ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.   625,
secondo comma, del codice penale, promosso dal Tribunale ordinario di
Firenze, nel procedimento penale a carico di  M.  C.,  con  ordinanza
dell'11 gennaio 2021, iscritta al n. 83 del registro ordinanze 2021 e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della  Repubblica  n.  24,  prima
serie speciale, dell'anno 2021. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio del 1° dicembre 2021  il  Giudice
relatore Stefano Petitti; 
    deliberato nella camera di consiglio del 2 dicembre 2021. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza dell'11 gennaio  2021  (reg.  ord.  n.  83  del
2021), il Tribunale ordinario di Firenze ha  sollevato  questioni  di
legittimita' costituzionale dell'art. 625, secondo comma, del  codice
penale, nella parte in cui stabilisce per  il  furto  la  pena  della
reclusione da tre a dieci anni e della multa  da  206  euro  a  1.549
euro, limitatamente alle parole «ovvero se una  di  tali  circostanze
concorre con altra fra quelle indicate nell'articolo 61»  cod.  pen.,
o, in subordine, nella  parte  in  cui  prevede  che  la  pena  della
reclusione minima sia pari a tre anni  anziche'  a  due  anni  ed  un
giorno, per contrasto con gli  artt.  3  e  27,  terzo  comma,  della
Costituzione. 
    1.1.- Il giudice a quo ha premesso  che  all'imputato  era  stato
contestato il reato di furto pluriaggravato ai sensi  dell'art.  625,
primo comma, numeri 4) e 8-bis), cod. pen., e che  si  era  proceduto
nei  suoi  confronti  con  giudizio  direttissimo  e,  a  seguito  di
richiesta dell'imputato stesso, con giudizio abbreviato. Il  pubblico
ministero aveva concluso chiedendo la condanna  dell'imputato  a  due
anni di reclusione ed euro 200 di multa. 
    L'ordinanza di rimessione riferisce che l'imputato,  stando  agli
atti  di  indagine  svolti  dalla  polizia  giudiziaria,  era   stato
arrestato in prossimita'  di  una  fermata  della  tramvia,  giacche'
identificato, a seguito di perquisizione personale, come  autore  del
furto di un portafoglio ai danni di un anziano passeggero  del  tram,
il quale aveva dichiarato  di  essere  stato  derubato  dello  stesso
oggetto che teneva riposto nella tasca della giacca. 
    Il   Tribunale   di   Firenze   ravvisa    la    configurabilita'
dell'aggravante del fatto commesso con destrezza ex art.  625,  primo
comma, numero 4), cod. pen., per la rapidita' del gesto e  l'abilita'
della condotta, nonche' dell'aggravante ex art. 61, numero  5),  cod.
pen., in ragione della  minorata  difesa  della  vittima  del  reato,
persona anziana, che al  momento  della  sottrazione  era  intento  a
scendere dal tram e dunque  si  trovava  in  condizioni  di  maggiore
vulnerabilita'.  Nei  confronti  dell'imputato  il  giudice   a   quo
specifica che  ricorre  altresi'  la  contestata  recidiva  reiterata
specifica infraquinquennale. Il rimettente esclude invece  che  siano
ravvisabili tanto la  circostanza  aggravante  dell'art.  625,  primo
comma, numero 8-bis), cod. pen., non essendo stato il fatto  commesso
all'interno del mezzo di trasporto pubblico,  quanto  la  circostanza
attenuante ex art. 62,  numero  4),  cod.  pen.,  riferita  al  danno
patrimoniale  di  speciale  tenuita',  come  anche   le   circostanze
attenuanti generiche, ex art. 62-bis cod. pen. 
    1.2.- Dovendo applicare la circostanza aggravante speciale di cui
all'art. 625, primo comma, numero 4), cod. pen. e l'aggravante comune
ex art. 61, numero 5), cod. pen., oltre  alla  recidiva  qualificata,
senza che  operi  alcuna  circostanza  attenuante,  il  Tribunale  di
Firenze  ritiene  sussistente  la  rilevanza   delle   questioni   di
legittimita' costituzionale dell'art. 625, secondo comma,  cod.  pen.
Riportati nell'ordinanza i diversi trattamenti sanzionatori  disposti
dall'art. 624 cod. pen. per il furto semplice (reclusione da sei mesi
a tre anni e multa da 154 euro a 516 euro), nonche' dal  primo  comma
dell'art. 625 cod. pen. per l'ipotesi che ricorra una soltanto  delle
circostanze aggravanti ivi elencate (reclusione da due a sei  anni  e
multa da 927 euro a 1.500 euro), e poi dal secondo comma del medesimo
art. 625 per il caso in cui concorrano due o piu'  delle  circostanze
prevedute dai numeri precedenti, ovvero se una  di  tali  circostanze
concorra con  altra  fra  quelle  indicate  nell'art.  61  cod.  pen.
(reclusione da tre a dieci anni e multa da 206 euro a 1.549 euro), il
rimettente osserva che la  norma  censurata  dispone,  in  deroga  al
regime  ordinario  del  concorso  tra  circostanze  omogenee  di  cui
all'art. 63 cod. pen., una disciplina decisamente piu' severa. L'art.
63, terzo comma, cod. pen., prescrive, infatti, che, quando la  legge
stabilisce una circostanza  ad  effetto  speciale  (tale,  cioe',  da
importare un aumento o una diminuzione della  pena  superiore  ad  un
terzo), l'aumento o la  diminuzione  per  le  altre  circostanze  non
operano sulla pena ordinaria del reato, ma sulla pena  stabilita  per
la  circostanza  anzidetta.  Di  conseguenza,   ove   non   esistesse
l'apposita previsione dell'art. 625, secondo comma, cod.  pen.,  alla
pena stabilita per il furto aggravato  da  una  circostanza  speciale
(reclusione da due a sei anni, oltre la  multa)  andrebbe  applicato,
ricorrendo altresi' una circostanza aggravante comune, l'aumento fino
ad un terzo, che pero' condurrebbe alla reclusione da due anni ed  un
giorno ad otto anni, limiti ben inferiori a quelli  da  tre  a  dieci
anni sanciti dalla disposizione censurata. 
    Nel caso in esame, il Tribunale di Firenze evidenzia che il fatto
attribuito  all'imputato  risulta  di  gravita'  contenuta,   essendo
modesta la somma di denaro sottratta  alla  vittima,  peraltro  dalla
stessa  recuperata.  A   tale   condotta   si   rivelerebbe   percio'
proporzionata, secondo il rimettente, la auspicata  cornice  edittale
conseguente  alla  declaratoria  di   illegittimita'   costituzionale
dell'art. 625, secondo comma, cod. pen. 
    La deroga apportata dalla  norma  censurata  rispetto  al  regime
ordinario  del  concorso  tra  circostanza  ad  effetto  speciale   e
circostanza comune, delineato dall'art. 63, terzo comma,  cod.  pen.,
comporta, secondo il Tribunale di Firenze, che, in forza di essa, «le
circostanze aggravanti comuni di cui all'art. 61  c.p.  diventano  ad
effetto speciale». 
    1.3.- Ad avviso del Tribunale, la norma censurata sarebbe  lesiva
dei precetti di cui agli artt. 3 e 27, terzo comma,  Cost.,  sia  per
cio' che attiene alla  proporzionalita'  intrinseca  del  trattamento
sanzionatorio, sia sotto il piu' generale profilo  del  principio  di
uguaglianza. 
    Innanzitutto, una pena compresa tra un minimo di tre anni  ed  un
massimo di dieci anni di reclusione (oltre la multa)  e'  intesa  dal
giudice a quo come eccessiva per un reato  che  offende  soltanto  il
patrimonio, ne' puo' rivelarsi decisiva l'ampia cornice  edittale,  a
fronte di una pena minima cosi' elevata. 
    La sanzione stabilita dall'art. 625, secondo comma, cod. pen.  si
rivelerebbe  ancora  piu'  eccessiva,  a  dire  del  rimettente,   se
rapportata alla cornice edittale decisamente piu' mite  prevista  per
la fattispecie base (reclusione da sei mesi a tre anni),  soprattutto
ove si consideri  che  gli  elementi  che  integrano  le  circostanze
aggravanti speciali non consistono in  fattori  eccezionali  tali  da
giustificare  il  livello  completamente  diverso   della   sanzione,
ricollegandosi,  piuttosto,  a  modalita'  o  mezzi  della  condotta,
condizioni soggettive dell'autore del fatto o della  persona  offesa,
caratteristiche dell'oggetto o  del  contesto,  statisticamente  piu'
frequenti della stessa ipotesi di furto non aggravato. 
    Per  il  giudice  a  quo,  la  dichiarazione  di   illegittimita'
costituzionale dell'art. 625, secondo comma, cod. pen., limitatamente
all'ipotesi del  concorso  tra  circostanza  ad  effetto  speciale  e
circostanza comune, ripristinerebbe la  proporzionalita'  del  regime
sanzionatorio, riconoscendo  all'aggravante  ex  art.  61  cod.  pen.
l'effetto comune anche quando concorra con una  circostanza  ex  art.
625, primo comma, cod. pen.,  sicche'  la  pena  applicabile  sarebbe
quella della reclusione da due anni ed un giorno nel minimo  ad  otto
anni nel massimo. 
    1.4.-  In  subordine,  il  Tribunale  di   Firenze   invoca   una
declaratoria di illegittimita' costituzionale dell'art. 625,  secondo
comma, cod. pen.  limitatamente  alla  previsione  della  pena  della
reclusione nel minimo pari a tre anni, anziche'  a  due  anni  ed  un
giorno, evitando che il minimo stabilito per il  furto  monoaggravato
(due anni) venga aumentato  della  meta'  per  effetto  del  concorso
altresi' di una circostanza comune. 
    1.5.-  Ulteriore  aspetto   della   disparita'   di   trattamento
sanzionatorio, in violazione dell'art. 3 Cost., riferibile alla norma
censurata,   risiederebbe,   ad   avviso   del   rimettente,    nella
generalizzata efficacia speciale accordata  a  tutte  le  circostanze
aggravanti ex art. 61 cod. pen. eventualmente concorrenti, e non solo
a talune, come avviene, ad esempio, negli artt. 576 e 585 cod.  pen.,
o nell'art. 640, secondo comma, numero 2-bis), cod. pen.  La  scelta,
viceversa, operata per il furto (come anche  dall'art.  624-bis  cod.
pen. per il furto in abitazione e per il furto con strappo) e' quella
di riconnettere efficacia speciale a tutte le circostanze ex art.  61
cod. pen. che concorrano con una  circostanza  ad  effetto  speciale,
cio' sulla base di valutazione che il giudice a quo reputa del  tutto
slegata da una analisi specifica del  fatto  di  reato,  prevedendosi
indiscriminatamente   un   aumento   eccezionale   del    trattamento
sanzionatorio per una  lista  del  tutto  eterogenea  di  fattispecie
circostanziali. 
    In particolare, osserva il  rimettente,  le  circostanze  di  cui
all'art. 61 cod. pen. esplicano per il reato  di  furto  un'efficacia
speciale solo ove concorrano con una circostanza ex art.  625,  primo
comma, cod. pen., cio' denotando un altro  profilo  di  arbitrarieta'
della scelta normativa: invero, ove il furto fosse aggravato  da  due
circostanze ex art. 61 cod. pen., la pena,  determinabile  secondo  i
criteri ordinari, oscillerebbe da un minimo di sei mesi e due  giorni
di reclusione ad un massimo di cinque anni e quattro mesi. 
    Il concorso delle circostanze comuni elencate dall'art.  61  cod.
pen. e di quelle ad effetto speciale  dettate  dall'art.  625,  primo
comma, cod.  pen.  darebbe  luogo,  poi,  a  piu'  di  centocinquanta
possibili combinazioni, non oggetto di ponderata valutazione da parte
del legislatore, il quale  ha  adottato  una  scelta  di  particolare
rigore sanzionatorio, con  un  meccanismo  di  crescita  esponenziale
della pena, «a prescindere» dal principio di proporzionalita'  ed  in
deroga al regime ordinario indicato dall'art. 63, terzo  comma,  cod.
pen. L'aumento di pena stabilito per l'eventualita' del concorso  tra
aggravante ad effetto speciale ed aggravante comune  sarebbe  frutto,
piuttosto,  secondo  il  Tribunale  di  Firenze,   di   una   opzione
irragionevole,  riconoscendosi  arbitrariamente  a  quest'ultima  una
maggiore offensivita' rispetto alla somma  del  disvalore  delle  due
circostanze, con un automatismo sanzionatorio incompatibile  con  gli
artt. 3 e 27 Cost. 
    1.6.-  Il  giudice  a  quo  segnala  altresi'  l'irragionevolezza
dell'applicazione di  un  regime  sanzionatorio  derogatorio  per  il
concorso delle circostanze speciali ex art. 625,  primo  comma,  cod.
pen. con le sole aggravanti elencate dall'art. 61 cod.  pen.,  e  non
anche con altre circostanze comuni, come, ad esempio, la  recidiva  e
quelle previste dagli artt. 92, 94 e 112 cod. pen. 
    2.- Ha depositato atto di intervento il Presidente del  Consiglio
dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, chiedendo che le questioni siano dichiarate  inammissibili,  o
comunque non fondate. 
    2.1.-  Il  Presidente   del   Consiglio   dei   ministri   deduce
pregiudizialmente l'inammissibilita' delle questioni per  difetto  di
rilevanza rispetto  alla  definizione  del  giudizio  principale,  in
quanto  l'ordinanza  di  rimessione  muoverebbe  da  un   presupposto
interpretativo  -  quello  secondo  cui  nella  specie  non   sarebbe
configurabile la circostanza di cui all'art. 625, primo comma, numero
8-bis), cod. pen. - erroneo, in  quanto,  secondo  la  giurisprudenza
della Corte di cassazione, la detta circostanza puo' sussistere anche
quando la persona offesa sia in procinto di salire o di  scendere  da
un mezzo di pubblico trasporto. 
    Il Tribunale rimettente,  quindi,  avrebbe  dovuto  ravvisare  un
concorso fra due delle circostanze  prevedute  dall'art.  625,  primo
comma, cod. pen., trovando cosi' applicazione la prima ipotesi e  non
la seconda ipotesi di tale disposizione. 
    2.2.-    L'atto    di     intervento     evidenzia,     comunque,
l'insostenibilita'  dell'assunto  dell'irragionevolezza  della  norma
denunciata,  non  sussistendo   la   sproporzione   del   trattamento
sanzionatorio su cui si fonda la prospettazione  delle  questioni  di
legittimita' costituzionale. Innanzitutto,  a  differenza  di  quanto
prescrivono l'art. 624-bis, quarto comma, cod.  pen.  e  l'art.  628,
quinto comma, cod. pen., l'art. 625, secondo  comma,  cod.  pen.  non
esclude il concorso con le circostanze attenuanti, che possono essere
ritenute  altresi'  equivalenti  o  prevalenti,  e  cio'  attenua  la
denunciata eccessiva rigidita' della forbice edittale. Si tratta,  in
ogni  caso,  di  scelta   rientrante   nella   discrezionalita'   del
legislatore  in  materia  di  politica  sanzionatoria,  sottratta  al
sindacato di legittimita' costituzionale giacche' non irragionevole o
arbitraria, e anzi coerente con il complessivo sistema  di  contrasto
delle offese al patrimonio. 
    Il Presidente del Consiglio dei ministri nega anche che emerga la
irragionevolezza   della   disposizione   censurata    quanto    alla
equiparazione del peso delle  circostanze  ad  effetto  comune  e  di
quelle speciali nelle varie combinazioni del concorso sanzionato. 
    2.3.- In data 4  novembre  2021,  l'interveniente  ha  depositato
memoria, ribadendo l'eccezione di  inammissibilita'  per  difetto  di
rilevanza delle questioni, contestando  in  ogni  caso  l'assunto  di
sproporzionalita' del trattamento sanzionatorio su cui  si  fonda  la
relativa prospettazione e  deducendo  che  il  Tribunale  di  Firenze
invoca una declaratoria di illegittimita' costituzionale a  contenuto
manipolativo. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Il Tribunale ordinario  di  Firenze,  con  ordinanza  dell'11
gennaio 2021 (reg. ord. n. 83 del 2021), ha  sollevato  questioni  di
legittimita' costituzionale dell'art. 625, secondo comma, del  codice
penale, nella parte in cui stabilisce per il reato di furto  la  pena
della reclusione da tre a dieci anni e della  multa  da  206  euro  a
1.549  euro,  limitatamente  alle  parole  «ovvero  se  una  di  tali
circostanze concorre con altra fra quelle indicate nell'articolo  61»
cod. pen., o, in subordine, nella parte in cui prevede  che  la  pena
della reclusione minima sia pari a tre anni anziche' a due anni ed un
giorno, per contrasto con gli  artt.  3  e  27,  terzo  comma,  della
Costituzione. 
    1.1.- Il giudice  a  quo  premette  che  all'imputato  era  stato
contestato il reato di furto pluriaggravato ai sensi  dell'art.  625,
primo comma, numeri 4) e 8-bis), cod. pen. e che, in sede di giudizio
abbreviato, il  pubblico  ministero  aveva  concluso  chiedendone  la
condanna a due anni di reclusione ed euro 200  di  multa.  L'imputato
era stato arrestato in prossimita'  di  una  fermata  della  tramvia,
giacche' identificato, a seguito  di  perquisizione  personale,  come
autore del furto di un portafoglio ai danni di un anziano  passeggero
del tram, il quale aveva dichiarato di essere  stato  derubato  dello
stesso oggetto che teneva riposto nella tasca della giacca. 
    Il   Tribunale   di   Firenze   ravvisa    la    configurabilita'
dell'aggravante del fatto commesso con destrezza ex art.  625,  primo
comma, numero 4), cod. pen.,  nonche'  dell'aggravante  ex  art.  61,
numero 5), cod. pen., mentre esclude che siano configurabili tanto la
circostanza aggravante dell'art. 625,  primo  comma,  numero  8-bis),
cod. pen., non essendo stato il fatto commesso all'interno del  mezzo
di trasporto pubblico, quanto la circostanza attenuante ex  art.  62,
numero 4), cod. pen., riferita  al  danno  patrimoniale  di  speciale
tenuita', come anche le circostanze attenuanti generiche. 
    1.2.- Dovendo percio' applicare nei  confronti  dell'imputato  la
circostanza aggravante speciale di cui  all'art.  625,  primo  comma,
numero 4), cod. pen. e l'aggravante comune ex  art.  61,  numero  5),
cod. pen., oltre alla recidiva qualificata, senza  che  operi  alcuna
circostanza attenuante, il giudice a quo evidenzia la rilevanza delle
questioni  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  625,  secondo
comma, cod.  pen.,  il  quale,  appunto,  stabilisce  la  pena  della
reclusione da tre a dieci anni e della multa  da  206  euro  a  1.549
euro, sia nel caso in cui concorrano due  o  piu'  delle  circostanze
prevedute  dal  primo  comma,  sia  nel  caso  in  cui  una  di  tali
circostanze concorra con altra fra quelle indicate nell'art. 61  cod.
pen. La pena comminata in tali ipotesi, infatti, sarebbe  assai  piu'
severa  di  quella  che  deriverebbe  dall'applicazione  del   regime
ordinario del concorso tra circostanze omogenee di cui  all'art.  63,
terzo comma, cod. pen., in base al quale, quando la legge  stabilisce
una circostanza ad effetto speciale (tale,  cioe',  da  importare  un
aumento  o  una  diminuzione  della  pena  superiore  ad  un  terzo),
l'aumento o la diminuzione per le altre circostanze non operano sulla
pena ordinaria del reato, ma sulla pena stabilita per la  circostanza
anzidetta. 
    Ove non esistesse l'apposita previsione  dell'art.  625,  secondo
comma, cod. pen., osserva il rimettente, alla pena stabilita  per  il
furto aggravato da una circostanza speciale (reclusione da due a  sei
anni, oltre la multa) andrebbe applicato,  concorrendo  altresi'  una
circostanza aggravante  comune,  l'aumento  fino  ad  un  terzo,  che
condurrebbe alla reclusione da due anni ed un giorno  ad  otto  anni,
limiti ben inferiori a quelli da  tre  a  dieci  anni  sanciti  dalla
disposizione censurata. 
    La deroga apportata dalla  norma  censurata  rispetto  al  regime
ordinario  del  concorso  tra  circostanza  ad  effetto  speciale   e
circostanza comune, delineato dall'art. 63, terzo comma,  cod.  pen.,
comporta, secondo il Tribunale di Firenze, che,  in  forza  di  essa,
tutte «le circostanze aggravanti  comuni  di  cui  all'art.  61  c.p.
diventano ad effetto speciale», e non solo talune, come  avviene,  ad
esempio, negli artt. 576 e 585 cod. pen., o  nell'art.  640,  secondo
comma, numero 2-bis), cod. pen. 
    1.3.- Ad avviso del rimettente, la norma censurata sarebbe lesiva
dei precetti di cui agli artt. 3 e 27, terzo comma, Cost. 
    Innanzitutto, una pena compresa tra un minimo di tre anni  ed  un
massimo di dieci anni di reclusione (oltre la multa)  e'  intesa  dal
giudice a quo come eccessiva per un reato  che  offende  soltanto  il
patrimonio, ne' potrebbe rivelarsi decisiva l'ampia cornice edittale,
a fronte di una pena minima cosi' elevata. 
    La  sanzione  dell'art.  625,  secondo  comma,   cod.   pen.   si
rivelerebbe  ancor  piu'  eccessiva,  a  dire  del   rimettente,   se
rapportata alla cornice edittale decisamente piu' mite  prevista  per
la fattispecie base (reclusione da sei mesi a tre anni). 
    Per  il  giudice  a  quo,  la  dichiarazione  di   illegittimita'
costituzionale dell'art. 625, secondo comma, cod. pen., limitatamente
all'ipotesi del  concorso  tra  circostanza  ad  effetto  speciale  e
circostanza comune, ripristinerebbe la  proporzionalita'  del  regime
sanzionatorio, riconoscendo  all'aggravante  ex  art.  61  cod.  pen.
l'effetto comune anche quando concorre con una delle  circostanze  di
cui all'art. 625, primo comma, cod. pen. 
    Del resto, osserva il rimettente, il concorso  delle  circostanze
comuni elencate dall'art.  61  cod.  pen.  e  di  quelle  ad  effetto
speciale dettate dall'art. 625, primo comma, cod. pen.  da'  luogo  a
piu'  di  centocinquanta  possibili  combinazioni,  non  oggetto   di
ponderata valutazione da parte del legislatore, il quale ha  adottato
una scelta di particolare rigore sanzionatorio, con un meccanismo  di
crescita esponenziale della pena, «a prescindere»  dal  principio  di
proporzionalita' e in deroga al regime ordinario  indicato  dall'art.
63, terzo comma, cod. pen. 
    L'aumento di pena stabilito per l'eventualita' del  concorso  tra
aggravante ad effetto speciale ed aggravante comune  sarebbe  frutto,
piuttosto,  secondo  il  Tribunale  di  Firenze,   di   una   opzione
irragionevole,  riconoscendosi  arbitrariamente  a  quest'ultima  una
maggiore offensivita' rispetto alla somma  del  disvalore  delle  due
circostanze, con un automatismo sanzionatorio incompatibile  con  gli
artt. 3 e 27 Cost. 
    1.4.-  In  subordine,  il  Tribunale  di   Firenze   invoca   una
declaratoria di illegittimita' costituzionale dell'art. 625,  secondo
comma, cod. pen.  limitatamente  alla  previsione  della  pena  della
reclusione pari a tre anni nel minimo, anziche'  a  due  anni  ed  un
giorno, evitando che il minimo stabilito per il  furto  monoaggravato
(due anni) venga aumentato  della  meta'  per  effetto  del  concorso
altresi' di una circostanza comune. 
    2.- Intervenuto in giudizio tramite l'Avvocatura  generale  dello
Stato,  il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri   ha   eccepito
l'inammissibilita' delle questioni per difetto di rilevanza  rispetto
alla definizione del giudizio principale, in  quanto  l'ordinanza  di
rimessione muoverebbe da un presupposto interpretativo  erroneo,  per
avere escluso la configurabilita' della circostanza di  cui  all'art.
625, primo comma, numero  8-bis),  cod.  pen.;  si  dovrebbe  percio'
ravvisare un concorso fra due delle circostanze  prevedute  dall'art.
625, primo comma, cod. pen., con conseguente applicazione della prima
ipotesi dell'art. 625, secondo comma, cod. pen. 
    2.1.- Tale eccezione va disattesa. 
    Il rimettente ha escluso che  fosse  ravvisabile  la  circostanza
aggravante dell'art. 625, primo comma, numero 8-bis), cod. pen.,  non
risultando accertato che la  commissione  del  furto  fosse  avvenuta
all'interno del  mezzo  di  trasporto  pubblico,  e  non  gia'  sulla
banchina   della   fermata,   e   dovendo,    pertanto,    escludersi
l'applicabilita' dell'aggravante nel caso concreto. 
    In tal  senso,  la  descrizione  della  fattispecie  oggetto  del
giudizio  a  quo  da  parte  dell'ordinanza  di  rimessione  consente
comunque il controllo "esterno" sulla rilevanza  della  questione  di
legittimita'   costituzionale,   risultando   non   implausibile   la
motivazione relativa al preliminare percorso logico compiuto  e  alle
ragioni per le quali il giudice rimettente afferma di dover applicare
la disposizione  censurata  nel  giudizio  principale  (ex  plurimis,
sentenze n. 236, n. 207, n. 181, n. 59 e n. 32 del 2021, n.  267,  n.
224 e n. 32 del 2020). 
    3.-  Le  questioni  sollevate  dal  Tribunale  di  Firenze  sono,
tuttavia, inammissibili sotto un diverso profilo. 
    4.- Va premesso che i limiti edittali di  pena  previsti  per  il
reato di  furto  sono  stati  piu'  volte  oggetto  di  questioni  di
legittimita' costituzionale in riferimento agli artt. 3 e 27 Cost. 
    4.1.- Gia' nella sentenza n. 22 del 1971, questa Corte, investita
di questione avente ad oggetto i massimi edittali degli artt.  624  e
625 cod. pen. in  rapporto  agli  artt.  3  e  27  Cost.,  si  diceva
consapevole «che la severita' delle pene previste dal codice  vigente
per il furto - specie con aggravanti  speciali:  articolo  625  -  e'
vivacemente criticata in dottrina», ma replicava  che  «la  questione
esula da un  qualsivoglia  riscontro  di  costituzionalita',  poiche'
attiene a scelte di politica legislativa, sottratte al  sindacato  di
questa Corte», pur riconoscendo che tali scelte erano  state  operate
in un altro clima storico e sociale e  apparivano  non  piu'  attuali
rispetto alle conseguenze sanzionatorie  delle  violazioni  di  altri
beni. 
    4.2.- Tale impostazione si trova ribadita nella  sentenza  n.  18
del 1973, a proposito dell'obbligo  di  applicare  congiuntamente  la
pena detentiva e quella pecuniaria in base all'art.  624  cod.  pen.:
«rientra nel potere discrezionale del legislatore  la  determinazione
della entita' della  pena  edittale  (sia  essa  soltanto  detentiva,
soltanto pecuniaria o, congiuntamente, detentiva e  pecuniaria);  ne'
il  relativo  apprezzamento  di  politica  legislativa  puo'  formare
oggetto  di  censura  da  parte   di   questa   Corte,   "all'infuori
dell'eventualita' (...) che la sperequazione assuma  dimensioni  tali
da non riuscire sorretta da ogni,  benche'  minima,  giustificazione"
(cosi' la motivazione della sentenza n. 109 del 1968)». 
    4.3.- La questione e' stata poi riesaminata nella sentenza n. 268
del 1986, concernente l'attribuzione al pretore della competenza  per
il reato  di  furto  aggravato  consumato  e  tentato.  Secondo  tale
pronuncia,  «[c]he  il  delitto  di  furto   aggravato,   specie   se
qualificato dal concorso di due  aggravanti,  fosse  considerato  dal
codice Rocco di rilevante gravita', non puo' essere messo in  dubbio.
Non solo, esso era - com'e' - punito con la reclusione da tre a dieci
anni, ma per di  piu',  in  forza  del  disposto  originario  di  cui
[all'ultima parte] dell'art. 69 cod. pen., nella commisurazione della
pena il giudice era  privato  della  possibilita'  di  bilanciare  le
aggravanti con il concorso di eventuali  attenuanti,  in  quanto  per
quelle circostanze la legge determina la misura della  pena  in  modo
indipendente da quella ordinaria del reato». 
    Si osservava tuttavia in quella sentenza: «[t]utto questo, pero',
come  la  dottrina  ha  da  tempo  messo   in   luce,   corrispondeva
all'ideologia  dell'epoca  che  aveva  posto  l'"avere"   al   centro
dell'ordinamento.  [...]  Ma  l'avvento  della   Costituzione   della
Repubblica ha radicalmente mutato la considerazione che l'ordinamento
attribuisce rispettivamente ai valori dell'"essere"  e  dell'"avere".
La persona umana, infatti, e'  venuta  incondizionatamente  in  primo
piano in tutte le sue manifestazioni di liberta',  mentre  la  tutela
della proprieta' privata e' subordinata alla funzione sociale». 
    Non di meno, la sentenza  evidenziava  come  il  legislatore,  in
ritardo nell'affrontare una riforma integrale del codice  penale  che
potesse adeguarsi alla diversa  considerazione  del  Costituente,  si
fosse affidato prevalentemente al potere discrezionale  del  giudice,
essenzialmente con la modificazione del quarto  e  del  quinto  comma
dell'art. 69 cod. pen., nel senso di eliminare le  limitazioni  poste
al giudizio di bilanciamento  delle  circostanze.  Infatti,  «con  la
nuova formulazione dell'art. 69 cod. pen., le  aggravanti  del  furto
possono essere neutralizzate anche dalle  sole  attenuanti  generiche
che, se del caso, il giudice puo' persino dichiarare  prevalenti.  La
gravita'  di  questo  delitto  e'  attualmente,   percio',   soltanto
nell'astratta comminazione della  pena,  ma  non  lo  e'  piu'  nella
realta' dell'esperienza giuridica, come  ben  dimostra  la  casistica
giudiziaria, ispirata ai nuovi principi costituzionali». 
    4.4.- Piu' di recente, le questioni sul trattamento sanzionatorio
delle fattispecie incriminatrici del furto sono state  affrontate  da
questa Corte non soltanto  nell'ottica  dei  giudizi  di  valore  che
cadono sui beni tutelati dall'ordinamento, ma altresi' nel piu' ampio
contesto  del  sindacato  di  legittimita'  costituzionale  circa  la
complessiva proporzionalita' delle scelte legislative  in  ordine  al
quantum di pena. Il  controllo  di  legittimita'  e'  stato,  invero,
sollecitato pure prescindendo dalla ricerca di una  giusta  simmetria
tra le sanzioni  del  furto  e  le  sanzioni  di  distinti  reati,  e
prestando piuttosto attenzione al rapporto tra la misura  della  pena
censurata ed il disvalore in se' del fatto. 
    4.4.1.- In particolare, le cornici edittali delle pene  stabilite
per il reato di furto aggravato sono state di nuovo  esaminate  nella
sentenza n. 136 del 2020, a seguito delle modifiche introdotte  dalla
legge 23 giugno 2017, n. 103 (Modifiche al codice penale,  al  codice
di procedura penale e all'ordinamento penitenziario). 
    Invero,  per  effetto  di   tali   modificazioni,   entrambe   le
fattispecie (furto monoaggravato e furto  pluriaggravato)  continuano
ad essere punite con la  pena  congiunta  della  reclusione  e  della
multa,  ma  mentre  la  reclusione  e'  prevista   per   il   delitto
pluriaggravato in  misura  piu'  elevata,  sia  nel  minimo  che  nel
massimo, cio' non e' per la pena pecuniaria  perche',  a  fronte  del
minimo di euro 206 tuttora stabilito dall'art.  625,  secondo  comma,
cod. pen. per il furto  pluriaggravato,  il  minimo  della  multa  e'
previsto, all'opposto, nella misura di euro 927  per  la  fattispecie
meno grave. 
    Questa Corte ha  tuttavia  ritenuto  inammissibili  le  questioni
allora sollevate nei confronti dell'art. 625, primo comma, cod. pen.,
per violazione degli artt. 3 e 27 Cost., e la richiesta di correzione
dell'asimmetria riscontrata con una  pronuncia  additiva  sostitutiva
della pena pecuniaria del delitto di furto monoaggravato. 
    Cio' sulla  base  in  particolare  del  rilievo  che  il  giudice
rimettente aveva «argomentato le sue censure considerando soltanto la
pena della multa e omettendo di tener conto  anche  del  divario  del
minimo della  pena  detentiva  prevista  per  le  ipotesi  del  furto
monoaggravato e di quello pluriaggravato (rispettivamente dal primo e
secondo comma dell'art. 625 cod. pen.); divario, pari a  un  anno  di
reclusione in piu' per il furto pluriaggravato,  certamente  coerente
per  la  maggiore  gravita'  di  quest'ultimo   rispetto   al   furto
monoaggravato». 
    4.4.2.- Da ultimo, la sentenza n. 117 del 2021,  nel  dichiarare,
fra   l'altro,   inammissibili   le   questioni    di    legittimita'
costituzionale  dell'art.  624-bis  cod.  pen.,  sollevate   riguardo
all'eccessivita' del minimo edittale di pena detentiva  e  all'omessa
previsione  di  una  fattispecie  attenuata  di  reato,   sempre   in
riferimento  agli  artt.  3  e  27  Cost.,  ha  riaffermato  che   le
valutazioni discrezionali  di  dosimetria  penale  competono  in  via
esclusiva al legislatore, chiamato dalla riserva di legge ex art.  25
Cost. a stabilire il grado di reazione dell'ordinamento  al  cospetto
della lesione  di  un  determinato  bene  giuridico,  limitandosi  il
sindacato  di  legittimita'  costituzionale  ad  incidere  su  scelte
sanzionatorie arbitrarie  o  manifestamente  sproporzionate.  Non  di
meno, come gia' fatto con la sentenza n. 190 del 2020, anche in  tale
occasione  questa  Corte  ha  inteso  rimarcare  che  il   rapido   e
significativo incremento dei valori  edittali  dei  reati  contro  il
patrimonio  segnala  una  pressione   punitiva   ormai   estremamente
rilevante e «richiede percio' attenta  considerazione  da  parte  del
legislatore, alla luce di una valutazione, complessiva e comparativa,
dei beni giuridici tutelati dal  diritto  penale  e  del  livello  di
protezione loro assicurato». 
    5.- La frequenza degli interventi sollecitati a questa Corte  con
riguardo  al  regime  sanzionatorio  del  reato  di  furto,   ed   in
particolare a quello previsto nel primo e nel secondo comma dell'art.
625  cod.  pen.  rispettivamente  per  il  furto  "monoaggravato"   e
"pluriaggravato",  fa  eco  al  risalente  dibattito  dottrinale  che
segnala tale disciplina come ipotesi emblematica del rigore eccessivo
della  tutela  apprestata  dal  codice  Rocco  al  patrimonio,  cosi'
tradendo pure le esigenze di sussidiarieta' dello strumento penale. 
    L'art. 625  cod.  pen.  viene  sovente  criticato  anche  per  la
imperfetta formulazione, che propende verso  criteri  descrittivi  di
tipo esasperatamente casistico, tali da  rendere,  in  rapporto  alla
normalita' empirica del delitto di furto, tutt'altro che  eccezionale
nella pratica la commissione di un furto  pluriaggravato,  stanti  le
innumerevoli  possibili  combinazioni  tra  i  gruppi  di  aggravanti
speciali e le tante aggravanti comuni che si  desumono  dall'art.  61
cod. pen., con correlati dubbi di reciproca compatibilita'. 
    La disposizione in esame porta, inoltre, a complesse controversie
interpretative sul calcolo della pena nei casi di concorso  fra  piu'
circostanze aggravanti previste sotto lo stesso numero dell'art. 625,
primo comma, cod. pen., o di concorso  di  una  sola  circostanza  ad
effetto speciale e di due, o piu', circostanze comuni. 
    Se e' indubbio che un miglioramento dello stato  delle  cose  sia
derivato  dall'estensione   del   giudizio   di   comparazione   alle
circostanze speciali, in forza del decreto-legge 11 aprile  1974,  n.
99 (Provvedimenti urgenti sulla giustizia  penale),  convertito,  con
modificazioni, nella legge 7 giugno 1974, n. 220, non  puo'  peraltro
dirsi che tale meccanismo di carattere generale abbia del tutto posto
rimedio alla incongruita' del trattamento punitivo del reato di furto
posto a confronto con  fattispecie  che  tutelano  altri  beni,  come
l'integrita' fisica, di maggior rilievo rispetto al patrimonio  nella
scala dei valori desumibile dalla Costituzione. 
    6.- Le censure sollevate dal Tribunale di Firenze, come premesso,
denunciano sia l'irragionevolezza intrinseca della  cornice  edittale
dell'art. 625, secondo comma, cod. pen., reputata  eccessiva  per  un
reato che offende il patrimonio,  sia  l'irragionevolezza  estrinseca
della deroga che la  seconda  ipotesi  della  disposizione  censurata
apporta rispetto al regime ordinario  del  concorso  tra  circostanze
comuni e  speciali  di  cui  all'art.  63,  terzo  comma,  cod.  pen.
L'irragionevolezza attribuita all'art. 625, secondo comma, cod.  pen.
dal rimettente si sintetizza nella frase secondo cui, in forza  della
norma denunciata, tutte «le  circostanze  aggravanti  comuni  di  cui
all'art. 61 c.p. diventano ad effetto speciale». 
    6.1.- In realta', la pena della reclusione da tre a dieci anni  e
della multa da 206 euro a 1.549 euro e'  fissata  nel  secondo  comma
dell'art.  625  cod.  pen.  in  base  al  modello  delle   cosiddette
"circostanze indipendenti", ovvero delle circostanze per le quali  la
legge determina la misura della pena in modo indipendente  da  quella
ordinaria  del  reato,  modello  che,  seppur  scomparso  dal   testo
dell'art. 63 cod. pen. dopo le modifiche  apportate  dalla  legge  31
luglio  1984,  n.  400  (Nuove  norme  sulla  competenza   penale   e
sull'appello contro le sentenze del pretore), e' tuttora riconosciuto
dall'art. 69, quarto comma, cod. pen. in tema di concorso eterogeneo. 
    La diposizione censurata determina, dunque, la misura della  pena
del furto pluriaggravato imponendo limiti edittali autonomi da quelli
stabiliti per il furto semplice e per il furto monoaggravato. In  tal
senso, l'identico trattamento  sanzionatorio  che  il  secondo  comma
dell'art. 625 cod. pen. riserva alle fattispecie di concorso di due o
piu' circostanze speciali del furto o di una circostanza speciale con
una circostanza comune e' frutto di una scelta  legislativa  propensa
ad una considerazione unitaria  della  condotta  di  volta  in  volta
incriminata, nella quale la  circostanza  aggravante  comune  diviene
elemento essenziale di un distinto reato aggravato tipico. 
    6.2.-  Ne'  e'  senza  rilievo  il  fatto  che  identica  tecnica
normativa e' stata utilizzata dal legislatore sia allorquando, con la
legge 26 marzo 2001, n. 128 (Interventi  legislativi  in  materia  di
tutela della sicurezza dei cittadini), e' intervenuto per configurare
quali reati autonomi il furto in abitazione e il  furto  con  strappo
(art. 624-bis, terzo comma, cod. pen.), sia  ancora  quando,  con  la
gia' citata legge n. 103 del 2017, ha inteso rendere piu'  severa  la
pena per il reato di rapina (art.  628,  quarto  comma,  cod.  pen.).
Appare, dunque,  evidente  come  la  regola  oggetto  del  dubbio  di
legittimita'  costituzionale  -  gia'  inserita  nella   formulazione
originaria dell'art.  625  cod.  pen.  -  rappresenti  una  reiterata
opzione di politica criminale volta ad individuare, per i  menzionati
delitti contro il patrimonio, una disciplina  unitaria  del  concorso
delle aggravanti, siano esse ad effetto speciale o comuni, opzione di
per se' non manifestamente irragionevole ed alla quale il sollecitato
intervento  di   questa   Corte   finirebbe   inammissibilmente   per
sovrapporsi. 
    6.3.- Nella prospettiva da ultimo delineata, la  declaratoria  di
illegittimita'  costituzionale  auspicata  dal  rimettente   darebbe,
invero,  luogo  in  via  interinale  ad  un  parziale  nuovo   quadro
sanzionatorio del furto pluriaggravato nel suo rapporto con il  furto
monoaggravato  (con  le  evidenziate  ricadute   su   altre   ipotesi
delittuose), facendo venire meno  la  considerazione  unitaria  della
specifica fattispecie delittuosa del furto pluriaggravato, di cui sia
elemento essenziale una circostanza  aggravante  comune;  intervento,
questo, che si surrogherebbe in maniera comunque assai limitata  alla
ben piu' ampia riforma di sistema della disciplina sanzionatoria  che
l'art. 625 cod. pen., e in generale i  reati  contro  il  patrimonio,
attendono, come ricordato, ormai da decenni. 
    7.-  Per   quanto   esposto,   le   questioni   di   legittimita'
costituzionale sollevate  dal  Tribunale  di  Firenze  nei  confronti
dell'art. 625, secondo comma,  cod.  pen.  devono  essere  dichiarate
inammissibili.