ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art.  67,  comma
8, del decreto legislativo 6 settembre 2011,  n.  159  (Codice  delle
leggi  antimafia  e  delle  misure  di  prevenzione,  nonche'   nuove
disposizioni in materia di documentazione antimafia,  a  norma  degli
articoli 1 e 2 della legge 13 agosto 2010, n. 136), «come  richiamato
dal secondo comma dell'art. 84» del medesimo d.lgs. n. 159 del  2011,
promosso dal Tribunale  amministrativo  regionale  per  il  Piemonte,
sezione prima, nel procedimento vertente tra  la  societa'  L.  e  il
Ministero dell'interno e altri, con ordinanza  del  29  aprile  2021,
iscritta al n. 142 del registro ordinanze  2021  e  pubblicata  nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica  n.  39,  prima  serie  speciale,
dell'anno 2021. 
    Visti l'atto di costituzione della societa' L., nonche' l'atto di
intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; 
    udito nell'udienza pubblica del 5 aprile 2022 il Giudice relatore
Nicolo' Zanon; 
    uditi  l'avvocato  Vincenzo  Maiello  per  la  societa'   L.,   e
l'avvocato dello Stato Wally Ferrante per il Presidente del Consiglio
dei ministri. 
    deliberato nella camera di consiglio del 5 aprile 2022. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza del 29 aprile 2021, iscritta al n. 142 del r.o.
del 2021, il Tribunale  amministrativo  regionale  per  il  Piemonte,
sezione prima, solleva, in riferimento agli artt. 3, 25, 27, 38 e  41
della  Costituzione,   questioni   di   legittimita'   costituzionale
dell'art. 67, comma 8, del decreto legislativo 6 settembre  2011,  n.
159 (Codice delle leggi antimafia  e  delle  misure  di  prevenzione,
nonche' nuove disposizioni in materia di documentazione antimafia,  a
norma degli articoli 1 e 2 della legge 13 agosto 2010, n. 136), «come
richiamato dal secondo comma dell'art. 84» del medesimo d.lgs. n. 159
del 2011, nella parte in cui, rinviando all'art. 51, comma 3-bis, del
codice di procedura penale, si riferisce anche al reato di «Attivita'
organizzate per il traffico illecito  di  rifiuti»  di  cui  all'art.
452-quaterdecies del  codice  penale,  «anche  nella  sua  forma  non
associativa», e «quindi nella parte in cui prevede  l'automatismo  di
cui alla comunicazione antimafia nel caso di condanna per il reato di
cui all'art. 452-quaterdecies del c.p.  anche  nella  sua  forma  non
associativa». 
    2.- Il giudice a quo e' stato investito di  un  ricorso  proposto
della societa' L., operante nel  settore  del  prelievo,  traporto  e
smaltimento   di   sottoprodotti   di    origine    animale,    volto
all'annullamento del provvedimento del Prefetto  della  Provincia  di
Alessandria  recante  la  comunicazione  che,  nei  confronti   della
societa' stessa, risultano sussistere le situazioni ostative  di  cui
alla disposizione censurata. 
    Riferisce  il  rimettente  che  la  comunicazione  antimafia   in
questione  aveva  tratto  esclusiva  giustificazione  dalla  condanna
emessa dalla Corte d'appello di Cagliari nei confronti di A.  M.,  P.
M. e M. M. per il reato di «Attivita'  organizzate  per  il  traffico
illecito di rifiuti», delitto al momento dei fatti previsto dall'art.
260 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme  in  materia
ambientale), e successivamente inserito nel  codice  penale  all'art.
452-quaterdecies, per effetto dell'art. 3, comma 1, lettera  a),  del
decreto legislativo 1° marzo 2018, n. 21,  recante  «Disposizioni  di
attuazione del principio di delega  della  riserva  di  codice  nella
materia penale a norma dell'articolo 1, comma 85, lettera  q),  della
legge 23 giugno 2017, n. 103». 
    Si apprende dall'ordinanza di rimessione che due dei  destinatari
della condanna sono procuratori della societa' L., parte del giudizio
a quo, il cui socio unico e', a sua volta, la societa' M. G. Soci  di
maggioranza di quest'ultima sono i gia' citati A. M., P. M. e M. M. 
    Costoro, al fine di conseguire un  ingiusto  profitto,  con  piu'
operazioni  e  attraverso  l'allestimento  di   mezzi   e   attivita'
continuative e organizzate, avevano ricevuto, trasportato, gestito  e
smaltito  abusivamente  ingenti  quantitativi  di  sottoprodotti   di
origine animale, destinandoli alla produzione  di  farine  e  oli  da
utilizzarsi  per  la  preparazione  di  mangimi  animali.  La   Corte
d'appello di Cagliari  aveva  invece  escluso  la  sussistenza  della
contestata fattispecie di associazione per delinquere di cui all'art.
416 cod. pen., giacche' non vi era prova che  il  riscontrato  e  pur
«ben congegnato sistema criminoso,  non  occasionale  o  contingente»
fosse assimilabile  ad  un  piu'  generale  programma  permanente  ed
indeterminato di azioni illecite, anche del medesimo genere. 
    3.-  Il  rimettente  premette  una   ricostruzione   del   quadro
normativo. Ai sensi dell'art.  84,  comma  2,  cod.  antimafia  «[l]a
comunicazione antimafia consiste nell'attestazione della  sussistenza
o meno di una delle cause di decadenza, di sospensione o  di  divieto
di cui all'articolo 67». Quest'ultima disposizione stabilisce, al suo
comma 1, che  «[l]e  persone  alle  quali  sia  stata  applicata  con
provvedimento definitivo una delle misure di prevenzione previste dal
libro I, titolo I,  capo  II  non  possono  ottenere»  una  serie  di
licenze,  autorizzazioni,  concessioni,  iscrizioni,  attestazioni  e
contributi  per  lo  svolgimento   di   attivita'   professionale   o
imprenditoriale, puntualmente indicati dalla lettera a) alla  lettera
h) del medesimo comma 1. 
    Il successivo comma 2 stabilisce poi che  l'applicazione  in  via
definitiva della misura  di  prevenzione  comporta  la  decadenza  di
diritto da tali  licenze,  autorizzazioni,  concessioni,  iscrizioni,
attestazioni  ed  erogazioni,  nonche'  il  divieto   di   concludere
contratti pubblici di lavoro, servizi e forniture. 
    Il comma  4,  ancora,  prevede  che  il  tribunale  estenda,  con
efficacia pari a cinque anni, i divieti e le decadenze  in  questione
ai conviventi con la persona  sottoposta  a  misura  di  prevenzione,
nonche' alle imprese, associazioni  e  societa'  e  consorzi  di  cui
questi sia amministratore o determini  in  qualsiasi  modo  scelte  e
indirizzi. 
    Il comma 8 dell'art. 67, oggetto di censure, prescrive che  «[l]e
disposizioni di cui ai commi  1,  2  e  4»,  appena  richiamati,  «si
applicano anche nei confronti delle persone condannate  con  sentenza
definitiva o,  ancorche'  non  definitiva,  confermata  in  grado  di
appello, per uno dei delitti di cui all'articolo 51, comma 3-bis, del
codice di procedura penale». Tale ultima disposizione stabilisce che,
quando si tratti dei procedimenti per determinati delitti,  consumati
o tentati - tra i quali e' ricompresa la fattispecie di cui  all'art.
452-quaterdecies cod. pen. - le funzioni di pubblico  ministero  sono
assegnate all'ufficio della procura presso il tribunale del capoluogo
del distretto nel  cui  ambito  ha  sede  il  giudice  competente,  e
precisamente, in forza dell'art. 102 del d.lgs. n. 159 del  2011,  ai
magistrati della direzione distrettuale antimafia. 
    Il  giudice  a  quo  ricorda  che,  secondo   la   piu'   recente
giurisprudenza di legittimita' (viene citata la sentenza della  Corte
di cassazione, sezione prima penale, 12 novembre 2018-12 aprile 2019,
n. 16123), i delitti di cui all'art. 51, comma 3-bis, cod. proc. pen,
«individuano,  per  la   maggior   parte,   fattispecie   di   natura
associativa, ma piu'  in  generale  evocano  condotte  antigiuridiche
radicate in fenomeni di criminalita' organizzata  che,  alla  stregua
dell'esperienza  vissuta  e  dei  conseguenti  rimedi   ordinamentali
apprestati,  necessitano  di  essere  contrastati  con  indagini  che
abbiano un coordinamento accentrato  negli  uffici  distrettuali  del
pubblico  ministero  disciplinati  dallo  stesso  art.  51   c.p.p.».
Tuttavia, aggiunge la Corte di  cassazione  nella  pronuncia  citata,
«non  poche  di  queste  figure  criminose  comunque  implicanti   un
rilevante tasso di allarme sociale e in generale tali da  presupporre
una struttura organizzativa alla rispettiva base [...] non riguardano
direttamente  reati  aventi  carattere  associativo»,  come  e'   per
l'appunto per il reato di cui all'art. 260 del d.lgs. n. 152 del 2006
(ora art. 452-quaterdecies cod. pen.). 
    4.- Svolta tale premessa, il rimettente esclude di poter accedere
ad  un'interpretazione  costituzionalmente  orientata  dell'art.  67,
comma 8, del d.lgs. n. 159 del 2011, secondo  la  quale  anche  nelle
ipotesi contemplate da tale disposizione la  comunicazione  antimafia
potrebbe essere emessa solo se si sia verificato, in concreto, che il
reato si riconnetta all'attivita' delle organizzazioni  criminali  di
stampo mafioso. Infatti, il «preciso  dato  testuale»  imporrebbe  di
ritenere che la comunicazione antimafia sia provvedimento  vincolato,
con  la  conseguenza  che  «unico  e  sufficiente  presupposto»   per
incorrere  nelle  preclusioni  contemplate  dall'art.  67  e'  l'aver
riportato condanna con sentenza definitiva o  confermata  in  secondo
grado per uno dei delitti previsti all'art.  51,  comma  3-bis,  cod.
proc. pen., e dunque anche per il reato di «Attivita' organizzate per
il traffico illecito di rifiuti». 
    5.- In punto di rilevanza,  specifica  il  rimettente  che,  allo
stato degli atti, il  ricorso  dovrebbe  essere  rigettato;  laddove,
invece,  questa  Corte  accogliesse  le  prospettate   questioni   di
legittimita' costituzionale, il giudizio avrebbe  «un  esito  diverso
alla  luce  della  possibilita'  di  sottrarre  il  reato  in   esame
all'effetto automatico scaturito  dalla  condanna,  e  proprio  della
comunicazione antimafia». 
    6.- Quanto alla non manifesta  infondatezza,  il  giudice  a  quo
premette che la  documentazione  antimafia,  nelle  due  forme  della
comunicazione e della informazione, «assolve una funzione cautelare e
preventiva volta ad assicurare una difesa anticipata della  legalita'
ed una risposta efficace dello Stato nel contrasto alla  criminalita'
organizzata». Mentre l'informazione antimafia (art. 84, comma 3, cod.
antimafia)  si  connota  per  uno  «spiccato  momento  di   autonomia
valutativa  da  parte  del  Prefetto»,  chiamato  ad   attestare   la
sussistenza o meno di «eventuali tentativi di  infiltrazione  mafiosa
tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi  delle  societa'  o
imprese interessate», la comunicazione antimafia (art. 84,  comma  2,
cod. antimafia) si risolve nella emissione  di  un  provvedimento  di
«natura vincolata».  Un  automatismo,  aggiunge  il  giudice  a  quo,
«formulato  in  modo   tale   da   non   permettere   alla   Pubblica
Amministrazione di tenere conto delle peculiarita' del caso  concreto
in tutti quei casi in cui si realizzino le fattispecie ivi  previste,
tra le quali, appunto, la  condanna  (ancorche'  non  definitiva,  ma
confermata in  grado  di  appello)  per  il  reato  di  cui  all'art.
452-quaterdecies del codice penale». Tale disposizione, inserita  nel
titolo  dedicato  ai  delitti  contro  l'ambiente,  sanziona  con  la
reclusione da uno a sei anni «[c]hiunque, al fine  di  conseguire  un
ingiusto profitto, con piu' operazioni e attraverso l'allestimento di
mezzi e attivita' continuative organizzate, cede, riceve,  trasporta,
esporta,  importa,   o   comunque   gestisce   abusivamente   ingenti
quantitativi di rifiuti». Si tratta di un reato che, secondo la Corte
di cassazione, si configura anche quando  l'attivita'  criminosa  sia
marginale o secondaria rispetto all'attivita' principale  lecitamente
svolta (viene citata la sentenza della Corte di  cassazione,  sezione
terza penale, 23 maggio-28 ottobre 2019, n. 43710). Inoltre,  non  e'
richiesta  la  pluralita'  di   soggetti   agenti,   trattandosi   di
fattispecie monosoggettiva (viene citata la sentenza della  Corte  di
cassazione, sezione terza penale, 10-23 luglio 2008, n. 30847). 
    La  fattispecie,  specifica  ulteriormente  il  rimettente,  «non
presuppone  necessariamente  una  struttura   associativa»   e,   per
configurazione e finalita', si distingue dal reato  di  cui  all'art.
416 cod. pen., quest'ultimo  posto  a  tutela  non  dell'ambiente  ma
dell'ordine pubblico, e volto a  sanzionare,  inoltre,  il  sodalizio
criminale  senza  che  rilevi  l'effettiva  commissione   dei   reati
programmati. Proprio  per  queste  ragioni,  i  due  delitti  possono
concorrere (viene citata  la  sentenza  della  Corte  di  cassazione,
sezione terza penale, 17 gennaio-6 febbraio 2014, n. 5773). 
    Il  giudice  a  quo,   inoltre,   sottolinea   che,   mentre   la
giurisprudenza avrebbe dilatato il concetto di «traffico illecito  di
rifiuti» facendovi rientrare anche fattispecie che nulla avrebbero  a
che vedere con la criminalita' organizzata, l'art. 67, comma 8,  cod.
antimafia, ponendo a presupposto delle misure interdittive  il  reato
in questione, produrrebbe l'effetto di ampliare i confini applicativi
della normativa antimafia «senza garantire un effettivo riscontro  in
merito alla sussistenza dei  requisiti  giustificativi  della  misura
stessa». 
    Invero, pur essendo «fatto notorio»  l'interesse  mostrato  dalle
organizzazioni criminali di tipo mafioso per il settore  dei  rifiuti
(viene citata la sentenza del Consiglio di Stato, sezione  terza,  30
giugno 2020, n. 4168, che ha a tal proposito parlato di  «ecomafie»),
non si potrebbe da cio' trarre la conclusione che tutti i  condannati
per il reato di cui all'art. 452-quaterdecies cod. pen.  «siano  ipso
facto  a  rischio  di  collusione  con  ambienti  della  criminalita'
organizzata».  Una  tale  presunzione,  secondo   la   giurisprudenza
amministrativa chiamata a pronunciarsi su fattispecie  relative  alla
informazione antimafia, «non  puo'  essere  assoluta»,  tenuto  conto
degli effetti dirompenti dell'interdittiva (viene citata la  sentenza
del  TAR  Lazio,  sezione  prima-ter,  15  luglio  2014,  n.   7571).
L'ancoraggio dell'informazione antimafia ad elementi  prefissati  dal
legislatore  ne  farebbe  infatti  un   provvedimento   fondato   «su
inammissibili automatismi» (viene citata la sentenza del Consiglio di
Stato, sezione terza, 27 dicembre 2019, n. 8883). 
    Il  rimettente  e'  consapevole  che  tali  considerazioni  hanno
riguardo  alla  informazione  antimafia  e  non  alla   comunicazione
antimafia, ma, aggiunge, non si dovrebbe trascurare il  «sempre  piu'
intenso   accostamento   tra   i   due   istituti»,   dovuto    anche
all'introduzione - ad opera dall'art. 2, comma  1,  lettera  d),  del
decreto legislativo 13 ottobre 2014, n. 153  (Ulteriori  disposizioni
integrative e correttive al decreto legislativo 6 settembre 2011,  n.
159,  recante  codice  delle  leggi  antimafia  e  delle  misure   di
prevenzione, nonche' nuove disposizioni in materia di  documentazione
antimafia, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 13  agosto  2010,
n. 136)  -  dell'art.  89-bis  cod.  antimafia,  secondo  cui  se  il
prefetto, in esito alle verifiche  richieste  per  una  comunicazione
antimafia, accertata la sussistenza  di  tentativi  di  infiltrazione
mafiosa, adotta una informazione  antimafia  interdittiva  che  tiene
luogo della comunicazione antimafia.  In  presenza  di  una  condanna
anche non definitiva per il reato di  attivita'  organizzate  per  il
traffico illecito di rifiuti, previsto tra i "delitti-spia" dall'art.
84, comma 4, lettera a), cod. antimafia, l'autorita'  amministrativa,
dunque, anche se richiesta di rilasciare una comunicazione antimafia,
emetterebbe una informazione antimafia all'esito di  una  valutazione
discrezionale della condanna  in  questione,  quale  mero  indice  di
collusione con ambienti della criminalita' organizzata. 
    7.- Tanto premesso, il TAR Piemonte afferma che l'art. 67,  comma
8, richiamando l'art. 51, comma 3-bis, cod. proc. pen., e dunque, tra
gli altri, il reato di cui all'art. 452-quaterdecies cod. pen., anche
nella sua forma associativa, «necessiti [...] di  una  revisione  sul
piano della conformita' costituzionale», posto che  «la  legittimita'
dell'automatismo interdittivo della comunicazione antimafia»  sarebbe
da  considerarsi  fondata  unicamente  in  riferimento  a  reati  che
presentino   uno   stretto   collegamento   con   l'attivita'   della
criminalita' organizzata di  stampo  mafioso.  Con  riferimento  alla
fattispecie di cui all'art. 452-quaterdecies cod. pen., il rimettente
riterrebbe allora necessaria «un'ulteriore valutazione  in  concreto,
non prevista dalla norma, in merito alla  sussistenza  dei  requisiti
riguardanti la connessione con il  fenomeno  associativo  criminale»,
posto che il carattere associativo e il collegamento con  l'attivita'
della  criminalita'  organizzata  di  stampo  mafioso  non  sarebbero
elementi costitutivi del reato in questione. 
    La norma oggetto di censura, ovverosia l'«automatismo di cui alla
comunicazione antimafia nel caso di condanna  per  il  reato  di  cui
all'art. 452-quaterdecies c.p.», sarebbe pertanto lesiva dei principi
di ragionevolezza e proporzionalita'. 
    L'art. 67, comma 8, aggiunge il  giudice  a  quo,  parificherebbe
irragionevolmente due diverse situazioni: da una parte, quella in cui
sia  stata  definitivamente  adottata,  all'esito  di  uno  specifico
procedimento, una misura di prevenzione, cosi' come quella in cui  vi
sia  stata  condanna  confermata  in  appello  per  gravissimi  reati
espressivi di  un'attivita'  criminale  organizzata;  dall'altra,  la
situazione in cui vi sia stata una condanna confermata in appello per
il reato di cui all'art. 452-quaterdecies cod. pen., che, come detto,
non ha struttura associativa e non e'  necessariamente  correlato  ad
attivita' della criminalita' organizzata. 
    Il dubbio sulla  irragionevolezza  della  disposizione  censurata
deriverebbe anche dalla circostanza che una condanna per il  medesimo
reato e' opportunamente considerata,  dall'art.  84  cod.  antimafia,
come fattore dal quale  inferire  -  senza  pero'  alcun  automatismo
probatorio  -  la  sussistenza  in  concreto   di   un   rischio   di
infiltrazione mafiosa  ai  fini  dell'adozione  di  una  informazione
interdittiva. 
    L'effetto  automatico  proprio  della  comunicazione   antimafia,
invece,  sarebbe  irragionevolmente  sproporzionato,   laddove   esso
consegua ad una condanna per il reato di attivita' organizzate per il
traffico  illecito  di  rifiuti,  anche  nella   sua   variante   non
associativa e non correlata alla criminalita' organizzata. 
    Invece, l'art. 452-quaterdecies cod. pen. dovrebbe  rilevare,  in
tale contesto, solo «nella misura in cui lo  stesso  si  presenti  in
concreto nella dimensione associativa e, in tale senso, si  configuri
come reato-fine dell'art. 416 del c.p.». 
    8.- L'automatismo censurato, non rispondendo  compiutamente  alla
tutela   dell'interesse   pubblico   sotteso    all'istituto    della
comunicazione antimafia, comporterebbe anche, ad avviso del giudice a
quo, una lesione  della  liberta'  di  iniziativa  economica  di  cui
all'art.  41  Cost.,  «fortemente  pregiudicata»  dai   provvedimenti
ostativi che tale comunicazione determina. La norma  avrebbe  effetti
altresi' «sul sistema di sicurezza sociale di cui all'art.  38  della
Costituzione». Cio' in conseguenza della  inibizione,  «nei  rapporti
tra  i  privati  stessi»,  di  qualsivoglia  attivita'  soggetta   ad
autorizzazione, licenza,  concessione,  abilitazione,  iscrizione  ad
albi, segnalazione certificata di inizio attivita' e  disciplina  del
silenzio assenso. 
    9.- Infine, «il collocamento della condanna per il reato  di  cui
all'art. 452-quaterdecies c.p., nella sua forma non associativa,  tra
i presupposti richiesti ai  fini  del  rilascio  della  comunicazione
interdittiva determinerebbe un irragionevole aggravio del trattamento
sanzionatorio  [...],  peraltro,  non  giustificato  da   un'adeguata
motivazione da parte dell'Autorita' prefettizia», proprio  a  cagione
dell'automatismo previsto. 
    Sui meccanismi presuntivi, ricorda conclusivamente il  giudice  a
quo, questa Corte si e' espressa di recente anche con la sentenza  n.
24 del 2020,  dichiarando  costituzionalmente  illegittima  la  norma
scrutinata nella parte in cui dispone  che  il  Prefetto  «provvede»,
anziche' «puo' provvedere», alla revoca della patente. 
    10.- Si e' costituita in  giudizio  la  societa'  L.,  parte  nel
giudizio a quo, con atto depositato il 19 ottobre 2021. 
    Prospettando  l'accoglimento   delle   sollevate   questioni   di
legittimita'  costituzionale,   la   parte   sottolinea   come,   pur
trattandosi  di  reato  connotato  da  elevato  allarme  sociale,  la
fattispecie di attivita' organizzate  per  il  traffico  illecito  di
rifiuti  non  presuppone  una   struttura   organizzativa   di   tipo
necessariamente associativo, e che gli artt. 416  e  452-quaterdecies
cod.  pen.  «possono,  ma  non  devono   concorrere».   La   liberta'
dell'individuo  sarebbe  allora  irragionevolmente  limitata  da  una
«gravissima misura di incapacita' di agire» senza che  sia  garantito
l'accertamento dei presupposti giustificativi di un  simile  effetto.
La comunicazione antimafia, infatti, al contrario della  informazione
antimafia,  non  demanda  al  prefetto  il  potere  di  svolgere  una
valutazione  concreta,  finalizzata  a  verificare  se  la   condotta
illecita si cali o meno in un contesto di matrice mafiosa. 
    L'irragionevolezza dell'effetto interdittivo automatico,  d'altra
parte, sarebbe gia' stata sancita con la sentenza n. 178 del 2021  di
questa Corte, la quale avrebbe in  tale  occasione  evidenziato  come
l'art. 640-bis cod. pen., al pari, aggiunge il rimettente,  dell'art.
452-quaterdecies cod. pen., non ha natura associativa, ha  dimensione
individuale, puo' riguardare anche condotte di minore rilievo, ed  e'
punito con pene piu' lievi. Tale condotta delittuosa, dunque, «ha ben
altra  portata  e  non  costituisce,  di  per  se',  un   indice   di
appartenenza a un'organizzazione criminale». 
    Prospettata per le anzidette ragioni una violazione  dell'art.  3
Cost., la parte chiede in alternativa a questa Corte di adottare  una
pronuncia  interpretativa,  che  faccia   rientrare   nel   perimetro
dell'art. 67, comma 8, cod. antimafia unicamente il reato associativo
(art. 416 cod. pen.)  finalizzato  alla  commissione  di  delitti  di
traffico   illecito   di   rifiuti   in   forma   organizzata   (art.
452-quaterdecies cod. pen.). 
    Infine, e' invocata la violazione  dell'art.  41  Cost.,  perche'
l'estensione  degli  effetti  interdittivi,  prevista   dalla   norma
censurata, al reato  di  cui  all'art.  452-quaterdecies  cod.  pen.,
sganciato da  qualsiasi  contesto  associativo,  provocherebbe  danni
irragionevolmente elevati alla liberta'  d'iniziativa  economica.  Il
codice  antimafia,  infatti,  avrebbe  dato  iniqua  prevalenza  agli
obiettivi  sottesi  al  contrasto  alle  mafie,   senza   considerare
adeguatamente le «ricadute irreversibili» sul diritto di proprieta' e
sulla iniziativa economica. 
    11.- E' intervenuto  in  giudizio,  con  atto  depositato  il  19
ottobre 2021, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato
e difeso dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  chiedendo  che  le
questioni di legittimita' costituzionale siano dichiarate non fondate
in riferimento a tutti i parametri evocati. 
    La difesa erariale, richiamati i fatti all'origine della condanna
che ha motivato il prefetto ad emettere comunicazione antimafia e  il
complessivo contesto normativo in cui si situa l'istituto, sottolinea
come il legislatore avrebbe operato  una  «selezione  a  monte  delle
fattispecie suscettibili di destare maggiore allarme sociale»,  e  al
cui   ricorrere   l'autorita'   amministrativa   sarebbe    vincolata
all'emissione della misura interdittiva (viene citata la sentenza del
Consiglio di Stato, sezione terza, 30 giugno 2020, n. 4168). 
    Ragionevole e proporzionata sarebbe, in particolare, la scelta di
aver  incluso  in  questo  catalogo  anche  il  reato  di   attivita'
organizzate per il traffico illecito di  rifiuti.  In  considerazione
dei suoi elementi costitutivi (ovvero: piu' operazioni,  allestimento
di mezzi e attivita' continuative organizzate,  ingenti  quantitativi
di rifiuti, dolo specifico  di  ingiusto  profitto),  si  tratterebbe
infatti di reato che, nella prassi, e anche  in  caso  di  forma  non
associativa, si presterebbe ad essere frequentemente posto in  essere
«per ottenere il controllo  illecito  degli  appalti».  Peraltro,  ai
sensi dell'art. 32-quater cod. pen., alla condanna per tale  condotta
consegue la pena accessoria della incapacita' di contrattare  con  la
pubblica amministrazione. 
    Sottolinea poi l'Avvocatura generale che l'art. 51, comma  3-bis,
cod.  proc.  pen.  elenca   reati,   anche   non   associativi,   che
costituirebbero  di   per   se'   una   «"spia"   sufficiente   della
permeabilita' ad  infiltrazioni  e  condizionamenti  da  parte  delle
consorterie criminali»; cio' che sarebbe confermato dalla circostanza
che per tali delitti, i quali presuppongono  comunque  una  struttura
organizzata, sia stata prevista  la  competenza  investigativa  della
Direzione distrettuale antimafia e antiterrorismo  (viene  richiamata
la sentenza della  Corte  di  cassazione,  sezione  prima  penale,  5
luglio-21 settembre 2017, n. 43599). 
    Ancora, si  evidenzia  come  l'art.  452-quaterdecies  cod.  pen.
sanzioni unicamente le forme  piu'  gravi  di  gestione  abusiva  dei
rifiuti, in quanto connotate da una struttura imprenditoriale e dalla
abitualita' della condotta, mentre in mancanza di queste  si  applica
la fattispecie contravvenzionale di cui all'art. 256  del  d.lgs.  n.
152 del 2006,  rubricato  «Attivita'  di  gestione  dei  rifiuti  non
autorizzata». 
    12.- L'Avvocatura generale richiama inoltre la  sentenza  n.  178
del 2021, con la quale questa Corte, pronunciandosi nel  senso  della
illegittimita'  costituzionale  della  norma  che  ha  inserito   nel
catalogo considerato dall'art. 67, comma 8, cod. antimafia  il  reato
di cui all'art. 640-bis cod. pen., avrebbe «espressamente escluso  da
una  analoga  valutazione  l'articolo  452-quaterdecies  del   codice
penale». Nella decisione si afferma, infatti,  che  «gli  altri  casi
previsti dalla disposizione censurata, cioe' quelli di  cui  all'art.
51, comma 3-bis, cod. proc. pen., hanno  una  specifica  valenza  nel
contrasto alla mafia». Si tratta, aggiunge la pronuncia, di reati che
hanno in gran parte natura associativa  oppure  che  «presentano  una
forma di organizzazione di base (come per il sequestro di persona  ex
art. 630 cod. pen) o comunque richiedono condotte plurime  (come  per
il traffico illecito di rifiuti di cui all'art. 452-quaterdecies cod.
pen.), oltre a prevedere pene che possono essere anche  molto  alte».
Ed e' in virtu' di «siffatta complessita' che si radica la competenza
della procura  distrettuale  antimafia,  operante  secondo  linee  di
intervento   dotate   della   necessaria    coerenza,    organicita',
programmazione». 
    Da questi passi della pronuncia, deduce conclusivamente la difesa
erariale  che  la  questione  oggetto   dell'odierno   giudizio   non
risulterebbe in alcun modo sovrapponibile  a  quella  decisa  con  la
citata  sentenza  n.  178  del  2021.  Anzi,  le  argomentazioni  che
sorreggono quella decisione  dimostrerebbero,  a  contrario,  che  la
previsione degli altri reati considerati dalla  disposizione  sarebbe
sorretta da ragionevolezza e proporzionalita', in ossequio all'art. 3
Cost. 
    13.- Non fondate sarebbero  altresi'  le  censure  riferite  agli
artt. 38 e 41 Cost. 
    Questa Corte, si sostiene, pronunciandosi sugli  artt.  89-bis  e
92, commi 3 e 4 cod. antimafia, ha infatti ritenuto non fondate,  con
la sentenza  n.  57  del  2020,  le  censure  mosse  alla  pur  grave
limitazione della liberta' di  impresa  derivante  dal  ricorso  allo
strumento amministrativo, perche'  la  tutela  dei  valori  in  gioco
impone di «colpire in anticipo» il fenomeno mafioso. 
    Anzi, sottolinea l'Avvocatura generale, proprio allo scopo di non
vanificare  la  finalita'  preventiva  che  permea  la   legislazione
antimafia (e' richiamata la sentenza del Consiglio di Stato,  sezione
terza,  30  gennaio  2019,  n.  758),   sarebbero   da   considerarsi
giustificati,  sia  la  compressione  dell'attivita'  imprenditoriale
soggetta a regime autorizzatorio, sia gli ulteriori effetti derivanti
dalla condanna per i reati considerati dalla disciplina censurata. 
    14.- Da ultimo, viene richiesta una pronuncia di  non  fondatezza
anche per le questioni sollevate in riferimento alla violazione degli
artt.  25  e  27   Cost.   Infatti,   sarebbe   proprio   la   logica
«anticipatoria» delle misure interdittive a collocare tali misure  in
un ambito diverso rispetto a quello proprio delle misure afflittive e
punitive. Quelle considerate dalla legislazione  antimafia  sarebbero
in altri termini «nozioni che delineano una fattispecie di  pericolo,
propria  del  diritto  della  prevenzione,  finalizzato,  appunto,  a
prevenire un evento che, per la stessa scelta  del  legislatore,  non
necessariamente e' attuale o inveratosi, ma  anche  solo  potenziale»
(e' richiamata la sentenza del Consiglio di Stato, sezione  terza,  2
maggio 2019, n. 2855). 
    Anche sotto tale profilo, in definitiva, la disciplina scrutinata
sarebbe  da  considerarsi  non  irragionevole  e  non  sproporzionata
rispetto  allo  scopo  di  contrastare  il   grave   fenomeno   della
criminalita' organizzata (e' citata  la  sentenza  del  Consiglio  di
Stato, sezione terza, 24 aprile 2020, n. 2651). 
    15.- La parte, in data 15 marzo 2022, ha  presentato  memoria  in
vista dell'udienza, insistendo  per  l'accoglimento  delle  questioni
sollevate. In questa prospettiva, sostiene che la citata sentenza  n.
178 del 2021 non  pregiudicherebbe  affatto  l'odierna  questione  di
legittimita' costituzionale, non essendosi questa  Corte  pronunciata
in alcun modo sui reati elencati  dall'art.  51,  comma  3-bis,  cod.
proc. pen. Anzi, la pronuncia  avrebbe  affermato  l'irragionevolezza
dell'effetto automatico discendente da un  reato  privo  di  concreta
connotazione mafiosa. 
    Anche l'art. 41 Cost.  risulterebbe  violato,  in  considerazione
delle ricadute irreversibili prodotte dalla disciplina censurata.  Si
tratterebbe, infatti, di «"sanzioni"  (nell'accezione  comunitaria)»,
tali da «squilibrare il rapporto Autorita'/Liberta'» in carenza di un
rapporto di bilanciamento con i contrapposti beni  costituzionali  in
gioco. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.-  Il  Tribunale  amministrativo  regionale  per  il   Piemonte
solleva, in  riferimento  agli  artt.  3,  25,  27,  38  e  41  della
Costituzione, questioni di legittimita' costituzionale dell'art.  67,
comma 8, del decreto legislativo 6 settembre  2011,  n.  159  (Codice
delle leggi antimafia e delle misure di  prevenzione,  nonche'  nuove
disposizioni in materia di documentazione antimafia,  a  norma  degli
articoli 1 e 2 della legge 13 agosto 2010, n. 136), «come  richiamato
dal secondo comma dell'art. 84» del medesimo d.lgs. n. 159 del 2011. 
    La disposizione e' censurata nella parte  in  cui,  rinviando  al
catalogo di reati previsto dall'art. 51, comma 3-bis, del  codice  di
procedura penale, si riferisce al reato di «Attivita' organizzate per
il traffico illecito di rifiuti» di cui all'art. 452-quaterdecies del
codice penale, «anche nella sua forma non associativa». 
    I  dubbi  di  legittimita'  costituzionale  del   rimettente   si
concentrano  sul  fatto  che   la   disposizione   censurata   impone
l'emissione della comunicazione antimafia  interdittiva  in  caso  di
condanna definitiva, o confermata in appello, per il reato ricordato,
anche laddove quest'ultimo non si manifesti in forma associativa. 
    Cosi' disponendo, l'art. 67, comma 8, del d.lgs. n. 159 del  2011
violerebbe, in primo luogo, l'art. 3  Cost.  sotto  i  profili  della
ragionevolezza  e  della   proporzionalita'   rispetto   allo   scopo
perseguito  dal  legislatore.  Considerato,   infatti,   l'automatico
effetto  interdittivo  della  comunicazione  antimafia  in  caso   di
condanna definitiva o confermata in appello per il reato di attivita'
organizzate per il traffico illecito di rifiuti, la disposizione  non
consentirebbe una valutazione in concreto «in merito alla sussistenza
dei requisiti riguardanti la connessione con il fenomeno  associativo
criminale», posto che il carattere associativo e il collegamento  con
l'attivita' della criminalita'  organizzata  non  sarebbero  elementi
costitutivi del reato in questione. 
    Inoltre,   aggiunge   il   giudice   a   quo,   la   disposizione
parificherebbe irragionevolmente due situazioni assai diverse: da una
parte, quella in cui sia stata definitivamente adottata, all'esito di
uno specifico procedimento, una misura  di  prevenzione,  cosi'  come
quella in cui vi sia  stata  condanna,  confermata  in  appello,  per
gravissimi reati espressivi di  un'attivita'  criminale  organizzata;
dall'altra, la situazione in cui vi sia stata una condanna confermata
in appello per il reato di cui all'art. 452-quaterdecies  cod.  pen.,
pur quando questo non si configuri «come  reato-fine»  dell'art.  416
cod. pen. 
    Vi sarebbe, ancora, lesione dell'art. 41  Cost.,  atteso  che  la
liberta'   di   iniziativa   economica    risulterebbe    «fortemente
pregiudicata» dai vari provvedimenti ostativi  che  la  comunicazione
interdittiva determina. L'automatismo previsto dalla norma  censurata
avrebbe effetti altresi' «sul sistema di  sicurezza  sociale  di  cui
all'art. 38 della Costituzione»,  in  conseguenza  della  inibizione,
«nei rapporti  tra  i  privati  stessi»,  di  qualsivoglia  attivita'
soggetta  ad  autorizzazione,  licenza,  concessione,   abilitazione,
iscrizione ad albi, segnalazione certificata di  inizio  attivita'  e
disciplina del silenzio assenso. 
    Infine, risulterebbero lesi gli artt. 25 e 27  Cost.,  in  quanto
«il  collocamento  della  condanna  per  il  reato  di  cui  all'art.
452-quaterdecies  c.p.,  nella  sua  forma  non  associativa,  tra  i
presupposti  richiesti  ai  fini  del  rilascio  della  comunicazione
interdittiva determinerebbe un irragionevole aggravio del trattamento
sanzionatorio  [...],  peraltro,  non  giustificato  da   un'adeguata
motivazione da parte dell'Autorita' prefettizia». 
    2.-  Devono  essere  innanzitutto  dichiarate  inammissibili   le
questioni di  legittimita'  costituzionale  incentrate  sull'asserita
lesione agli artt. 38, 25 e 27 Cost. 
    Quanto alla questione sollevata in riferimento all'art. 38  Cost,
l'ordinanza di rimessione risulta eccessivamente concisa  e,  quindi,
oscura, evocando, come si e' visto,  un  effetto  della  disposizione
censurata «sul sistema di sicurezza sociale di cui all'art. 38  della
Costituzione», che comporterebbe l'inibizione, «nei  rapporti  tra  i
privati   stessi»,   di   qualsivoglia    attivita'    soggetta    ad
autorizzazione, licenza, concessione e iscrizione ad albi. 
    All'evidenza, la censura non e' sorretta da alcuna argomentazione
che consenta di  apprezzarne  la  pertinenza  nella  fattispecie  (in
termini, sulla omessa illustrazione dei motivi  di  censura  riferiti
all'art.  38  Cost.,  sentenza  n.  178  del   2021;   in   generale,
sull'inammissibilita' per difetto di motivazione sulla non  manifesta
infondatezza, tra le molte, sentenze n. 213 del 2021  e  n.  126  del
2018; ordinanza n. 224 del 2021). 
    Anche le censure relative all'asserita violazione degli artt.  25
e 27 Cost. - richiamati congiuntamente, senza  alcuna  distinzione  -
risultano prive di adeguata motivazione in  punto  di  non  manifesta
infondatezza. In modo del tutto apodittico, l'ordinanza accenna  alla
circostanza che, nel caso di specie,  la  comunicazione  interdittiva
determinerebbe un «aggravio del trattamento  sanzionatorio»,  ma  non
contiene   alcuna   analisi   critica    dell'ampia    giurisprudenza
amministrativa  -  del  resto  neppure  menzionata   (si   veda,   in
particolare, Consiglio di Stato, adunanza plenaria, sentenza 6 aprile
2018,  n.  3)  -  che   ha   qualificato   quelle   derivanti   dalla
documentazione antimafia come misure di carattere  anticipatorio  cui
conseguono  forme  di  incapacita'  giuridica,  prive  di   carattere
sanzionatorio  (nel  senso  della  natura  preventiva   anche   dello
specifico strumento della comunicazione antimafia, ancora sentenza n.
178 del 2021 di questa Corte). 
    Stante  la  complessita'  e  la  delicatezza  della  materia,  lo
svolgimento di una qualche verifica sul  punto  risultava  condizione
indispensabile per l'accesso allo scrutinio di  merito  da  parte  di
questa  Corte.  La  sua   completa   assenza   determina,   pertanto,
l'inammissibilita' delle questioni (sentenze n. 197 del 2021 e n. 222
del 2019). 
    3.- Quanto alle censure incentrate sulla violazione  dell'art.  3
Cost. (rispetto alla quale l'asserita lesione dell'art. 41  Cost.  si
presenta  come  questione  "ancillare"),  esse,  a  differenza  delle
precedenti, risultano ampiamente motivate. Anche per tali  questioni,
tuttavia, lo scrutinio di merito  risulta  precluso,  a  causa  della
perplessita' e della contraddittorieta' della  motivazione  contenuta
nell'ordinanza di rimessione, che si snoda  lungo  due  percorsi  tra
loro non conciliabili, e che, come  si  dira',  avrebbero,  ciascuno,
conseguenze ben distinte: percorsi e conseguenze fra cui questa Corte
risulta inammissibilmente chiamata a scegliere. 
    3.1.- Da un primo  punto  di  vista,  l'ordinanza  di  rimessione
chiede a questa Corte di  dichiarare  costituzionalmente  illegittimo
l'art. 67, comma 8, del d. lgs. n. 159 del 2011, nella parte  in  cui
ricomprende il reato di cui all'art. 452-quaterdecies cod. pen.  pure
nella sua forma non associativa,  anche  quando,  dunque,  lo  stesso
delitto non concorra con il reato di associazione per delinquere. 
    In tal caso, la strategia d'attacco alla  disposizione  censurata
ha l'obbiettivo di rimuovere dal novero dei reati richiamati da  tale
disposizione - ricompresi  nell'elenco  recato  dall'art.  51,  comma
3-bis, cod. proc. pen. -  quello  di  attivita'  organizzate  per  il
traffico illecito di rifiuti,  in  quanto  realizzato  in  forma  non
associativa. 
    Si  tratterebbe,  percio',  di  una  sentenza   di   accoglimento
parziale, che inibirebbe, quanto al reato citato (in quanto  commesso
in forma non associativa), l'operativita' del richiamo  all'art.  51,
comma 3-bis, cod. proc. pen. operato dalla disposizione  direttamente
censurata. 
    Dall'eventuale sentenza di  accoglimento  fondata  su  un  simile
percorso argomentativo deriverebbe che, in virtu' dell'art. 67, comma
8, del d.lgs. n. 159 del 2011, non sarebbe consentita l'emissione  di
una comunicazione antimafia interdittiva quando la  condanna  per  il
reato di traffico illecito di rifiuti, confermata almeno in  appello,
non contempli, appunto,  anche  il  concorso  con  il  reato  di  cui
all'art. 416 cod. pen. 
    Secondo questa prima prospettiva, dunque, l'automatismo censurato
nella  disposizione   oggetto   delle   questioni   di   legittimita'
costituzionale dovrebbe essere sostituito,  per  cosi'  dire,  da  un
automatismo di segno  opposto:  il  dato  oggettivo  sulla  cui  base
stabilire se la  comunicazione  interdittiva  vada  emessa,  o  meno,
sarebbe, infatti, la sentenza che pronuncia la condanna. 
    In  questo  caso,  semmai,  la  condotta   rientrante   nell'art.
452-quatercedies cod. pen. potrebbe rilevare, sostiene il rimettente,
quale "reato-spia"  ai  sensi  della  disciplina  sulla  informazione
antimafia, e  percio'  concorrere  a  sostenere  la  valutazione  del
prefetto circa la sussistenza, o  meno,  di  eventuali  tentativi  di
infiltrazione mafiosa. 
    3.2.- Da un secondo punto di vista, tuttavia, la stessa ordinanza
di  rimessione  propone  anche,  sulla  base  di  una   ben   diversa
argomentazione, di dichiarare costituzionalmente  illegittimo  l'art.
67, comma 8, del d.lgs. n. 159  del  2011  nella  parte  in  cui  non
prevede che, in caso  di  condanna  per  il  reato  di  cui  all'art.
452-quaterdecies cod. pen., debba  essere  valutata  in  concreto  la
sussistenza di elementi di connessione con  il  fenomeno  associativo
criminale. 
    Afferma, in particolare, l'ordinanza che, in  tal  caso,  sarebbe
infatti  «necessaria»  «un'ulteriore  valutazione  in  concreto,  non
prevista dalla [disposizione censurata], in merito  alla  sussistenza
dei requisiti riguardanti la connessione con il fenomeno  associativo
criminale». Significativamente, nella parte finale dell'ordinanza  e'
richiamata la sentenza n. 24 del 2020 di questa Corte, che, pur in un
ambito molto diverso, ha dichiarato  l'illegittimita'  costituzionale
dell'art. 120, comma 2, del decreto legislativo 30  aprile  1992,  n.
285 (Nuovo codice della strada), nella parte in cui  dispone  che  il
prefetto «provvede», anziche' «puo' provvedere»,  alla  revoca  della
patente di guida nei confronti di coloro che sono sottoposti a misura
di sicurezza personale. 
    In modo sensibilmente diverso da  quanto  accadrebbe  secondo  la
prima prospettiva, l'art. 67, comma 8, del d.lgs.  n.  159  del  2011
dovrebbe  dunque  essere  dichiarato  costituzionalmente  illegittimo
nella parte in cui non prevede, in caso di condanna per il  reato  di
attivita' organizzate  per  il  traffico  illecito  di  rifiuti,  una
valutazione in concreto circa l'effettiva connessione dei  condannati
con fenomeni criminali associativi. 
    In  questa  seconda  prospettiva,  la  strategia  d'attacco  alla
disposizione censurata non ha l'obbiettivo di rimuovere, di per  se',
dai reati richiamati da tale disposizione  -  fra  quelli  ricompresi
nell'elenco recato dall'art. 51,  comma  3-bis,  cod.  proc.  pen.  -
quello di attivita' organizzate per il traffico illecito di  rifiuti,
in quanto realizzato in forma  non  associativa.  Non  ha,  in  altri
termini, l'obbiettivo di "sostituire" l'automatismo censurato con uno
di segno opposto. Secondo la logica che ha mosso la  sentenza  n.  24
del  2020  di  questa  Corte,   significativamente   richiamata   dal
rimettente, essa ha invece lo scopo di  introdurre,  con  riferimento
allo specifico reato previsto all'art. 452-quaterdecies cod.  pen.  -
ma secondo una logica "espansiva", che ben potrebbe riguardare  altri
reati ricompresi dall'art. 51, comma 3-bis,  cod.  proc.  pen.  -  il
compimento di un'attivita' valutativa da esercitarsi  sulla  sentenza
di condanna. 
    Di questa attivita' discrezionale, peraltro, non sono  del  tutto
chiariti i presupposti e l'oggetto. Non e' dato, infatti, comprendere
se alla pubblica amministrazione  sia  sufficiente  verificare  (come
avverrebbe in base al primo percorso argomentativo) la sussistenza di
una condanna per il reato anche in forma associativa, alla luce delle
oggettive risultanze giudiziarie. Oppure se,  invece,  sia  richiesto
all'autorita' prefettizia l'esercizio di una attivita'  discrezionale
ancora piu' penetrante che,  a  prescindere  dalle  risultanze  della
sentenza, in caso di  condanna  per  il  reato  in  questione  valuti
comunque, in concreto, la sussistenza delle condizioni  per  emettere
una comunicazione interdittiva. 
    Vero che, nell'ambito del  suo  complessivo  iter  argomentativo,
piu'   volte   il   rimettente   richiama   il    diverso    istituto
dell'informazione  antimafia  e  anche  l'evenienza  che,  ai   sensi
dell'art. 89-bis  cod.  antimafia,  a  fronte  di  una  richiesta  di
comunicazione  antimafia  il   prefetto,   accertati   tentativi   di
infiltrazione mafiosa, emetta una informazione che tiene luogo  della
comunicazione. Ma non chiarisce se la discrezionalita',  che  ritiene
necessario restituire all'autorita' amministrativa per effetto di una
declaratoria di illegittimita' costituzionale,  sia,  per  l'appunto,
quella propria della disciplina  dell'informazione  antimafia  o  una
"nuova" discrezionalita', da ricostruire nello specifico ambito della
comunicazione antimafia. 
    4.-  L'ordinanza  mantiene  irrisolte  e   compresenti   le   due
descritte, ben  diverse,  prospettive  argomentative.  Questa  Corte,
tuttavia, non puo' essere  chiamata  a  scegliere  tra  di  esse.  Ne
risulta, inevitabilmente, l'inammissibilita' anche di  questo  gruppo
di censure, per contraddittorieta'  e  ambiguita'  della  motivazione
(sentenze n. 123 del 2021, n. 254 del 2020, n. 153 del 2020,  n.  175
del 2018 e n. 247 del 2015; ordinanza n. 159 del 2021).