ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nei  giudizi  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  4  del
decreto-legge 10 maggio 2020, n. 29 (Misure  urgenti  in  materia  di
detenzione domiciliare o  differimento  dell'esecuzione  della  pena,
nonche' in  materia  di  sostituzione  della  custodia  cautelare  in
carcere con la misura degli arresti domiciliari, per motivi  connessi
all'emergenza sanitaria da COVID-19, di persone detenute o  internate
per delitti  di  criminalita'  organizzata  di  tipo  terroristico  o
mafioso, o  per  delitti  di  associazione  a  delinquere  legati  al
traffico di sostanze stupefacenti o per delitti commessi  avvalendosi
delle condizioni o al fine di agevolare l'associazione mafiosa o  con
finalita' di terrorismo, nonche' di detenuti e  internati  sottoposti
al regime previsto dall'articolo 41-bis della legge 26  luglio  1975,
n. 354, nonche', infine, in materia di colloqui con i congiunti o con
altre persone cui hanno diritto i condannati,  gli  internati  e  gli
imputati) e dell'art.  41-bis,  comma  2-quater,  lettera  b),  terzo
periodo, della legge 26 luglio 1975, n. 354  (Norme  sull'ordinamento
penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e  limitative
della liberta'), promossi dal Tribunale per  i  minorenni  di  Reggio
Calabria con ordinanze  del  23  e  del  16  giugno  2020,  iscritte,
rispettivamente, ai numeri 124 e 144 del registro  ordinanze  2020  e
pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica numeri 39 e  42,
prima serie speciale, dell'anno 2020. 
    Visti gli atti di costituzione di G.  B.,  G.  D.,  G.C.  D.S.  e
quello, fuori termine, di Pasquale Cananzi nella qualita' di curatore
dei minori S. B.,  C.M.  D.S.  e  R.P.  D.S.,  nonche'  gli  atti  di
intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; 
    udito nell'udienza pubblica del 9 marzo 2021 il Giudice  relatore
Franco Modugno; 
    uditi gli avvocati Carlo Fiorio per G. B., Donatella  Nucera  per
G. D., G.C. D.S., Marcello Manna per G.C.  D.S.  e  l'avvocato  dello
Stato  Enrico  De  Giovanni  per  il  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    deliberato nella camera di consiglio del 9 marzo 2021. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con due ordinanze, di analogo  tenore,  del  16  giugno  2020
(r.o. n. 144 del 2020) e del 23 giugno 2020 (r.o. n. 124 del 2020) il
Tribunale per  i  minorenni  di  Reggio  Calabria  ha  sollevato,  in
riferimento agli artt. 2, 3, 27, terzo comma, 30, 31, secondo  comma,
32 e 117, primo comma, della Costituzione, quest'ultimo in  relazione
agli artt. 3 e 8 della Convenzione per la  salvaguardia  dei  diritti
dell'uomo e delle liberta' fondamentali (CEDU), firmata a Roma  il  4
novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4  agosto  1955,
n. 848, questioni di legittimita' costituzionale: 
    a) dell'art. 4 del decreto-legge 10 maggio 2020,  n.  29  (Misure
urgenti  in  materia  di  detenzione   domiciliare   o   differimento
dell'esecuzione della pena, nonche' in materia di sostituzione  della
custodia  cautelare  in  carcere  con   la   misura   degli   arresti
domiciliari, per motivi connessi all'emergenza sanitaria da COVID-19,
di  persone  detenute  o  internate  per  delitti   di   criminalita'
organizzata  di  tipo  terroristico  o  mafioso,  o  per  delitti  di
associazione a delinquere legati al traffico di sostanze stupefacenti
o per delitti commessi avvalendosi delle  condizioni  o  al  fine  di
agevolare l'associazione  mafiosa  o  con  finalita'  di  terrorismo,
nonche'  di  detenuti  e  internati  sottoposti  al  regime  previsto
dall'articolo 41-bis della legge 26 luglio  1975,  n.  354,  nonche',
infine, in materia di colloqui con i congiunti o  con  altre  persone
cui hanno diritto i condannati, gli internati e gli imputati), «nella
parte in cui non prevede che i colloqui cui hanno diritto i  detenuti
o gli internati sottoposti al regime speciale di cui all'art.  41-bis
della L. 26 luglio 1975, n. 354 possono essere svolti a distanza  con
i  figli  minorenni  mediante,  ove  possibile,   apparecchiature   e
collegamenti  di  cui  dispone  l'amministrazione   penitenziaria   e
minorile»; 
    b) dell'art. 41-bis, comma 2-quater, lettera b),  terzo  periodo,
della  legge  26  luglio  1975,  n.   354   (Norme   sull'ordinamento
penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e  limitative
della liberta'), «nella parte in  cui  non  prevede  che  i  colloqui
sostitutivi con  i  figli  minorenni  possono  essere  autorizzati  a
distanza,  in  alternativa  a  quelli   telefonici,   con   modalita'
audiovisive». 
    1.1.- Secondo quanto riferito nelle ordinanze di rimessione,  gli
incidenti  di   costituzionalita'   si   collocano   nell'ambito   di
procedimenti de potestate, che hanno portato il Tribunale  rimettente
a dichiarare decaduti dalla responsabilita' genitoriale due  detenuti
condannati a lunghe pene detentive per  reati  di  stampo  mafioso  e
sottoposti allo speciale regime previsto dall'art. 41-bis,  comma  2,
ordin. penit.; a co-affidare i rispettivi figli minorenni al servizio
sociale - anche a supporto delle capacita' educative della madre;  ed
a impartire una serie di ulteriori disposizioni intese ad  assicurare
il benessere psico-fisico e il regolare sviluppo  della  personalita'
dei minori. 
    In questo contesto, il  giudice  a  quo  si  trova  investito  di
istanze con le quali i due detenuti chiedono di essere autorizzati ad
effettuare colloqui audiovisivi a distanza con  i  figli  tramite  la
piattaforma Skype,  lamentando  (in  particolare,  nel  caso  di  cui
all'ordinanza r.o. n. 144 del 2020) di  non  poter  avere  altrimenti
contatti con loro a causa delle stringenti limitazioni introdotte  al
fine di fronteggiare l'emergenza epidemiologica da COVID-19. 
    Ad  avviso  del  rimettente,  l'effettuazione  di  tali  colloqui
risponderebbe al preminente interesse dei minori al  mantenimento  di
un rapporto affettivo con il genitore detenuto. 
    L'accoglimento delle  istanze  risulterebbe,  tuttavia,  precluso
alla luce di quanto disposto, in relazione  all'emergenza  sanitaria,
dall'art. 4 del d.l. n. 29 del 2020. 
    1.2.- Ad illustrazione dell'assunto, il rimettente  osserva  come
plurime disposizioni dell'ordinamento penitenziario  e  del  relativo
regolamento di esecuzione attribuiscano rilievo ai legami  familiari,
specialmente  al  fine  di  salvaguardare  il  figlio  minorenne  dai
pregiudizi che la detenzione del genitore puo' provocargli. 
    In questo contesto, viene in precipua  considerazione  l'istituto
dei colloqui, la cui disciplina generale  e'  dettata  principalmente
dall'art. 18 ordin. penit. e dall'art. 37 del d.P.R. 30 giugno  2000,
n. 230 (Regolamento recante norme  sull'ordinamento  penitenziario  e
sulle  misure  privative  e  limitative  della  liberta'),  i   quali
riconoscono il diritto del recluso ad avere colloqui con i  congiunti
e, per ragionevoli motivi, con altre persone,  previa  autorizzazione
del direttore dell'istituto o, per gli imputati fino alla sentenza di
primo grado,  dell'autorita'  giudiziaria  che  procede.  Particolare
favore viene accordato ai colloqui con i familiari (art.  18,  quarto
comma, ordin. penit.): e cio' soprattutto nell'ottica  di  preservare
«il mantenimento di un valido rapporto con i figli,  specie  di  eta'
minore» (art. 61, comma 2, del d.P.R. n. 230 del 2000). 
    Il  diritto  in  questione   subisce,   tuttavia,   significative
limitazioni per i detenuti  e  gli  internati  sottoposti  al  regime
speciale di cui all'art. 41-bis, comma 2, ordin.  penit.,  introdotto
con  obiettivi  di   neutralizzazione   della   pericolosita'   degli
appartenenti  alla  criminalita'  organizzata.  Il  comma   2-quater,
lettera b), terzo periodo, del citato articolo prevede, infatti,  per
i detenuti e gli internati in regime speciale un  solo  colloquio  al
mese con i familiari e i conviventi, da  svolgere  ad  intervalli  di
tempo regolari e con particolari  modalita'  (locali  attrezzati  per
impedire il passaggio di oggetti, controllo  audiovisivo),  mentre  i
colloqui con persone diverse sono possibili solo in «casi eccezionali
determinati volta per volta dal direttore  dell'istituto».  Solo  per
coloro che  non  abbiano  effettuato  colloqui  visivi  puo'  essere,
inoltre, autorizzato un colloquio telefonico mensile di dieci  minuti
con i familiari, sottoposto a registrazione. 
    In questo panorama e' venuta, peraltro, recentemente a calarsi la
normativa  introdotta  in  via  d'urgenza  al  fine  di  fronteggiare
l'epidemia da COVID-19. 
    L'art. 4 del d.l. n. 29 del  2020  ha,  infatti,  stabilito  che,
«[a]l   fine   di   consentire   il   rispetto    delle    condizioni
igienico-sanitarie idonee a prevenire il rischio  di  diffusione  del
COVID-19, negli istituti penitenziari e  negli  istituti  penali  per
minorenni, a decorrere dal 19 maggio 2020 e sino  alla  data  del  30
giugno 2020, i colloqui con i congiunti o con altre persone cui hanno
diritto i condannati, gli internati e  gli  imputati  a  norma  degli
articoli 18 della legge 26 luglio 1975, n. 354, 37  del  decreto  del
Presidente della Repubblica 30 giugno 2000, n. 230, e 19 del  decreto
legislativo 2 ottobre 2018, n. 121, possono essere svolti a distanza,
mediante,  ove  possibile,  apparecchiature  e  collegamenti  di  cui
dispone  l'amministrazione  penitenziaria  e  minorile   o   mediante
corrispondenza telefonica, che puo' essere autorizzata oltre i limiti
di cui all'articolo 39, comma 2, del predetto decreto del  Presidente
della Repubblica n. 230 del 2000 e  all'articolo  19,  comma  1,  del
decreto legislativo n. 121 del 2018». 
    La norma mira, in sostanza, a limitare  il  rischio  di  contagio
connesso   all'ingresso   di   soggetti   esterni   nelle   strutture
penitenziarie, garantendo il  diritto  dei  reclusi  al  mantenimento
delle  relazioni  affettive  tramite   l'ampliamento   dei   contatti
telefonici e audiovisivi. 
    La disposizione risulta,  tuttavia,  riferita  ai  soli  colloqui
previsti dagli artt. 18 ordin. penit. e 37  del  d.P.R.  n.  230  del
2000. Essa opererebbe, quindi, esclusivamente in rapporto ai detenuti
in regime ordinario, e non anche  per  quelli  sottoposti  al  regime
speciale, i cui colloqui sono regolati  in  modo  distinto  dall'art.
41-bis, comma 2-quater, lettera b), ordin. penit. Tale  preciso  dato
testuale escluderebbe che della norma di emergenza in questione possa
darsi un'interpretazione diversa, costituzionalmente orientata. 
    1.3.- Su questa premessa, il  giudice  a  quo  dubita,  peraltro,
della legittimita' costituzionale dell'art. 4  del  d.l.  n.  29  del
2020, nella parte in cui non prevede  che  i  colloqui  con  i  figli
minorenni cui hanno diritto i detenuti e gli internati sottoposti  al
regime speciale  possano  essere  svolti  a  distanza  mediante,  ove
possibile,   apparecchiature   e   collegamenti   di   cui    dispone
l'amministrazione penitenziaria e minorile. 
    Le questioni sarebbero rilevanti, in quanto  la  norma  censurata
imporrebbe, allo stato, il rigetto dell'istanza del detenuto: istanza
sulla quale il rimettente si ritiene,  d'altro  canto,  competente  a
provvedere. 
    Il divieto dei colloqui audiovisivi a distanza posto dalla  norma
denunciata  inciderebbe,  infatti,  non  soltanto  sui  diritti   del
detenuto (contro la cui lesione possono attivarsi i  rimedi  previsti
dall'ordinamento   penitenziario   davanti   alla   magistratura   di
sorveglianza), ma anche sul diritto soggettivo del minore a mantenere
rapporti affettivi con il genitore,  anche  se  detenuto:  posizione,
questa seconda, da reputare anzi preminente,  alla  luce  di  precise
indicazioni delle fonti sovranazionali (quali, in  specie,  l'art.  3
della Convenzione sui diritti del fanciullo, fatta a New York  il  20
novembre1989, ratificata e resa esecutiva con legge 27  maggio  1991,
n. 176, e l'art. 24, paragrafo  2,  Carta  dei  diritti  fondamentali
dell'Unione europea - CDFUE -, proclamata a Nizza il 7 dicembre  2000
e adattata a Strasburgo  il  12  dicembre  2007),  e  la  cui  tutela
risulterebbe affidata al  giudice  civile  minorile,  «quale  giudice
naturale de potestate (art. 25 Cost.)». 
    Le azioni esercitabili innanzi al giudice minorile e  al  giudice
di sorveglianza sarebbero,  d'altra  parte,  distinte.  Tra  esse  vi
sarebbe coincidenza solo quanto a «personae (il genitore  detenuto  e
il figlio minore), petitum mediato (il colloquio a distanza,  per  la
realizzazione del  diritto  ai  rapporti  affettivi),  causa  petendi
passiva (dal punto di  vista  e  nei  confronti  dell'Amministrazione
penitenziaria, nella sua posizione  di  esecutore  del  dictum  della
legge, cosi' come interpretato dal giudice)». Diversi  risulterebbero
invece  «il  petitum  immediato  (la  pronuncia  giurisdizionale   di
autorizzazione ai colloqui a distanza tra le due  personae  anzidette
da parte del giudice minorile civile; la pronuncia di annullamento di
eventuale  diniego  amministrativo   penitenziario   da   parte   del
magistrato di sorveglianza in sede di reclamo)  e  la  causa  petendi
attiva (essendo distinta e  prevalente  la  posizione  giuridica  del
figlio minorenne rispetto a quella del genitore detenuto)». 
    Osserva ancora il giudice a quo che,  quando  il  legislatore  ha
inteso ripartire la competenza «in materia di diritti del minore alla
genitorialita' (anche affettiva)» secondo uno specifico criterio,  e'
intervenuto con norme apposite, quale, ad esempio,  quella  dell'art.
38 del  regio  decreto  30  marzo  1942,  n.  318  (Disposizioni  per
l'attuazione del  Codice  civile  e  disposizioni  transitorie),  che
definisce i rapporti tra la competenza del giudice minorile e  quella
del giudice civile investito di un giudizio avente ad  oggetto  anche
lo  status  coniugalis.  In  assenza  di  previsioni  di  tal  fatta,
l'eventuale concorso tra le competenze del  giudice  minorile  e  del
magistrato di sorveglianza non potrebbe essere, quindi,  risolto  nel
senso dell'esclusivita' di una di esse. 
    Ritenere  che,  in  materia  di  rapporti  affettivi  tra  figlio
minorenne  e  genitore  detenuto,  sussista  un'implicita  preferenza
legislativa per la competenza del giudice di sorveglianza, capace  di
attrarre per connessione anche  la  cognizione  sulla  posizione  del
minore, apparirebbe d'altronde soluzione contraria alla logica stessa
della specializzazione della magistratura minorile, tale da  generare
sospetti di incostituzionalita', sotto il profilo  della  menomazione
della  tutela  giurisdizionale  del  minore.   Tale   soluzione   non
consentirebbe, tra l'altro, di dar voce  alle  istanze  di  cui  sono
portatori il pubblico ministero minorile e il curatore  speciale  dei
minori, nominato nell'ambito dei procedimenti a  quibus,  trattandosi
di soggetti non legittimati ad intervenire nel  procedimento  davanti
al magistrato di sorveglianza. 
    1.4.-  Quanto,  poi,  alla  non  manifesta   infondatezza   delle
questioni, il censurato art. 4 del d.l. n.  29  del  2020  violerebbe
anzitutto l'art. 3 Cost., introducendo una disparita' di  trattamento
fra i figli minorenni dei detenuti sottoposti al regime speciale e  i
figli minorenni dei detenuti in regime ordinario, non  giustificabile
con le finalita' proprie del regime detentivo differenziato. 
    Come  chiarito  dalla  giurisprudenza  costituzionale,   infatti,
sebbene la disciplina del  cosiddetto  "carcere  duro"  possa  essere
ritenuta conforme a Costituzione in ragione  della  specificita'  dei
reati per i quali viene applicata e dell'esigenza di recidere  legami
criminali tanto stretti da non essere  destinati  a  cessare  con  la
carcerazione, come quelli di stampo mafioso, pur tuttavia, e  proprio
per questo, deve escludersi che essa possa  contemplare  misure  che,
per il loro contenuto, non siano riconducibili a concrete esigenze di
ordine e sicurezza: misure che  si  tradurrebbero  in  ingiustificate
deroghe  all'ordinario  regime  carcerario,  assumendo  una   portata
puramente afflittiva. 
    Da  questo  punto  di  vista,  l'applicazione   generalizzata   e
indistinta del divieto di colloqui audiovisivi a distanza sconterebbe
il limite di essere frutto di un bilanciamento operato  ex  ante  dal
legislatore, a prescindere da una verifica in concreto dell'esistenza
delle esigenze di  sicurezza  e  senza  possibilita'  di  adattamenti
calibrati sulle peculiarita' dei singoli  casi:  rappresentando,  con
cio', una misura sproporzionata. 
    La norma censurata si porrebbe, altresi', in  contrasto  con  gli
artt. 2 e 30 Cost., comprimendo il diritto inviolabile del  minore  a
intrattenere rapporti affettivi con il genitore  detenuto,  idonei  a
garantire  un  corretto  sviluppo  della  sua  personalita'   e   una
condizione  di  benessere  psico-fisico:   violazione   apprezzabile,
peraltro, anche dalla prospettiva del condannato, tra i  cui  diritti
fondamentali parimente rientra quello al mantenimento delle relazioni
familiari. 
    Sarebbero violati,  ancora,  l'art.  31,  secondo  comma,  Cost.,
secondo cui la Repubblica «[p]rotegge la maternita', l'infanzia e  la
gioventu', favorendo gli istituti necessari a tale scopo»; l'art.  32
Cost., posto che l'impossibilita' di avere, per  un  lungo  lasso  di
tempo, contatti audiovisivi con il  padre  sarebbe  fonte  di  sicuro
pregiudizio  per  l'«integrita'  psico-fisica»  del  minore;  nonche'
l'art. 27, terzo comma, Cost., in forza del quale la  pena  non  deve
tradursi in trattamenti contrari al senso di umanita'  e  deve  avere
una finalita' rieducativa, consentendo trattamenti idonei al recupero
sociale del reo:  obiettivo  in  relazione  al  quale  va  attribuita
centrale  rilevanza  al  mantenimento  dei  rapporti   familiari   e,
soprattutto, genitoriali. 
    La norma denunciata si porrebbe, infine, in contrasto con  l'art.
117, primo comma, Cost., in relazione agli artt. 3  e  8  CEDU,  che,
rispettivamente, vietano pene inumane e degradanti e garantiscono  il
diritto al rispetto alla vita familiare. 
    1.5.- Il giudice a  quo  estende,  peraltro,  tale  complesso  di
censure anche all'art. 41-bis,  comma  2-quater,  lettera  b),  terzo
periodo, ordin. penit., nella parte in cui non prevede che i colloqui
sostitutivi del colloquio visivo tra il detenuto in regime speciale e
i  figli  minorenni  possano  svolgersi   -   in   alternativa   alla
corrispondenza telefonica - nella forma del colloquio  audiovisivo  a
distanza. 
    Le questioni  di  legittimita'  costituzionale  inerenti  a  tale
disposizione "a regime" sarebbero anch'esse rilevanti, in  quanto  il
problema  della  tutela  dei  minorenni  nei  giudizi  a  quibus   si
continuerebbe a porre anche dopo il 30 giugno 2020 (termine finale di
operativita' dell'art. 4  del  d.l.  n.  29  del  2020).  L'emergenza
epidemiologica  sarebbe  destinata,  infatti,   a   protrarsi   anche
successivamente a tale data, rendendo rischiosi gli  spostamenti  sul
territorio nazionale (e  cio'  particolarmente  per  uno  dei  minori
coinvolti nel procedimento di cui all'ordinanza r.o. n. 144 del 2020,
affetto da una patologia cronica). 
    A prescindere,  peraltro,  dai  motivi  di  carattere  sanitario,
occorrerebbe considerare che  le  trasferte  per  i  colloqui  visivi
comportano oneri economici non facilmente sostenibili  e,  quanto  ai
minorenni, anche problemi legati  alle  assenze  scolastiche,  tenuto
conto del fatto che i penitenziari ospitanti  i  detenuti  in  regime
speciale sono collocati quasi tutti nel Nord, nel Centro  dell'Italia
e  in  Sardegna:  donde  un'ingiustificata  discriminazione   tra   i
minorenni, in relazione alle condizioni economiche e di salute,  alle
condizioni  familiari  e  alla  distanza  chilometrica  dall'istituto
penitenziario che ospita il genitore. 
    La possibilita' - gia' prevista per la sola  fase  dell'emergenza
sanitaria  e  unicamente  per  i  detenuti  comuni  -   di   colloqui
sostituitivi audiovisivi a distanza consentirebbe  di  superare  tali
difficolta',  garantendo  il  superiore  interesse   del   minore   e
condizioni di uguaglianza sostanziale. 
    Il rimettente esclude, anche in questo caso, che sia  praticabile
un'interpretazione costituzionalmente orientata della norma censurata
- pur prospettata, in precedenza, da una parte  della  giurisprudenza
di legittimita' e di merito - rilevando che i colloqui audiovisivi  a
distanza sono stati previsti espressamente, per i  soli  detenuti  in
regime ordinario, dall'art. 4 del  d.l.  n.  29  del  2020:  cio',  a
riprova del fatto che essi non possono ritenersi insiti nel  disposto
del previgente art. 41-bis ordin. penit. 
    2.- Si sono costituiti, nei due giudizi di  costituzionalita',  i
detenuti istanti e, in quello relativo all'ordinanza r.o. n. 124  del
2020, anche la madre dei minori, parte  del  procedimento  a  quo,  i
quali  hanno  svolto  deduzioni  adesive  alla   prospettazione   del
Tribunale rimettente, chiedendo l'accoglimento delle questioni. 
    Le parti costituite nel giudizio relativo all'ordinanza  r.o.  n.
124 del 2020 hanno  limitato,  peraltro,  tale  richiesta  alle  sole
questioni concernenti la norma "a regime", ritenendo che  l'interesse
per le questioni relative all'art. 4 del d.l.  n.  29  del  2020  sia
venuto meno a seguito della mancata  conversione  in  legge  di  tale
decreto. 
    3.-  E'  intervenuto,  altresi',  in  entrambi  i   giudizi,   il
Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e   difeso
dall'Avvocatura generale dello Stato, il quale ha  rilevato,  in  via
preliminare, come successivamente alle ordinanze  di  rimessione,  il
censurato art. 4 del d.l. n. 29 del 2020 sia stato abrogato dall'art.
1, comma 3, della legge 25 giugno 2020, n. 70 (Conversione in  legge,
con modificazioni, del decreto-legge 30 aprile 2020, n.  28,  recante
misure urgenti per la funzionalita' dei sistemi di intercettazioni di
conversazioni e comunicazioni, ulteriori misure urgenti in materia di
ordinamento penitenziario,  nonche'  disposizioni  integrative  e  di
coordinamento  in  materia  di  giustizia  civile,  amministrativa  e
contabile e misure urgenti per l'introduzione del sistema di  allerta
Covid-19) e trasfuso nell'art. 2-quater del citato  d.l.  n.  28  del
2020. 
    Una norma analoga e' stata indi inserita nell'art. 221, comma 10,
del decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34 (Misure urgenti in materia di
salute, sostegno al  lavoro  e  all'economia,  nonche'  di  politiche
sociali   connesse   all'emergenza   epidemiologica   da   COVID-19),
convertito, con modificazioni, in legge 17 luglio 2020, n. 77. 
    Sussisterebbero, pertanto,  ad  avviso  dell'Avvocatura  generale
dello Stato, i presupposti per il trasferimento  delle  questioni  su
quest'ultima disposizione. 
    Nel merito, tutte le questioni sarebbero, peraltro, infondate. 
    La scelta legislativa di mantenere il trattamento restrittivo  in
tema di colloqui per i  detenuti  in  regime  speciale  non  sarebbe,
infatti, irragionevole, rispondendo all'esigenza - cui tale regime e'
preordinato - di garantire la  sicurezza  pubblica,  evitando  che  i
membri detenuti di organizzazioni criminali mantengano  contatti  con
gli affiliati in liberta' e continuino a  impartire  loro  direttive:
esigenza  difficilmente  salvaguardabile  ove  si  permettesse   alle
persone sottoposte  a  tale  regime  di  collegarsi  esternamente  da
remoto, sia pure con accorgimenti e controlli particolari. 
    Per altro verso, se e' vero che i  detenuti  in  regime  speciale
possono aver subito una compressione del diritto ai  colloqui  con  i
figli nel periodo  di  emergenza,  a  causa  delle  limitazioni  agli
spostamenti, e' altrettanto vero che tali limitazioni hanno  colpito,
in termini di compressione dei diritti fondamentali,  la  generalita'
dei cittadini. 
    Le misure adottate per fronteggiare l'emergenza sanitaria  -  tra
le quali e' ricompresa la disciplina in  questione  -  apparirebbero,
d'altronde, del tutto congrue e proporzionate, in quanto  finalizzate
alla salvaguardia del bene primario della salute collettiva. 
    L'Avvocatura generale dello Stato ricorda, infine, come la  Corte
europea dei  diritti  dell'uomo,  con  indirizzo  consolidato,  abbia
ritenuto compatibili con l'art. 8 CEDU le restrizioni ai  colloqui  e
alle visite dei familiari per  i  detenuti  in  regime  speciale,  in
quanto giustificate dalle finalita' proprie di tale regime. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Con  due  ordinanze  di  rimessione  di  analogo  tenore,  il
Tribunale  per  i  minorenni  di   Reggio   Calabria   dubita   della
legittimita' costituzionale dell'art. 4 del decreto-legge  10  maggio
2020, n. 29 (Misure urgenti in materia di  detenzione  domiciliare  o
differimento  dell'esecuzione  della  pena,  nonche'  in  materia  di
sostituzione della custodia cautelare in carcere con la misura  degli
arresti domiciliari, per motivi connessi all'emergenza  sanitaria  da
COVID-19, di persone detenute o internate per delitti di criminalita'
organizzata  di  tipo  terroristico  o  mafioso,  o  per  delitti  di
associazione a delinquere legati al traffico di sostanze stupefacenti
o per delitti commessi avvalendosi delle  condizioni  o  al  fine  di
agevolare l'associazione  mafiosa  o  con  finalita'  di  terrorismo,
nonche'  di  detenuti  e  internati  sottoposti  al  regime  previsto
dall'articolo 41-bis della legge 26 luglio  1975,  n.  354,  nonche',
infine, in materia di colloqui con i congiunti o  con  altre  persone
cui hanno diritto i condannati, gli internati  e  gli  imputati),  il
quale stabilisce che, al fine di prevenire il rischio  di  diffusione
del COVID-19, negli istituti penitenziari e negli istituti penali per
minorenni, dal 19 maggio 2020 e sino al 30 giugno 2020,  «i  colloqui
con i congiunti o con altre persone cui hanno diritto  i  condannati,
gli internati e gli imputati a norma degli articoli 18 della legge 26
luglio 1975, n. 354, 37 del decreto del Presidente  della  Repubblica
30 giugno 2000, n. 230, e 19 del decreto legislativo 2 ottobre  2018,
n. 121, possono essere svolti a distanza,  mediante,  ove  possibile,
apparecchiature  e  collegamenti  di  cui  dispone  l'amministrazione
penitenziaria e minorile o mediante  corrispondenza  telefonica»,  la
quale  puo'  essere  autorizzata  oltre  i  limiti  stabiliti   dalla
normativa vigente. 
    Sul presupposto che, a fronte dei riferimenti normativi  in  essa
contenuti, la disposizione debba ritenersi applicabile esclusivamente
ai colloqui dei  detenuti  in  regime  ordinario,  il  rimettente  la
censura nella parte in cui  non  consente  che  si  svolgano  tramite
collegamento audiovisivo a distanza anche  i  colloqui  con  i  figli
minorenni cui hanno diritto i detenuti e gli internati sottoposti  al
regime speciale di cui all'art.  41-bis,  comma  2,  della  legge  26
luglio 1975, n. 354 (Norme  sull'ordinamento  penitenziario  e  sulla
esecuzione delle misure privative e limitative della liberta'). 
    La norma di  emergenza  denunciata  violerebbe,  per  tal  verso,
l'art.  3  della  Costituzione,  introducendo   una   disparita'   di
trattamento fra i figli minorenni dei detenuti sottoposti  al  regime
speciale e i figli minorenni dei detenuti in  regime  ordinario,  non
giustificabile con  le  finalita'  proprie  del  cosiddetto  "carcere
duro", le quali non possono legittimare, comunque  sia,  misure  che,
per il loro contenuto, non siano riconducibili a concrete esigenze di
ordine e sicurezza: profilo sotto il quale il divieto  indiscriminato
dei colloqui audiovisivi a distanza, a prescindere da una verifica in
concreto  dell'esistenza  delle  esigenze  di   sicurezza   e   senza
possibilita' di adattamenti calibrati sulle peculiarita' dei  singoli
casi, rappresenterebbe una misura sproporzionata. 
    Sarebbero violati, altresi', gli artt.  2  e  30  Cost.,  per  la
compressione del diritto inviolabile del minore a mantenere  rapporti
affettivi  con  il  genitore  detenuto  e   del   reciproco   diritto
fondamentale  di  quest'ultimo  al   mantenimento   delle   relazioni
familiari;  l'art.  31,  secondo  comma,  Cost.,  che   impone   alla
Repubblica di proteggere  l'infanzia;  l'art.  32  Cost.,  posto  che
l'impossibilita' di fruire per un lungo lasso di  tempo  di  contatti
audiovisivi con  il  genitore  detenuto  -  stanti  gli  ostacoli  ai
colloqui  in  presenza  connessi  all'emergenza   epidemiologica   da
COVID-19 - sarebbe fonte di pregiudizio per l'integrita' psico-fisica
del minore; e, ancora, l'art. 27 Cost., terzo comma, per cui la  pena
non puo' contrastare con il  senso  di  umanita'  e  deve  mirare  al
recupero sociale del reo, al qual fine  assume  centrale  rilievo  il
mantenimento dei rapporti familiari, e genitoriali in specie. 
    Viene denunciata, infine,  la  violazione  dell'art.  117,  primo
comma, Cost., in relazione agli artt. 3 e 8 della Convenzione per  la
salvaguardia dei diritti  dell'uomo  e  delle  liberta'  fondamentali
(CEDU), firmata  a  Roma  il  4  novembre  1950,  ratificata  e  resa
esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848, i quali,  rispettivamente,
vietano pene inumane  e  degradanti  e  garantiscono  il  diritto  al
rispetto alla vita familiare. 
    Il giudice a quo estende, peraltro, tali censure anche alla norma
"a regime" di cui all'art. 41-bis, comma 2-quater, lettera b),  terzo
periodo, ordin. penit., nella parte in cui non prevede che i colloqui
sostitutivi di quelli visivi con i figli minorenni, cui  in  base  ad
essa hanno diritto i detenuti  in  regime  speciale,  possano  essere
svolti  -  in  alternativa  alla  corrispondenza  telefonica  -   con
modalita' audiovisive a distanza. 
    Esclusa,  anche  in  questo  caso,  la  praticabilita'   di   una
interpretazione conforme a Costituzione  della  norma  censurata,  il
rimettente osserva  come,  a  prescindere  dai  motivi  di  carattere
sanitario, le trasferte per  i  colloqui  visivi  possano  comportare
oneri economici non facilmente sostenibili e,  quanto  ai  minorenni,
anche problemi legati alle assenze scolastiche, legati alla  distanza
tra il loro luogo di residenza e l'istituto penitenziario che  ospita
il  genitore:  situazione,   questa,   generatrice   essa   pure   di
ingiustificate disparita' di trattamento. 
    2.- Le ordinanze di  rimessione  sollevano  questioni  identiche,
concernenti  le  medesime  disposizioni.  I  relativi  giudizi  vanno
pertanto riuniti per essere definiti con unica decisione. 
    3.- In via preliminare, deve essere dichiarata l'inammissibilita'
della costituzione in giudizio (qualificata come atto di  intervento)
dell'avv. Pasquale Cananzi, nella qualita' di curatore  speciale  dei
minori S. B., C.M. D.S. e R.P. D.S., da considerare parti dei giudizi
a quibus (sentenza n. 1 del 2002; Corte di cassazione, sezione  prima
civile, 25 gennaio 2021, n. 1471), in quanto avvenuta solo il  giorno
prima dell'udienza pubblica, e dunque largamente  oltre  il  termine,
stabilito dall'art. 25 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme  sulla
costituzione  e  sul  funzionamento  della  Corte  costituzionale)  e
dall'art. 3 delle Norme integrative per i giudizi davanti alla  Corte
costituzionale, di venti giorni dalla  pubblicazione  nella  Gazzetta
Ufficiale dell'atto introduttivo del giudizio: termine  che,  secondo
la costante giurisprudenza di questa Corte, ha natura perentoria  (ex
plurimis, sentenze n. 222 e n. 24 del 2018, e n. 219 del 2016). 
    4.- Cio'  posto,  l'esame  nel  merito  delle  questioni  risulta
precluso da un assorbente profilo di inammissibilita' delle medesime,
legato al difetto di competenza del giudice a quo. 
    Per costante giurisprudenza di questa Corte,  stante  l'autonomia
del giudizio di costituzionalita' rispetto  a  quello  dal  quale  la
questione proviene, il difetto di competenza del giudice a quo  -  al
pari del difetto  di  giurisdizione  -  determina  l'inammissibilita'
della questione, per  irrilevanza,  solo  quando  sia  palese,  ossia
riscontrabile ictu oculi (ex plurimis,  sentenza  n.  136  del  2008,
ordinanze n. 144 del 2011, n. 318 e n. 252 del  2010,  e  n.  82  del
2005; con particolare riguardo a questioni attinenti allo stesso art.
41-bis ordin. penit., sentenza n. 349 del 1993). 
    Tale ipotesi ricorre nel caso in esame. 
    Il giudice a quo  e',  infatti,  un  Tribunale  per  i  minorenni
investito di procedimenti civili de potestate, che lo hanno portato a
dichiarare decaduti  dalla  responsabilita'  dei  genitori,  a  sensi
dell'art. 330 del codice civile, due  detenuti  in  regime  speciale,
condannati a lunghe pene per reati di stampo mafioso, e ad  impartire
una serie di disposizioni a tutela del benessere psico-fisico  e  del
corretto sviluppo della personalita' dei  loro  figli  minorenni.  In
questo ambito, il rimettente si trova investito  di  istanze  con  le
quali i due detenuti chiedono di  essere  autorizzati  ad  effettuare
colloqui audiovisivi  a  distanza  con  i  figli,  tramite  strumenti
informatici: istanze in rapporto alla cui decisione il giudice a  quo
reputa rilevanti le questioni sollevate. 
    Il rimettente appare, tuttavia, palesemente  privo  di  qualsiasi
competenza in materia di autorizzazione dei  colloqui  dei  detenuti:
competenza che non puo' essere in  alcun  modo  fatta  discendere  da
quella per la dichiarazione di decadenza  dalla  responsabilita'  dei
genitori, riconosciuta al tribunale per i minorenni dall'art. 38  del
regio decreto 30 marzo 1942, n. 318  (Disposizioni  per  l'attuazione
del Codice civile e disposizioni transitorie). 
    Per precisa  indicazione  della  legge  penitenziaria  (art.  18,
decimo comma, ordin. penit., art. 37, commi 1  e  2,  del  d.P.R.  30
giugno   2000,   n.   230,   recante   «Regolamento   recante   norme
sull'ordinamento penitenziario e sulle misure privative e  limitative
della liberta'»), i colloqui - ma anche la corrispondenza  telefonica
e «gli altri tipi di comunicazione» - dei detenuti sono  autorizzati,
per gli imputati fino alla sentenza di  primo  grado,  dall'autorita'
giudiziaria che procede (individuata ai sensi dell'art. 11, comma  4,
ordin. penit.);  dopo  tale  sentenza  e  per  i  condannati  in  via
definitiva (quali i detenuti  istanti  nei  giudizi  a  quibus),  dal
direttore dell'istituto, i cui  provvedimenti  sono  suscettibili  di
reclamo davanti al magistrato di sorveglianza, ai sensi  degli  artt.
35-bis e 69, comma 6, lettera b), ordin. penit. 
    Nelle ordinanze di  rimessione,  il  giudice  a  quo  svolge,  in
verita', ampie argomentazioni per dimostrare di fruire  anch'esso  di
un potere autorizzatorio, quando si discuta dei  colloqui  con  figli
minorenni. 
    Il nucleo del suo ragionamento e' che la preclusione dei colloqui
audiovisivi a distanza, posta (in assunto) dalle norme censurate  nei
confronti dei detenuti in regime speciale, sarebbe, per  cosi'  dire,
"bivalente": inciderebbe, cioe', non solo sui  diritti  del  detenuto
(la cui tutela spetta alla magistratura di  sorveglianza),  ma  anche
sui diritti del minore, la cui tutela -  che  assumerebbe,  anzi,  un
rilievo  preminente,  alla  luce  di  note  indicazioni  delle  fonti
sovranazionali - resterebbe affidata al tribunale  per  i  minorenni,
quale «giudice naturale  de  potestate».  In  assenza  di  specifiche
disposizioni che regolino i rapporti  tra  tali  competenze,  sarebbe
giocoforza ritenere che le stesse concorrano. 
    La tesi appare, peraltro, ictu oculi insuscettibile di avallo. La
legge di ordinamento penitenziario reca  plurime  disposizioni  nelle
quali viene in rilievo l'interesse dei figli minorenni del  detenuto:
basti pensare, ad esempio, agli istituti - finanche  piu'  pregnanti,
in tal ottica, di quello dei colloqui - della detenzione  domiciliare
speciale   della   madre   (o,   quando   questa   sia   deceduta   o
impossibilitata, del padre) per accudire figli in tenera  eta'  (art.
47-quinquies, ordin. penit.), o dell'assistenza all'esterno dei figli
stessi (art. 21-bis ordin. penit.). Il solo fatto che siano coinvolti
interessi dei minori non significa affatto che  alla  competenza  dei
giudici di sorveglianza, specificamente prevista per l'accesso a tali
misure dall'ordinamento penitenziario (artt.  21,  comma  4,  21-bis,
comma  1,  70,  primo  comma),  possa  sovrapporsi  una   concorrente
competenza del tribunale civile minorile. 
    L'idea di una competenza concorrente di due diverse autorita'  in
rapporto al medesimo  provvedimento  -  con  conseguente  rischio  di
decisioni  contrastanti  -  si  presenta,   d'altronde,   palesemente
confliggente con una logica di sistema. 
    5.- Per tali ragioni, e a prescindere  da  ogni  altro  possibile
rilievo - anche quanto alle premesse ermeneutiche che fondano i dubbi
di costituzionalita' - le questioni vanno dichiarate inammissibili.