ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale degli artt. 5  e  11,
commi 1, 2 e 3, della legge  della  Regione  autonoma  Friuli-Venezia
Giulia 30 dicembre 2020, n.  25  (Legge  collegata  alla  manovra  di
bilancio  2021-2023),  promosso  dal  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri con ricorso notificato  l'8-12  marzo  2021,  depositato  in
cancelleria il 9 marzo 2021, iscritto al n. 21 del  registro  ricorsi
2021 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della  Repubblica  n.  16,
prima serie speciale, dell'anno 2021. 
    Visto   l'atto   di   costituzione   della    Regione    autonoma
Friuli-Venezia Giulia; 
    udita  nell'udienza  pubblica  del  5  aprile  2022  la   Giudice
relatrice Daria de Pretis; 
    uditi l'avvocato dello Stato Federico Basilica per il  Presidente
del Consiglio dei ministri e l'avvocato Daniela Iuri per  la  Regione
autonoma Friuli-Venezia Giulia; 
    deliberato nella camera di consiglio del 5 aprile 2022. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Il Presidente del Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e
difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, ha  impugnato  l'art.  5
della legge della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia 30  dicembre
2020, n. 25 (Legge collegata alla manovra di bilancio 2021-2023), per
violazione della competenza legislativa statale in materia di  tutela
della  concorrenza  (art.  117,  secondo  comma,  lettera  e,   della
Costituzione), e l'art. 11, commi 1, 2  e  3,  della  medesima  legge
regionale per violazione  della  competenza  legislativa  statale  in
materia di ordinamento civile (art. 117, secondo  comma,  lettera  l,
Cost.). 
    1.1.- Quanto al primo motivo di ricorso, l'art. 5 stabiliva,  nel
suo testo originario, che, «[a] causa della  situazione  emergenziale
causata dalla pandemia da COVID-19 e della  conseguente  grave  crisi
economica che ha investito il settore degli autoservizi pubblici  non
di linea, i titolari di autorizzazione per il noleggio con conducente
e i titolari di licenza taxi, in via del tutto eccezionale e fino  al
31  dicembre  2022,  possono  cedere  l'attivita'  anche  senza  aver
raggiunto i cinque anni dal rilascio dei medesimi titoli, fatti salvi
i vincoli eventualmente derivanti da contribuzioni pubbliche». 
    In seguito, l'art. 5, comma 1, della legge della Regione autonoma
Friuli-Venezia Giulia 29 dicembre 2021, n. 23 (Legge  collegata  alla
manovra di bilancio 2022-2024), ha  sostituito  il  termine  del  «31
dicembre 2022» con quello del «31 gennaio 2022». 
    Il ricorrente ricorda che, in base all'art.  8,  comma  1,  della
legge 15 gennaio 1992, n.  21  (Legge  quadro  per  il  trasporto  di
persone mediante autoservizi pubblici non di  linea),  «[l]a  licenza
per  l'esercizio  del  servizio  di  taxi  e   l'autorizzazione   per
l'esercizio del servizio di noleggio con conducente  sono  rilasciate
dalle  amministrazioni  comunali,  attraverso   bando   di   pubblico
concorso». In base all'art. 9, comma 1,  della  citata  legge,  «[l]a
licenza per l'esercizio del servizio di taxi e  l'autorizzazione  per
l'esercizio del servizio di noleggio con conducente sono  trasferite,
su richiesta del titolare, a persona dallo stesso designata,  purche'
iscritta nel ruolo di cui all'articolo 6 ed in possesso dei requisiti
prescritti, quando il titolare stesso si trovi in una delle  seguenti
condizioni: a) sia titolare di licenza o di autorizzazione da  cinque
anni; b) abbia  raggiunto  il  sessantesimo  anno  di  eta';  c)  sia
divenuto permanentemente inabile o inidoneo al servizio per malattia,
infortunio o per ritiro definitivo della patente di guida».  In  base
all'art. 9, comma 3, «[a]l titolare che abbia trasferito la licenza o
l'autorizzazione non  puo'  esserne  attribuita  altra  per  concorso
pubblico e non puo' esserne trasferita altra se non dopo cinque  anni
dal trasferimento della prima». 
    Secondo il ricorrente, l'art. 9  risponderebbe  «all'esigenza  di
evitare  possibili  fenomeni  speculativi   idonei   a   falsare   la
concorrenza, "atteso che la licenza conseguita  per  concorso  e'  di
carattere gratuito"». Il ricorrente ritiene che,  pur  rientrando  la
materia del servizio pubblico di trasporto, di linea e non di  linea,
nella competenza residuale regionale, la disciplina del trasferimento
delle  licenze  e  autorizzazioni  afferisca   anche   alla   materia
trasversale della «tutela della concorrenza», di competenza esclusiva
statale. In particolare, il limite temporale minimo di  cinque  anni,
richiesto dall'art. 9, comma 1, lettera a), della citata legge n.  21
del 1992, definirebbe «il punto di equilibrio fra il libero esercizio
dell'attivita' di trasporto e gli interessi pubblici interferenti con
tale liberta'». Il ricorrente ricorda la sentenza n. 30 del  2016  di
questa  Corte,  secondo  la  quale  il  bilanciamento   operato   dal
legislatore statale fra libera iniziativa economica e altri interessi
costituzionali costituisce  espressione  della  potesta'  legislativa
statale  in  materia  di  tutela  della  concorrenza  e  non  sarebbe
modificabile dal legislatore regionale. 
    Da cio' deriverebbe l'illegittimita' costituzionale  della  norma
regionale impugnata: infatti essa, prevedendo una  deroga  temporanea
al limite quinquennale fissato per il  trasferimento  della  licenza,
altererebbe «il meccanismo diretto a regolare l'accesso al  mercato»,
come definito dall'art. 9 della legge n. 21 del 1992,  e  dunque  «le
regole della  concorrenza  nello  specifico  settore,  che  anche  le
Regioni a statuto speciale devono seguire». 
    Il  ricorrente  ricorda  le   competenze   legislative   previste
dall'art.   4,   numero   11   («trasporti   su   funivie   e   linee
automobilistiche, tranviarie e filoviarie, di interesse  regionale»),
e  dall'art.  5,  numero  7  («disciplina  dei  servizi  pubblici  di
interesse regionale ed assunzione  di  tali  servizi»),  della  legge
costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1 (Statuto speciale della  Regione
autonoma Friuli-Venezia Giulia), osservando che esse vanno esercitate
nel  rispetto  dei  limiti   previsti   dalle   citate   disposizioni
statutarie. Inoltre, rileva che, dato il suo  carattere  trasversale,
la «tutela della  concorrenza»  assumerebbe  carattere  prevalente  e
fungerebbe da limite alla disciplina che le regioni  possono  dettare
nelle  materie  di  propria  competenza,  sia   pure   entro   quanto
strettamente necessario ad assicurare gli interessi alla cui garanzia
la competenza statale esclusiva e' diretta. 
    1.2.- Venendo al secondo motivo di ricorso, l'art. 11 della legge
regionale impugnata  stabiliva,  nel  suo  testo  originario,  quanto
segue:  «1.  Attesa  l'emergenza  epidemiologica  da  COVID-19,   per
l'annualita'  2021  l'importo   annuo   del   canone   dovuto   quale
corrispettivo  dell'utilizzazione  di  beni  demaniali  marittimi  di
competenza regionale e comunale con  qualunque  finalita'  non  puo',
comunque, essere inferiore a 361,90 euro.  2.  Non  e'  dovuto  alcun
canone qualora il bene demaniale marittimo statale venga  concesso  a
enti pubblici,  anche  economici,  al  fine  della  realizzazione  di
un'opera pubblica. 3. Il canone demaniale per  le  concessioni  e  le
autorizzazioni inerenti all'utilizzo di beni del demanio marittimo  e
del  demanio  idrico  regionale,  relative  alla  messa  in  opera  e
all'utilizzo  dei  cosiddetti  bilancioni  (impianti  con  rete),  e'
determinato con  esclusivo  riferimento  alla  superficie  sviluppata
dalla rete. 4. La durata delle  concessioni  demaniali  marittime  in
scadenza e' prorogata fino al 31 dicembre 2021 al fine di  consentire
alle Amministrazioni concedenti il perfezionamento  dei  procedimenti
amministrativi di competenza nel rispetto della normativa vigente». 
    In  seguito,  l'art.  11,  comma  4,  della  citata  legge   reg.
Friuli-Venezia Giulia n. 23 del 2021 ha sostituito (nel comma  1)  le
parole «per l'annualita' 2021» con le parole «per l'annualita' 2022». 
    Le  norme  impugnate,  rileva  il  ricorrente,  «incidono   sulla
disciplina del canone  demaniale  marittimo/idrico,  prevedendone  un
ammontare minimo (comma 1), un'ipotesi di esenzione [...] (comma  2),
[e] disciplinandone le modalita' di quantificazione riferite  ad  una
determinata categoria di beni (comma 3)». 
    Il ricorrente ricorda che la  Regione  e'  dotata  di  competenza
legislativa primaria in materia di ittica, pesca e turismo, ai  sensi
dell'art. 4, numeri 2, 3 e 10, dello statuto  speciale,  e  che  essa
dev'essere esercitata nel rispetto dei limiti  fissati  dallo  stesso
art. 4. Osserva poi che i beni  demaniali  marittimi  rientranti  nel
territorio regionale sono di  proprieta'  statale,  ad  eccezione  di
quelli situati nella laguna di Marano-Grado, trasferiti alla  Regione
dall'art. 1, comma 2, del decreto legislativo 25 maggio 2001, n.  265
(Norme  di  attuazione   dello   Statuto   speciale   della   regione
Friuli-Venezia Giulia per il trasferimento di beni del demanio idrico
e marittimo, nonche' di funzioni in materia di risorse idriche  e  di
difesa del suolo). Il citato art. 1 stabilisce anche, al comma 3, che
«[l]a  regione  esercita  tutte   le   attribuzioni   inerenti   alla
titolarita' dei beni trasferiti ai sensi dei commi 1 e 2». 
    Il ricorrente ricorda, ancora, che l'art. 9, comma 2, del decreto
legislativo 1° aprile 2004, n. 111 (Norme di attuazione dello statuto
speciale  della  regione   Friuli-Venezia   Giulia   concernenti   il
trasferimento di funzioni in materia di viabilita' e  trasporti),  ha
trasferito alla Regione  le  funzioni  amministrative  relative  alle
concessioni dei beni del demanio marittimo, e che, in base al comma 5
dello stesso art.  9,  «[i]  proventi  e  le  spese  derivanti  dalla
gestione del demanio marittimo [...] spettano alla Regione». 
    Cio'   premesso,   il   ricorrente   rileva   che,   secondo   la
giurisprudenza costituzionale, «la  potesta'  di  determinazione  dei
canoni per l'assegnazione in uso di aree del demanio marittimo  segue
la titolarita' del bene e non quella della gestione [...]  in  quanto
costituisce espressione del  potere  di  disporre  [...]  dei  propri
beni». Dunque,  essa  precederebbe  il  riparto  delle  competenze  e
inerirebbe «alla capacita' giuridica dell'ente»  secondo  i  principi
civilistici (sono richiamate, tra le altre, le  sentenze  n.  73  del
2018 e n. 427 del 2004 di questa Corte). 
    Pertanto,  per  tutti  i  beni  demaniali  marittimi  situati  in
Friuli-Venezia Giulia spetterebbe allo Stato la competenza a definire
i «criteri  tabellari  di  riferimento»  per  la  determinazione  dei
canoni,  il  cui  esatto  ammontare  sara'  poi  stabilito  dall'ente
gestore. Alla  competenza  statale  sarebbe  riconducibile  anche  la
facolta' di determinare i casi di eventuale esenzione. 
    Il  ricorrente  osserva,  poi,  che  l'art.  100,  comma  4,  del
decreto-legge 14 agosto 2020, n. 104 (Misure urgenti per il  sostegno
e il rilancio dell'economia), convertito,  con  modificazioni,  nella
legge 13 ottobre 2020, n. 126, stabilisce che «[d]al 1° gennaio  2021
l'importo   annuo   del    canone    dovuto    quale    corrispettivo
dell'utilizzazione di aree e pertinenze demaniali marittime non  puo'
essere inferiore a euro 2.500». 
    Dunque,  le  norme  impugnate  eccederebbero   dalla   competenza
attribuita alla Regione dall'art. 4, numeri 2, 3 e 10, dello  statuto
speciale, che indica i limiti della potesta' legislativa primaria. 
    1.3.- Il ricorrente conclude affermando che l'art. 5 della  legge
reg. Friuli-Venezia Giulia n. 25 del 2020 viola l'art.  117,  secondo
comma, lettera e), Cost., «poiche'  interviene  nella  materia  della
tutela della concorrenza», e che l'art. 11, commi 1,  2  e  3,  della
stessa legge contrasta «con i principi dell'ordinamento  civile»,  di
cui all'art. 117, secondo comma, lettera l), Cost. 
    2.- La Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia si e' costituita in
giudizio con atto depositato il 15 aprile 2021. 
    2.1.- In primo luogo,  la  Regione  eccepisce  l'inammissibilita'
della questione riguardante l'art. 5, osservando  che  il  ricorrente
avrebbe dovuto argomentare sull'applicabilita'  del  Titolo  V  della
Parte seconda della Costituzione ad una Regione  speciale,  indicando
le ragioni per le quali l'art. 117, secondo comma, Cost. garantirebbe
una maggior autonomia  alla  stessa  Regione.  L'onere  motivazionale
sarebbe piu' intenso nel caso di specie, in cui  la  norma  impugnata
afferisce ad una materia di competenza primaria regionale  (trasporti
di interesse regionale). 
    2.2.- In ogni caso,  il  primo  motivo  di  ricorso  non  sarebbe
fondato. Con la disposizione impugnata la Regione avrebbe  esercitato
la propria competenza in materia di «trasporti  su  funivie  e  linee
automobilistiche, tranviarie e filoviarie,  di  interesse  regionale»
(art. 4, numero 11, dello statuto speciale). La resistente ricorda le
diverse norme di attuazione  statutaria  succedutesi  in  materia  di
trasporti e rileva che, gia' prima della riforma del Titolo  V,  essa
disponeva di potesta' legislativa primaria in tale materia, mentre le
regioni  ordinarie   erano   titolari   di   competenza   legislativa
concorrente,  nell'ambito   dei   principi   fissati   dalla   citata
legge-quadro n. 21 del 1992, che, all'art. 4, comma 6, fa  «salve  le
competenze proprie nella materia delle regioni a statuto  speciale  e
delle province autonome di Trento e di Bolzano». La norma  interposta
richiamata nel ricorso non sarebbe dunque  utilmente  invocabile  nei
confronti della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia. 
    La resistente poi  rievoca  le  norme  regionali  adottate  nella
materia dei trasporti pubblici, fra le  quali  quelle  dettate  dalla
legge della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia 5 agosto 1996,  n.
27 (Norme per il  trasporto  di  persone  mediante  servizi  pubblici
automobilistici non di linea), tuttora  in  vigore.  In  particolare,
rileva che la trasferibilita' delle licenze e' disciplinata dall'art.
13 di tale legge, che, a differenza dell'art. 9 della legge n. 21 del
1992,  non  contempla,   tra   i   casi   di   trasmissibilita',   il
raggiungimento del sessantesimo anno di eta'. Secondo la  resistente,
se la trasferibilita' delle licenze fosse un oggetto  sottratto  alla
competenza legislativa primaria della Regione, l'indicato art. 13 non
sarebbe sfuggito al controllo  preventivo  di  legittimita'  previsto
all'epoca dall'art. 127 Cost.,  anche  in  relazione  al  divieto  di
novazione della fonte. 
    La Regione ricorda poi la riforma del Titolo V, osservando che il
principio del parallelismo fra funzioni amministrative e legislative,
previsto dall'art. 8  dello  statuto  speciale,  e'  piu'  favorevole
rispetto al principio di sussidiarieta' di cui  all'art.  118,  primo
comma, Cost., ragion per cui «il cd. "blocco statutario" che fonda la
competenza della Regione [...] in materia di trasporti  di  interesse
regionale risulta  senz'altro  complessivamente  piu'  favorevole  in
concreto per l'autonomia speciale, rispetto a quello derivante  dalla
riforma del Titolo V». 
    Non sarebbe dunque consentito invocare il Titolo V per  sottrarre
alla  Regione  una  competenza  gia'   esercitata   sul   piano   sia
amministrativo che legislativo. 
    Quanto alla disposizione impugnata, la Regione osserva  che  essa
costituirebbe «una modifica non testuale» del citato  art.  13  della
legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 27 del 1996. L'impugnato  art.  5
contemplerebbe una deroga limitata all'art. 13, per  consentire  agli
operatori del  settore  (gravemente  colpito  dalla  crisi  economica
causata dal COVID-19) di trasferire  ad  altri  la  propria  licenza,
dietro corrispettivo.  L'art.  5  avrebbe  «esclusivamente  finalita'
sociali» e non altererebbe il  punto  di  equilibrio  tra  il  libero
esercizio dell'attivita' di trasporto e gli altri interessi pubblici,
dal momento che, da un lato,  il  numero  complessivo  delle  licenze
resterebbe invariato e, dall'altro lato,  «[a]l  titolare  che  abbia
trasferito la licenza o l'autorizzazione non puo'  essere  attribuita
altra per concorso pubblico e non puo' esserne trasferita  altra,  se
non dopo cinque anni dal trasferimento della prima» (art.  13,  comma
3, della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 27 del 1996,  ripetitivo
dell'art. 9, comma 3, della legge n. 21 del 1992). 
    Secondo la  resistente,  la  disposizione  impugnata  produrrebbe
effetti pro-concorrenziali, il che sarebbe consentito al  legislatore
regionale, nelle materie di sua competenza (sono citate  le  sentenze
di questa Corte n. 43 del 2011  e  n.  431  del  2007).  Attualmente,
l'accesso al mercato del trasporto non  di  linea  sarebbe  di  fatto
"congelato", per effetto dell'art. 10-bis, comma 6, del decreto-legge
14 dicembre 2018, n. 135 (Disposizioni urgenti in materia di sostegno
e semplificazione per le imprese e per la pubblica  amministrazione),
convertito, con modificazioni, nella legge 11 febbraio 2019,  n.  12,
in base al quale, «[a] decorrere dalla data di entrata in vigore  del
presente  decreto  e  fino  alla  piena  operativita'   dell'archivio
informatico pubblico nazionale delle imprese di cui al comma  3,  non
e' consentito il rilascio di nuove autorizzazioni per  l'espletamento
del  servizio   di   noleggio   con   conducente   con   autovettura,
motocarrozzetta e natante»: infatti, non sarebbe  ancora  intervenuta
«la  piena  operativita'  dell'archivio  informatico»  in  questione.
Dunque,    la    norma    impugnata    assumerebbe    una    funzione
pro-concorrenziale, in quanto permetterebbe a nuovi operatori, in via
eccezionale e per un periodo limitato, di  entrare  nel  mercato  del
trasporto non di linea. 
    2.3.-  Quanto  al  secondo  motivo  di  ricorso,  la  Regione  ne
eccepisce l'inammissibilita', in quanto  il  ricorrente  invocherebbe
«in maniera generica,  indistinta  e  cumulativa  una  pluralita'  di
limiti statutari che la Regione non avrebbe rispettato».  Il  ricorso
non illustrerebbe «ne' quali tra le disposizioni dei commi  impugnati
esorbiterebbero dai  limiti»  statutari,  ne'  «quali  sarebbero,  in
concreto, i limiti asseritamente violati». 
    2.4.- Nel merito, la resistente afferma  la  non  fondatezza  del
motivo in questione. Essa ricostruisce il quadro  normativo  relativo
al demanio idrico regionale, al  demanio  marittimo  regionale  e  al
demanio marittimo statale, e rileva che, in relazione alle prime  due
categorie di  beni,  di  proprieta'  regionale,  lo  stesso  criterio
invocato nel ricorso (la potesta' di determinazione del canone spetta
all'ente  titolare  del  bene)  dovrebbe  condurre   alla   sua   non
fondatezza. Riguardo al demanio marittimo statale, la Regione rimarca
che, in base al citato art. 9, comma 5, del d.lgs. n. 111  del  2004,
essa «riscuote in via diretta i canoni annui per le  concessioni  del
demanio marittimo e provvede a iscriverli come "entrate" a  bilancio,
senza alcuna intermediazione dello Stato». Dunque, lo  Stato  avrebbe
ceduto alla  Regione  autonoma  Friuli-Venezia  Giulia  «parte  delle
proprie prerogative proprietarie». 
    La resistente osserva poi che l'art. 100,  comma  4,  del  citato
d.l. n. 104  del  2020,  invocato  nel  ricorso,  e'  stato  da  essa
impugnato davanti a questa Corte. 
    Inoltre, rileva che il censurato art. 11, comma 1,  ha  efficacia
circoscritta al 2021 e trae origine dalla crisi economica causata dal
COVID-19: esso, dunque, risponderebbe ad esigenze di utilita' sociale
e si fonderebbe sull'autonomia di entrata della Regione. 
    Similmente, l'autonomia regionale di  entrata  comprenderebbe  la
possibilita' di prevedere un'esenzione dal pagamento del canone (art.
11, comma 2). 
    Infine, il comma 3 riguarderebbe gli impianti di  pesca  a  rete,
che sarebbero presenti in Friuli-Venezia Giulia solo nelle  aree  del
demanio marittimo regionale (laguna di Marano-Grado)  e  del  demanio
idrico,  di  proprieta'  regionale.   La   Regione   avrebbe   dunque
legittimamente  fissato,   nell'esercizio   delle   sue   prerogative
dominicali, un criterio  di  determinazione  del  canone  relativo  a
questo tipo di occupazione del bene pubblico.  Lo  stesso  testo  del
comma 3 sarebbe chiaro nel riferirsi ai canoni «del demanio marittimo
e del demanio idrico regionale». 
    3.- Il 14 marzo 2022 la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia ha
depositato una memoria integrativa. In essa da' conto delle modifiche
normative sopravvenute (sopra illustrate), evidenziando che l'art.  5
della legge reg. Friuli-Venezia  Giulia  n.  25  del  2020  ha  ormai
esaurito  la  propria  efficacia.  Osserva,  inoltre,  che  la  norma
impugnata non consente guadagni speculativi, perche' chi  trasferisce
la propria licenza, approfittando della  deroga  prevista,  non  puo'
conseguirne un'altra per pubblico concorso e puo' ottenerne  un'altra
per  trasferimento  solo  dopo  cinque  anni.  La   possibilita'   di
monetizzare la licenza, dunque, sarebbe concessa una volta sola. 
    Quanto  all'art.  11,  commi  1,  2  e  3,   della   legge   reg.
Friuli-Venezia Giulia n.  25  del  2020,  la  resistente,  dopo  aver
riferito della modifica apportata al comma 1 dall'art. 11,  comma  4,
della citata legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 23 del 2021, osserva
che, alla luce del «giudicato costituzionale» di cui alla sentenza di
questa Corte n. 46 del 2022, l'impugnato art. 11, comma  1,  andrebbe
interpretato  nel  senso  di  riferirsi  solo  al  demanio  marittimo
regionale, con conseguente non fondatezza del  ricorso  sotto  questo
profilo. 
    Quanto  al  comma  3,  la  Regione  ribadisce   che   l'aggettivo
«regionale» andrebbe collegato anche a «demanio marittimo» e non solo
a «demanio idrico»: di qui la non  fondatezza  dell'impugnazione  del
comma 3,  sempre  alla  luce  della  sentenza  n.  46  del  2022.  La
resistente deposita la  planimetria  delle  concessioni  di  pesca  a
bilancia e le relative visure catastali, al fine di dimostrare che le
concessioni di cui all'art. 11, comma 3, insistono solo su  aree  del
demanio marittimo regionale (oltre che del demanio idrico). 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Il Presidente del Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e
difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, con ricorso iscritto  al
n. 21 reg. ric. 2021, ha impugnato l'art. 5 della legge della Regione
autonoma  Friuli-Venezia  Giulia  30  dicembre  2020,  n.  25  (Legge
collegata alla manovra di bilancio 2021-2023), per  violazione  della
competenza legislativa statale in materia di tutela della concorrenza
(art. 117, secondo comma, lettera e, della  Costituzione),  e  l'art.
11, commi 1, 2 e 3, della medesima  legge  regionale  per  violazione
della competenza legislativa statale in materia di ordinamento civile
(art. 117, secondo comma, lettera l, Cost.). 
    L'art. 5 stabiliva, nel suo testo  originario,  che,  «[a]  causa
della situazione emergenziale causata dalla pandemia  da  COVID-19  e
della conseguente grave crisi economica che ha investito  il  settore
degli autoservizi pubblici non di linea, i titolari di autorizzazione
per il noleggio con conducente e i titolari di licenza taxi,  in  via
del tutto eccezionale e fino al  31  dicembre  2022,  possono  cedere
l'attivita' anche senza aver raggiunto i cinque anni dal rilascio dei
medesimi titoli, fatti salvi i  vincoli  eventualmente  derivanti  da
contribuzioni pubbliche». 
    In seguito, l'art. 5, comma 1, della legge della Regione autonoma
Friuli-Venezia Giulia 29 dicembre 2021, n. 23 (Legge  collegata  alla
manovra di bilancio 2022-2024), ha  sostituito  il  termine  del  «31
dicembre 2022» con quello del «31 gennaio 2022». 
    Secondo  il  ricorrente,  la  disposizione  impugnata  violerebbe
l'art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., in  quanto  altererebbe
«il  meccanismo  diretto  a  regolare  l'accesso  al  mercato»,  come
definito dall'art. 9 della legge 15 gennaio 1992, n. 21 (Legge quadro
per il trasporto di persone  mediante  autoservizi  pubblici  non  di
linea),  e  dunque  «le  regole  della  concorrenza  nello  specifico
settore, che anche le Regioni a statuto speciale devono seguire». 
    Il secondo motivo  di  ricorso  investe  l'art.  11  della  legge
regionale impugnata, il quale stabiliva, nel  suo  testo  originario,
quanto segue: «1. Attesa l'emergenza epidemiologica da COVID-19,  per
l'annualita'  2021  l'importo   annuo   del   canone   dovuto   quale
corrispettivo  dell'utilizzazione  di  beni  demaniali  marittimi  di
competenza regionale e comunale con  qualunque  finalita'  non  puo',
comunque, essere inferiore a 361,90 euro.  2.  Non  e'  dovuto  alcun
canone qualora il bene demaniale marittimo statale venga  concesso  a
enti pubblici,  anche  economici,  al  fine  della  realizzazione  di
un'opera pubblica. 3. Il canone demaniale per  le  concessioni  e  le
autorizzazioni inerenti all'utilizzo di beni del demanio marittimo  e
del  demanio  idrico  regionale,  relative  alla  messa  in  opera  e
all'utilizzo  dei  cosiddetti  bilancioni  (impianti  con  rete),  e'
determinato con  esclusivo  riferimento  alla  superficie  sviluppata
dalla rete. 4. La durata delle  concessioni  demaniali  marittime  in
scadenza e' prorogata fino al 31 dicembre 2021 al fine di  consentire
alle Amministrazioni concedenti il perfezionamento  dei  procedimenti
amministrativi di competenza nel rispetto della normativa vigente». 
    In  seguito,  l'art.  11,  comma  4,  della  citata  legge   reg.
Friuli-Venezia Giulia n. 23 del 2021 ha sostituito (nel comma  1)  le
parole «per l'annualita' 2021» con le parole «per l'annualita' 2022». 
    Secondo  il  ricorrente,  le  disposizioni  impugnate,  la'  dove
incidono  sulla  disciplina  del  canone  di  concessione  demaniale,
prevedendone un ammontare minimo (comma 1),  introducendo  un'ipotesi
di  esenzione  (comma  2)   e   disciplinandone   le   modalita'   di
quantificazione riferite ad una determinata categoria di beni  (comma
3), violerebbero l'art. 117, secondo comma,  lettera  l),  Cost.,  in
quanto «la potesta' di determinazione dei canoni  per  l'assegnazione
in uso di aree del demanio marittimo segue la titolarita' del bene  e
non quella della gestione», con la conseguenza che per tutti  i  beni
demaniali marittimi situati in Friuli-Venezia Giulia spetterebbe allo
Stato la competenza a definire i «criteri tabellari  di  riferimento»
per la determinazione dei canoni. 
    2.- In relazione all'art.  5  della  legge  regionale  impugnata,
occorre in primo luogo verificare il rilievo dello ius  superveniens,
rappresentato dall'art. 5, comma 1, della legge  reg.  Friuli-Venezia
Giulia n. 23 del  2021,  che  ha  anticipato  il  termine  finale  di
applicazione della disposizione impugnata dal 31 dicembre 2022 al  31
gennaio 2022. 
    La previsione  modificativa  (che  non  e'  stata  impugnata  dal
Presidente del Consiglio dei ministri) non e' idonea ad incidere  sui
termini della controversia. 
    Per un verso, essa non ha  carattere  satisfattivo,  avendo  solo
ridotto l'arco temporale  in  cui  ha  operato  la  norma  impugnata,
secondo il ricorrente lesiva della competenza statale in  materia  di
tutela della concorrenza. Tale norma era direttamente  applicabile  e
ha prodotto effetti per circa  un  anno,  sicche'  risultano  assenti
entrambi i presupposti di un'eventuale cessazione della  materia  del
contendere (da ultimo, sentenze n. 92 e n.  23  del  2022).  Come  di
recente ribadito nella sentenza n. 24 del 2022, invero, il  sindacato
di legittimita' costituzionale attivato a seguito di  un'impugnazione
diretta, «in  quanto  mira  a  definire  il  corretto  riparto  delle
competenze fra Stato e Regione nelle materie indicate, in  linea  con
la natura astratta  del  giudizio  in  via  principale,  non  risulta
inutilmente  svolto   anche   allorquando   l'ambito   temporale   di
applicazione delle norme impugnate sia assai ristretto o azzerato». 
    Mancano,  per  altro  verso,  i   presupposti   di   un'eventuale
estensione della questione  alla  disposizione  sopravvenuta:  da  un
lato, l'adozione di quest'ultima non mina l'effettivita' della tutela
giurisdizionale del ricorrente (ex multis, sentenze n. 44 del 2018  e
n.  44  del  2014),  perche'  l'eventuale  accoglimento  del  ricorso
priverebbe di oggetto la disposizione modificativa; dall'altro  lato,
e' escluso che si tratti di un caso di  modifica  marginale,  in  cui
questa Corte  ritiene  la  questione  estensibile  alle  disposizioni
sopravvenute,  che  non  mutino   il   contenuto   precettivo   della
disposizione impugnata (sentenze  n.  178  e  n.  20  del  2020).  La
modifica  introdotta   dalla   disposizione   sopravvenuta   presenta
carattere sostanziale, sicche' l'estensione ad essa della questione -
oltre ad incidere sul principio del contraddittorio e  su  quello  di
corrispondenza   tra   chiesto   e   pronunciato   -   determinerebbe
un'impropria  sostituzione  della  valutazione  dell'organo  politico
competente a deliberare il ricorso (ex multis, sentenze n. 141  e  n.
65 del 2016), valutazione necessaria anche  nell'ipotesi  in  cui  la
modifica si traduce in una riduzione della portata lesiva della norma
impugnata, come nel caso dell'art.  5,  comma  1,  della  legge  reg.
Friuli-Venezia Giulia n. 23 del 2021. 
    2.1.- Sempre  in  relazione  all'impugnato  art.  5,  la  Regione
autonoma Friuli-Venezia Giulia ha eccepito  l'inammissibilita'  della
questione, osservando che il ricorrente  avrebbe  dovuto  argomentare
sull'applicabilita'  del  Titolo  V   della   Parte   seconda   della
Costituzione ad una Regione speciale, indicando  le  ragioni  per  le
quali esso garantirebbe a quest'ultima una maggior autonomia. L'onere
motivazionale sarebbe piu' intenso nel caso  di  specie,  in  cui  la
norma impugnata afferisce  ad  una  materia  di  competenza  primaria
regionale (trasporti di interesse regionale: art. 4, numero 11, della
legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1, recante «Statuto speciale
della Regione Friuli-Venezia Giulia»). 
    L'eccezione non e' fondata. 
    E' vero, in linea generale, che, in  virtu'  dell'art.  10  della
legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3  (Modifiche  al  Titolo  V
della parte seconda della Costituzione), l'applicazione del Titolo  V
alle regioni speciali si giustifica  solo  se  il  regime  statutario
complessivo di una certa materia risulta meno favorevole  del  regime
della stessa  materia  nel  Titolo  V  (che  comprende  la  possibile
interferenza delle cosiddette materie  trasversali  e,  in  relazione
alle funzioni amministrative, il principio  di  sussidiarieta',  meno
favorevole  per  le  regioni  speciali  rispetto  al  principio   del
parallelismo sancito nei loro statuti), e  che  quindi  l'invocazione
del Titolo V in relazione  ad  una  legge  di  una  regione  speciale
presuppone una valutazione comparativa che attesti il  suo  carattere
maggiormente favorevole (sentenza n. 119  del  2019).  Tuttavia,  nel
ricorso in esame, per un verso le competenze statutarie della Regione
nei settori dei trasporti  e  dei  servizi  pubblici  sono  prese  in
considerazione e, per  altro  verso,  la  norma  impugnata  e  quella
statale invocata sono ricondotte a una materia comunque estranea agli
elenchi statutari, come la tutela della concorrenza.  Nella  sentenza
n. 139 del 2021, riguardante proprio disposizioni  legislative  della
Regione autonoma Friuli-Venezia  Giulia  in  materia  di  concessioni
demaniali, impugnate  per  lesione  della  competenza  statale  sulla
tutela della concorrenza, questa  Corte  ha  statuito  che,  «[n]ella
prospettiva  del  ricorrente,  [...]  l'afferenza  della   disciplina
censurata  alla  materia  della  tutela  della  concorrenza  vale   a
escludere  che  la  Regione  possa  rivendicare   qualsiasi   propria
competenza  statutaria,  la  quale  pacificamente  non  comprende  la
materia in questione». Similmente, proprio nella  ricordata  sentenza
n. 119 del 2019, questa Corte ha osservato (sempre  in  relazione  al
Friuli-Venezia  Giulia  e  alle  concessioni   demaniali)   che   «il
ricorrente, pur prendendo in considerazione la  competenza  regionale
statutaria in materia di demanio idrico, invoca l'art.  117,  secondo
comma,  lettera  e),  Cost,  facendo  valere  cosi'  una   competenza
esclusiva  statale  che  non  trova  corrispondenza  nello   Statuto.
Sicche', [...] in questo caso uno scrutinio  alla  luce  delle  norme
statutarie risulta inutile». 
    3.- Nel merito, la  questione  avente  ad  oggetto  l'art.  5  e'
fondata. 
    L'attivita' di trasporto non di  linea  -  taxi  e  noleggio  con
conducente (NCC) - e' soggetta ad un regime autorizzatorio  limitato,
caratterizzato  da  una  programmazione   dei   veicoli   circolanti,
attraverso  il  contingentamento  delle  licenze  rilasciabili  e  la
previsione di un concorso pubblico comunale per l'individuazione  dei
soggetti che possono acquisire le licenze disponibili (art. 8,  comma
1,  della  legge  n.  21  del  1992).  La  legge  statale  affida  ai
regolamenti  comunali  la  disciplina  del  concorso  (art.  5),  nel
rispetto di criteri fissati dalle regioni  (art.  4),  limitandosi  a
porre alcuni requisiti (art. 6) e  un  titolo  preferenziale  per  il
rilascio della licenza (art. 8, comma 4). 
    La Regione autonoma  Friuli-Venezia  Giulia  ha  disciplinato  la
materia del trasporto non di linea con la legge  regionale  5  agosto
1996, n. 27 (Norme per  il  trasporto  di  persone  mediante  servizi
pubblici automobilistici non di linea). Sulla base dell'art. 4, comma
1, di tale legge (secondo cui, «[e]ntro 180  giorni  dall'entrata  in
vigore della presente legge, i Comuni  adottano  il  regolamento  per
l'esercizio degli autoservizi  pubblici  non  di  linea  secondo  uno
schema-tipo approvato dalla Giunta regionale»),  la  Regione  ha  poi
adottato, con delibera  della  Giunta  regionale  n.  663  del  1997,
modificata dalla delibera  n.  1680  del  2000,  uno  schema-tipo  di
regolamento comunale per l'esercizio degli autoservizi  pubblici  non
di linea. Quanto al concorso comunale, gli artt. 27 e seguenti  dello
schema-tipo stabiliscono, fra l'altro, che il bando fissi  i  criteri
per la valutazione dei  titoli,  lasciando  dunque  ampio  spazio  ai
comuni (in sede di regolamento e di bando) per la scelta  dei  titoli
rilevanti. 
    3.1.- Sulla base di questo sintetico inquadramento normativo,  e'
possibile esaminare la questione sollevata dal ricorrente, secondo il
quale il  trasferimento  delle  licenze  rientrerebbe  nella  materia
«tutela   della   concorrenza»,   con   conseguente    illegittimita'
costituzionale della disposizione impugnata, che prevede  una  deroga
temporanea al limite quinquennale fissato per il trasferimento  delle
licenze dall'art. 9, comma 1, della legge n. 21 del 1992. 
    La disposizione statale invocata stabilisce quanto segue: «1.  La
licenza per l'esercizio del servizio di taxi e  l'autorizzazione  per
l'esercizio del servizio di noleggio con conducente sono  trasferite,
su richiesta del titolare, a persona dallo stesso designata,  purche'
iscritta nel ruolo di cui all'articolo 6 ed in possesso dei requisiti
prescritti, quando il titolare stesso si trovi in una delle  seguenti
condizioni: a) sia titolare di licenza o di autorizzazione da  cinque
anni; b) abbia  raggiunto  il  sessantesimo  anno  di  eta';  c)  sia
divenuto permanentemente inabile o inidoneo al servizio per malattia,
infortunio o per ritiro definitivo della patente di guida».  In  base
al comma 3 dello stesso art. 9, «[a]l titolare che  abbia  trasferito
la licenza o l'autorizzazione non puo' esserne attribuita  altra  per
concorso pubblico e non puo' esserne trasferita  altra  se  non  dopo
cinque anni dal trasferimento della prima». 
    L'inquadramento della disciplina recata dal parametro  interposto
nell'ambito materiale della tutela della concorrenza e' corretto. 
    La citata disposizione statale (art. 9, comma 1, lettera a, della
legge n. 21 del 1992) - unitamente al comma 3 dello stesso art.  9  -
mira infatti ad evitare il "commercio delle licenze", cioe' possibili
speculazioni favorite dal fatto che, tramite il concorso pubblico, le
licenze per il servizio taxi e le autorizzazioni per il servizio  NCC
vengono ottenute gratuitamente  e  potrebbero  poi  essere  cedute  a
titolo oneroso con un lucro per il cedente (sul  punto  Consiglio  di
Stato, sezione quinta, sentenze 26 gennaio 2021, n. 772,  12  gennaio
2015, n. 40, e 2 febbraio 2012,  n.  577).  Il  fine  perseguito  dal
legislatore statale e' dunque la salvaguardia del  concorso  pubblico
come mezzo per ottenere le licenze  taxi  e  le  autorizzazioni  NCC.
Questa Corte riconduce costantemente fra le  «misure  legislative  di
promozione» rientranti nella tutela della concorrenza quelle volte «a
prefigurare procedure concorsuali di garanzia che assicurino la  piu'
ampia  apertura  del  mercato  a  tutti   gli   operatori   economici
(concorrenza "per il mercato")» (ex  plurimis,  sentenza  n.  56  del
2020), con la conseguenza, dunque, che una norma diretta, come quella
impugnata, a ridurre la portata applicativa della regola del concorso
pubblico ricade a pieno titolo in quella materia. 
    A conclusioni non diverse si perviene se dal profilo  teleologico
si passa a quello - oggettivo - del  contenuto  proprio  dell'art.  9
della legge n. 21 del 1992, che si  risolve  nella  fissazione  delle
condizioni per l'accesso degli  operatori  economici  allo  specifico
settore del trasporto non di linea. Nella sentenza n.  56  del  2020,
riguardante il  servizio  NCC,  questa  Corte  ha  statuito  che  «la
configurazione del  mercato  tramite  la  fissazione  di  determinate
condizioni per l'accesso degli operatori  al  settore  rientra  nella
materia della concorrenza». In questa  stessa  materia,  inoltre,  e'
stato individuato il titolo di  intervento  del  legislatore  statale
nella specifica disciplina dell'assegnazione  delle  licenze  per  il
servizio taxi (sentenza n. 452 del 2007). 
    L'argomento della difesa  regionale,  secondo  cui  la  questione
sarebbe non fondata in  quanto  la  norma  impugnata  amplierebbe  le
possibilita' di accesso al mercato rispetto alla disciplina statale e
avrebbe cosi', in realta',  un  effetto  pro-concorrenziale,  non  e'
condivisibile. La norma impugnata elimina si'  un  limite  al  libero
accesso al mercato del trasporto non di linea, ma  si  tratta  di  un
limite posto dal legislatore statale, come detto, proprio al fine  di
non vanificare il concorso pubblico, cioe' lo strumento previsto  per
promuovere  la  concorrenza  nell'accesso  al  mercato  in  questione
(sentenza n. 283 del 2009). 
    Occorre  osservare,  infine,  che  la   deroga   prevista   dalla
disposizione impugnata non puo' essere giustificata in ragione  della
grave crisi economica causata dalla pandemia da COVID-19. Come questa
Corte  ha  gia'  chiarito,  proprio  con  riferimento  a  una   norma
legislativa provinciale limitativa della concorrenza,  «la  peculiare
contingenza della crisi economica determinata dal COVID-19» non  puo'
in alcun modo rilevare nella definizione del riparto  delle  funzioni
legislative in materia, essendo escluso  che  «[l]a  precarieta'  del
contesto di  emergenza  [abbia]  ampliato  le  competenze»  regionali
(sentenza n. 23 del 2022). Resta cosi' fermo che, anche in  relazione
all'emergenza pandemica, spetta solo allo  Stato  adottare  norme  di
deroga in materia di concorrenza (sentenze n. 38 e n. 16 del 2021). 
    Va dunque dichiarata l'illegittimita' costituzionale dell'art.  5
della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 25 del 2020. 
    4.- Anche in relazione all'art. 11, commi 1, 2 e 3,  della  legge
reg. Friuli-Venezia Giulia n. 25 del 2020,  occorre  in  primo  luogo
verificare il rilievo dello ius superveniens, rappresentato dall'art.
11, comma 4, della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 23  del  2021,
che ha sostituito nell'impugnato art. 11, comma  1,  le  parole  «per
l'annualita' 2021» con le parole «per l'annualita' 2022». 
    La previsione  modificativa  (che  non  e'  stata  impugnata  dal
Presidente del Consiglio dei ministri) non e' idonea a  incidere  sui
termini della controversia. In primo luogo, essa palesemente  non  ha
carattere satisfattivo, avendo anzi prolungato  l'arco  temporale  di
applicazione di una delle disposizioni impugnate. 
    Mancano inoltre i presupposti di un'eventuale estensione ad  essa
della questione, posto che l'art.  11,  comma  4,  della  legge  reg.
Friuli-Venezia Giulia  n.  23  del  2021  non  apporta  una  modifica
marginale  ma  muta  il  contenuto  precettivo   della   disposizione
impugnata. L'estensione della questione, dunque, va  esclusa  per  le
ragioni esposte sopra, al punto 2, con riferimento alla  prima  delle
due questioni proposte nel ricorso in esame. 
    4.1.- La Regione eccepisce l'inammissibilita' del secondo  motivo
di  ricorso,  in  quanto  il  ricorrente  invocherebbe  «in   maniera
generica, indistinta e cumulativa una pluralita' di limiti  statutari
che la Regione non avrebbe rispettato». Il ricorso non  illustrerebbe
in particolare «ne' quali tra le  disposizioni  dei  commi  impugnati
esorbiterebbero  dai  limiti»  statutari  ne'  «quali  sarebbero,  in
concreto, i limiti asseritamente violati». 
    L'eccezione non e' fondata. 
    Sia nella premessa che nella conclusione il ricorso  invoca  solo
l'art.  117,  secondo  comma,  lettera  l),  Cost.,   lamentando   la
violazione  della  competenza  esclusiva  statale   in   materia   di
ordinamento  civile.  Anche  il  nucleo  della  motivazione  relativa
all'impugnazione dell'art. 11 della legge reg. Friuli-Venezia  Giulia
n. 25 del 2020 fa leva sulla spettanza della competenza in materia di
canoni demaniali allo Stato,  «secondo  i  principi  dell'ordinamento
civile».  L'invocazione   dei   limiti   statutari   della   potesta'
legislativa primaria della  Regione  autonoma  Friuli-Venezia  Giulia
rappresenta, dunque, piu'  un  elemento  argomentativo  che  uno  dei
termini della questione, che resta delimitata, quanto  al  parametro,
dall'art. 117, secondo comma, lettera l), Cost. 
    5.- Venendo al merito della  censura,  e'  necessario  richiamare
ancora  una  volta  il  quadro  normativo  sull'assetto  del  demanio
marittimo e idrico in Friuli-Venezia Giulia. 
    In base all'art. 1 del decreto legislativo 25 maggio 2001, n. 265
(Norme  di  attuazione   dello   Statuto   speciale   della   regione
Friuli-Venezia Giulia per il trasferimento di beni del demanio idrico
e marittimo, nonche' di funzioni in materia di risorse idriche  e  di
difesa del suolo), «[s]ono  trasferiti  alla  regione  Friuli-Venezia
Giulia [...] tutti i beni dello Stato appartenenti al demanio idrico,
comprese le acque pubbliche, gli alvei e le pertinenze, i laghi e  le
opere  idrauliche,  situati  nel  territorio  regionale»  (comma  1).
Inoltre, «[s]ono trasferiti alla regione tutti i beni dello  Stato  e
relative pertinenze [...] situati nella laguna di  Marano-Grado»  (si
tratta di beni del demanio marittimo). La Regione «esercita tutte  le
attribuzioni inerenti alla titolarita' dei beni trasferiti  ai  sensi
dei commi 1 e 2» (comma  3).  In  base  all'art.  5,  comma  5,  «[i]
proventi e le spese derivanti  dalla  gestione  dei  beni  trasferiti
spettano alla regione a decorrere dalla data di consegna».  L'art.  2
dello stesso d.lgs. n. 265 del 2001 ha trasferito alla Regione «tutte
le funzioni amministrative relative ai beni» di cui all'art. 1. 
    L'art. 9, comma 2, del decreto legislativo 1° aprile 2004, n. 111
(Norme  di  attuazione   dello   statuto   speciale   della   regione
Friuli-Venezia Giulia concernenti il  trasferimento  di  funzioni  in
materia di viabilita' e  trasporti),  ha  successivamente  trasferito
alla Regione «le funzioni relative  alle  concessioni  dei  beni  del
demanio della navigazione interna, del demanio marittimo, di zone del
mare   territoriale   per   finalita'   diverse    da    quelle    di
approvvigionamento energetico», dunque anche in relazione ai beni del
demanio marittimo statale (cioe',  quelli  diversi  dalla  laguna  di
Marano-Grado). In base all'art. 9, comma 5, inoltre, «[i] proventi  e
le spese derivanti dalla  gestione  del  demanio  marittimo  e  della
navigazione interna, per la parte non gia' trasferita con il  decreto
legislativo 25 maggio 2001, n. 265, [...] spettano alla Regione». 
    5.1.- Le disposizioni regionali impugnate  hanno  ad  oggetto  la
determinazione dei canoni delle  concessioni  dei  beni  del  demanio
idrico e marittimo situati in Friuli-Venezia  Giulia.  Tale  tema  e'
stato oggetto della recente sentenza n. 46 del  2022,  con  la  quale
questa Corte si e'  pronunciata  sull'impugnazione,  da  parte  della
Regione autonoma  Friuli-Venezia  Giulia,  della  disciplina  statale
concernente la  determinazione  dei  canoni  demaniali  in  questione
(contenuta nei commi 2, 3, 4 e 5 dell'art. 100 del  decreto-legge  14
agosto 2020, n. 104, recante «Misure urgenti per  il  sostegno  e  il
rilancio dell'economia», convertito, con modificazioni,  nella  legge
13 ottobre 2020, n. 126),  per  la  violazione  (fra  l'altro)  delle
proprie competenze statutarie in diverse materie. 
    Questa Corte ha dichiarato le questioni non fondate, distinguendo
pero' a seconda della titolarita' dei beni. Per i  beni  del  demanio
marittimo di proprieta' statale (cioe', tutti  tranne  la  laguna  di
Marano-Grado), il ricorso e' stato respinto, perche' la competenza  a
regolare la determinazione dei canoni spetta  all'ente  titolare  del
bene, sul presupposto  che,  in  base  alla  costante  giurisprudenza
costituzionale, «dirimente ai fini della competenza a  dettare  norme
in materia di determinazione dei canoni "e' la titolarita' del bene e
non invece la titolarita' di funzioni  legislative  e  amministrative
intestate alle Regioni in ordine all'utilizzazione dei  beni  stessi"
(sentenza n. 286  del  2004  e  precedenti  ivi  richiamati,  nonche'
sentenza n. 94 del 2008)» (si vedano anche le sentenze n. 128 e n. 73
del 2018, n. 213  del  2006,  n.  427  del  2004).  La  pronuncia  ha
affermato, inoltre, l'operativita' di  tale  criterio  anche  per  la
Regione autonoma  Friuli-Venezia  Giulia,  nonostante  la  previsione
dell'art. 9, comma 5, del d.lgs. n. 111  del  2004,  che  attribuisce
alla Regione stessa i proventi  e  le  spese  derivanti  dal  demanio
marittimo di titolarita' statale. 
    Per quanto riguarda  invece  i  beni  demaniali  trasferiti  alla
Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, costituiti dal demanio idrico
e, nell'ambito del demanio marittimo, dalla laguna  di  Marano-Grado,
questa Corte ha dichiarato le  questioni  non  fondate,  perche',  in
virtu' della clausola di salvaguardia contenuta nell'art. 113-bis del
d.l.  n.  104  del  2020,  le  norme  impugnate  devono  considerarsi
inapplicabili alla stessa Regione, in forza del criterio «secondo  il
quale il potere di disciplinare l'ammontare  dei  canoni  relativi  a
beni demaniali [...] spetta in linea di principio  all'ente  che  sia
titolare dei beni medesimi: e dunque  alla  stessa  Regione  autonoma
rispetto ai beni che fanno parte del suo  patrimonio,  essendo  stati
trasferiti alla  medesima  dalle  [...]  norme  di  attuazione  dello
statuto  -  peraltro  con  l'espressa  precisazione  che  la  Regione
"esercita tutte le attribuzioni inerenti alla  titolarita'  dei  beni
trasferiti ai sensi dei commi 1 e 2" (art. 1, comma 3, del d.lgs.  n.
265 del 2001)» (ancora, sentenza n. 46 del 2022). 
    5.2.- Cio' premesso, si possono esaminare  le  singole  questioni
sollevate nell'odierno ricorso. 
    5.2.1.- Come visto, il comma 1 dell'art. 11 stabilisce (nel testo
originario) che, «[a]ttesa l'emergenza  epidemiologica  da  COVID-19,
per  l'annualita'  2021  l'importo  annuo  del  canone  dovuto  quale
corrispettivo  dell'utilizzazione  di  beni  demaniali  marittimi  di
competenza regionale e comunale con  qualunque  finalita'  non  puo',
comunque, essere inferiore a 361,90 euro». 
    L'assunto della Regione resistente,  secondo  cui  la  previsione
andrebbe interpretata, alla luce della  citata  sentenza  n.  46  del
2022, nel senso di riferirsi solo al demanio marittimo regionale, non
puo' essere condiviso. L'espressione  «beni  demaniali  marittimi  di
competenza regionale e comunale» non  puo'  non  comprendere  infatti
anche il demanio marittimo statale, che e' anch'esso  «di  competenza
regionale e comunale» per quanto riguarda le funzioni  amministrative
(si vedano gli artt.  4  e  5  della  legge  della  Regione  autonoma
Friuli-Venezia Giulia 13 novembre 2006,  n.  22,  recante  «Norme  in
materia di demanio marittimo  con  finalita'  turistico-ricreativa  e
modifica alla legge regionale n. 16/2002 in  materia  di  difesa  del
suolo e di demanio idrico»). In virtu'  del  gia'  riferito  costante
orientamento  di  questa  Corte,  l'art.  11,  comma  1,  e'   dunque
costituzionalmente  illegittimo  nella  parte   in   cui   disciplina
l'importo annuo minimo del canone dovuto per l'utilizzazione dei beni
appartenenti al demanio marittimo statale. 
    In  ragione   della   ravvisata   illegittimita'   costituzionale
parziale,  lo  stesso  comma  1  dell'art.  11   della   legge   reg.
Friuli-Venezia Giulia n. 25 del 2020, come modificato  dall'art.  11,
comma 4, della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 23 del  2021  (che
ha sostituito le parole «per l'annualita' 2021» con  le  parole  «per
l'annualita' 2022»), resta dunque applicabile solo  in  relazione  ai
beni del demanio marittimo regionale. 
    5.2.2.- Alla luce del medesimo costante  orientamento  di  questa
Corte   in   tema   di   canoni    demaniali,    risulta    parimenti
costituzionalmente illegittimo il comma 2 dell'art. 11,  secondo  cui
«[n]on e' dovuto alcun canone qualora  il  bene  demaniale  marittimo
statale venga concesso a enti  pubblici,  anche  economici,  al  fine
della  realizzazione  di  un'opera  pubblica».  Riferendosi  al  solo
demanio marittimo statale, e prevedendo per esso un caso  di  esonero
dal pagamento del canone concessorio, la disposizione  interviene  in
ambito riservato al legislatore statale. 
    5.2.3.- L'art. 11, comma 3, dispone che  «[i]l  canone  demaniale
per le concessioni e le autorizzazioni inerenti all'utilizzo di  beni
del demanio marittimo e del demanio idrico regionale,  relative  alla
messa in opera e all'utilizzo dei cosiddetti bilancioni (impianti con
rete), e'  determinato  con  esclusivo  riferimento  alla  superficie
sviluppata dalla rete». 
    La Regione ha riferito che gli impianti in  questione  consistono
in una grande rete quadra immersa  nell'acqua,  che  viene  sollevata
periodicamente per raccogliere  il  pescato.  Lo  scopo  della  norma
sarebbe quello di chiarire che,  ai  fini  della  determinazione  del
canone demaniale, nel computo della superficie  non  va  compresa  la
proiezione sullo specchio acqueo dei cavi che collegano  la  rete  da
pesca alla cabina di manovra. 
    L'interpretazione  adeguatrice  suggerita  dalla   resistente   -
secondo la quale l'aggettivo «regionale» andrebbe riferito  anche  al
«demanio marittimo» - non risulta coerente con la struttura lessicale
della disposizione e con il riferimento dell'aggettivo «regionale» al
solo «demanio idrico», con la conseguenza che l'espressione  «demanio
marittimo» e' tale  da  comprendere  potenzialmente  anche  beni  del
demanio marittimo  statale.  Ne',  d'altro  canto,  puo'  condurre  a
conclusioni diverse il fatto, addotto  dalla  Regione,  secondo  cui,
attualmente, i "bilancioni" sarebbero presenti solo  nelle  aree  del
demanio marittimo regionale (laguna di Marano-Grado)  e  del  demanio
idrico, di proprieta' regionale. Si tratterebbe, invero, di una  mera
circostanza di fatto  inidonea  a  definire  in  senso  riduttivo  la
portata della norma, di per se' riferibile a  ogni  tipo  di  demanio
marittimo, e dunque anche a quello statale. 
    Anche il comma 3 dell'art. 11  della  legge  reg.  Friuli-Venezia
Giulia n. 25 del 2020 risulta dunque  costituzionalmente  illegittimo
nella parte in cui fissa un criterio  di  determinazione  del  canone
riguardante beni del demanio marittimo statale.