile secondo le Sezioni unite come principio di ordine
pubblico. 
    Tale soluzione violerebbe, ad avviso del giudice a quo,  tutti  i
parametri costituzionali e  sovranazionali  sopra  indicati,  per  le
ragioni di cui si e' analiticamente dato conto nel Ritenuto in fatto. 
    Conseguentemente,  la  prima  sezione  civile  della   Corte   di
cassazione  solleva  questioni  di  legittimita'  costituzionale  del
combinato disposto: 
    - dell'art. 64, comma 1, lettera g), della legge n. 218 del 1995,
che vieta il riconoscimento di sentenze straniere allorche' producano
effetti contrari all'ordine pubblico; 
    - dell'art.  18  del  d.P.R.  n.  396  del  2000,  che  vieta  la
trascrizione nei registri dello stato civile italiani di atti formati
all'estero contrari all'ordine pubblico; e 
    - dell'art. 12, comma 6, della legge n. 40 del 2004, che  prevede
sanzioni penali a carico di chiunque «in qualsiasi  forma,  realizza,
organizza  o  pubblicizza  la  commercializzazione  di  gameti  o  di
embrioni o la surrogazione di maternita'». 
    3.-  Devono  essere  vagliate  preliminarmente  le  eccezioni  di
inammissibilita' formulate dall'Avvocatura generale dello Stato. 
    3.1.- Non e' fondata, anzitutto,  l'eccezione  che  fa  leva  sul
carattere non vincolante  del  parere  consultivo  reso  dalla  Corte
europea dei diritti dell'uomo il 10 aprile  2019,  ampiamente  citato
nell'ordinanza di rimessione. 
    Il  giudice  rimettente,  pur  richiamando  tale  parere,  invoca
infatti correttamente - quale parametro interposto in un giudizio  di
legittimita' costituzionale  fondato,  tra  l'altro,  sull'art.  117,
primo comma, Cost. - l'art. 8 CEDU, che  riconosce  il  diritto  alla
vita privata e familiare del minore: diritto sul quale si  imperniano
le argomentazioni sviluppate nell'ordinanza di rimessione. 
    D'altra parte, non v'e' dubbio  che  il  parere  consultivo  reso
dalla Corte EDU su richiesta della Corte di cassazione  francese  non
sia vincolante, come espressamente stabilisce l'art. 5 del Protocollo
n. 16 alla CEDU: ne' per lo Stato  cui  appartiene  la  giurisdizione
richiedente, ne' a fortiori per  gli  altri  Stati,  tanto  meno  per
quelli - come l'Italia - che non hanno ratificato  il  protocollo  in
questione.  Cionondimeno,  tale  parere  e'  confluito  in   pronunce
successive, adottate in sede contenziosa dalla Corte EDU (sentenza 16
luglio 2020, D. contro Francia; decisione 19 novembre 2019, C. contro
Francia ed E. contro Francia). 
    3.2.-   Infondata   e'   altresi'   l'ulteriore   eccezione    di
inammissibilita' imperniata sull'omessa sperimentazione da parte  del
Collegio rimettente di un'interpretazione  conforme  alla  CEDU  alla
luce del citato parere  consultivo;  interpretazione,  peraltro,  che
secondo l'Avvocatura  generale  dello  Stato  avrebbe  dovuto  essere
rimessa nuovamente alle Sezioni unite, ai sensi dell'art. 374,  terzo
comma, del codice di procedura civile, dal momento che la  richiamata
sentenza n. 12193 del 2019 non avrebbe potuto tenere  conto  di  tale
parere, sopravvenuto alla decisione. 
    La  Sezione  rimettente  ha  plausibilmente  motivato  nel  senso
dell'impraticabilita' di una  interpretazione  conforme,  proprio  in
ragione  dell'intervenuta  pronuncia  delle  Sezioni  unite,  che  ha
formato  il  diritto  vivente  che  il  giudice  a  quo  sospetta  di
contrarieta' alla Costituzione. Cio' deve  ritenersi  sufficiente  ai
fini   dell'ammissibilita'   di   una   questione   di   legittimita'
costituzionale (ex plurimis, da ultime, sentenze n. 75 del  2019,  n.
39 del 2018, n. 259 e n. 122 del 2017). 
    D'altra parte, l'obbligo per una sezione semplice della Corte  di
cassazione di astenersi dal decidere in contrasto con il principio di
diritto   enunciato   dalle   Sezioni   unite   attiene   al    piano
dell'interpretazione della legge, non a quello della  verifica  della
compatibilita' della legge (cosi'  come  interpretata  dalle  Sezioni
unite) con  la  Costituzione;  verifica,  questa,  che  l'ordinamento
italiano affida a ogni autorita'  giurisdizionale  durante  qualsiasi
giudizio, consentendo a tale  autorita'  di  promuovere  direttamente
questione di legittimita'  costituzionale  innanzi  a  questa  Corte,
senza  dover  sollecitare  allo  scopo  altra  istanza  superiore  di
giudizio (art. 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948,  recante
«Norme sui giudizi di legittimita' costituzionale  e  sulle  garanzie
d'indipendenza della Corte costituzionale»; art. 23  della  legge  11
marzo  1953,  n.  87,  recante  «Norme  sulla  costituzione   e   sul
funzionamento della Corte costituzionale»). 
    4.- Deve invece essere dichiarata, d'ufficio,  l'inammissibilita'
della questione formulata dal giudice a quo in  riferimento  all'art.
117, primo comma, Cost. in relazione all'art. 24 CDFUE, non avendo la
Sezione rimettente motivato sulla sua riconducibilita' all'ambito  di
applicazione del diritto dell'Unione europea ai  sensi  dell'art.  51
CDFUE, cio' che condiziona la stessa applicabilita' delle norme della
Carta (ex multis, sentenze n. 190 del 2020, n. 279 del  2019,  n.  37
del 2019). Il che non esclude, naturalmente, che le norme della Carta
possano  essere  comunque  tenute  in  considerazione  come   criteri
interpretativi    degli    altri    parametri,    costituzionali    e
internazionali, invocati dal giudice rimettente (come e' accaduto, ad
esempio, nelle sentenze n. 102 del 2020 e 272 del 2017 per  l'appunto
in relazione all'art. 24 CDFUE). 
    5.- Quanto alle restanti questioni sottoposte alla  Corte,  anche
esse debbono essere  dichiarate  inammissibili,  per  le  ragioni  di
seguito esposte. 
    5.1.- Il diritto vivente censurato dal giudice a quo si  impernia
sulla qualificazione, operata dalle sezioni unite civili della  Corte
di cassazione, del divieto penalmente sanzionato di  surrogazione  di
maternita' di cui all'art. 12, comma 6, della legge n.  40  del  2004
come «principio di ordine pubblico,  in  quanto  posto  a  tutela  di
valori fondamentali», tra cui segnatamente la  dignita'  umana  della
gestante. 
    Questa Corte si e' recentemente  espressa  in  termini  analoghi,
osservando che la pratica della maternita' surrogata «offende in modo
intollerabile  la  dignita'  della  donna  e  mina  nel  profondo  le
relazioni umane» (sentenza n. 272 del 2017). A  tale  prospettiva  si
affianca l'ulteriore considerazione - su cui pongono l'accento  anche
l'Avvocatura generale dello Stato e una parte degli  amici  curiae  -
che gli accordi di maternita'  surrogata  comportano  un  rischio  di
sfruttamento della vulnerabilita' di donne che versino in  situazioni
sociali ed economiche disagiate;  situazioni  che,  ove  sussistenti,
condizionerebbero pesantemente la loro  decisione  di  affrontare  il
percorso di una gravidanza nell'esclusivo  interesse  dei  terzi,  ai
quali il bambino dovra' essere consegnato subito dopo la nascita. 
    Tali  preoccupazioni  stanno  verosimilmente  alla   base   della
condanna  di  «qualsiasi  forma  di  maternita'  surrogata   a   fini
commerciali»  espressa   dal   Parlamento   europeo   nella   propria
Risoluzione  del  13  dicembre  2016  sulla  situazione  dei  diritti
fondamentali nell'Unione europea nel 2015 (2016/2009-INI)  (paragrafo
82). 
    5.2.- Le questioni ora  sottoposte  a  questa  Corte  sono  pero'
focalizzate sugli interessi  del  bambino  nato  mediante  maternita'
surrogata, nei suoi rapporti con la  coppia  (omosessuale,  come  nel
caso che ha dato origine al giudizio a quo, ovvero eterosessuale) che
ha sin dall'inizio condiviso il  percorso  che  ha  condotto  al  suo
concepimento e alla sua nascita nel territorio di uno Stato  dove  la
maternita' surrogata non e' contraria alla legge;  e  che  ha  quindi
portato in Italia il bambino, per poi qui prendersene quotidianamente
cura. 
    Piu'  precisamente,   si   tratta   di   fornire   una   risposta
all'interrogativo se il diritto vivente espresso dalle Sezioni  unite
civili, alla luce della complessita' della vicenda,  sia  compatibile
con i  diritti  del  minore  sanciti  dalle  norme  costituzionali  e
sovranazionali invocate dal giudice a quo. 
    5.3.- Questa Corte  ha  recentemente  avuto  modo  di  rammentare
(sentenza n. 102 del 2020) che il principio secondo cui in  tutte  le
decisioni relative ai minori di competenza delle pubbliche autorita',
compresi i tribunali, deve essere riconosciuto rilievo primario  alla
salvaguardia   dei   "migliori   interessi"   (best   interests)    o
dell'"interesse superiore" (interêt superieur) del minore, secondo le
formule utilizzate nelle  rispettive  versioni  ufficiali  in  lingua
inglese  e  francese,  fu  espresso  anzitutto  nella   Dichiarazione
universale  dei  diritti  del  fanciullo,   adottata   dall'Assemblea
generale delle Nazioni  Unite  il  20  novembre  1959.  Di  qui  tale
principio e' confluito - tra l'altro - nell'art. 3,  comma  1,  della
Convenzione sui diritti del fanciullo e nell'art. 24, comma 2, CDFUE.
Tale principio e' stato  altresi'  considerato  dalla  giurisprudenza
della Corte EDU come specifica declinazione  del  diritto  alla  vita
familiare di cui all'art. 8 CEDU (ex multis, Grande camera,  sentenza
26 novembre 2013, X contro Lettonia, paragrafo 96). 
    Il principio in parola e' stato felicemente  riformulato  da  una
risalente sentenza di  questa  Corte,  con  riferimento  all'art.  30
Cost., come necessita' che  nelle  decisioni  concernenti  il  minore
venga sempre ricercata  «la  soluzione  ottimale  "in  concreto"  per
l'interesse del minore, quella cioe' che piu' garantisca, soprattutto
dal punto di vista morale, la miglior "cura della persona"» (sentenza
n. 11 del 1981); ed e' stato ricondotto da plurime pronunce di questa
Corte altresi' all'ambito di tutela dell'art. 31 Cost.  (sentenze  n.
272 del 2017, n. 76 del 2017, n. 17 del 2017 e n. 239 del 2014). 
    5.4.- I parametri costituzionali e sovranazionali (questi  ultimi
rilevanti nell'ordinamento italiano per  il  tramite  dell'art.  117,
primo comma, Cost.) invocati dall'ordinanza di rimessione convergono,
dunque, attorno al principio della ricerca della  soluzione  ottimale
in concreto per l'interesse del minore. Principio che deve essere ora
declinato in relazione alle peculiarita' delle situazioni all'esame. 
    Non v'e' dubbio, in proposito,  che  l'interesse  di  un  bambino
accudito sin dalla nascita (nel caso  oggetto  del  giudizio  a  quo,
ormai da quasi sei anni) da una coppia che ha condiviso la  decisione
di farlo venire al mondo e'  quello  di  ottenere  un  riconoscimento
anche giuridico dei legami  che,  nella  realta'  fattuale,  gia'  lo
uniscono a entrambi i componenti della coppia, ovviamente  senza  che
cio' abbia implicazioni quanto agli eventuali rapporti giuridici  tra
il bambino e la madre surrogata. 
    E cio', quanto meno, da una duplice prospettiva. 
    Anzitutto, questi  legami  sono  parte  integrante  della  stessa
identita' del bambino (Corte EDU, sentenza 26 giugno 2014,  Mennesson
contro Francia, paragrafo 96), che vive e cresce in  una  determinata
famiglia, o comunque - per cio'  che  concerne  le  unioni  civili  -
nell'ambito di una determinata  comunita'  di  affetti,  essa  stessa
dotata di riconoscimento giuridico,  e  certamente  riconducibile  al
novero delle formazioni sociali tutelate dall'art. 2 Cost.  (sentenza
n. 221 del 2019). Sicche' indiscutibile e' l'interesse del bambino  a
che tali legami abbiano riconoscimento  non  solo  sociale  ma  anche
giuridico, a tutti i fini che rilevano per la vita del bambino stesso
- dalla cura della sua salute, alla sua educazione  scolastica,  alla
tutela dei suoi interessi  patrimoniali  e  ai  suoi  stessi  diritti
ereditari  -;  ma  anche,  e  prima  ancora,  allo  scopo  di  essere
identificato dalla legge come membro di quella  famiglia  o  di  quel
nucleo di affetti, composto da tutte le persone che  in  concreto  ne
fanno parte.  E  cio'  anche  laddove  il  nucleo  in  questione  sia
strutturato attorno ad una coppia composta da  persone  dello  stesso
sesso, dal momento  che  l'orientamento  sessuale  della  coppia  non
incide di per se' sull'idoneita'  all'assunzione  di  responsabilita'
genitoriale (sentenza n. 221 del 2019; Corte di  cassazione,  sezione
prima civile, sentenza  22  giugno  2016,  n.  12962;  sezione  prima
civile, sentenza 11 gennaio 2013, n. 601). 
    Sotto un secondo e non meno importante profilo,  non  e'  qui  in
discussione un preteso "diritto alla genitorialita'" in capo a coloro
che si prendono cura del bambino. Cio' che e' qui in  discussione  e'
unicamente l'interesse del minore a  che  sia  affermata  in  capo  a
costoro la titolarita' giuridica di quel fascio di doveri  funzionali
agli   interessi   del    minore    che    l'ordinamento    considera
inscindibilmente legati all'esercizio di responsabilita' genitoriali.
Doveri ai quali non e'  pensabile  che  costoro  possano  ad  libitum
sottrarsi (per una analoga sottolineatura, si veda la sentenza n. 347
del 1998, che  -  seppur  nel  diverso  contesto  della  fecondazione
eterologa - gia' evocava i diritti del minore «nei confronti  di  chi
si sia liberamente impegnato ad accoglierlo assumendone  le  relative
responsabilita'»). 
    Proprio  per  queste  ragioni,  del  resto,  l'ormai  consolidata
giurisprudenza della  Corte  EDU  afferma  la  necessita',  al  metro
dell'art. 8 CEDU, che i bambini nati mediante  maternita'  surrogata,
anche negli Stati parte che  vietino  il  ricorso  a  tali  pratiche,
ottengano un riconoscimento  giuridico  del  «legame  di  filiazione»
(lien de filiation) con entrambi i componenti della coppia che ne  ha
voluto la nascita, e che se  ne  sia  poi  presa  concretamente  cura
(sentenza Mennesson contro Francia, paragrafo 100; sentenza D. contro
Francia, paragrafo 64). 
    Ne' l'interesse del minore  potrebbe  ritenersi  soddisfatto  dal
riconoscimento del  rapporto  di  filiazione  con  il  solo  genitore
"biologico", come e' accaduto nel caso  dal  quale  e'  scaturito  il
giudizio a quo, in cui l'originario atto  di  nascita  canadese,  che
designava come genitore il solo  P.  F.,  era  stato  trascritto  nei
registri di stato civile italiani. Laddove, infatti, il minore viva e
cresca nell'ambito di  un  nucleo  composto  da  una  coppia  di  due
persone, che non solo abbiano insieme condiviso e attuato il progetto
del suo concepimento, ma lo abbiano poi  continuativamente  accudito,
esercitando  di  fatto  in  maniera  congiunta   la   responsabilita'
genitoriale, e'  chiaro  che  egli  avra'  un  preciso  interesse  al
riconoscimento giuridico del proprio rapporto  con  entrambe,  e  non
solo con il genitore che abbia fornito i propri gameti ai fini  della
maternita' surrogata. 
    5.5.- E' peraltro vero  che  l'interesse  del  bambino  non  puo'
essere considerato automaticamente prevalente rispetto a  ogni  altro
controinteresse in gioco. 
    La frequente sottolineatura della "preminenza" di tale  interesse
ne segnala bensi' l'importanza, e lo  speciale  "peso"  in  qualsiasi
bilanciamento; ma anche rispetto all'interesse del  minore  non  puo'
non rammentarsi che «[t]utti i diritti  fondamentali  tutelati  dalla
Costituzione si trovano in rapporto di integrazione reciproca  e  non
e' possibile pertanto individuare uno di essi che abbia la prevalenza
assoluta sugli altri [...]. Se cosi'  non  fosse,  si  verificherebbe
l'illimitata espansione di uno dei diritti, che diverrebbe  "tiranno"
nei confronti delle altre  situazioni  giuridiche  costituzionalmente
riconosciute  e  protette,  che  costituiscono,  nel  loro   insieme,
espressione della dignita' della persona» (sentenza n. 85 del 2013). 
    Gli interessi del minore dovranno essere allora bilanciati,  alla
luce  del  criterio  di  proporzionalita',  con  lo  scopo  legittimo
perseguito  dall'ordinamento  di  disincentivare  il   ricorso   alla
surrogazione di maternita', penalmente  sanzionato  dal  legislatore;
scopo di cui si fanno carico le sezioni unite civili della  Corte  di
cassazione, allorche' negano la trascrivibilita' di un  provvedimento
giudiziario straniero, nella parte in cui attribuisce  lo  status  di
genitore anche al componente della coppia che abbia partecipato  alla
surrogazione di maternita', senza fornire i propri gameti. 
    5.6.- Di tale bilanciamento tra gli interessi del  bambino  e  la
legittima finalita' di disincentivare il ricorso a  una  pratica  che
l'ordinamento italiano considera illegittima  e  anzi  meritevole  di
sanzione penale - bilanciamento alla cui necessita' alludeva anche la
gia' menzionata sentenza n. 272 del 2017 di questa Corte - si e', del
resto, fatta carico anche la giurisprudenza della Corte EDU, poc'anzi
citata. 
    Dal complesso  delle  pronunce  rese  sul  tema  dalla  Corte  di
Strasburgo, si evince che - anche a fronte della grande  varieta'  di
approccio degli Stati parte rispetto alla  pratica  della  maternita'
surrogata - ciascun ordinamento gode, in linea di  principio,  di  un
certo margine di apprezzamento in materia; ferma restando, pero',  la
rammentata necessita' di riconoscimento del  «legame  di  filiazione»
con entrambi i componenti della coppia che  di  fatto  se  ne  prende
cura. 
    La Corte EDU riconosce,  in  particolare,  che  gli  Stati  parte
possano non consentire  la  trascrizione  di  atti  di  stato  civile
stranieri, o di provvedimenti giudiziari, che riconoscano  sin  dalla
nascita del bambino lo status  di  padre  o  di  madre  al  "genitore
d'intenzione"; e cio' proprio allo scopo di  non  fornire  incentivi,
anche solo indiretti, a una pratica procreativa  che  ciascuno  Stato
ben puo' considerare potenzialmente lesiva dei diritti e della stessa
dignita' delle donne che accettino di portare a termine la gravidanza
per conto di terzi. 
    Tuttavia, la stessa Corte EDU  ritiene  comunque  necessario  che
ciascun  ordinamento  garantisca   la   concreta   possibilita'   del
riconoscimento giuridico dei legami tra il  bambino  e  il  "genitore
d'intenzione", al piu' tardi quando tali  legami  si  sono  di  fatto
concretizzati (Corte EDU,  decisione  12  dicembre  2019,  C.  contro
Francia ed E.  contro  Francia,  paragrafo  42;  sentenza  D.  contro
Francia,  paragrafo  67);  lasciando  poi  alla  discrezionalita'  di
ciascuno  Stato  la  scelta  dei  mezzi  con  cui  pervenire  a  tale
risultato, tra i quali si annovera anche il ricorso all'adozione  del
minore. 
    Rispetto,  peraltro,  a  quest'ultima  soluzione,  la  Corte  EDU
sottolinea come essa  possa  ritenersi  sufficiente  a  garantire  la
tutela dei diritti dei minori nella misura in cui  sia  in  grado  di
costituire un legame di vera e propria "filiazione" tra  adottante  e
adottato (Corte EDU, sentenza 16  luglio  2020,  D.  contro  Francia,
paragrafo 66), e «a condizione che le modalita' previste dal  diritto
interno garantiscano l'effettivita' e la celerita' della sua messa in
opera, conformemente all'interesse superiore  del  bambino»  (ibidem,
paragrafo 51). 
    5.7.- Il punto di equilibrio raggiunto dalla Corte EDU - espresso
da una giurisprudenza ormai consolidata - appare corrispondente anche
all'insieme  dei  principi  sanciti  in  materia  dalla  Costituzione
italiana, parimenti invocati dal giudice a quo. 
    Essi per un verso non ostano alla soluzione, cui le sezioni unite
civili della Cassazione sono pervenute,  della  non  trascrivibilita'
del provvedimento giudiziario straniero, e a fortiori dell'originario
atto di nascita, che indichino quale genitore del bambino  il  "padre
d'intenzione"; ma per altro verso impongono che,  in  tal  caso,  sia
comunque assicurata tutela all'interesse del minore al riconoscimento
giuridico del suo rapporto con entrambi i componenti della coppia che
non solo  ne  abbiano  voluto  la  nascita  in  un  Paese  estero  in
conformita' alla lex loci, ma che lo abbiano poi accudito esercitando
di fatto la responsabilita' genitoriale. 
    Una  tale  tutela  dovra',  in  questo  caso,  essere  assicurata
attraverso un  procedimento  di  adozione  effettivo  e  celere,  che
riconosca la pienezza  del  legame  di  filiazione  tra  adottante  e
adottato,  allorche'  ne  sia  stata   accertata   in   concreto   la
corrispondenza agli interessi del bambino. 
    Ogni soluzione che non dovesse offrire al bambino  alcuna  chance
di un tale riconoscimento, sia pure ex post e in esito a una verifica
in concreto da parte del giudice, finirebbe per  strumentalizzare  la
persona  del  minore  in  nome  della  pur  legittima  finalita'   di
disincentivare il ricorso alla pratica della maternita' surrogata. 
    Proprio  questo  rischio,  d'altronde,  questa  Corte  ha  inteso
evitare allorche' ha dichiarato  l'illegittimita'  costituzionale  di
una norma che vietava il riconoscimento dei figli  nati  da  incesto,
precludendo loro l'acquisizione di un  pieno  status  filiationis  in
ragione soltanto della condotta penalmente illecita dei loro genitori
(sentenza n. 494 del 2002), e allorche'  -  piu'  recentemente  -  ha
dichiarato   pure   costituzionalmente    illegittima    l'automatica
applicazione   della   sanzione    accessoria    della    sospensione
dall'esercizio della responsabilita' genitoriale in capo al  genitore
autore di un grave delitto commesso a danno del  figlio,  in  ragione
della  possibilita'  che  tale  automatismo  -  finalizzato  anche  a
lanciare un messaggio di  deterrenza  nei  confronti  dei  potenziali
autori di reati - finisse per risolversi in un  pregiudizio  per  gli
stessi interessi del minore (sentenza n. 102 del 2020). 
    5.8.- Come correttamente sottolinea l'ordinanza di rimessione, il
possibile ricorso all'adozione in casi particolari  di  cui  all'art.
44, comma 1, lettera d), della legge 4 maggio 1983, n.  184  (Diritto
del minore ad una famiglia), ritenuto esperibile nei  casi  all'esame
dalla stessa sentenza n. 12193 del 2019 delle Sezioni  unite  civili,
costituisce una forma di tutela  degli  interessi  del  minore  certo
significativa, ma ancora non del tutto adeguata al metro dei principi
costituzionali e sovranazionali rammentati. 
    L'adozione in casi particolari non attribuisce la  genitorialita'
all'adottante. Inoltre, pur a fronte della novella dell'art. 74  cod.
civ., operata dall'art. 1, comma 1, della legge 10 dicembre 2012,  n.
219 (Disposizioni in materia di riconoscimento dei  figli  naturali),
che  riconosce  la  generale  idoneita'  dell'adozione  a  costituire
rapporti di parentela, con la sola eccezione dell'adozione di persone
di maggiore eta',  e'  ancora  controverso  -  stante  il  perdurante
richiamo operato dall'art. 55 della legge n. 184  del  1983  all'art.
330 cod. civ. - se anche l'adozione in casi particolari  consenta  di
stabilire vincoli di parentela tra il bambino e coloro  che  appaiono
socialmente, e lui stesso  percepisce,  come  i  propri  nonni,  zii,
ovvero addirittura fratelli e sorelle, nel caso  in  cui  l'adottante
abbia gia' altri figli propri. Essa  richiede  inoltre,  per  il  suo
perfezionamento, il necessario assenso del genitore "biologico" (art.
46 della legge n. 184 del 1983), che potrebbe non essere prestato  in
situazioni di sopravvenuta crisi della coppia, nelle quali il bambino
finisce  per  essere  cosi'  definitivamente  privato  del   rapporto
giuridico con la persona che ha sin dall'inizio condiviso il progetto
genitoriale, e si e' di fatto presa cura di lui sin dal momento della
nascita. 
    Al fine di assicurare al minore nato da maternita'  surrogata  la
tutela   giuridica   richiesta   dai   principi    convenzionali    e
costituzionali  poc'anzi  ricapitolati  attraverso  l'adozione,  essa
dovrebbe dunque  essere  disciplinata  in  modo  piu'  aderente  alle
peculiarita' della situazione in  esame,  che  e'  in  effetti  assai
distante da quelle che il legislatore ha inteso  regolare  per  mezzo
dell'art. 44, comma 1, lettera d), della legge n. 184 del 1983. 
    5.9.- Il compito di adeguare il diritto vigente alle esigenze  di
tutela degli interessi dei bambini nati da maternita' surrogata - nel
contesto del difficile bilanciamento tra la  legittima  finalita'  di
disincentivare il  ricorso  a  questa  pratica,  e  l'imprescindibile
necessita' di assicurare il rispetto  dei  diritti  dei  minori,  nei
termini sopra precisati - non puo' che spettare, in prima battuta, al
legislatore, al  quale  deve  essere  riconosciuto  un  significativo
margine di manovra  nell'individuare  una  soluzione  che  si  faccia
carico di tutti i diritti e i principi in gioco. 
    Di fronte al ventaglio delle opzioni possibili, tutte compatibili
con la Costituzione e  tutte  implicanti  interventi  su  materie  di
grande complessita' sistematica, questa Corte non puo',  allo  stato,
che arrestarsi, e cedere doverosamente il passo alla discrezionalita'
del  legislatore,  nella  ormai  indifferibile  individuazione  delle
soluzioni  in  grado  di  porre  rimedio  all'attuale  situazione  di
insufficiente tutela degli interessi del minore.