ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art.  18,  comma
5,  del  decreto  legislativo  10  agosto  2018,  n.   101,   recante
«Disposizioni  per  l'adeguamento  della  normativa  nazionale   alle
disposizioni del regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento  europeo  e
del Consiglio, del 27 aprile 2016,  relativo  alla  protezione  delle
persone fisiche con  riguardo  al  trattamento  dei  dati  personali,
nonche' alla libera  circolazione  di  tali  dati  e  che  abroga  la
direttiva 95/46/CE (regolamento generale sulla protezione dei dati)»,
promosso dal Tribunale ordinario di Verona, sezione  seconda  civile,
nel procedimento tra L. P. e il Garante per la  protezione  dei  dati
personali e altro, con ordinanza del 9 novembre 2020, scritta  al  n.
28 del registro ordinanze 2021 e pubblicata nella Gazzetta  Ufficiale
della Repubblica n. 10, prima serie speciale, dell'anno 2021. 
    Visti  l'atto  di  costituzione  di  L.  P.,  nonche'  l'atto  di
intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; 
    udita nell'udienza pubblica  del  23  novembre  2021  la  Giudice
relatrice Emanuela Navarretta; 
    uditi l'avvocato Lorenzo Picotti per L.  P.  e  l'avvocata  dello
Stato Beatrice Gaia Fiduccia per  il  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    deliberato nella camera di consiglio del 23 novembre 2021. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza del 9 novembre 2020,  iscritta  al  n.  28  del
registro ordinanze dell'anno 2021, il Tribunale ordinario di  Verona,
sezione  seconda  civile,  ha  sollevato  questioni  di  legittimita'
costituzionale dell'art. 18, comma  5,  del  decreto  legislativo  10
agosto 2018, n. 101, recante «Disposizioni  per  l'adeguamento  della
normativa nazionale alle disposizioni del regolamento  (UE)  2016/679
del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 aprile 2016,  relativo
alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei
dati personali, nonche' alla libera circolazione di tali dati  e  che
abroga la direttiva 95/46/CE (regolamento generale  sulla  protezione
dei dati)», in riferimento agli artt. 3 e 76 della Costituzione. 
    2.- Il rimettente riferisce di  dover  decidere  sull'opposizione
avverso  una  cartella  di  pagamento  relativa   ad   una   sanzione
amministrativa, irrogata dal  Garante  per  la  protezione  dei  dati
personali, per l'illecito previsto e punito dagli artt. 13 e 161  del
decreto legislativo 30  giugno  2003,  n.  196,  recante  «Codice  in
materia di protezione dei dati personali,  recante  disposizioni  per
l'adeguamento  dell'ordinamento  nazionale  al  regolamento  (UE)  n.
2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 aprile  2016,
relativo alla  protezione  delle  persone  fisiche  con  riguardo  al
trattamento dei dati personali, nonche' alla libera  circolazione  di
tali dati e che abroga la direttiva 95/46/CE», nel testo  antecedente
alle modifiche apportate dal d.lgs. n. 101 del 2018. 
    2.1.- In particolare, il giudice a quo  precisa  che  il  Garante
aveva avviato, in data 10 marzo 2014, nei confronti di L. P., la fase
di preistruttoria del  procedimento  sanzionatorio,  informandolo  di
aver ricevuto un esposto nel quale M. aveva rappresentato di  essersi
rivolto a L. P. per un parere legale e che questi avrebbe  omesso  di
rendere l'informativa in ordine al trattamento  dei  dati  personali,
come richiesto dall'art. 13 del d.lgs. n. 196 del 2003. 
    La fase di preistruttoria veniva definita dal Garante in  data  8
luglio 2014 con la notifica al professionista, ai sensi dell'art.  14
della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al  sistema  penale),
di  una  contestazione  avente  per  oggetto  la   violazione   delle
previsioni di cui agli artt. 13 e 161 del testo del d.lgs. n. 196 del
2003 vigente a quella data. 
    2.2.-  Nel  rispetto  del  termine  di  trenta  giorni,  previsto
dall'art. 18 della legge n. 689 del 1981, L. P. presentava le proprie
memorie difensive in ordine ai fatti contestati; tuttavia, alla  data
di applicazione del  regolamento  (UE)  n.  679/2016  del  Parlamento
europeo e del Consiglio, del 27 aprile 2016, vale a dire il 25 maggio
2018, il procedimento non era stato ancora definito. 
    3.- Il rimettente prosegue esponendo che, prima del  decorso  del
termine di prescrizione  quinquennale  previsto  dall'art.  28  della
legge n. 689 del 1981 - termine che, nel caso oggetto del giudizio  a
quo, era stato interrotto, in data  8  luglio  2014,  dalla  notifica
della contestazione della violazione effettuata dal Garante a  L.  P.
-, entrava in vigore il d.lgs. n. 101 del 2018. Tale normativa, oltre
ad  apportare  numerose  modifiche  al  d.lgs.  n.  196   del   2003,
introduceva, mediante il suo  art.  18,  una  disciplina  di  diritto
transitorio, relativa alla sorte dei  procedimenti  sanzionatori  non
ancora definiti con la  pronuncia  di  un'ordinanza-ingiunzione  alla
data di applicazione del regolamento n. 679/2016/UE. 
    3.1.-  I  primi  quattro  commi  dell'art.   18   prevedono,   in
particolare, un meccanismo di risoluzione agevolata dei  procedimenti
sanzionatori  non   ancora   conclusi,   cosi'   sintetizzabile.   Il
destinatario della contestazione ha la possibilita'  di  definire  il
procedimento con il pagamento della sanzione in misura  ridotta  (due
quinti del minimo) entro un termine di novanta giorni dall'entrata in
vigore del d.lgs. n. 101 del 2018 (avvenuta il 19 settembre 2018). In
mancanza del pagamento in misura ridotta, «l'atto con il  quale  sono
stati  notificati  gli  estremi  della  violazione,   o   l'atto   di
contestazione  immediata  di  cui  all'articolo  14  della  legge  24
novembre 1981, n. 689, assumono il valore  dell'ordinanza-ingiunzione
di cui  all'articolo  18  della  predetta  legge,  senza  obbligo  di
ulteriore notificazione». In tal caso, il contravventore e' tenuto  a
pagare gli  importi  indicati  negli  atti  a  lui  notificati  entro
sessanta giorni dalla scadenza del termine per il pagamento in misura
ridotta; tuttavia, nello stesso termine, ha la facolta' di presentare
nuove memorie difensive, a fronte delle quali il Garante e' tenuto ad
adottare un provvedimento espresso di ingiunzione al pagamento o,  in
alternativa, di archiviazione. 
    3.2.-  Infine,  il  comma  5   dell'art.   18   stabilisce   che:
«[l]'entrata in vigore del presente decreto determina  l'interruzione
del termine di prescrizione del diritto a riscuotere le somme  dovute
a norma del presente articolo, di cui all'articolo 28 della legge  24
novembre 1981, n. 689». 
    3.3.- Il Tribunale riferisce che, nel caso oggetto del giudizio a
quo, L.  P.  non  procedeva  al  pagamento  in  misura  ridotta,  ne'
presentava nuove memorie integrative. Pertanto, il Garante, in virtu'
della   trasformazione   ope   legis   dell'atto   di   contestazione
dell'infrazione in ordinanza-ingiunzione, iscriveva a ruolo le  somme
individuate dall'atto di contestazione  e  trasmetteva  il  ruolo  al
concessionario per la riscossione, il  quale,  in  data  18  dicembre
2019, notificava a L. P. la cartella di pagamento. 
    3.4.- Il rimettente espone che,  avverso  tale  cartella,  L.  P.
proponeva opposizione ai sensi dell'art. 615, primo comma, del codice
di procedura civile, deducendo un duplice ordine di contestazioni. 
    3.4.1.-  In  primo  luogo,  faceva  valere  vizi  di  merito  del
provvedimento impugnato, sollecitando il giudice  dell'opposizione  a
disapplicare i primi quattro commi dell'art. 18 del d.lgs. n. 101 del
2018  per  contrasto  con  il  diritto  dell'Unione  europea  o,   in
alternativa, a sollevare  questioni  di  legittimita'  costituzionale
delle medesime disposizioni. 
    3.4.1.1.- Sotto questo profilo, il Tribunale  adito  ritiene  che
l'opposizione alla cartella abbia  una  funzione  recuperatoria,  sia
cioe' diretta a contestare vizi degli atti prodromici, dei  quali  il
ricorrente deduceva di non essere venuto a conoscenza  per  omessa  o
invalida notificazione. Pertanto, secondo il Tribunale, l'opposizione
deve ritenersi tardiva per intervenuta decadenza ai  sensi  dell'art.
10, comma 3, del  decreto  legislativo  1°  settembre  2011,  n.  150
(Disposizioni complementari al codice di procedura civile in  materia
di riduzione e semplificazione dei procedimenti civili di cognizione,
ai sensi dell'articolo 54 della legge 18 giugno 2009, n. 69). 
    3.4.2.-  In  secondo  luogo,   l'opponente   faceva   valere   la
prescrizione del diritto a riscuotere le somme dovute per  l'illecito
contestato e, a tal fine, chiedeva che venisse sollevata la questione
di  legittimita'  costituzionale  con  riferimento  al  quinto  comma
dell'art. 18 del d.lgs. n. 101 del 2018. 
    3.4.2.1.-  Relativamente  a  questa  seconda  contestazione,   il
rimettente reputa l'opposizione all'esecuzione proponibile, in quanto
diretta a far valere un vizio successivo alla formazione  del  titolo
esecutivo. La prescrizione, infatti, risulterebbe maturata solo  dopo
che, ope legis, si era formato il titolo esecutivo. 
    Quest'ultimo - secondo il giudice a quo - sarebbe  scaturito,  in
forza dell'art. 18, comma 2,  del  d.lgs.  n.  101  del  2018,  dalla
conversione dell'atto di contestazione  dell'illecito  dell'8  luglio
2014 in ordinanza-ingiunzione, dopo che erano decorsi novanta  giorni
dall'entrata in vigore del d.lgs. n. 101 del  2018  (avvenuta  il  19
settembre 2018), senza che, nei successivi  sessanta  giorni,  L.  P.
avesse presentato nuove memorie difensive. 
    Il titolo esecutivo risulterebbe, dunque, formato  prima  che  il
termine quinquennale di prescrizione - inizialmente decorrente  dalla
data della presunta violazione (avvenuta in data 10 ottobre 2013), ma
poi interrotto dalla notifica della contestazione (in data  8  luglio
2014) - fosse maturato, vale a dire prima dell'8 luglio 2019. 
    D'altro canto, lo spirare del  termine  di  prescrizione  sarebbe
antecedente alla notifica della cartella di pagamento, avvenuta il 18
dicembre  2019,  il  che  renderebbe  l'eccezione   di   prescrizione
opponibile con il procedimento di cui all'art. 615 cod.  proc.  civ.,
salvo l'impedimento  costituito  proprio  dalla  interruzione  legale
della prescrizione contemplata dall'art. 18, comma 5, del  d.lgs.  n.
101 del 2018. 
    4.- Sulla  base  della  descritta  ricostruzione  dei  fatti,  il
giudice a quo ravvisa la rilevanza delle  questioni  di  legittimita'
costituzionale relative al  citato  art.  18,  comma  5.  Dalla  loro
decisione  dipenderebbe,  infatti,  la  possibilita'  di   accogliere
l'eccezione di prescrizione quinquennale, formulata dall'opponente ai
sensi dell'art. 28 della legge n. 689 del 1981. 
    Il  termine  di  prescrizione  quinquennale,   che   risulterebbe
maturato l'8 luglio 2019, sarebbe  decorso  dopo  la  formazione  del
provvedimento sanzionatorio e prima della notifica della cartella  di
pagamento. Pertanto, solo l'art. 18, comma 5, del d.lgs. n.  101  del
2018 ostacolerebbe la proponibilita' dell'eccezione  di  prescrizione
nel giudizio di opposizione all'esecuzione. 
    5.- In punto di non manifesta infondatezza della questione  posta
con riferimento all'art. 76 Cost., il rimettente ritiene che la legge
25 ottobre 2017, n. 163 (Delega al Governo per il  recepimento  delle
direttive europee e l'attuazione di altri atti dell'Unione europea  -
Legge  di  delegazione  europea  2016-2017)  non  conterrebbe  alcuna
previsione  idonea  ad  abilitare  il   legislatore   ad   introdurre
disposizioni sulla prescrizione, volte ad  allungare  i  tempi  della
pretesa sanzionatoria  fatta  valere  dall'autorita'  amministrativa.
Considerato che la legge di delegazione  attribuisce  al  Governo  il
potere di emanare norme finalizzate ad adeguare l'ordinamento interno
alle previsioni del regolamento n.  679/2016/UE  e  rilevato  che  lo
stesso si applica unicamente ai fatti commessi a partire  dalla  data
del 25 maggio 2018, il rimettente sostiene che non si possa includere
tra i poteri attribuiti al legislatore delegato quello di intervenire
sui procedimenti sanzionatori  concernenti  fattispecie  non  oggetto
della regolamentazione europea. 
    6.- Di seguito, il Tribunale motiva la non manifesta infondatezza
di plurime questioni sollevate nell'alveo dell'art. 3 Cost. 
    6.1.- Innanzitutto, contesta  una  ingiustificata  disparita'  di
trattamento tra fattispecie identiche, solo  in  ragione  della  loro
diversa collocazione temporale. 
    La prescrizione quinquennale di cui all'art. 28  della  legge  n.
689  del  1981  opererebbe:  per  gli  illeciti  il  cui  termine  di
prescrizione sia gia'  maturato  prima  dell'entrata  in  vigore  del
d.lgs. n. 101 del 2018; per quelli commessi  prima  dell'applicazione
del regolamento n. 679/2016/UE, e non ancora contestati dal  Garante;
e per quelli commessi sotto la vigenza del nuovo regolamento europeo.
Per converso, in base  alla  disposizione  censurata,  solo  per  gli
illeciti  gia'  contestati  e  non  ancora  definiti  alla  data   di
applicazione  del  regolamento  n.   679/2016/UE,   il   termine   di
prescrizione sarebbe  «di  cinque  anni  decorrente  dall'entrata  in
vigore  della  legge  piu'  il  tempo  gia'  trascorso  tra  la  data
dell'illecito e quella di entrata in vigore dell'art. 18  del  d.lgs.
n. 101/2018». 
    Nella ricostruzione del rimettente non potrebbe la mera  pendenza
di un procedimento sanzionatorio, alla data di entrata in vigore  del
regolamento n. 679/2016/UE, giustificare tale discriminazione. 
    6.2.- Il rimettente ritiene, inoltre, violato l'art. 3 Cost.,  in
quanto l'interruzione legale della prescrizione  andrebbe  a  ledere,
«sulla base di una previsione di carattere retroattivo [...] senza un
apparente valido motivo, [l']affidamento sull'estinzione del  diritto
in  ragione  dell'inerzia  del  titolare».   Peraltro,   la   lesione
dell'affidamento non sarebbe bilanciata dalla facolta'  di  liberarsi
con  il  pagamento  di  un  ammontare  ulteriormente  ridotto   della
sanzione, perche' l'interessato non  riceve  alcuna  comunicazione  e
potrebbe  finanche  ritenere  di  non  essere  piu'   sottoposto   al
procedimento  sanzionatorio,  non  avendo  l'Autorita'  l'obbligo  di
comunicare all'interessato l'ordinanza di archiviazione. 
    6.3.- Rileva, inoltre, il giudice a quo che «[l]a prescrizione e'
[...] anche strumentale ad assicurare il  diritto  di  difendersi  in
giudizio da parte dell'obbligato, in quanto, decorso un  certo  lasso
di tempo dalla data del fatto generatore  del  diritto,  puo'  essere
difficile o impossibile per la parte formulare i  mezzi  di  prova  a
sostegno delle proprie tesi difensive». 
    Il rimettente, dunque, denuncia, sempre nella  prospettiva  della
violazione  dell'art.  3  Cost.,  il  contrasto  con  i  principi  di
proporzionalita' e di ragionevolezza. 
    La disposizione censurata  «consente  all'autorita'  di  rimanere
inerte nell'esercitare il proprio  diritto  per  un  lasso  di  tempo
ulteriore che puo' durare sino a cinque anni dall'entrata  in  vigore
dell'art. 18 del d.lgs. n. 101/2018, senza che questa  inerzia  possa
trovare  giustificazione  nell'esistenza   di   ostacoli   di   fatto
nell'esercitare il diritto a riscuotere le somme».  Al  contrario,  i
primi commi dell'art. 18 del d.lgs. n. 101 del 2018 disegnerebbero un
meccanismo  di  semplificazione  del  procedimento,  sicche'  non  vi
sarebbe alcun aggravio procedimentale per l'amministrazione  tale  da
giustificare e da rendere conforme al principio  di  proporzionalita'
l'interruzione ex lege della prescrizione. 
    La previsione censurata evidenzierebbe,  inoltre,  una  manifesta
irragionevolezza, perche' «[i]n base agli articoli 2943 c.c.  e  2944
c.c. - richiamati dall'art. 28 della legge n. 689/1981  a  sua  volta
richiamat[o]  dall'art.  166  del  codice  della  privacy  nella  sua
formulazione pro tempore vigente - costituiscono atti di interruzione
della prescrizione la domanda giudiziale e, per i diritti di credito,
ogni atto che valga a costituire in  mora  l'obbligato,  nonche'  gli
atti con cui il soggetto obbligato riconosce l'altrui  diritto».  Per
converso, la mera pendenza di un  procedimento  sanzionatorio  «altro
non e'  che  una  situazione  di  pura  stasi,  neppure  lontanamente
assimilabile ad un atto di esercizio del diritto  o  ad  un  atto  di
riconoscimento  proveniente  da  parte  del  soggetto  passivo  della
pretesa  creditoria».  Sarebbe,  quindi,  «del  tutto  irragionevole,
rispetto alla disciplina  ordinaria  degli  atti  interruttivi  della
prescrizione, ricollegare alla  mera  esistenza  di  un  procedimento
sanzionatorio l'effetto interruttivo della prescrizione». 
    7.- Si e' costituito in giudizio il  ricorrente  nel  processo  a
quo,  il  quale   ha   aderito   alle   questioni   di   legittimita'
costituzionale sollevate rispetto all'art. 18, comma 5, del d.lgs. n.
101 del 2018, e ha riproposto gli ulteriori motivi di  censura,  gia'
fatti valere nel giudizio a quo, con  riferimento  agli  altri  commi
dell'art. 18. 
    7.1.- In particolare, L. P. chiede a questa Corte di estendere il
sindacato di costituzionalita' ai commi dal 2 al 4 dell'art. 18,  sul
presupposto che essi formino, con il comma 5, un unicum  inscindibile
e che tale complessiva disciplina sia affetta dai  medesimi  vizi  di
legittimita' costituzionale. Ritiene, infatti, che il regolamento  n.
679/2016/UE, in quanto normativa direttamente applicabile (a far data
dal 25 maggio 2018, e non dal 19 settembre 2018, data di  entrata  in
vigore del d.lgs. n. 101 del 2018), avrebbe immediatamente imposto il
nuovo regime sanzionatorio, precludendo alle autorita'  nazionali  di
disciplinare gli illeciti amministrativi commessi in epoca anteriore,
se non sulla base delle nuove regole contestualmente introdotte. 
    7.1.1.-  Aggiunge,  inoltre,   che,   trattandosi   di   sanzioni
amministrative   aventi   carattere   punitivo,   dovrebbe    trovare
applicazione il canone di retroattivita' della legge piu' favorevole,
come affermato da questa Corte  con  la  sentenza  n.  63  del  2019.
L'automatismo delineato nell'art. 18  censurato  porterebbe,  invece,
all'applicazione di una disciplina sanzionatoria piu'  sfavorevole  e
si porrebbe per tale ragione in contrasto con gli artt.  3  Cost.,  7
della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo  e  delle
liberta' fondamentali (CEDU), firmata a  Roma  il  4  novembre  1950,
ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955,  n.  848,  e  49
della Carta dei diritti  fondamentali  dell'Unione  europea  (CDFUE),
proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata a Strasburgo  il  12
dicembre 2007, questi ultimi  richiamabili  nell'ordinamento  interno
attraverso gli artt. 11 e 117 Cost. 
    7.2.- Da ultimo, L. P. sottolinea che l'interruzione  legale  del
termine di prescrizione determinerebbe  un  arbitrario  prolungamento
del procedimento, per di  piu'  in  una  materia  sanzionatoria,  con
conseguente  violazione  del  principio  di  ragionevole  durata  del
processo. 
    8.- Nel giudizio e' intervenuto il Presidente del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, che ha chiesto di dichiarare le questioni non fondate. 
    8.1.- In  ordine  all'asserita  violazione  dell'art.  76  Cost.,
l'Avvocatura eccepisce che la  cornice  di  delega,  contenuta  nella
legge n. 163 del 2017,  conferirebbe  al  legislatore  delegato  ampi
poteri di intervento sulle norme preesistenti contenute nel d.lgs. n.
196 del 2003. 
    Osserva, inoltre, che la legge di delegazione richiama i principi
e i criteri direttivi generali di cui  all'art.  32  della  legge  24
dicembre  2012,  n.  234   (Norme   generali   sulla   partecipazione
dell'Italia alla formazione e all'attuazione della normativa e  delle
politiche dell'Unione europea), tra i quali si ascrive la  previsione
secondo cui «ai fini di un migliore coordinamento con  le  discipline
vigenti per i singoli settori interessati dalla normativa da attuare,
sono introdotte le occorrenti modificazioni alle  discipline  stesse,
anche attraverso il riassetto  e  la  semplificazione  normativi  con
l'indicazione  esplicita  delle  norme  abrogate,   fatti   salvi   i
procedimenti oggetto  di  semplificazione  amministrativa  ovvero  le
materie oggetto di delegificazione». 
    L'Avvocatura sottolinea,  quindi,  come  l'adeguamento  al  nuovo
regolamento UE avrebbe richiesto «dei ripensamenti normativi profondi
in ordine agli oneri da  imporre  ai  titolari  del  trattamento,  ai
diritti  spettanti  agli  interessati,  ai  poteri  attribuiti   alle
Autorita' di controllo, nonche' all'impianto sanzionatorio»,  sicche'
l'introduzione della disposizione censurata  non  avrebbe  comportato
uno sviamento rispetto ai principi e ai criteri dettati dalla delega. 
    8.2.- Quanto alle questioni sollevate con riferimento all'art.  3
Cost., l'Avvocatura eccepisce,  innanzitutto,  l'insussistenza  della
disparita' di trattamento, prospettata dal rimettente con riferimento
alle violazioni commesse prima dell'entrata in vigore del  d.lgs.  n.
101 del 2018, per le quali il  termine  di  prescrizione  fosse  gia'
decorso. Secondo la difesa erariale, trattandosi di  un  procedimento
sanzionatorio di tipo amministrativo, il principio tempus regit actum
incontrerebbe il solo  limite  dell'intangibilita'  delle  situazioni
giuridiche soggettive oramai definite. 
    8.3.- Relativamente, poi, alla denunciata irragionevolezza e  non
proporzionalita' della disposizione censurata,  l'Avvocatura  osserva
che   la   stessa   sarebbe   stata   «adottata   in   un'ottica   di
semplificazione, efficienza  ed  efficacia  amministrativa  ai  sensi
dell'art. 97 Cost., la cui attuazione era  volta  ad  incentivare  la
possibilita' che il contravventore decidesse di pagare immediatamente
l'importo  della  sanzione  determinato   dall'Autorita'»,   peraltro
attraverso un beneficio per i contravventori, ammessi  -  in  via  di
eccezione  -  al  pagamento  in   misura   ridotta   di   una   somma
corrispondente a quella conseguita all'applicazione della  diminuente
del fatto di minore gravita' (art.  164-bis,  comma  l,  del  vecchio
testo  del  d.lgs.  n.  196  del  2003).  In  aggiunta,  l'Avvocatura
sottolinea come l'art. 18 garantirebbe  il  contraddittorio,  facendo
salva la possibilita' per il trasgressore di integrare le  difese  al
fine  di  far  riemergere  il  potere  valutativo  dell'Autorita'  e,
eventualmente, giungere all'archiviazione del procedimento. 
    Infine, l'interveniente conclude rilevando che, «rispetto a  tali
finalita' di  rango  pubblicistico,  l'interruzione  del  termine  di
prescrizione puo' essere considerata una  soluzione  proporzionata  e
ragionevole, specie avuto  riguardo  ad  una  disposizione  [...]  di
carattere eccezionale e  transitorio  nell'ambito  della  riforma  in
materia di protezione dei dati personali e del suo  profondo  impatto
sull'ordinamento italiano». 
    9.- In data 2 novembre 2021 la parte ha depositato  una  memoria,
nella quale  ha  ribadito  gli  argomenti  gia'  spesi  nell'atto  di
costituzione, soffermandosi, in particolare, sull'irragionevolezza  e
sulla non proporzionalita' della previsione di cui alla  disposizione
censurata. 
    10.- Nella medesima data anche il Presidente  del  Consiglio  dei
ministri ha depositato una memoria, nella quale si  e'  opposto  alla
richiesta della controparte di estendere il giudizio di  legittimita'
costituzionale ai commi da 2 a 4 dell'art. 18 del d.lgs. n.  101  del
2018, contestando la sussistenza dei presupposti che consentono  alla
Corte di avvalersi dell'istituto dell'illegittimita'  consequenziale,
ai sensi dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87  (Norme  sulla
costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale). 
    Inoltre,  la  difesa   erariale   ha   confutato   la   possibile
applicazione della disciplina dettata dal regolamento n.  679/2016/UE
agli illeciti commessi  prima  della  sua  entrata  in  vigore  e  ha
ritenuto immotivato il richiamo  al  principio  della  retroattivita'
della lex mitior, tanto piu' in  quanto  la  sanzione  amministrativa
oggetto del giudizio a quo non avrebbe una carica afflittiva  che  la
possa ascrivere a quelle di tipo punitivo. 
    11.- All'udienza del 23 novembre 2021, gli avvocati  della  parte
costituita e dell'interveniente  nel  giudizio  hanno  insistito  per
l'accoglimento delle conclusioni rassegnate negli scritti difensivi. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Con ordinanza del 9 novembre 2020,  iscritta  al  n.  28  del
registro ordinanze dell'anno 2021, il Tribunale ordinario di  Verona,
sezione  seconda  civile,  ha  sollevato  questioni  di  legittimita'
costituzionale dell'art. 18, comma  5,  del  decreto  legislativo  10
agosto 2018, n. 101, recante «Disposizioni  per  l'adeguamento  della
normativa nazionale alle disposizioni del regolamento  (UE)  2016/679
del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 aprile 2016,  relativo
alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei
dati personali, nonche' alla libera circolazione di tali dati  e  che
abroga la direttiva 95/46/CE (regolamento generale  sulla  protezione
dei dati)», in riferimento agli artt. 3 e 76 della Costituzione. 
    2.- L'art. 18, comma 5, del d.lgs. n. 101 del  2018  prevede,  in
particolare,  che  «[l]'entrata  in  vigore  del   presente   decreto
determina l'interruzione del termine di prescrizione  del  diritto  a
riscuotere le somme dovute a norma  del  presente  articolo,  di  cui
all'art. 28 della legge 24 novembre 1981, n. 689». 
    3.- Sotto il profilo della rilevanza, il rimettente osserva  che,
nella fattispecie oggetto del giudizio a quo,  l'opponente  ha  fatto
valere  la  prescrizione  del  credito  vantato  dall'amministrazione
(nella specie: il Garante per  la  protezione  dei  dati  personali),
avente  ad  oggetto  le   somme   dovute   a   titolo   di   sanzione
amministrativa, e che, ove la disposizione censurata  dovesse  essere
dichiarata    costituzionalmente    illegittima,    l'eccezione    di
prescrizione andrebbe accolta. 
    Il  titolo  esecutivo  si  sarebbe,  infatti,  formato   con   la
conversione ope legis dell'atto  di  contestazione  dell'illecito  in
ordinanza-ingiunzione, decorsi novanta giorni dall'entrata in  vigore
del d.lgs. n. 101 del 2018 (avvenuta il  19  settembre  2018),  senza
che, nei successivi sessanta giorni, L. P.  avesse  presentato  nuove
memorie. 
    Il  maturare  del  termine  di  prescrizione  che,   in   assenza
dell'interruzione  legale,  sarebbe  avvenuto  l'8  luglio  2019,  si
collocherebbe, dunque, in una data successiva al formarsi del  titolo
esecutivo e antecedente alla notifica della  cartella  di  pagamento,
avvenuta l'8 dicembre 2019. 
    Ambedue  le  ragioni  renderebbero  l'eccezione  di  prescrizione
opponibile nel giudizio a quo, salvo,  per  l'appunto,  l'impedimento
costituito dalla interruzione legale della  prescrizione  contemplata
dall'art. 18, comma 5, del d.lgs. n. 101 del 2018. 
    4.- Quanto alla non manifesta infondatezza della questione  posta
con riferimento all'art. 76 Cost., il rimettente ritiene che la legge
25 ottobre 2017, n. 163 (Delega al Governo per il  recepimento  delle
direttive europee e l'attuazione di altri atti dell'Unione europea  -
Legge  di  delegazione  europea  2016-2017)  non  conterrebbe  alcuna
previsione,  idonea  ad  abilitare  il  legislatore   ad   introdurre
disposizioni di diritto temporale,  volte  a  procrastinare  i  tempi
della prescrizione di sanzioni contestate dall'amministrazione  prima
dell'applicazione del regolamento (UE)  n.  679/2016  del  Parlamento
europeo e del Consiglio, del 27 aprile 2016. 
    Considerato che la legge di delegazione attribuisce al Governo il
potere di emanare norme finalizzate ad adeguare l'ordinamento interno
alle disposizioni dettate dal regolamento n. 679/2016/UE  e  rilevato
che lo stesso si applica solamente ai fatti successivi alla data  del
25 maggio 2018, il rimettente contesta che, tra i  poteri  attribuiti
al legislatore delegato, possa includersi quello di  intervenire  sui
procedimenti sanzionatori concernenti fattispecie non  oggetto  della
regolamentazione europea. 
    5.- Sempre in punto di non manifesta infondatezza,  il  Tribunale
rimettente ravvisa poi plurime ragioni  di  contrasto  con  l'art.  3
Cost. 
    L'art. 18, comma 5, del d.lgs. n. 101  del  2018  determinerebbe,
innanzitutto, una irragionevole disparita' di  trattamento:  rispetto
agli illeciti il cui termine di prescrizione sia gia' maturato  prima
dell'entrata in vigore del d.lgs. n. 101 del 2018; rispetto a  quelli
commessi prima dell'applicazione del regolamento  n.  679/2016/UE,  e
non ancora contestati dal Garante; infine, rispetto a quelli commessi
sotto la vigenza dell'indicato  regolamento  europeo.  Il  rimettente
osserva  che  per  tali   violazioni   opererebbe   la   prescrizione
quinquennale, di cui all'art. 28 della legge 24 novembre 1981, n. 689
(Modifiche al sistema penale), mentre  solo  per  gli  illeciti  gia'
contestati e non  ancora  definiti  alla  data  di  applicazione  del
regolamento n. 679/2016/UE, il termine di  prescrizione  sarebbe  «di
cinque anni decorrente dall'entrata in vigore  della  legge  piu'  il
tempo gia' trascorso tra la data dell'illecito e quella di entrata in
vigore dell'art. 18 del d.lgs. n. 101/2018». 
    Il giudice a  quo  ritiene,  inoltre,  violato  l'art.  3  Cost.,
poiche' l'interruzione legale della prescrizione  andrebbe  a  ledere
«sulla base di una previsione di carattere retroattivo  [...,]  senza
un  apparente  valido  motivo,  [l']affidamento  sull'estinzione  del
diritto in ragione dell'inerzia del titolare». 
    A  tale  rilievo  aggiunge  poi   la   considerazione   che   «la
prescrizione e' [...] anche strumentale ad assicurare il  diritto  di
difendersi in giudizio da parte dell'obbligato, in quanto, decorso un
certo lasso di tempo dalla data del  fatto  generatore  del  diritto,
puo' essere difficile o impossibile per la parte formulare i mezzi di
prova a sostegno delle proprie tesi difensive». 
    Il rimettente, dunque, denuncia, sempre nella  prospettiva  della
violazione  dell'art.  3  Cost.,  il  contrasto  con  i  principi  di
proporzionalita' e di ragionevolezza. 
    La disposizione censurata  «consente  all'autorita'  di  rimanere
inerte nell'esercitare il proprio  diritto  per  un  lasso  di  tempo
ulteriore che puo' durare sino a cinque anni dall'entrata  in  vigore
dell'art. 18 del d.lgs. n. 101/2018, senza che questa  inerzia  possa
trovare  giustificazione  nell'esistenza   di   ostacoli   di   fatto
nell'esercitare il diritto a riscuotere le somme».  Al  contrario,  i
primi commi dell'art. 18 del d.lgs. n. 101 del 2018 disegnerebbero un
meccanismo  di  semplificazione  del  procedimento,  sicche'  non  vi
sarebbe alcun aggravio procedimentale per l'amministrazione  tale  da
giustificare e da rendere conforme al principio  di  proporzionalita'
l'interruzione ex lege della prescrizione. 
    La previsione censurata evidenzierebbe,  inoltre,  una  manifesta
irragionevolezza, perche' «in base agli articoli  2943  c.c.  e  2944
c.c. -  richiamati  dall'art.  28  della  l.  689/1981  a  sua  volta
richiamat[o]  dall'art.  166  del  codice  della  privacy  nella  sua
formulazione pro tempore vigente - costituiscono atti di interruzione
della prescrizione la domanda giudiziale e, per i diritti di credito,
ogni atto che valga a costituire in  mora  l'obbligato,  nonche'  gli
atti con cui il soggetto obbligato riconosce l'altrui  diritto».  Per
converso,  «la  situazione  di  pura  stasi   [di   un   procedimento
amministrativo non sarebbe] neppure lontanamente assimilabile  ad  un
atto di  esercizio  del  diritto  o  ad  un  atto  di  riconoscimento
proveniente da parte del soggetto passivo della pretesa  creditoria».
Sarebbe, quindi, «del tutto irragionevole, rispetto  alla  disciplina
ordinaria degli atti  interruttivi  della  prescrizione,  ricollegare
alla  mera  esistenza  di  un  procedimento  sanzionatorio  l'effetto
interruttivo della prescrizione». 
    6.- Si e' costituito  in  giudizio  L.  P.,  parte  nel  giudizio
principale,  ed  e'  intervenuto  il  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato. 
    L'Avvocatura ha, in particolare, eccepito la non fondatezza delle
questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 18, comma  5,  del
d.lgs. n. 101 del 2018, sollevate con riferimento agli artt. 3  e  76
Cost. 
    7.- Fermo restando il potere di questa Corte di decidere l'ordine
delle questioni da affrontare (sentenze n. 246 del 2020, n.  258  del
2019 e  n.  148  del  2018),  la  censura  relativa  alla  violazione
dell'art. 76 Cost., in quanto logicamente preliminare,  va  esaminata
in via prioritaria. 
    La questione non e' fondata. 
    7.1.- L'art. 13 della legge  n.  163  del  2017  ha  delegato  il
Governo ad adottare uno  o  piu'  decreti  legislativi,  al  fine  di
adeguare  il  quadro  normativo  nazionale  alle   disposizioni   del
regolamento n. 679/2016/UE. 
    Nel delimitare e conformare l'esercizio della delega, il comma  3
dell'art. 13 ha richiamato, innanzitutto, l'art. 32  della  legge  24
dicembre  2012,  n.  234   (Norme   generali   sulla   partecipazione
dell'Italia alla formazione e all'attuazione della normativa e  delle
politiche dell'Unione europea), che detta  i  principi  e  i  criteri
direttivi di carattere generale da seguire  in  sede  di  recepimento
nell'ordinamento interno di atti dell'Unione europea. In particolare,
a tali criteri generali si ascrive quello secondo cui «ai fini di  un
migliore coordinamento  con  le  discipline  vigenti  per  i  singoli
settori interessati dalla normativa da attuare,  sono  introdotte  le
occorrenti modificazioni alle discipline stesse, anche attraverso  il
riassetto e la semplificazione normativi con l'indicazione  esplicita
delle  norme  abrogate,  fatti  salvi  i  procedimenti   oggetto   di
semplificazione  amministrativa  ovvero   le   materie   oggetto   di
delegificazione» (art. 32, comma 1, lettera b). 
    Sempre la legge n. 163 del 2017, all'art. 13,  comma  3,  lettera
c), nel prevedere specifici principi e criteri direttivi, ha  inoltre
conferito al legislatore delegato l'ampio mandato di  «coordinare  le
disposizioni vigenti in materia di protezione dei dati personali  con
le disposizioni recate dal regolamento (UE) 2016/679». 
    Tali  indicazioni  normative  devono,  infine,  collocarsi  nella
cornice della  costante  giurisprudenza  costituzionale,  secondo  la
quale  «la  previsione  di   cui   all'art.   76   Cost.   non   osta
all'emanazione, da parte  del  legislatore  delegato,  di  norme  che
rappresentino un coerente sviluppo e un  completamento  delle  scelte
espresse  dal  legislatore  delegante,  dovendosi  escludere  che  la
funzione del primo sia limitata ad una mera scansione linguistica  di
previsioni stabilite dal secondo» (sentenze n. 133 del 2021 e n.  212
del 2018). Spettano, in sostanza, al legislatore delegato «margini di
discrezionalita' nell'attuazione della  delega,  sempre  che  ne  sia
rispettata la ratio e che l'attivita' del delegato  si  inserisca  in
modo  coerente  nel  complessivo  quadro  normativo  di  riferimento»
(sentenza n. 59 del 2016; nello stesso senso, sentenze n. 146 e n. 98
del 2015, n. 119 del 2013). 
    Il riconoscimento di tale spazio di  discrezionalita',  dentro  i
confini ermeneutici del coerente sviluppo e del  completamento  delle
indicazioni fornite dal legislatore delegante  (sentenze  n.  10  del
2018, n. 146 del 2015 e n. 229 del 2014), e', del resto,  tanto  piu'
avvertito, ove  la  delega  riguardi  l'adeguamento  della  normativa
nazionale alle fonti sovranazionali nell'ambito del riordino  di  una
materia complessa. E tale, senza dubbio, e' l'adattamento del  codice
sul trattamento dei dati personali ad un corpo normativo articolato e
fortemente innovativo, qual e' il  regolamento  n.  679/2016/UE,  che
oltretutto incide su un  «codice»  preesistente,  gia'  attuativo  di
precedenti atti dell'Unione europea (in  senso  analogo  si  veda  la
sentenza n. 100 del 2020). 
    7.2.- Sulla scorta, dunque, del contenuto dei criteri di  delega,
della ratio della legge n. 163 del 2017 e degli orientamenti espressi
da questa Corte con riferimento all'art. 76 Cost., si  deve  ritenere
che, in sede di adattamento all'ordinamento interno di uno  strumento
di particolare complessita', qual e' il regolamento  n.  679/2016/UE,
il legislatore delegato ben potesse, oltre a integrare e a introdurre
opportuni raccordi con la nuova  disciplina  dotata  di  un'immediata
efficacia   diretta,   anche   coordinare   quest'ultima   a   quella
preesistente, mediante disposizioni volte a regolare  la  transizione
dall'uno all'altro assetto normativo. 
    In virtu' delle motivazioni esposte, la questione di legittimita'
costituzionale  sollevata  in  riferimento  all'art.  76  Cost.  deve
ritenersi non fondata. 
    8.- Venendo ora all'esame delle censure sollevate con riferimento
all'art. 3 Cost., e' fondata la questione relativa  alla  violazione,
da parte dell'art. 18, comma 5, del  d.lgs.  n.  101  del  2018,  del
principio di ragionevolezza e del canone di proporzionalita'. 
    La disamina di tali profili richiede di ricostruire, in  sintesi,
il quadro normativo nel quale si colloca la disposizione censurata. 
    9.- L'art. 18, comma 5, del d.lgs. n. 101 del 2018  prevede,  con
decorrenza dalla sua entrata in vigore, l'interruzione  ex  lege  del
termine di prescrizione, relativamente ai procedimenti sanzionatori -
soggetti alla disciplina, antecedente  alla  riforma  del  2018,  del
decreto legislativo 30  giugno  2003,  n.  196,  recante  «Codice  in
materia di protezione dei dati personali,  recante  disposizioni  per
l'adeguamento  dell'ordinamento  nazionale  al  regolamento  (UE)  n.
2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 aprile  2016,
relativo alla  protezione  delle  persone  fisiche  con  riguardo  al
trattamento dei dati personali, nonche' alla libera  circolazione  di
tali dati e che abroga la direttiva 95/46/CE» -  che,  alla  data  di
applicazione del regolamento n. 679/2016/UE, siano stati avviati,  ma
non ancora definiti con l'adozione dell'ordinanza-ingiunzione. 
    Tali procedimenti sanzionatori,  in  virtu'  di  quanto  disposto
dall'art. 166 del d.lgs. n. 196 del 2003, sempre del testo precedente
alla riforma del 2018, sono regolati dalla legge n. 689 del 1981 e si
articolano in due fasi.  La  prima  e'  quella  dell'acquisizione  di
elementi istruttori, che si conclude con la contestazione immediata o
con la notifica degli estremi della violazione, ai sensi dell'art. 14
della legge n.  689  del  1981.  La  seconda  e'  la  fase  decisoria
preordinata   all'emanazione   dell'ordinanza-ingiunzione    o    del
provvedimento di archiviazione. 
    Per concludere questa seconda fase, l'amministrazione  non  deve,
di regola, rispettare altro termine se  non  quello  quinquennale  di
prescrizione, di cui all'art. 28 della legge n. 689 del 1981. 
    Sullo  sfondo  di  tale  disciplina,  si  innesta  la  previsione
transitoria dell'art. 18, comma 5, del d.lgs. n. 101  del  2018  che,
tramite l'interruzione automatica  del  termine,  rende,  per  legge,
irrilevante  il  tempo  gia'  trascorso   fra   la   notifica   della
contestazione dell'illecito e l'entrata in vigore del d.lgs.  n.  101
del 2018. 
    Al  contempo,  a  fronte  del  nuovo  decorso  del  termine,   il
destinatario  dell'originaria  contestazione,  senza  aver   ricevuto
alcuna   nuova   comunicazione,   vede   aprirsi   una   nuova   fase
procedimentale: puo' pagare in misura ridotta la sanzione contestata,
ma non accertata in via definitiva, o puo' presentare  nuove  memorie
difensive. In mancanza, il provvedimento originario si  converte  ope
legis in ordinanza-ingiunzione,  senza  l'obbligo  di  una  ulteriore
notificazione. 
    10.- Dal quadro normativo tratteggiato emerge che la disposizione
censurata - tramite l'interruzione automatica, ossia con  il  decorso
di un nuovo quinquennio - finisce per ampliare ex lege il termine  di
cui all'art. 28 della legge n. 689 del 1981, rispetto al quale questa
Corte ha gia' espresso, di recente, valutazioni critiche (sentenza n.
151 del 2021). Pur rimettendo alla discrezionalita'  del  legislatore
la precisa individuazione di un termine di decadenza per l'emanazione
del  provvedimento  conclusivo  del  procedimento  sanzionatorio,  la
citata  sentenza  ha  ritenuto  che   l'ampiezza   del   termine   di
prescrizione «di durata quinquennale e suscettibile di  interruzione,
lo rend[a] inidoneo  a  garantire,  di  per  se'  solo,  la  certezza
giuridica della posizione dell'incolpato  e  l'effettivita'  del  suo
diritto  di  difesa,  che  richiedono   contiguita'   temporale   tra
l'accertamento  dell'illecito  e  l'applicazione   della   sanzione».
Infatti,  «la  fissazione  di  un  termine  per  la  conclusione  del
procedimento    non    particolarmente    distante    dal     momento
dell'accertamento e della  contestazione  dell'illecito,  consentendo
all'incolpato   di    opporsi    efficacemente    al    provvedimento
sanzionatorio, garantisce  un  esercizio  effettivo  del  diritto  di
difesa tutelato dall'art. 24 Cost. ed e' coerente con il principio di
buon andamento e [di] imparzialita' della PA». 
    Le ragioni di  contrasto  con  l'effettivita'  della  tutela  del
privato, gia' evidenziate da questa Corte con riferimento all'art. 28
della legge n. 689 del 1981, chiaramente si accentuano in presenza di
una  interruzione  ex  lege  del  medesimo  termine  di  prescrizione
quinquennale, disposta in pendenza dell'inerzia dell'amministrazione. 
    In particolare, se  e'  vero  -  come  si  osserva  nella  stessa
ordinanza di  rimessione  -  che  «la  prescrizione  e'  [...]  anche
strumentale ad assicurare il diritto di  difendersi  in  giudizio  da
parte dell'obbligato, in quanto, decorso  un  certo  lasso  di  tempo
dalla data del fatto generatore del diritto, puo' essere difficile  o
impossibile per la parte formulare i mezzi di prova a sostegno  delle
proprie tesi difensive», e' evidente  che  l'interruzione  automatica
del termine di prescrizione quinquennale, che gia' di per  se'  rende
eccessivamente  squilibrato  il  rapporto  fra  privato  e   pubblica
amministrazione, si traduca in una intollerabile  compressione  delle
ragioni di tutela del privato. 
    L'amministrazione puo' attivarsi per la riscossione  delle  somme
dovute  in  base  all'ordinanza-ingiunzione  prodottasi  ope   legis,
oppure,  nell'ipotesi  in  cui  il  privato  presenti  nuove  memorie
difensive ai sensi dell'art. 18, comma 4, del d.lgs. n. 101 del 2018,
puo' emettere l'ordinanza-ingiunzione,  anche  oltre  un  quinquennio
dall'unico atto  che  e'  stato  notificato  all'interessato:  grazie
all'interruzione, si sommano infatti altri cinque anni al tempo  gia'
trascorso dalla notifica della contestazione alla data di entrata  in
vigore del d.lgs. n. 101 del 2018. Per  converso,  il  privato,  dopo
aver  rispettato  il  termine  di  trenta  giorni  per  opporsi  alla
contestazione della sanzione amministrativa, puo' doversi  difendere,
sempre entro trenta giorni dalla  notifica  della  cartella  o  dalla
notifica dell'ordinanza-ingiunzione, a distanza di oltre cinque  anni
dalla notifica dell'atto con il quale gli  era  stata  contestata  la
violazione.  Nessun'altra  comunicazione,  infatti,   e'   tenuta   a
effettuare l'amministrazione medio tempore, neppure  con  riferimento
alle facolta' concesse ai privati dai primi commi dell'art. 18 e alle
conseguenze derivanti a carico di coloro che non si avvalgano di tali
facolta'. 
    11.- Lo scenario sopra delineato evidenzia una palese  violazione
del principio di ragionevolezza e del canone di proporzionalita'. 
    In particolare, sotto questo secondo profilo, non si  ravvisa,  a
sostegno  della  disposizione  censurata,  alcun  motivo   idoneo   a
giustificare un livello tanto intenso di compressione della posizione
del privato. 
    Tale non puo' ritenersi l'esigenza di  fare  fronte  ai  maggiori
oneri derivanti per  l'amministrazione  dall'entrata  in  vigore  del
regolamento n. 679/2016/UE. Per realizzare  un  simile  obiettivo  il
legislatore   transitorio   ha   gia'   disegnato   un   procedimento
amministrativo semplificato, che consente  di  addivenire  ope  legis
all'esito  dell'ordinanza-ingiunzione,  meccanismo  che  alleggerisce
notevolmente  il  carico  dell'amministrazione   e,   dunque,   rende
irragionevole l'interruzione del decorso della prescrizione. 
    In altri termini, se l'esigenza di far fronte al sovraccarico  di
oneri amministrativi derivanti dall'entrata in vigore del regolamento
n. 679/2016/UE e' la ratio  sottesa  alla  scelta  di  disegnare  una
procedura  amministrativa  semplificata,  viceversa,   l'interruzione
della prescrizione si configura come una ulteriore  non  giustificata
prerogativa dell'amministrazione. 
    Del resto, anche ove il destinatario della sanzione si  avvalesse
della  facolta'  di  produrre  nuove  memorie  difensive,  ai   sensi
dell'art. 18, comma 4, del d.lgs. n. 101 del 2018, questo non farebbe
che  riportare  il  procedimento  nei  binari  di  un   percorso   di
normalita',  che  -  come  di  regola  -  vedrebbe  l'amministrazione
confrontarsi con le ragioni di opposizione del privato. 
    In  ogni  caso,  non  puo'  ritenersi  che  l'interruzione  della
prescrizione fosse necessaria  a  rendere  possibile  la  nuova  fase
procedurale disegnata dai primi commi dell'art. 18 del d.lgs. n.  101
del 2018. Al contrario, nella sua  discrezionalita',  il  legislatore
avrebbe    ben    potuto    avvalersi    di    istituti    differenti
dall'interruzione,  idonei  ad  agevolare  l'amministrazione,   senza
incidere in maniera sproporzionata sulla posizione dei privati. 
    Questa stessa  Corte,  in  differenti  giudizi,  ha  giustificato
previsioni eccezionali che prorogavano dei termini, ma lo ha fatto in
presenza  di  condizioni  che  rendevano  le  norme   censurate   non
contrastanti con l'art. 3 Cost. (sentenze n. 356 del 2008  e  n.  375
del 2002). Si trattava, infatti, di disposizioni dettate  in  materia
di accertamento delle imposte,  per  le  quali  l'amministrazione  e'
soggetta a un termine di decadenza e non solo di prescrizione, e che,
inoltre, avevano stabilito una eccezionale e  contenuta  proroga  dei
termini per lo svolgimento di attivita' particolarmente complesse. 
    Al  contrario,  nel  caso  della   disposizione   censurata,   il
legislatore,  violando  il  principio  di  proporzionalita',  non  ha
selezionato, fra gli strumenti  disponibili,  quello  piu'  idoneo  a
conseguire lo scopo, determinando il minor  sacrificio  (sentenze  n.
218, n. 202 e n. 148 del 2021, n. 119 del 2020, n. 179 e  n.  20  del
2019). 
    Anziche', infatti, avvalersi di istituti relativi al termine  che
fossero proporzionati rispetto  all'obiettivo  perseguito,  ha  fatto
ricorso ad uno strumento  incisivo,  quale  quello  dell'interruzione
della prescrizione, rinviando, per il tramite del  richiamo  all'art.
28 della legge n. 689 del 1981, alla sua disciplina civilistica. 
    Sennonche' tale istituto si fonda su due  ordini  di  circostanze
che esprimono una  ratio  totalmente  estranea,  se  non  antitetica,
rispetto alla logica sottesa all'art. 18, comma 5, del d.lgs. n.  101
del 2018, e dunque ne sottolineano ulteriormente  l'irragionevolezza,
anziche' dare ad esso una giustificazione. 
    Il primo gruppo di ipotesi, che  legittima  l'interruzione  della
prescrizione, si identifica con gli atti di esercizio del diritto  da
parte del suo titolare, vale a dire con la  cessazione  dell'inerzia.
Al contrario, come si  e'  gia'  sopra  evidenziato,  il  presupposto
dell'interruzione della prescrizione di cui all'art. 18, comma 5, del
d.lgs. n. 101 del 2018 consiste proprio  nell'inerzia  da  parte  del
Garante,  che  non  si  e'  attivato  per  portare  a  compimento  il
procedimento amministrativo. 
    Il secondo gruppo  di  ipotesi,  che  ugualmente  da'  fondamento
all'interruzione civilistica,  attiene  ad  atti  e  a  comportamenti
univoci di riconoscimento del diritto, provenienti dalla parte contro
la quale il diritto puo'  essere  fatto  valere.  Per  converso,  nel
censurato art. 18, comma 5, non e' dato ravvisare alcun segno  di  un
possibile riconoscimento del diritto  dell'amministrazione  da  parte
del  privato,  rispetto  al  quale  non  e'  stato  ancora  accertato
l'obbligo al pagamento della sanzione. Il privato e' semplicemente in
attesa di un provvedimento amministrativo, che dia risposta alle  sue
contestazioni. Ne' hanno alcun  valore  gli  eventuali  comportamenti
descritti dai primi commi dell'art.  18,  che  sono  successivi  alla
interruzione  ex  lege  e,  dunque,  sono   certamente   inidonei   a
giustificare  l'istituto.  In  ogni  caso,  essi  sono  comportamenti
anodini, privi di ogni valore tacito, tanto piu' che il  privato  non
ha ricevuto alcuna comunicazione che lo informasse sulle  conseguenze
delle sue azioni od omissioni. 
    L'irragionevole  discrasia  fra  l'interruzione  ex  lege   della
prescrizione e la ratio dell'istituto  civilistico,  cui  l'art.  18,
comma 5, del d.lgs. n. 101 del 2018 fa esplicito rimando, unita  alla
mancanza  di  una  ragionevole  giustificazione   che   supporti   un
intervento  incisivo,  quale   l'interruzione   della   prescrizione,
confermano che l'intervento  disposto  dall'art.  18,  comma  5,  del
d.lgs. n. 101 del 2018 viola il  principio  di  ragionevolezza  e  il
canone di proporzionalita'.