ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  29-bis,
comma 1, della legge 4 maggio 1983, n. 184 (Diritto del minore ad una
famiglia), promosso dal Tribunale per i  minorenni  di  Firenze,  nel
procedimento instaurato da R. B., con ordinanza del 26 novembre 2020,
iscritta al n. 1 del  registro  ordinanze  2021  e  pubblicata  nella
Gazzetta Ufficiale della  Repubblica  n.  5,  prima  serie  speciale,
dell'anno 2021. 
    Visti  l'atto  di  costituzione  di  R.  B.,  nonche'  l'atto  di
intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; 
    udito nell'udienza pubblica  del  23  novembre  2021  il  Giudice
relatore Giuliano Amato; 
    uditi l'avvocato  dello  Stato  Gianna  Maria  De  Socio  per  il
Presidente del Consiglio dei ministri e l'avvocato Romano  Vaccarella
per R. B.; 
    deliberato nella camera di consiglio del 23 novembre 2021. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza del 26 novembre 2020 (reg. ord. n. 1 del 2021),
il Tribunale per i minorenni di Firenze  ha  sollevato  questione  di
legittimita' costituzionale dell'art. 29-bis, comma 1, della legge  4
maggio 1983, n. 184 (Diritto del minore ad una famiglia), nella parte
in cui non prevede che anche la persona non coniugata e residente  in
Italia possa presentare dichiarazione di disponibilita'  ad  adottare
un  minore  straniero  e  chiedere  di   essere   dichiarata   idonea
all'adozione legittimante. 
    Ad avviso del giudice a quo, la disposizione censurata violerebbe
l'art. 117, primo comma, della Costituzione, in relazione all'art.  8
della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo  e  delle
liberta' fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950,  ratificata
e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848  (CEDU),  poiche'  -
non  fornendo  un  quadro  normativo  chiaro  in  ordine  ai  diritti
riservati alla persona non coniugata e  residente  in  Italia  -  non
consentirebbe alla stessa di orientare le proprie scelte in  funzione
di effetti giuridici prevedibili, determinando cosi'  un'interferenza
indebita nella sua vita privata. 
    2.- Il Tribunale  per  i  minorenni  di  Firenze  e'  chiamato  a
decidere in ordine al ricorso con  cui  una  cittadina  italiana  non
coniugata   chiede   di   essere   dichiarata   idonea   all'adozione
internazionale di un minore straniero. Il giudice a quo riferisce che
la ricorrente ha un lavoro a tempo  indeterminato,  non  ha  pendenze
penali e ha sostenuto la visita medico-legale che ne ha accertato  la
sana e  robusta  costituzione  psicofisica.  A  seguito  di  apposita
indagine  psicologica  e  socio-familiare   e'   emerso   un   quadro
rassicurante anche sotto il profilo della consapevolezza del progetto
adottivo, delle caratteristiche  psicologiche  e  dell'attitudine  ad
adottare. 
    Il Tribunale rimettente precisa che  il  dubbio  di  legittimita'
costituzionale  attiene  alla  sola  adozione  "piena",  non  essendo
opponibile alla  ricorrente,  quale  persona  non  coniugata,  alcuna
preclusione all'adozione in casi particolari. 
    2.1.- Il giudice a  quo  ritiene,  in  primo  luogo,  che  l'art.
29-bis, comma 1, della legge n. 184 del 1983 non contrasti con l'art.
3 Cost., sotto il profilo della disparita'  di  trattamento  rispetto
alla fattispecie di cui  all'art.  36,  quarto  comma,  della  stessa
legge, che consente ai cittadini italiani, anche non  coniugati,  che
risiedono  all'estero  da   almeno   due   anni,   di   ottenere   il
riconoscimento della piena  efficacia  dell'adozione  avvenuta  nello
Stato estero, in conformita' ai principi  della  Convenzione  per  la
tutela  dei  minori  e  la  cooperazione  in  materia   di   adozione
internazionale, fatta a L'Aja il 29 maggio 1993,  ratificata  e  resa
esecutiva con legge 31 dicembre 1998, n. 476 (Ratifica ed  esecuzione
della Convenzione per la tutela  dei  minori  e  la  cooperazione  in
materia di adozione internazionale, fatta a L'Aja il 29 maggio  1993.
Modifiche alla legge 4 maggio 1983, n. 184, in tema  di  adozione  di
minori stranieri). 
    2.2.- Il giudice  a  quo  ritiene  parimenti  non  fondata  -  in
riferimento agli artt. 24 e 117, primo comma, Cost., quest'ultimo  in
relazione  all'art.  6  CEDU   -   la   questione   di   legittimita'
costituzionale dello stesso art. 29-bis, comma 1, della legge n.  184
del 1983, laddove preclude alla persona non coniugata,  residente  in
Italia,  di   chiedere   l'accertamento   giudiziale   dell'idoneita'
all'adozione e, quindi, di far valere i propri diritti in  un  giusto
processo, in cui questi possano essere adeguatamente esaminati. 
    2.3.-  Il  rimettente   ritiene   viceversa   rilevante   e   non
manifestamente infondata - in riferimento all'art. 117, primo  comma,
Cost., in relazione all'art. 8 CEDU - la  questione  di  legittimita'
costituzionale dell'art. 29-bis, comma 1,  della  legge  n.  184  del
1983, nella parte in cui impedisce  alle  persone  non  coniugate  di
essere valutate ai fini dell'idoneita' all'adozione piena  di  minori
stranieri, al di fuori dei casi particolari di cui all'art. 44  della
stessa legge. 
    Osserva il giudice  a  quo  che  la  Corte  europea  dei  diritti
dell'uomo ha chiarito  che  la  nozione  di  vita  privata  ai  sensi
dell'art. 8 CEDU e' un concetto ampio che comprende, tra l'altro,  il
diritto all'autonomia personale e allo sviluppo individuale. La ratio
primaria dell'art. 8 CEDU e'  quella  di  proteggere  l'individuo  da
interferenze  arbitrarie  da  parte  delle  autorita'  pubbliche.  Il
rimettente ritiene che  la  domanda  di  idoneita'  all'adozione,  in
quanto ancorata al diritto di autodeterminarsi in ordine alla propria
vita privata, rientri pienamente nell'alveo dell'art. 8 CEDU. 
    In  questo  contesto,  il   legislatore   italiano   si   sarebbe
determinato ad ammettere la possibilita' dell'adozione monoparentale,
nelle forme di cui all'art. 44 della legge n. 184 del 1983,  sia  nei
casi di adozione nazionale, sia nel caso di adozione internazionale. 
    Negli ultimi anni, l'intera materia avrebbe subito, sia a livello
normativo sia a livello  giurisprudenziale,  una  trasformazione  per
effetto del nuovo assetto del  diritto  di  famiglia  e  della  nuova
formulazione  dell'art.  74  del  codice  civile,   come   modificato
dall'art.  1,  comma  1,  della  legge  10  dicembre  2012,  n.   219
(Disposizioni in materia di riconoscimento dei figli  naturali),  che
consacra l'unicita' dello stato di figlio, ampliando il  concetto  di
parentela, in cui sono ricompresi anche i figli adottivi, con l'unica
espressa eccezione degli adottati maggiorenni. Pertanto,  il  vincolo
di  filiazione  non  e'  piu'  esclusiva   emanazione   dell'istituto
matrimoniale. 
    Ad avviso del giudice a quo,  il  quadro  normativo  in  tema  di
adozioni monoparentali  presenta  un  elevato  grado  di  incertezza,
dovuto a una  normativa  interna  altamente  frammentata,  capace  di
incidere negativamente sulla capacita' dei singoli di operare  scelte
legate alla propria vita e di  poterne  prevedere  e  programmare  le
conseguenze giuridiche. In alcuni casi sarebbe ammessa l'adozione  da
parte di persone non coniugate e,  al  contempo,  sarebbero  previste
limitazioni che richiederebbero chiarezza  e  omogeneita',  anche  in
ordine alla rispettiva ratio. Quest'ultima e'  spesso  rinvenuta  nel
diritto  alla  bigenitorialita'  eterosessuale  perfetta,   ma   cio'
potrebbe porsi in contrasto con la tutela  dell'interesse  preminente
del minore. 
    La mancanza di un quadro univoco in materia di accesso al diritto
di autodeterminarsi in ordine  all'adozione  renderebbe  estremamente
gravosa e incerta la posizione  delle  persone  non  coniugate.  Cio'
determinerebbe  un'indebita  interferenza  nella  vita  privata,   in
violazione dell'art. 8 CEDU. Al riguardo, e' richiamata  la  sentenza
della Corte europea dei diritti dell'uomo, sezione seconda, 14 maggio
2013, Gross contro Svizzera. 
    Tale  situazione  renderebbe  necessaria  una  chiara  presa   di
posizione politica  e  legislativa  che  permetta  alle  persone  non
coniugate di autodeterminarsi in ordine alla propria aspirazione alla
genitorialita'. La materia dell'adozione monoparentale  richiederebbe
dunque  un'armonizzazione,  che  rimetta  in  gioco  e  verifichi  la
validita', alla luce del mutato contesto sociale, della ratio sottesa
alla scelta legislativa di limitare  il  diritto  delle  persone  non
coniugate ad  aspirare  all'adozione,  consentendo  loro  di  operare
scelte orientate e coerenti, all'interno  di  una  cornice  normativa
chiara e prevedibile. 
    Il giudice a quo  ravvisa,  pertanto,  un  contrasto  tra  l'art.
29-bis, comma 1, della legge n. 184 del  1983  e  l'art.  117,  primo
comma, Cost., quest'ultimo in relazione all'art. 8 CEDU, nella  parte
in cui, non fornendo un quadro normativo chiaro dei diritti riservati
alla persona non coniugata  residente  in  Italia,  ivi  compresa  la
possibilita' di chiedere di  essere  dichiarata  idonea  all'adozione
piena di un minore  straniero,  non  consentirebbe  di  orientare  le
proprie  scelte  in  funzione  di  effetti   giuridici   prevedibili,
determinando cosi' un'indebita interferenza nella sua vita privata. 
    3.- Nel giudizio e' intervenuto il Presidente del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, chiedendo che la  questione  sia  dichiarata  inammissibile  o
comunque non fondata. 
    3.1.- Ad avviso dell'Avvocatura  generale  dello  Stato,  non  vi
sarebbe  alcuna  incertezza  in  ordine  alle  possibilita'  adottive
consentite  alle  persone  non  coniugate  residenti  in  Italia.  La
normativa,  indubbiamente  complessa,  sarebbe  comunque  chiara  nel
consentire l'accesso all'adozione piena alle  sole  coppie  unite  in
matrimonio,  salvo  alcune  eccezioni  in  favore  di   persone   non
coniugate, in casi particolari ben delineati e circostanziati. 
    3.1.1.- L'interveniente osserva che, con riferimento all'adozione
piena, l'art. 6  della  legge  n.  184  del  1983  richiede  che  gli
adottanti siano «uniti in matrimonio da almeno tre anni» e che «tra i
coniugi non deve sussistere e non deve avere avuto luogo negli ultimi
tre anni separazione personale neppure di fatto». 
    D'altra parte, nei casi di cui all'art. 44 della stessa legge, e'
stata prevista la possibilita'  di  accedere  all'adozione  anche  da
parte di persone non coniugate. Questa disciplina e' stata introdotta
per tutelare il diritto del minore alla famiglia  in  situazioni  che
non avrebbero consentito di giungere  all'adozione  piena,  ma  nelle
quali la soluzione dell'adozione rappresenti una soluzione  opportuna
ed auspicabile. Essa costituisce, dunque, uno strumento di  chiusura,
volto a realizzare il  preminente  interesse  del  minore  ad  essere
accolto in una famiglia. 
    In  definitiva,  l'idoneita'  adottiva   deve   essere   valutata
effettuando  un  bilanciamento  tra  l'aspettativa  degli   aspiranti
genitori adottivi di formare una famiglia tramite  l'adozione  di  un
minore  ed  il  diritto  di  quest'ultimo  di  trovare  una  famiglia
accudente. Cio' porta a concludere che i  minori  adottabili  abbiano
diritto non ad  una  famiglia  qualsiasi,  ma  alla  "migliore  delle
famiglie possibili", che il legislatore ha individuato nella famiglia
bigenitoriale, che offra garanzie di stabilita' tramite il legame del
matrimonio e sia formata da un  uomo  e  da  una  donna,  secondo  il
principio dell'imitatio naturae, sotteso all'art. 6  della  legge  n.
184 del 1983. 
    In questa prospettiva, l'interveniente fa rilevare che  l'art.  4
della legge 19 ottobre 2015, n. 173 (Modifiche alla  legge  4  maggio
1983, n. 184, sul diritto alla continuita' affettiva  dei  bambini  e
delle bambine  in  affido  familiare)  ha  integrato  la  lettera  a)
dell'art. 44 della legge n. 184 del 1983, prevedendo  che  il  minore
puo' essere adottato da persone a lui legate da preesistente rapporto
stabile e duraturo, «anche  maturato  nell'ambito  di  un  prolungato
periodo  di  affidamento».  Non  e'  precluso,  quindi,  al  genitore
affidatario non coniugato di adottare il minore che ha in affido ove,
esclusa la possibilita' del suo reingresso nella famiglia  biologica,
detta soluzione sia ritenuta  quella  che  in  concreto  ne  realizza
meglio l'interesse. 
    L'Avvocatura generale dello  Stato  fa  rilevare  che  la  stessa
giurisprudenza di legittimita' ha riconosciuto che l'accesso a questa
forma di adozione e' consentito anche alle persone  singole  ed  alle
coppie di fatto, nei limiti di eta' indicati  e  sempre  che  l'esame
delle condizioni e dei requisiti imposti dalla legge, sia in astratto
(l'impossibilita'  dell'affidamento  preadottivo),  sia  in  concreto
(l'indagine sull'interesse del minore), facciano ritenere sussistenti
i presupposti per  l'adozione  speciale  (e'  richiamata  l'ordinanza
della Corte di cassazione, sezione prima civile, 26 giugno  2019,  n.
17100). 
    3.1.2.- Con  riferimento  alle  adozioni  internazionali,  l'art.
29-bis della legge n. 184 del 1983 si riferisce a «persone [...]  che
si  trovano  nelle  condizioni  prescritte  dall'articolo  6»,  ossia
coniugi «uniti in matrimonio da  almeno  tre  anni»,  in  assenza  di
precedenti  separazioni,   anche   di   fatto.   Dunque,   l'adozione
legittimante si fonda sui medesimi presupposti, sia che si tratti  di
adozione nazionale, sia che si tratti di adozione internazionale. 
    L'art. 36, quarto comma, della legge n. 184 del 1983 appresta poi
uno strumento ulteriore, consentendo il riconoscimento  dell'adozione
al  cittadino  italiano  che  abbia  perfezionato  il  relativo  iter
all'estero, in conformita' alla legge straniera, e  che  dimostri  di
aver soggiornato continuativamente nel Paese straniero  e  di  avervi
avuto la residenza da almeno due anni. 
    3.1.3.- Alla luce di queste considerazioni, osserva  l'Avvocatura
generale dello Stato, l'adozione da parte di persona non coniugata e'
ammissibile (qualora conforme all'interesse del  minore)  laddove  la
stessa sia in grado di dimostrare l'esistenza di un legame, di  fatto
o di diritto, con l'adottando. Ciascuna delle fattispecie considerate
dal legislatore comporta, infatti, la valutazione  di  una  relazione
gia' esistente. Anche quando e' chiamato a riconoscere in  Italia  il
provvedimento straniero di adozione, ai sensi  del  citato  art.  36,
quarto comma, il  giudice  non  si  limita  a  delibare  la  sentenza
straniera, ma deve altresi' valutare  che  sussista  l'interesse  del
minore all'adozione. Tale  valutazione  e'  possibile  in  quanto  il
minore e' gia' entrato  nello  status  familiare  dell'adottante,  al
momento della pronuncia dell'adozione straniera, o addirittura prima.
E', dunque, in virtu' di questo preesistente legame che l'ordinamento
interno consente alla persona non coniugata di acquisire lo status di
genitore adottivo. 
    In  conclusione,  osserva  la  difesa  statale,  nell'ordinamento
italiano l'adozione da parte del singolo  e'  strettamente  correlata
all'interesse di ciascun minore,  individuato  in  epoca  antecedente
alla valutazione dell'idoneita' adottiva del richiedente. 
    Alla  luce  di  questo  quadro  normativo  e  della  ratio  sopra
descritta, non vi sarebbe alcuna incertezza nella disciplina, essendo
possibile distinguere con chiarezza i  casi  in  cui  la  domanda  di
adozione monoparentale potrebbe essere accolta e non sarebbe, dunque,
ravvisabile la violazione dell'art. 8 CEDU. 
    D'altra parte, osserva l'Avvocatura generale, non ogni soggettiva
incertezza  su  una  disposizione  legislativa  si  traduce  in   una
violazione dell'art. 8 CEDU, poiche' rilevano solo quelle  incertezze
che facciano venire meno  il  requisito  della  prevedibilita'  della
regola giuridica. Nel  caso  in  esame,  una  simile  situazione  non
sarebbe configurabile, in quanto il  contesto  normativo  consente  a
chiunque di stimare come "prevedibile" che una persona non  coniugata
non avrebbe accesso all'adozione legittimante, ma solo,  ricorrendone
le condizioni, all'adozione di cui all'art. 44 della legge n. 184 del
1983. 
    3.2.- La difesa statale osserva, d'altra parte, che la  CEDU  non
riconosce un generico diritto ad adottare e che l'art. 8  non  impone
agli Stati l'obbligo positivo di  garantire  l'accesso  all'adozione,
sia nel caso in cui i richiedenti siano coppie, coniugate o meno, sia
nel caso in cui siano  singoli.  Ne'  un  obbligo  di  questo  genere
sarebbe collegabile alla ratifica, da  parte  dello  Stato  italiano,
della  Convenzione  europea  sull'adozione  di  minori,   firmata   a
Strasburgo il 24 aprile 1967, che riconosce il diritto del singolo di
adottare un minore. Del resto,  la  prova  dell'inesistenza  di  tale
obbligo sarebbe data anche dall'omessa ratifica da parte  dell'Italia
della nuova Convenzione europea sull'adozione dei minori,  firmata  a
Strasburgo il 27 novembre 2008, che, agli artt. 2 e  7,  lettera  b),
prevede la possibilita' di adozione per le persone non coniugate. 
    Sul  punto,  osserva  l'Avvocatura  generale  dello   Stato,   la
giurisprudenza della Corte EDU riconosce agli Stati un ampio  margine
di apprezzamento, direttamente connesso alla necessita' di assicurare
la tutela dell'interesse superiore del minore. Anche questa Corte  di
recente ha escluso  la  violazione  dei  parametri  convenzionali  in
materia di famiglia e di adozione, rilevando che  «la  giurisprudenza
della Corte EDU ha affermato in piu' occasioni che, nelle materie che
sottendono delicate questioni di ordine etico  e  morale,  gli  Stati
conservano - segnatamente quanto ai temi sui quali non si registri un
generale consenso - un ampio margine di apprezzamento»  (sentenza  n.
230 del 2020) e che, sempre secondo questa pronuncia, e' riservata al
legislatore, quale «interprete della volonta'  della  collettivita'»,
la scelta di quelle soluzioni che assicurino  «il  bilanciamento  tra
valori fondamentali in conflitto tenendo conto degli  orientamenti  e
delle istanze che apprezzi come maggiormente radicati». 
    L'Avvocatura generale osserva, quindi, che - se e'  vero  che  le
fonti internazionali e pattizie non creano effetti vincolanti per  lo
Stato nella materia in esame - non puo' essere invocata la violazione
dell'art. 8 CEDU e dell'art. 117, primo  comma,  Cost.  Ne',  d'altra
parte, il giudizio di legittimita'  costituzionale  sarebbe  la  sede
istituzionale per apprezzare la denunciata  distonia  tra  il  mutato
contesto sociale e il tessuto normativo vigente o  per  elaborare  un
bilanciamento degli interessi coinvolti in senso  diverso  da  quello
operato dal legislatore. Le prospettate esigenze di riforma  possono,
infatti, essere valutate dai soggetti abilitati ad esprimere in  sede
politica, grazie al  meccanismo  rappresentativo  e  democratico,  le
reali istanze della collettivita'. 
    3.3.- Sotto altro profilo, la difesa  dello  Stato  osserva  che,
sebbene il Tribunale rimettente abbia censurato l'art.  29-bis  della
legge n. 184 del 1983, tuttavia la disciplina oggetto di censura  non
si ritrova in questa disposizione, bensi' negli artt. 6  e  44  della
medesima legge, che disciplinano, rispettivamente, le  condizioni  di
accesso   all'adozione   legittimante   e   all'adozione   nei   casi
particolari. 
    La mancata  censura  di  tali  disposizioni  pregiudicherebbe  il
vaglio di legittimita' costituzionale e  ne  renderebbe  frammentario
l'esito. Infatti, l'auspicato intervento sarebbe circoscritto al solo
art. 29-bis, comma 1, della legge n.  184  del  1983,  relativo  alle
adozioni internazionali, e l'ipotetico accoglimento  della  questione
finirebbe per creare un'indebita disparita' di  trattamento  rispetto
alla disciplina dell'adozione nazionale. 
    3.4.- Nel merito, le questioni di legittimita' costituzionale non
sarebbero fondate. 
    La legge n. 184 del 1983 e' ispirata all'intento di assicurare al
minore  la  "migliore  famiglia  possibile",  da  intendere  come  la
famiglia bigenitoriale che offra garanzie di  stabilita'  tramite  il
legame del matrimonio. A  tale  obiettivo  si  accompagna,  nei  casi
particolari di cui all'art. 44 della stessa legge,  la  tutela  della
continuita' di rapporti gia' consolidati. 
    Ad avviso dell'Avvocatura generale,  la  censura  del  rimettente
concernente la ratio sottesa a  questa  disciplina  -  rinvenuta  nel
diritto alla bigenitorialita' eterosessuale perfetta - porterebbe  ad
indirizzare il sindacato di questa  Corte  sul  merito  della  scelta
legislativa. Il dubbio  di  legittimita'  costituzionale  tocca  temi
eticamente sensibili, in relazione ai quali  l'individuazione  di  un
ragionevole punto di equilibrio delle contrapposte esigenze spetta al
legislatore. Le relative scelte,  non  costituzionalmente  obbligate,
sono sindacabili al solo fine di verificare se sia  stato  realizzato
un bilanciamento non irragionevole di quelle esigenze e dei valori ai
quali si ispirano. 
    D'altra parte, osserva l'interveniente, in passato  il  contenuto
della filiazione  veniva  principalmente  identificato  nella  patria
potesta'. L'attenzione si  e'  successivamente  spostata  sul  legame
personale e sul ruolo del figlio che, con le sue esigenze  e  le  sue
aspirazioni,  condiziona  lo  svolgimento  del   rapporto,   per   la
preminenza  del  suo  diritto  afferente   all'identita'   personale.
Pertanto, il diritto alla genitorialita' sussiste se esso corrisponde
al migliore interesse per il minore, secondo la  formula  rinvenibile
nella Convenzione sui diritti del fanciullo, firmata a New York il 20
novembre 1989, ratificata e resa esecutiva con legge 27 maggio  1991,
n. 176 (a questo riguardo, sono  richiamate  le  sentenze  di  questa
Corte n. 197 del 1986  e  n.  11  del  1981).  Alla  luce  di  questi
principi, la questione sollevata dal Tribunale  per  i  minorenni  di
Firenze sarebbe manifestamente infondata. 
    4.- Nel giudizio dinnanzi a questa Corte si e' costituita R.  B.,
quale  parte  ricorrente  nel  giudizio  a  quo,  chiedendo  che  sia
dichiarata l'illegittimita' costituzionale dell'art. 29-bis, comma 1,
della legge n. 184 del 1983. 
    Nella memoria depositata in prossimita'  dell'udienza,  la  parte
osserva che per la  Convenzione  de  L'Aja  la  qualita'  di  persona
coniugata e' del tutto irrilevante e tutti i Paesi membri dell'Unione
europea consentono l'adozione da parte di persona non coniugata. 
    Nel caso in esame, la questione  di  legittimita'  costituzionale
non riguarderebbe la previsione, in se', dell'art. 6 della  legge  n.
184 del 1983, ossia la scelta  di  riservare  ai  coniugi  l'adozione
interna,  ma  solo  la  ragionevolezza  dell'estensione   di   questa
disciplina all'adozione internazionale. 
    Cio' posto, la previsione del  requisito  del  coniugio  ai  fini
dell'idoneita'  all'adozione  internazionale   si   risolverebbe   in
un'ingerenza nella vita privata del tutto sproporzionata rispetto  al
ruolo che  l'Italia,  quale  Stato  di  accoglienza  del  minore,  e'
chiamato a svolgere: la Convenzione de L'Aja richiederebbe,  infatti,
un'attenta ed accurata valutazione dell'idoneita' della  persona  che
aspira a svolgere la funzione genitoriale, ma cio' non  implicherebbe
necessariamente la qualita' di persona coniugata. 
    Ad  avviso  della   parte,   il   rispetto   del   principio   di
proporzionalita' richiederebbe non solo che tra il mezzo (qualita' di
coniugato)  ed  il  fine  (un'adozione  che  soddisfi  il   superiore
interesse del minore) vi sia una connessione razionale, ma anche  che
il mezzo consenta di conseguire benefici adeguatamente  superiori  ai
sacrifici  imposti  agli  altri  diritti.  Del   resto,   la   stessa
Convenzione de L'Aja escluderebbe che la previsione della qualita' di
coniuge  consenta  di  conseguire  benefici  tali  da  compensare   i
sacrifici imposti alle scelte di vita  privata  dell'adottante.  Cio'
renderebbe   ingiustificata   l'ingerenza    nella    vita    privata
dell'adottante, e la violazione dell'art. 8, secondo paragrafo, CEDU. 
    Ad  avviso  della  parte,  anche  nell'ordinamento  italiano   le
numerose ipotesi di adozione riconosciute  a  persone  non  coniugate
dimostrerebbero il carattere sproporzionato  della  pretesa  che  chi
risiede   stabilmente   in   Italia,   per   aspirare    all'adozione
internazionale, modifichi le proprie scelte di vita. 
    La parte fa rilevare  che  la  qualita'  di  coniugato  non  puo'
ragionevolmente influire, in termini di  benefici,  su  alcuno  degli
elementi che la stessa Convenzione de L'Aja, all'art. 15,  impone  di
considerare al fine di tutelare il  superiore  interesse  del  minore
(identita'; capacita' legale ed  idoneita'  all'adozione;  situazione
personale, familiare e sanitaria; ambiente sociale;  motivazioni  per
l'adozione; attitudine a farsi carico dell'adozione;  caratteristiche
dei minori). 
    Pertanto, l'imposizione di una scelta di vita privata  del  tutto
incongrua  rispetto  alle  attitudini   genitoriali   oggetto   della
valutazione di cui all'art. 29-bis, comma 1, della legge n.  184  del
1983 si risolverebbe in un artificioso e arbitrario collegamento  tra
uno  status  personale  e  l'idoneita'  all'adozione,   che   sarebbe
viceversa radicalmente negato, sia dalla Convenzione  de  L'Aja,  sia
dall'ordinamento italiano. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Il Tribunale per i minorenni di Firenze, con ordinanza del 26
novembre 2020 (reg. ord. n. 1 del 2021), ha  sollevato  questione  di
legittimita' costituzionale dell'art. 29-bis, comma 1, della legge  4
maggio 1983, n. 184 (Diritto del minore ad una famiglia), nella parte
in cui non prevede che anche la persona non coniugata e residente  in
Italia possa presentare dichiarazione di disponibilita'  ad  adottare
un  minore  straniero  e  chiedere  di   essere   dichiarata   idonea
all'adozione legittimante. 
    Ad avviso del giudice a quo, la disposizione censurata violerebbe
l'art. 117,  primo  comma,  Cost.,  in  relazione  all'art.  8  della
Convenzione  per  la  salvaguardia  dei  diritti  dell'uomo  e  delle
liberta' fondamentali (CEDU), firmata a  Roma  il  4  novembre  1950,
ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848,  poiche'
- non fornendo un  quadro  normativo  chiaro  in  ordine  ai  diritti
riservati alla persona non coniugata e  residente  in  Italia  -  non
consentirebbe alla stessa di orientare le proprie scelte in  funzione
di effetti giuridici prevedibili, determinando cosi'  un'interferenza
indebita nella sua vita privata. 
    2.- In via preliminare,  e'  necessario  esaminare  le  eccezioni
sollevate dal Presidente del Consiglio dei ministri,  intervenuto  in
giudizio per mezzo dell'Avvocatura generale dello Stato. 
    2.1.-  L'Avvocatura   generale   eccepisce,   in   primo   luogo,
l'inammissibilita' della questione di legittimita' costituzionale del
censurato art. 29-bis, comma 1,  in  ragione  dell'incompletezza  del
quadro normativo considerato dal giudice a quo. Infatti, laddove esso
fosse stato considerato nella sua pienezza  e  complessita',  sarebbe
emersa con chiarezza la ratio che lo  sostiene,  cosi'  da  escludere
ogni incertezza, essendo possibile distinguere  i  casi  in  cui  una
domanda di adozione monoparentale potrebbe in astratto essere accolta
da quelli in cui non lo sarebbe. 
    2.1.1.- L'eccezione non e' fondata. 
    Nel caso in esame, sulla premessa che non sarebbe opponibile alla
ricorrente,  quale  persona   non   coniugata,   alcuna   preclusione
all'adozione in casi particolari, ai sensi dell'art. 44  della  legge
n. 184 del 1983, il rimettente appunta le proprie censure sulla norma
che non consente alle persone non coniugate di accedere  all'adozione
piena. Il  fondamento  normativo  di  questa  preclusione  e'  quindi
correttamente individuato negli artt. 6  e  29-bis,  comma  1,  della
stessa legge,  che  prevedono  il  requisito  del  coniugio  ai  fini
dell'idoneita' all'adozione piena. 
    Cosi' delimitata  la  questione  di  legittimita'  costituzionale
sollevata  dal  giudice  a  quo,  l'incompleta  illustrazione   delle
possibilita'   di   adozione    monoparentale    gia'    riconosciute
dall'ordinamento,  nonche'  della   loro   evoluzione   normativa   e
giurisprudenziale - puntualmente richiamate dall'interveniente -  non
ne inficia l'ammissibilita'.  Si  tratta,  infatti,  di  elementi  di
valutazione che attengono al  merito  della  questione,  come  emerge
anche dalla stessa prospettazione dell'Avvocatura, secondo  la  quale
una completa ricostruzione del quadro normativo avrebbe consentito di
escludere ogni incertezza e di  superare  le  censure  formulate  dal
rimettente. 
    2.2.-   Deve   essere   altresi'    respinta    l'eccezione    di
inammissibilita' per  l'erronea  o  incompleta  individuazione  della
norma censurata. 
    2.2.1.- Ad avviso della difesa statale, la mancata censura  degli
artt. 6 e 44 della legge n. 184 del 1983 pregiudicherebbe  il  vaglio
di  legittimita'  costituzionale,  rendendone  frammentario  l'esito,
essendo  la  denunciata  illegittimita'  circoscritta  al  solo  art.
29-bis, comma 1, che regola le adozioni  internazionali.  Secondo  la
difesa statale, l'ipotetico accoglimento  della  questione  finirebbe
per creare un'indebita disparita' di trattamento di  tale  disciplina
rispetto a quella delle adozioni nazionali. 
    2.2.2.-  Il  requisito  del  coniugio  ai   fini   dell'idoneita'
all'adozione nazionale e' previsto espressamente  dall'art.  6  della
legge n. 184 del 1983, cui la  disposizione  censurata  fa  integrale
richiamo. Il  giudice  a  quo  -  pur  consapevole  della  simmetrica
preclusione derivante dal richiamato art. 6 per l'adozione  nazionale
- ha limitato le proprie censure al solo art. 29-bis, comma 1,  della
legge n. 184 del 1983, ritenendo, con motivazione  non  implausibile,
di essere chiamato a fare applicazione  di  questa  disposizione  nel
giudizio a quo, instaurato proprio al fine  di  ottenere  l'idoneita'
all'adozione internazionale. 
    D'altra parte, la considerazione delle ricadute  sistematiche  di
un eventuale accoglimento della questione -  in  quanto  propriamente
destinata alla valutazione del merito della stessa  -  non  influisce
sulla sua ammissibilita'. 
    3.- Deve essere,  inoltre,  dichiarata  l'inammissibilita'  delle
ulteriori censure formulate dalla parte costituita. 
    Nella memoria depositata in prossimita'  dell'udienza,  la  parte
ricorrente nel giudizio a quo,  deduce  il  carattere  sproporzionato
della previsione del requisito del coniugio, sia  rispetto  al  ruolo
che l'Italia, quale Stato di accoglienza dell'adottando, e'  chiamata
a svolgere, sia rispetto al fine di realizzare il superiore interesse
del minore. Ad avviso della parte interveniente,  dalla  qualita'  di
coniugato di chi richieda  l'adozione  non  conseguirebbero  benefici
tali da compensare i sacrifici imposti alle scelte  di  vita  privata
dell'adottante e cio' renderebbe ingiustificata l'ingerenza. 
    Tuttavia, questi argomenti si pongono al di fuori  del  perimetro
tracciato  dall'ordinanza  di  rimessione.  In  essa,  la  violazione
dell'art. 8 CEDU non deriva dal carattere sproporzionato e  per  cio'
stesso irragionevole della previsione,  come  prospettato,  ma  dalla
mancanza  di  chiarezza  del  quadro  normativo,  tale  da   incidere
negativamente sulla capacita'  dei  singoli  di  autodeterminarsi  in
ordine alla propria vita privata. 
    Mentre  il  giudice  a  quo  non  contesta   alcun   difetto   di
proporzionalita'  nella  previsione  del  requisito  del  coniugio  e
propone  incidente  di  legittimita'  costituzionale,  lamentando  la
mancanza di chiarezza della  disciplina  delle  adozioni,  la  parte,
invece, dubita della conformita' a Costituzione della sproporzione  e
irragionevolezza del medesimo requisito e chiede a  questa  Corte  di
accertarne, sotto tale profilo,  il  contrasto  con  l'art.  8  CEDU.
Ancorche' la disposizione censurata ed  il  parametro  evocato  siano
formalmente gli stessi, la questione illustrata dalla  parte  privata
introduce un  profilo  di  illegittimita'  costituzionale  diverso  e
ulteriore rispetto a quello fatto proprio dal giudice a quo. 
    Le differenti prospettive  da  cui  sono  scaturiti  i  dubbi  di
legittimita'  costituzionale   rispettivamente   avanzati   risultano
indicative della novita' delle  censure  formulate  dalla  parte.  In
quanto volte ad ampliare il thema decidendum delineato dall'ordinanza
di rimessione, esse non possono essere  prese  in  considerazione  da
questa Corte (ex plurimis, sentenze n. 150 e n. 26 del 2020,  n.  222
del 2018, e ordinanza n. 37 del 2017). 
    4.- La questione di legittimita' costituzionale dell'art. 29-bis,
comma 1, della legge n. 184 del 1983, per violazione  dell'art.  117,
primo comma, Cost. in relazione all'art. 8 CEDU, e' inammissibile per
la  carente  illustrazione  delle  ragioni  di   contrasto   tra   la
disposizione censurata e il parametro interposto sovranazionale. 
    Per costante giurisprudenza di questa Corte, e' inammissibile  la
questione di legittimita' costituzionale posta senza  un'adeguata  ed
autonoma  illustrazione,  da  parte  del  giudice  rimettente,  delle
ragioni  per  le  quali  la  normativa  censurata  integrerebbe   una
violazione  del  parametro  evocato.  Non  e'  sufficiente,   quindi,
l'indicazione  delle  norme   da   raffrontare,   per   valutare   la
compatibilita' dell'una rispetto al contenuto precettivo  dell'altra,
ma e' necessario motivare il giudizio negativo in tal senso e, se del
caso,  illustrare  i  passaggi  interpretativi  operati  al  fine  di
enucleare i rispettivi contenuti di normazione (ex  multis,  sentenze
n. 120 del 2015, n. 236 del 2011; ordinanze n. 26 del  2012,  n.  321
del 2010 e n. 181 del 2009). 
    Nel caso in esame, con riguardo al requisito del coniugio ai fini
dell'idoneita' all'adozione internazionale, l'ordinanza di rimessione
non illustra le ragioni della dedotta antinomia tra  la  disposizione
censurata e i principi presidiati dalla garanzia  dell'art.  8  CEDU,
ne'  articola  critiche  mirate,  che   avvalorino   la   prospettata
violazione.  Il  giudice  a  quo  si   limita   a   svolgere   alcune
considerazioni sulla  nuova  disciplina  della  filiazione  scaturita
dalla riformulazione dell'art. 74 del codice civile, come  modificato
dall'art.  1,  comma  1,  della  legge  10  dicembre  2012,  n.   219
(Disposizioni in materia di riconoscimento  dei  figli  naturali),  e
sull'evoluzione dei casi  di  adozione  monoparentale  gia'  previsti
dall'ordinamento, per desumerne - senza motivarlo  -  un  difetto  di
chiarezza e  frammentarieta'  del  quadro  normativo.  Tali  censure,
tuttavia, non sono  sorrette  da  alcuna  considerazione  comparativa
degli  istituti  e  delle  discipline  rispetto  ai  quali  esse   si
manifesterebbero, ne' e' fornita alcuna spiegazione in ordine al modo
in cui la lamentata mancanza di chiarezza e omogeneita' - essa stessa
genericamente   affermata,   ma   non   corroborata    da    precipue
argomentazioni  -  si   realizzerebbe   nello   specifico   contenuto
precettivo dell'art. 29-bis, comma 1, della legge n.  184  del  1983,
che viceversa e' assunto dallo  stesso  rimettente  nel  suo  univoco
significato,  preclusivo  dell'adozione  piena  da  parte   dei   non
coniugati. 
    D'altra  parte,  l'ordinanza  non  fornisce   neppure   un'idonea
spiegazione circa le modalita' in cui l'asserito difetto di chiarezza
e   la   frammentarieta'   della   disciplina   delle   adozioni   si
risolverebbero nella violazione del principio del rispetto della vita
privata, presidiato dalle garanzie dell'art. 8 CEDU.  Infatti,  anche
in  riferimento  alla  tutela  convenzionale  richiamata,  e'  omessa
qualsiasi motivazione sui presupposti individuati dalla Corte europea
dei diritti dell'uomo per qualificare una  situazione  di  incertezza
normativa in termini di contrasto con il principio di non  ingerenza.
Al riguardo, e' richiamata una sola sentenza della Corte europea  dei
diritti dell'uomo (sezione seconda,  14  maggio  2013,  Gross  contro
Svizzera), che - oltre ad  essere  stata  superata  dalla  successiva
pronuncia della Grande camera del 30 settembre 2014 - e' riferita  ad
un contesto normativo del tutto differente da  quello  in  esame.  In
definitiva, il  contrasto  con  il  principio  convenzionale  di  cui
all'art.  8  CEDU  risulta  solo  genericamente  affermato,  ma   non
sufficientemente argomentato. 
    Le rilevate lacune del tessuto  argomentativo  dell'ordinanza  di
rimessione  determinano   l'inammissibilita'   della   questione   di
legittimita' costituzionale dell'art. 29-bis, comma 1, della legge n.
184 del 1983 e ne impediscono la valutazione nel merito.