ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 5, comma 2,
lettera e),  del  decreto  legislativo  10  settembre  2003,  n.  276
(Attuazione delle deleghe in materia di  occupazione  e  mercato  del
lavoro, di cui alla legge 14 febbraio  2003,  n.  30),  promosso  dal
Consiglio di Stato, sezione  terza,  nel  procedimento  vertente  tra
Manutencoop societa' cooperativa e il Ministero del  lavoro  e  delle
politiche sociali  e  altri,  con  ordinanza  del  20  ottobre  2020,
iscritta al n. 70 del registro  ordinanze  2021  e  pubblicata  nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica  n.  21,  prima  serie  speciale,
dell'anno 2021. 
    Visti l'atto di costituzione di Manutencoop societa' cooperativa,
nonche'  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito  nell'udienza  pubblica  dell'11  maggio  2022  il  Giudice
relatore Augusto Antonio Barbera; 
    uditi gli avvocati Maria Alessandra Sandulli  e  Fabio  Francario
per Manutencoop societa' cooperativa e l'avvocato dello Stato  Gianni
De Bellis per il Presidente del Consiglio dei ministri; 
    deliberato nella camera di consiglio dell'11 maggio 2022. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza del 20 ottobre 2020 (r.o. n. 70 del  2021),  il
Consiglio di Stato, sezione terza, ha sollevato, in riferimento  agli
artt. 3, 41, 45 e 76 della Costituzione,  questioni  di  legittimita'
costituzionale  dell'art.  5,  comma  2,  lettera  e),  del   decreto
legislativo 10 settembre 2003, n. 276 (Attuazione  delle  deleghe  in
materia di occupazione e mercato del lavoro, di  cui  alla  legge  14
febbraio 2003,  n.  30),  nella  parte  in  cui  prevede  che  «[p]er
l'esercizio delle attivita' di cui all'art. 20  [somministrazione  di
lavoro], oltre ai requisiti di cui al comma 1, e' richiesta:  ...  e)
nel caso di cooperative di produzione e lavoro,  oltre  ai  requisiti
indicati al comma 1 e nel presente comma 2, la presenza  [...],  come
socio sovventore, almeno [di] un fondo mutualistico per la promozione
e lo sviluppo della cooperazione, di cui agli articoli 11 e 12  della
legge 31 gennaio 1992, n. 59 [Nuove  norme  in  materia  di  societa'
cooperative], e successive modificazioni». 
    2.- Il  giudice  rimettente  espone  che,  con  ricorso  proposto
davanti al Tribunale amministrativo regionale per il Lazio,  sede  di
Roma, Manutencoop - societa' cooperativa a mutualita' prevalente, che
si occupa di somministrazione di lavoro in favore di societa', enti e
associazioni - ha impugnato le note del 12  dicembre  2019  e  del  7
gennaio 2020, con cui l'Agenzia nazionale per le politiche attive del
lavoro (ANPAL), deputata alla tenuta dell'Albo  istituito  presso  il
Ministero del lavoro al quale devono essere iscritte le  agenzie  per
il lavoro, l'ha  formalmente  invitata  a  regolarizzare  la  propria
posizione, rispristinando la presenza del  socio  sovventore,  venuta
meno a seguito del recesso di Coopfond spa comunicato  l'11  dicembre
2019. 
    A fondamento del  gravame,  la  societa'  ricorrente  ha  dedotto
l'illegittimita' costituzionale dell'art. 5, comma 2, lettera e), del
d.lgs. n. 276 del 2003, per violazione degli artt. 3, 41 e 45 Cost. 
    Con  successivo  ricorso  per  motivi  aggiunti,  Manutencoop  ha
impugnato, anche per difetto di motivazione, la nota del 12  febbraio
2020, con cui ANPAL ha sospeso la  sua  autorizzazione  all'esercizio
dell'attivita'  di  somministrazione  di  lavoro,   precisando   che,
trascorsi sessanta giorni,  avrebbe  adottato  «il  provvedimento  di
revoca dell'autorizzazione a tempo  indeterminato  e  di  contestuale
cancellazione dalla sezione I di albo informatico delle  agenzie  per
il lavoro». 
    Con la sentenza dell'11 maggio 2020, n.  4936  il  TAR  Lazio  ha
respinto  i  ricorsi  e,  avverso  questa  pronuncia,   la   societa'
ricorrente  ha  proposto  appello  davanti  all'odierno   rimettente,
deducendo le medesime censure sollevate in primo grado. 
    Il giudice rimettente riferisce che, prima dell'«udienza camerale
del 2 luglio 2020, fissata per la discussione dell'istanza cautelare,
la  societa'   ricorrente,   onde   scongiurare   qualsiasi   rischio
d'interruzione dell'attivita', ha acquisito nella  propria  compagine
sociale un fondo mutualistico diverso da Coopfond, pur precisando  di
non voler prestare alcuna acquiescenza ai provvedimenti  impugnati  e
di conservare integro l'interesse al loro annullamento». 
    Alla luce di cio', ANPAL, con il  provvedimento  direttoriale  1°
luglio 2020, n. 80, ha revocato la sospensione impugnata con i motivi
aggiunti,  «rispristinando  l'autorizzazione  a  tempo  indeterminato
all'esercizio  dell'attivita'  di  somministrazione»  in  favore   di
Manutencoop, con la conseguenza che,  con  l'ordinanza  n.  3977  del
2020, e' stata respinta, per assenza di periculum in mora,  l'istanza
cautelare. 
    3.-  Il  Consiglio  di  Stato  ha   esaminato,   preliminarmente,
l'eccezione di improcedibilita' dell'appello  sollevata  dalle  parti
resistenti costituitesi in giudizio, il Ministero del lavoro e  delle
politiche sociali e ANPAL. 
    Ad  avviso  del  giudice  rimettente,  questa  eccezione  sarebbe
infondata  perche'  il  provvedimento   di   revoca   e'   «meramente
conseguente alla scelta di Manutencoop  di  acquisire  nella  propria
compagine sociale un fondo mutualistico  diverso  da  Coopfond,  onde
scongiurare, nelle  more  del  giudizio,  qualsiasi  possibilita'  di
rischio d'interruzione dell'attivita'». Tuttavia, Manutencoop ha piu'
volte motivato la propria scelta «come opzione di carattere meramente
prudenziale  e  provvisoria,  non   interpretabile   come   atto   di
acquiescenza alle posizioni di Anpal», bensi'  imposta  dalla  citata
nota del 12 febbraio 2020. 
    Nonostante   questa   nota   sia   stata   revocata,    peraltro,
«l'impugnativa conserva un sostrato oggettivo nelle  intimazioni  del
12 dicembre 2019 e del 7 gennaio 2020, rispetto  alle  quali  permane
l'interesse della ricorrente alla definizione di un  diverso  assetto
regolatorio della materia e del quadro dei principi normativi». 
    Sarebbe  configurabile,  «sia  pure  a   parti   invertite,   una
situazione analoga a quella in cui, disposta la sospensione cautelare
degli effetti di un provvedimento,  l'amministrazione  vi  si  adegui
mediante  l'adozione  di  un   atto   consequenziale   al   contenuto
dell'ordinanza cautelare». In  entrambi  i  casi,  «non  puo'  aversi
improcedibilita'  del  ricorso,  ne'  cessazione  della  materia  del
contendere,  giacche'  l'adozione  non  spontanea  dell'atto  ha  una
rilevanza solo provvisoria, valida  in  attesa  che  la  sentenza  di
merito  accerti  se  le  determinazioni  impugnate   siano   o   meno
legittime». 
    Per effetto dell'atto di revoca del 1°  luglio  2020,  e'  invece
improcedibile la censura di carenza di  motivazione  dedotta  con  il
ricorso per motivi aggiunti avverso il provvedimento revocato. 
    Le questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 5, comma 2,
lettera e), del d.lgs. n. 276 del 2003 sarebbero, pertanto, rilevanti
perche' la norma in esame costituisce  l'esclusivo  fondamento  degli
atti  impugnati,  con  la   conseguenza   che   la   sua   fondatezza
comporterebbe l'accoglimento dei ricorsi,  principale  e  per  motivi
aggiunti. 
    4.- Con riguardo alla  non  manifesta  infondatezza,  il  giudice
rimettente - premessa  una  ricostruzione  del  quadro  normativo  di
riferimento - ritiene non praticabile, a causa del «tenore precettivo
chiaro  ed   univoco»   del   testo   normativo,   un'interpretazione
costituzionalmente orientata dell'art. 5, comma 2,  lettera  e),  del
d.lgs. n. 276  del  2003,  «che  giunga  a  ravvisare  in  capo  alle
cooperative di  produzione  e  lavoro  la  sussistenza  di  una  mera
facolta', e non gia' di un  vero  e  proprio  obbligo  di  assicurare
comunque,  nella  propria  compagine  la   presenza   di   un   fondo
mutualistico come socio sovventore». 
    5.- Ad avviso del  Consiglio  di  Stato,  la  norma  censurata  -
nell'imporre, contrariamente alle disposizioni della legge n. 59  del
1992,   richiamate   come   «norme   interposte   nel   giudizio   di
costituzionalita'», l'obbligo e non  la  facolta'  di  «assumere  una
forma che preveda la necessaria compresenza  di  soci  cooperatori  e
soci sovventori» - violerebbe, in primo luogo, l'art. 45 Cost. 
    L'assetto costitutivo  imposto  alle  cooperative,  infatti,  non
sarebbe compatibile con lo spirito mutualistico,  in  quanto  implica
«la presenza di una figura (quella del socio sovventore)  rispondente
ad una logica antitetica a quella  del  socio  cooperatore»,  la  cui
partecipazione nella societa' ha la «finalita' di conseguire  beni  e
servizi  (socio  consumatore),  ovvero  occasioni  di  lavoro  (socio
lavoratore) a condizioni piu' favorevoli di quelle vigenti nel libero
mercato». 
    Ad avviso del  giudice  rimettente,  «la  forzatura  nel  modello
generale della struttura societaria  cooperativa»,  introdotta  dalla
norma censurata, non sarebbe giustificabile neppure «alla luce  delle
finalita'  di  realizzazione  degli  scopi  della  c.d.   "mutualita'
esterna" o "di sistema" introiettate  nel  sistema  dalla  legge  del
1992», per sviluppare e migliorare il sistema  cooperativo  generale.
Infatti,  questi  scopi  sono  realizzabili  con  diverse   modalita'
alternative, essendo previsto  ad  esempio  che  le  cooperative  non
aderenti ad associazioni riconosciute, o aderenti ad associazioni che
non abbiano costituito un fondo mutualistico per la promozione  e  lo
sviluppo della cooperazione, possano effettuare versamenti in  favore
del fondo appositamente costituito presso il Ministero del lavoro. 
    In questo quadro,  la  trasformazione  dell'originaria  facolta',
prevista dalla legge n. 59 del 1992, della  societa'  cooperativa  di
ricorrere alla figura del  socio  sovventore  per  acquisire  risorse
finanziarie da parte di terzi mossi da una finalita' lucrativa, in un
obbligo,  per  effetto  della  norma   censurata,   «costituisce   un
irragionevole irrigidimento della disciplina di  settore,  in  quanto
travalicante  il  limite  cruciale  della  ragionevolezza   e   della
ponderata funzionalita' agli intenti perseguiti dal legislatore». 
    Infine,  la  necessaria  compresenza  di   soci   cooperatori   e
sovventori  implicherebbe  «una  alterazione   delle   regole   della
concorrenza  e  del  mercato,  in  quanto  rende  cogente  una  forma
necessaria per l'esercizio dell'impresa  cooperativa  in  materia  di
somministrazione e  intermediazione  [di]  lavoro,  anche  laddove  i
requisiti economico-finanziari richiesti  per  l'iscrizione  all'albo
risultino diversamente soddisfatti dalla societa' cooperativa». 
    Peraltro, la norma censurata, «oltre ad imporre la  presenza  del
fondo  mutualistico  nella  compagine  sociale»,   obbligherebbe   la
societa' cooperativa  «ad  aderire  alle  associazioni  nazionali  di
rappresentanza e tutela del  movimento  cooperativo,  dalle  quali  i
fondi  mutualistici  promanano».  Questi,  infatti,  subordinano   la
partecipazione  alla  previa  adesione,  da  parte   della   societa'
cooperativa, all'organismo associativo nazionale che li ha istituiti.
Di conseguenza, ad una cooperativa sarebbe  preclusa  l'attivita'  di
intermediazione, se «non presenta un socio sovventore che  sia  fondo
mutualistico e se non aderisce previamente  ad  uno  degli  organismi
associativi nazionali esistenti», come accaduto nel caso di specie. 
    6.- Le questioni sarebbero non manifestamente infondate anche con
riferimento agli artt. 3 e 41 Cost., in  quanto  «l'imposizione  alle
sole societa' cooperative dedite alla intermediazione di  lavoro,  in
aggiunta alle garanzie  generalmente  richieste  a  tutti  gli  altri
operatori,   della    condizione    aggiuntiva    della    necessaria
partecipazione di un  fondo  mutualistico  nella  compagine  sociale,
appare frutto di una scelta priva di motivate ragioni  ed  implicante
una altrettanto immotivata restrizione  della  liberta'  d'iniziativa
economica». 
    Non   sarebbe   ragionevole   che,   nello   specifico    settore
dell'intermediazione di lavoro, «solo la partecipazione di  un  fondo
mutualistico garantirebbe,  oltre  ad  una  qualificata  garanzia  di
solidita'  finanziaria,  la  rispondenza   della   cooperativa   alle
finalita' di mutualita' e, dunque, la prevenzione di forme abusive di
esercizio dell'attivita'». Cio' in quanto gli artt. 4 e 5 del  d.lgs.
n. 276 del 2003 gia'  prevedono,  oltre  a  una  serie  di  requisiti
giuridici  e  finanziari,  un  sistema  di   vigilanza   ministeriale
permanente sugli operatori nel campo dell'intermediazione di lavoro e
un  sistema  autorizzatorio  «che  passa  attraverso  una   fase   di
autorizzazione  provvisoria  cui  fa  seguito,  previa  verifica  dei
requisiti   e   del   corretto   andamento   dell'attivita'   svolta,
l'autorizzazione in via definitiva». Ne e' conferma il fatto  che  la
norma  censurata  «non  fissa  la  quota  partecipativa   del   fondo
mutualistico, limitandosi a  prevederne  l'obbligatoria  presenza  ai
fini dell'iscrizione all'albo delle Agenzie per il  lavoro»,  con  la
conseguenza che questa potrebbe essere, come nella specie,  irrisoria
e simbolica. 
    Inoltre, una volta superato il regime di monopolio  pubblico  nel
settore del collocamento, «l'attivita' di intermediazione non  sembra
rivelare  piu'  alcuna  specialita'  che   possa   giustificarne   un
trattamento differenziato e  piu'  restrittivo  rispetto  alle  altre
attivita'  pure  generalmente,  e  senza   particolari   limitazioni,
esercitabili in forma cooperativa». 
    7.- Le questioni sarebbero, infine, non manifestamente  infondate
anche  con  riferimento  all'art.  76  Cost.,  in  quanto  la  delega
legislativa - concessa dall'art. 1 della legge 14 febbraio  2003,  n.
30 (Delega al Governo in materia di occupazione e mercato del lavoro)
per dettare i «principi fondamentali in  materia  di  disciplina  dei
servizi per l'impiego, con particolare  riferimento  al  sistema  del
collocamento,  pubblico  e  privato,   e   di   somministrazione   di
manodopera» - non avrebbe consentito «una  rimodulazione  del  regime
autorizzatorio in relazione alla natura giuridica dell'intermediario,
[ne']  una  rivisitazione  e  un'alterazione  della   stessa   natura
giuridica del soggetto intermediario». 
    La norma censurata eccederebbe, quindi, «il limite della  materia
della "disciplina dei servizi per  l'impiego"  prevista  dalla  legge
delega  (Riforma  Biagi),  avendo  essa  finito  per  invadere  -   e
illegittimamente  stravolgere  -  quella  dei  principi  generali   e
fondamentali della disciplina in materia di societa' cooperative». 
    8.- E' intervenuto nel giudizio di  legittimita'  costituzionale,
con memoria depositata il 15 giugno 2021, il Presidente del Consiglio
dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, eccependo l'inammissibilita' delle questioni  e,  nel  merito,
chiedendo che esse siano dichiarate non fondate. 
    9.- Ad avviso della difesa dello Stato,  le  questioni  sarebbero
inammissibili per difetto di rilevanza, in quanto la motivazione  del
giudice a quo in ordine al persistente interesse  a  ricorrere  della
Manutencoop, nonostante la  «sopravvenuta  carenza  dell'oggetto  del
giudizio», sarebbe inadeguata e implausibile. 
    Il provvedimento di sospensione  impugnato  con  il  ricorso  per
motivi aggiunti, infatti, e'  stato  revocato  con  il  provvedimento
direttoriale n. 80 del 1° luglio 2020, che ha  ripristinato  a  tempo
indeterminato l'autorizzazione  allo  svolgimento  dell'attivita'  di
somministrazione di lavoro, a seguito dell'ingresso  in  Manutencoop,
come socio  sovventore,  del  fondo  mutualistico  Promocoop  spa,  a
partire dal 23 giugno 2020. 
    Essendo venuto meno l'oggetto del processo, non  puo'  continuare
«a  predicarsi   una   artificiosa   persistenza   dell'interesse   a
ricorrere». 
    A  tal  fine,  non  sarebbe  sufficiente  il   riferimento   alle
intimazioni del 12 dicembre 2019 e del 7 gennaio 2020, gravate con il
ricorso principale, perche', essendo  atti  endoprocedimentali,  sono
stati  assorbiti  dal  successivo   provvedimento   di   sospensione,
impugnato con i motivi aggiunti, poi revocato. 
    Ritiene, infine, l'Avvocatura dello Stato che la  fattispecie  in
cui  la  parte  si  e'  spontaneamente  conformata  al  provvedimento
impugnato non puo'  essere  equiparata,  come  ha  fatto  il  giudice
rimettente, all'ipotesi in cui l'amministrazione da' esecuzione a «un
provvedimento  giudiziale  interinale,  posto   che   in   tal   caso
"l'adeguamento" non e' rimesso a una scelta  (sia  pure  interessata)
dell'Amministrazione [...] bensi' alla doverosa attuazione  [...]  di
un ordine giudiziale». 
    10.- Le questioni sarebbero comunque non fondate nel merito. 
    Con riferimento alla censura di violazione degli  artt.  3  e  41
Cost.,  la  difesa   dello   Stato   -   richiamata   la   pertinente
giurisprudenza costituzionale - ritiene  che  la  norma  oggetto  del
giudizio non «violi i limiti costituzionali  entro  cui  puo'  essere
esercitato il potere legislativo», in quanto la  necessaria  presenza
di un socio  sovventore,  nelle  societa'  cooperative  che  svolgono
attivita' di intermediazione di lavoro, «da un lato, non pare  idonea
a  sacrificarne  le  opzioni  di   fondo,   dall'altro,   corrisponde
all'esigenza  di  utilita'  sociale  di  realizzare  [...]  la   c.d.
mutualita' di sistema, oltre che di garantire un apporto di  capitale
sociale sicuro nella disponibilita' di dette societa'». 
    La circostanza  che  questa  finalita'  possa  essere  realizzata
mediante  diversi  meccanismi,  «non  vale  di  per  se'  a   rendere
irragionevole la previsione de qua». 
    Infine, osserva l'Avvocatura dello Stato, la norma censurata  non
incide in modo apprezzabile  nella  sfera  giuridica  della  societa'
cooperativa  e  non  ne  lede  la  liberta'  economica,  «in  ragione
dell'assenza di un limite minimo per la partecipazione in parola». 
    Le questioni sarebbero non fondate, anche perche' non vi  sarebbe
omogeneita' di situazioni tra le societa' cooperative in  generale  e
quelle che svolgono attivita' di  somministrazione,  intermediazione,
ricerca e selezione del personale, che si connotano per lo «specifico
oggetto sociale», strettamente connesso a finalita' pubbliche. 
    Inoltre, i fondi mutualistici,  a  differenza  degli  altri  soci
sovventori, perseguono anche scopi mutualistici, «consistendo il loro
oggetto sociale esclusivamente nella promozione e  nel  finanziamento
di nuove imprese e iniziative di  sviluppo  della  cooperazione».  La
previsione  della  loro  presenza  nelle  societa'  cooperative   che
svolgono  attivita'  di  intermediazione  di  lavoro  «non   consente
pertanto di ravvisare  un'ipotesi  di  discriminazione  arbitraria  e
ingiustificata». 
    Infine, conclude la difesa dello Stato, la norma  censurata  «non
comporta alcun onere economico suppletivo in capo  alle  cooperative,
che sono in ogni caso tenute al versamento  del  contributo  previsto
dall'art. 11 della legge n. 59/1992 (devoluto al bilancio dello Stato
ex art. 20 se la cooperativa non aderisce a un fondo  mutualistico)».
Da  qui  l'insussistenza,   in   un   «bilanciamento   di   interessi
costituzionalmente rilevanti», di un contrasto con  il  principio  di
ragionevolezza. 
    11.- Anche la  censura  di  violazione  dell'art.  45  Cost.  non
sarebbe fondata, in quanto la legge n. 59 del 1992 ha  introdotto  la
figura del socio sovventore e l'istituto dei fondi  mutualistici  per
rafforzare la mutualita' di sistema. A fronte di  questa  disciplina,
la previsione dell'obbligo, per le societa' cooperative che  svolgono
attivita' di intermediazione di lavoro  e,  quindi,  operano  in  uno
«specifico e ben  circoscritto  settore»,  di  dotarsi  di  un  socio
sovventore  non  costituirebbe   uno   stravolgimento   dello   scopo
mutualistico, anche perche' questi puo'  essere  solamente  un  fondo
mutualistico. 
    La norma censurata, insomma, sarebbe ragionevole alla luce  delle
«innumerevoli  esigenze   di   pubblico   interesse»   sottese   alla
«particolare conformazione del mercato di  riferimento».  Proprio  la
ratio di salvaguardia di interessi pubblici legati  alla  tutela  dei
lavoratori e del sistema previdenziale ai sensi degli artt.  35,  36,
37 e 38 Cost.  giustificherebbe  la  limitazione  della  liberta'  di
iniziativa  economica  privata  ed  escluderebbe  l'abnormita'  della
previsione che impone alla societa' cooperativa di acquisire  risorse
finanziarie da un terzo particolarmente qualificato, diverso dai soci
cooperatori, che assicuri lo svolgimento effettivo dell'attivita'  di
intermediazione e il contestuale stabile  perseguimento  degli  scopi
mutualistici. 
    La  partecipazione  di  un  fondo  mutualistico   alla   societa'
cooperativa  sarebbe  un  «concreto  indice  di   rispondenza   della
cooperativa  alle  finalita'  di   mutualita',   sicche',   ai   fini
dell'esercizio di attivita' di particolare interesse pubblico - quale
quella di  intermediazione  -  ben  si  giustifica  che  il  predetto
requisito assuma la natura di condizione necessaria». 
    12.- Le questioni sarebbero, infine, manifestamente infondate  in
riferimento all'art. 76 Cost., in quanto l'art. 1, comma  2,  lettere
l) e m), della legge n.  30  del  2003  ha  delegato  il  Governo  ad
adottare un regime autorizzatorio diversificato in funzione del  tipo
di attivita' svolta e della natura  giuridica  dell'intermediario  in
materia di lavoro.  In  questo  quadro,  il  censurato  art.  5,  nel
disciplinare i criteri di iscrizione all'albo delle  agenzie  per  il
lavoro,  ha  introdotto  un  regime  differenziato  per  le  societa'
cooperative di produzione e lavoro in conformita'  ai  criteri  della
delega di cui si e' detto. 
    Il legislatore delegato,  pertanto,  non  ha  dettato  una  nuova
disciplina delle societa' cooperative, ma  ha  solamente  previsto  i
requisiti  minimi  che  le  stesse  devono  possedere  per   svolgere
l'attivita' di somministrazione, intermediazione, ricerca e selezione
del personale. 
    13.- Con memoria depositata l'11 giugno 2021,  si  e'  costituita
Manutencoop societa' cooperativa, ricorrente nel giudizio principale,
chiedendo che le questioni siano accolte. 
    La norma censurata, nell'imporre  alle  societa'  cooperative  la
«necessaria compresenza  di  soci  cooperatori  e  soci  sovventori»,
stravolgerebbe lo scopo mutualistico e  violerebbe  l'art.  45  Cost.
Infatti, in forza dei commi 4, 5 e 6 dell'art. 11 della legge  n.  59
del 1992,  gli  obblighi  di  contribuzione  e  devoluzione  preposti
all'attuazione del principio  di  mutualita'  esterna  o  di  sistema
possono essere assolti senza aderire  a  un  fondo  mutualistico.  E'
evidente, pertanto, che l'imposizione  della  presenza  di  un  fondo
mutualistico  come  socio  sovventore  nella  compagine  sociale  non
risponde a questa finalita'  e,  comunque,  non  si  giustifica  «con
riferimento  alla  mutualita'  interna,  in  quanto,  al   contrario,
introduce tra i contenuti essenziali del  contratto  associativo  una
figura  (quella  del  socio  finanziatore  o   sovventore)   che   e'
esattamente antitetica a quella del socio cooperatore». 
    14.- Le questioni sarebbero non manifestamente  infondate,  anche
in riferimento agli artt. 3 e 41 Cost., in quanto «la  partecipazione
del  fondo  mutualistico  non  e'   necessaria   per   garantire   le
obbligazioni  assunte  dalla  societa'  cooperativa  [...]  ne'   per
garantire l'adempimento degli obblighi  di  mutualita'  di  sistema».
Infatti, gli  artt.  11  e  12  della  legge  n.  59  del  1992,  che
costituirebbero «norma  interposta  di  riferimento»,  non  prevedono
l'adesione ai fondi mutualistici come obbligatoria, essendo prevista,
in alternativa, la possibilita' di  contribuire  al  fondo  istituito
presso il Ministero ex art. 20 della medesima legge. 
    Questo  obbligo  «(che  implica  [...]  la  partecipazione   alle
associazioni nazionali  di  rappresentanza  e  tutela  del  movimento
cooperativo dalle quali derivano i  fondi  mutualistici)  si  risolve
pertanto in un'immotivata e irragionevole restrizione della  liberta'
di iniziativa economica dell'impresa cooperativa, compromessa  (solo)
nel caso abbia a oggetto l'attivita' di intermediazione di lavoro». 
    La lesione della «liberta' di  impresa»  sarebbe  particolarmente
evidente  nel  caso  di  specie,  in  cui  Manutencoop  e'   receduta
dall'organismo  associativo   nazionale   LegaCoop,   «ponendosi   in
posizione  marcatamente  concorrenziale»  con  le  imprese  ad   esso
aderenti e, a causa di cio', le e'  stata  preclusa  la  prosecuzione
dell'attivita'. 
    15.- Le questioni, infine, non sarebbero manifestamente infondate
neanche con riferimento all'art. 76 Cost., per le  ragioni  enunciate
nell'ordinanza di rimessione. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Il Consiglio di Stato, sezione terza, dubita, in  riferimento
agli artt. 3, 41, 45 e  76  della  Costituzione,  della  legittimita'
costituzionale  dell'art.  5,  comma  2,  lettera  e),  del   decreto
legislativo 10 settembre 2003, n. 276 (Attuazione  delle  deleghe  in
materia di occupazione e mercato del lavoro, di  cui  alla  legge  14
febbraio 2003, n. 30), nella parte in cui prevede che le agenzie  per
il lavoro costituite in forma di societa' cooperative di produzione e
lavoro che intendano svolgere attivita' di somministrazione di lavoro
devono possedere, oltre ai requisiti giuridici e finanziari  previsti
per tutte le agenzie per il lavoro dal comma 1 del medesimo  art.  5,
l'ulteriore requisito della presenza, come socio  sovventore,  di  un
fondo mutualistico per la promozione e lo sviluppo della cooperazione
di cui agli artt. 11 e 12 della legge 31 gennaio 1992, n.  59  (Nuove
norme in materia di societa' cooperative). 
    Ad avviso del  giudice  rimettente,  sarebbe  violato  l'art.  45
Cost., in quanto la norma censurata - nell'imporre  «la  presenza  di
una figura (quella del socio sovventore) rispondente  ad  una  logica
antitetica a quella del socio cooperatore» - si porrebbe in contrasto
con lo spirito mutualistico e non sarebbe giustificata neppure  «alla
luce  delle  finalita'  di  realizzazione  degli  scopi  della   c.d.
"mutualita' esterna" o "di sistema" introiettate  nel  sistema  dalla
legge del 1992» per sviluppare e migliorare  il  sistema  cooperativo
generale. 
    Le questioni sarebbero  non  manifestamente  infondate  anche  in
riferimento agli artt. 3 e 41 Cost., in  quanto  «l'imposizione  alle
sole societa' cooperative dedite alla intermediazione di  lavoro,  in
aggiunta alle garanzie  generalmente  richieste  a  tutti  gli  altri
operatori,   della    condizione    aggiuntiva    della    necessaria
partecipazione di un  fondo  mutualistico  nella  compagine  sociale,
appare frutto di una scelta priva di motivate ragioni  ed  implicante
una altrettanto immotivata restrizione  della  liberta'  d'iniziativa
economica»,  non  giustificata  dalla   specificita'   dell'attivita'
esercitata. 
    Infine, la norma censurata sarebbe in  contrasto  con  l'art.  76
Cost., in quanto la delega legislativa - concessa dall'art.  1  della
legge 14 febbraio 2003, n.  30  (Delega  al  Governo  in  materia  di
occupazione  e  mercato  del  lavoro),  per   dettare   i   «principi
fondamentali in materia di disciplina dei servizi per l'impiego,  con
particolare riferimento  al  sistema  del  collocamento,  pubblico  e
privato,  e  di  somministrazione  di  manodopera»  -   non   avrebbe
consentito «una rimodulazione del regime autorizzatorio in  relazione
alla natura giuridica dell'intermediario, [ne'] una  rivisitazione  e
un'alterazione   della   stessa   natura   giuridica   del   soggetto
intermediario». 
    2.- Il Presidente del  Consiglio  dei  ministri,  intervenuto  in
giudizio tramite  l'Avvocatura  generale  dello  Stato,  ha  eccepito
l'inammissibilita' delle  questioni  sollevate,  perche'  il  giudice
rimettente avrebbe ritenuto superabile, con motivazione inadeguata  e
implausibile, l'eccezione di improcedibilita'  dell'appello  proposta
dalle amministrazioni resistenti nel giudizio a quo a  seguito  della
revoca del provvedimento di sospensione impugnato e del ripristino, a
tempo    indeterminato,    dell'autorizzazione    allo    svolgimento
dell'attivita' di somministrazione di lavoro in favore della societa'
ricorrente. 
    Essendo  venuto  meno  l'oggetto  del  processo,   non   potrebbe
continuare «a predicarsi una artificiosa persistenza dell'interesse a
ricorrere», con la conseguenza che la  sopravvenuta  improcedibilita'
del ricorso nel giudizio a quo renderebbe  irrilevanti  le  questioni
sollevate. 
    2.1.- L'eccezione di inammissibilita' non e' fondata. 
    In punto di rilevanza, il Consiglio di Stato ha riferito che, con
il ricorso principale proposto davanti  al  Tribunale  amministrativo
regionale per  il  Lazio,  Manutencoop  -  societa'  cooperativa  che
esercita attivita' di somministrazione di manodopera -  ha  impugnato
le note del 12 dicembre 2019 e del 7 gennaio 2020, con cui  l'Agenzia
nazionale per le politiche attive del lavoro (ANPAL),  deputata  alla
tenuta dell'Albo istituito presso il Ministero del  lavoro  al  quale
devono essere iscritte le agenzie per  il  lavoro,  l'ha  formalmente
invitata a regolarizzare  la  propria  posizione,  rispristinando  la
presenza del socio sovventore venuta meno a seguito  del  recesso  di
Coopfond spa, e, con  successivo  ricorso  per  motivi  aggiunti,  ha
impugnato la nota del 12 febbraio 2020, con cui la  medesima  Agenzia
ha sospeso la  sua  autorizzazione  all'esercizio  dell'attivita'  di
somministrazione  di  lavoro,  precisando  che,  trascorsi   sessanta
giorni,   avrebbe    adottato    «il    provvedimento    di    revoca
dell'autorizzazione  a   tempo   indeterminato   e   di   contestuale
cancellazione dalla sezione I di albo informatico delle  agenzie  per
il lavoro». I ricorsi sono stati rigettati con  la  sentenza  dell'11
maggio 2020, n.  4936,  avverso  la  quale  Manutencoop  ha  proposto
appello. 
    Il giudice a quo ha altresi' ricordato che,  prima  dell'«udienza
camerale del 2 luglio 2020, fissata per la  discussione  dell'istanza
cautelare, la societa' ricorrente, onde scongiurare qualsiasi rischio
d'interruzione dell'attivita', ha acquisito nella  propria  compagine
sociale [come socio sovventore]  un  fondo  mutualistico  diverso  da
Coopfond, pur precisando di non voler prestare alcuna acquiescenza ai
provvedimenti impugnati e di conservare integro l'interesse  al  loro
annullamento».  Alla  luce  di  cio',  ANPAL,  con  il  provvedimento
direttoriale 1°  luglio  2020,  n.  80  ha  revocato  la  sospensione
impugnata con i motivi aggiunti, «rispristinando  l'autorizzazione  a
tempo indeterminato all'esercizio dell'attivita' di somministrazione»
in favore di Manutencoop, con la conseguenza che, con l'ordinanza  n.
3977 del 2020, e' stata respinta, per assenza di periculum  in  mora,
l'istanza cautelare. 
    Ciononostante, il Consiglio di Stato ha rigettato l'eccezione  di
improcedibilita'   dell'appello   sollevata   dalle   amministrazioni
resistenti,  ritenendo  che  il  provvedimento  di   revoca   sarebbe
«meramente conseguente»  al  comportamento  di  Manutencoop  volto  a
«scongiurare, nelle more  del  giudizio,  qualsiasi  possibilita'  di
rischio d'interruzione dell'attivita'». Si tratterebbe di una  scelta
«di carattere meramente prudenziale e provvisoria, non interpretabile
come atto di acquiescenza alle posizioni di  Anpal»,  bensi'  imposta
dall'atto di sospensione gravato. Peraltro,  nonostante  questo  atto
sia stato revocato, «l'impugnativa  conserva  un  sostrato  oggettivo
nelle intimazioni del 12 dicembre 2019 e del 7 gennaio 2020, rispetto
alle quali permane l'interesse della ricorrente alla  definizione  di
un diverso  assetto  regolatorio  della  materia  e  del  quadro  dei
principi normativi». 
    Le questioni, pertanto,  sarebbero  rilevanti  perche'  la  norma
censurata costituisce l'esclusivo fondamento degli atti impugnati. 
    2.2.- Secondo la costante giurisprudenza di questa  Corte,  «[i]n
virtu' dell'autonomia tra il  giudizio  incidentale  di  legittimita'
costituzionale e quello principale,  non  rientra  tra  i  poteri  di
questa  Corte,  che  effettua  solo  un  controllo  "esterno"   sulla
rilevanza, sindacare, in sede di  ammissibilita',  la  validita'  dei
presupposti di esistenza del giudizio a quo, a meno  che  questi  non
risultino manifestamente e incontrovertibilmente carenti (sentenze n.
241 del 2008 e n. 62 del 1992). Ai fini  del  relativo  controllo  da
parte di questa Corte, anche per il riscontro dell'interesse ad agire
e per  la  verifica  della  legittimazione  delle  parti,  e'  dunque
sufficiente che il rimettente motivi in modo non  implausibile  sulla
rilevanza (sentenze n. 35 del 2017, n. 303 e n. 50 del 2007, e n. 173
del 1994)» (sentenza n. 224 del 2020; nello stesso senso, ex  multis,
sentenze n. 183 del 2021, n. 168 e n. 44 del 2020 e n. 128 del 2019). 
    Nella specie, la motivazione dell'ordinanza di rimessione supera,
indubbiamente, la soglia di non implausibilita', avendo il  Consiglio
di Stato ampiamente argomentato  in  ordine  alla  sussistenza  delle
condizioni dell'azione nel giudizio  a  quo  e,  in  particolare,  in
ordine alla persistenza dell'interesse a ricorrere della Manutencoop,
nonostante la revoca di uno degli atti gravati. 
    3.- Sempre in via preliminare, il giudice rimettente  ha  escluso
la praticabilita' di un'interpretazione costituzionalmente  orientata
della  norma  censurata,  «che  giunga  a  ravvisare  in  capo   alle
cooperative di  produzione  e  lavoro  la  sussistenza  di  una  mera
facolta', e non gia' di un vero  e  proprio  obbligo,  di  assicurare
comunque,  nella  propria  compagine,  la  presenza   di   un   fondo
mutualistico  come  socio  sovventore».  Cio'  sarebbe  impedito  dal
«tenore precettivo chiaro ed univoco» della disposizione. 
    Il ragionamento del rimettente e' corretto. 
    La giurisprudenza costituzionale  ha  piu'  volte  affermato  che
l'univoco tenore della disposizione segna il confine in presenza  del
quale il tentativo di interpretazione conforme deve cedere  il  passo
al sindacato di legittimita'  costituzionale  (sentenze  n.  118  del
2020, n. 221 del 2019 e  n.  83  del  2017).  D'altra  parte,  sempre
secondo una giurisprudenza costituzionale ormai costante,  quando  il
giudice a quo abbia consapevolmente  reputato  che  il  tenore  della
disposizione censurata impone una determinata  interpretazione  e  ne
impedisce altre, eventualmente conformi a Costituzione,  la  verifica
delle  relative  soluzioni  ermeneutiche   non   attiene   al   piano
dell'ammissibilita', ed e' piuttosto una valutazione che riguarda  il
merito delle questioni (cosi', ex multis, sentenze n. 50 e n. 118 del
2020 e n. 133 del 2019). 
    4.- Nel merito, le questioni sollevate non sono fondate. 
    5.- Per ragioni di pregiudizialita' logico-giuridica deve  essere
preliminarmente esaminata  la  censura  di  violazione  dell'art.  76
Cost.,  perche',  come   rilevato   dalla   costante   giurisprudenza
costituzionale, si tratta di  una  censura  logicamente  prioritaria,
incidendo sul piano delle fonti (ex multis, sentenze n. 133 del 2021,
n. 142 del 2020, n. 198 e n. 189 del 2018). 
    5.1.- Ad avviso  del  giudice  rimettente,  l'art.  5,  comma  2,
lettera e), del d.lgs. n. 276 del 2003,  laddove  prescrive,  per  le
cooperative di produzione e lavoro che intendano  svolgere  attivita'
di somministrazione  di  manodopera,  lo  specifico  requisito  della
presenza, come socio sovventore, di  un  fondo  mutualistico  per  la
promozione e lo sviluppo della cooperazione, si porrebbe in contrasto
con l'art. 76 Cost., in  quanto  la  delega  legislativa  -  concessa
dall'art. 1 della legge n.  30  del  2003  per  dettare  i  «principi
fondamentali in materia di disciplina dei servizi per l'impiego,  con
particolare riferimento  al  sistema  del  collocamento,  pubblico  e
privato,  e  di  somministrazione  di  manodopera»  -   non   avrebbe
consentito «una rimodulazione del regime autorizzatorio in  relazione
alla natura giuridica dell'intermediario, [ne'] una  rivisitazione  e
un'alterazione   della   stessa   natura   giuridica   del   soggetto
intermediario». 
    La norma censurata eccederebbe, quindi, «il limite della  materia
della "disciplina dei servizi per  l'impiego"  prevista  dalla  legge
delega (c.d. Riforma Biagi), avendo essa  finito  per  invadere  -  e
illegittimamente  stravolgere  -  quella  dei  principi  generali   e
fondamentali della disciplina in materia di societa' cooperative». 
    5.2.- Secondo l'Avvocatura generale dello Stato,  la  censura  di
violazione dell'art. 76 Cost.  non  sarebbe  fondata,  in  quanto  il
citato art. 5, nel disciplinare  i  criteri  di  iscrizione  all'albo
delle agenzie per il lavoro, ha introdotto  un  regime  differenziato
per le societa' cooperative di produzione e lavoro in conformita'  ai
criteri della delega di  cui  alle  lettere  l)  e  m)  del  comma  2
dell'art. 1 della menzionata legge n. 30 del 2003. 
    Il legislatore delegato, pertanto, non avrebbe dettato una  nuova
disciplina  delle  societa'  cooperative,  ma  solamente  previsto  i
requisiti  minimi  che  le  stesse  devono  possedere  per   svolgere
l'attivita' di somministrazione, intermediazione, ricerca e selezione
del personale. 
    5.3.- Per costante giurisprudenza costituzionale, «la  previsione
di cui all'art. 76  Cost.  non  osta  all'emanazione,  da  parte  del
legislatore delegato, di norme che rappresentino un coerente sviluppo
e un completamento delle scelte espresse dal  legislatore  delegante,
dovendosi escludere che la funzione del primo  sia  limitata  ad  una
mera scansione linguistica di previsioni stabilite  dal  secondo.  Il
sindacato  costituzionale  sulla  delega  legislativa  deve,   cosi',
svolgersi attraverso un confronto  tra  gli  esiti  di  due  processi
ermeneutici paralleli, riguardanti, da un lato, le  disposizioni  che
determinano l'oggetto, i principi  e  i  criteri  direttivi  indicati
dalla legge di delegazione e, dall'altro, le  disposizioni  stabilite
dal  legislatore   delegato,   da   interpretarsi   nel   significato
compatibile con i principi e i criteri  direttivi  della  delega.  Il
che, se  porta  a  ritenere  del  tutto  fisiologica  quell'attivita'
normativa di completamento e sviluppo  delle  scelte  del  delegante,
circoscrive,  d'altra  parte,  il  vizio  in  discorso  ai  casi   di
dilatazione  dell'oggetto  indicato  dalla  legge  di  delega,   fino
all'estremo di ricomprendere in esso materie che  ne  erano  escluse»
(sentenza n. 96 del 2020; nello stesso senso,  sentenze  n.  133  del
2021, n. 142 del 2020, n. 198 e n. 10 del 2018). 
    Nella specie, la legge n. 30 del 2003, in attuazione della  quale
e' stata  adottata  la  norma  censurata,  contiene  diverse  deleghe
legislative in tema di diritto del lavoro. 
    La  prima  -  ponendosi  sulla  scia  dei  precedenti  interventi
normativi che hanno  eliminato  il  monopolio  pubblico  in  tema  di
collocamento e di mediazione  tra  domanda  e  offerta  di  lavoro  -
attiene alla «revisione  della  disciplina  dei  servizi  pubblici  e
privati per  l'impiego,  nonche'  in  materia  di  intermediazione  e
interposizione privata nella somministrazione di lavoro (art. 1)». 
    Come gia' chiarito da questa Corte, «[d]all'analisi del  comma  1
dell'art. 1 si ricava che la delega concerne i servizi per  l'impiego
ed in particolare il  collocamento  e  la  somministrazione  di  mano
d'opera, che il legislatore ritiene  tale  materia  rientrante  nella
tutela e sicurezza del lavoro, prevista come  oggetto  di  competenza
concorrente e che, di conseguenza, nel  rispetto  delle  attribuzioni
regionali, la delega e' limitata  alla  determinazione  dei  principi
fondamentali» (sentenza n. 50 del 2005). 
    Questa  Corte  ha  poi  specificato,  per  quanto   riguarda   la
somministrazione di lavoro, che in tale  materia  rientrano  sia  «la
disciplina dei soggetti ad essa abilitati» sia «quella  dei  rapporti
intersoggettivi che nascono dalla somministrazione» (ancora, sentenza
n. 50 del 2005). 
    Coerentemente, la lettera l) del comma 2 del  citato  art.  1  ha
previsto,  tra  i  principi  e  i  criteri  direttivi   fissati   dal
legislatore  delegante,  l'identificazione  di   un   «unico   regime
autorizzatorio o di accreditamento» per i soggetti pubblici e privati
che svolgono intermediazione  di  lavoro,  richiedendo  «che  abbiano
adeguati  requisiti  giuridici  e  finanziari,   differenziat[i]   in
funzione del tipo di attivita' svolta, comprensivo delle  ipotesi  di
trasferimento della autorizzazione e  modulat[i]  in  relazione  alla
natura giuridica dell'intermediario». Con specifico riferimento  alla
somministrazione di manodopera, poi, il numero 1)  della  lettera  m)
del medesimo comma  2  indica,  come  ulteriore  criterio  direttivo,
l'autorizzazione allo svolgimento di questa attivita'  da  parte  dei
soli soggetti identificati sulla base della precedente lettera l). 
    5.4.- In attuazione di questa delega, il d.lgs. n. 276 del  2003,
nel regolamentare l'organizzazione del  mercato  del  lavoro  (Titolo
II), ha dettato una nuova disciplina del regime autorizzatorio  delle
agenzie per il lavoro (Capo I), definite appunto, dall'art. 2,  comma
1, lettera e), come «gli operatori, pubblici e privati»,  autorizzati
dallo Stato «allo svolgimento delle attivita' di cui alle lettere  da
a) a d) del medesimo art. 2», ossia le attivita' di  somministrazione
di lavoro, intermediazione,  ricerca  e  selezione  del  personale  e
supporto alla ricollocazione professionale. 
    Nel far cio', come previsto dai criteri  direttivi  di  cui  alla
lettera l) prima citata, il legislatore  delegato  ha  specificamente
individuato i requisiti, giuridici e finanziari, per il conseguimento
dell'autorizzazione  ministeriale   e   la   conseguente   iscrizione
nell'apposito albo delle agenzie per il lavoro. Questi requisiti sono
stati poi differenziati, sempre in attuazione  di  quanto  prescritto
dalla citata lettera l), in  requisiti  generali,  cioe'  validi  per
tutte  le  attivita'   oggetto   di   autorizzazione,   e   requisiti
particolari, relativi alle singole attivita' svolte. 
    In questo quadro, la norma censurata ha prescritto uno  specifico
requisito abilitante le agenzie per il lavoro individuandolo in  base
al tipo di attivita' svolta (somministrazione di manodopera)  e  alla
natura  giuridica   dell'intermediario   (societa'   cooperative   di
produzione e lavoro), conformemente  al  criterio  direttivo  dettato
dalla legge delega. In tal modo, si e' posta in coerente sviluppo con
le  scelte  espresse  dal  legislatore  delegante,   senza   dilatare
l'oggetto indicato dalla legge di delega. 
    5.5.- La questione sollevata in riferimento  all'art.  76  Cost.,
pertanto, non e' fondata. 
    6.-  Il  giudice  rimettente  ha  ritenuto   non   manifestamente
infondata  la  questione  di  legittimita'  costituzionale  anche  in
riferimento all'art.  45  Cost.,  in  quanto  la  norma  censurata  -
nell'imporre, contrariamente alle disposizioni della legge n. 59  del
1992,   richiamate   come   «norme   interposte   nel   giudizio   di
costituzionalita'», l'obbligo e non  la  facolta'  di  «assumere  una
forma che preveda la necessaria compresenza  di  soci  cooperatori  e
soci  sovventori»  -   non   sarebbe   coerente   con   la   garanzia
costituzionale della cooperazione a carattere di mutualita'  e  senza
fini di speculazione privata. 
    Ad avviso del Consiglio di Stato, la trasformazione, per  effetto
della disposizione censurata, dell'originaria facolta' della societa'
cooperativa di ricorrere alla  figura  del  socio  sovventore  in  un
obbligo, «costituisce un irragionevole irrigidimento della disciplina
di  settore,  in  quanto  travalicante  il  limite   cruciale   della
ragionevolezza  e  della   ponderata   funzionalita'   agli   intenti
perseguiti dal legislatore». 
    L'assetto costitutivo  imposto  alle  cooperative,  infatti,  non
sarebbe compatibile con lo spirito mutualistico,  in  quanto  implica
«la presenza di una figura (quella del socio sovventore)  rispondente
ad una logica antitetica a quella  del  socio  cooperatore»,  la  cui
partecipazione nella societa' ha la «finalita' di conseguire  beni  e
servizi  (socio  consumatore),  ovvero  occasioni  di  lavoro  (socio
lavoratore) a condizioni piu' favorevoli di quelle vigenti nel libero
mercato». 
    6.1.- Secondo la difesa dello Stato,  la  censura  di  violazione
dell'art. 45 Cost. non  sarebbe  fondata,  in  quanto  la  previsione
dell'obbligo, per le societa' cooperative che svolgono  attivita'  di
intermediazione di lavoro e, quindi, operano in uno «specifico e  ben
circoscritto settore», di dotarsi di un socio sovventore - costituito
peraltro  da  un  fondo  mutualistico  -  non  rappresenterebbe   uno
stravolgimento dello scopo mutualistico. 
    La norma censurata sarebbe, quindi, ragionevole alla  luce  delle
«innumerevoli  esigenze   di   pubblico   interesse»   sottese   alla
«particolare conformazione del mercato di riferimento». 
    6.2.- Per verificare la compatibilita' della norma censurata  con
la  tutela  costituzionale  della   cooperazione   a   carattere   di
mutualita', e' necessario individuarne la ratio e  l'assetto  offerto
agli interessi che vengono in gioco nella disciplina in esame. 
    Considerato che «il collocamento, ed in genere tutte le attivita'
atte a favorire l'incontro tra domanda ed offerta di lavoro, non sono
piu' riservati alle strutture pubbliche», il d.lgs. n. 276 del 2003 -
nel  riformare  «i  servizi  per  l'impiego  ed  in  particolare   il
collocamento e la somministrazione di  mano  d'opera»  -  ha  dettato
anche «la disciplina  dei  soggetti  [pubblici  e  privati]  comunque
abilitati a  svolgerle»  (sentenza  n.  50  del  2005),  ossia  delle
cosiddette agenzie per il lavoro. 
    Nel far cio', il legislatore  ha  optato  per  un  «unico  regime
giuridico per chiunque voglia svolgere attivita' in senso generico di
intermediazione» e ha correlato alla «scelta dell'unicita' del regime
autorizzatorio o di accreditamento» quella «dell'albo  delle  agenzie
per il lavoro, di cui all'art. 4, comma 1, d.lgs. n.  276  del  2003,
mentre la previsione delle sue articolazioni  e'  in  funzione  della
varieta' sia dei soggetti cui puo'  essere  data  l'autorizzazione  o
l'accreditamento, sia delle  attivita'  che  essi  possono  svolgere»
(sentenza n. 50 del 2005). 
    Venuto  meno   il   vincolo   dell'oggetto   sociale   esclusivo,
«sussistendo soltanto, per i soggetti  polifunzionali,  l'obbligo  di
tenere  distinte  divisioni  operative,  gestite   con   contabilita'
separata, onde consentire una puntuale conoscenza dei dati  specifici
(art. 5, comma 1, lettera e, d.lgs. n. 276 del 2003)» (sentenza n. 50
del  2005),  il  legislatore  ha  prescritto,  quale  condizione  per
l'autorizzazione  e  l'iscrizione   nell'apposito   albo,   requisiti
giuridici e finanziari comuni a  tutte  le  agenzie  per  il  lavoro,
indipendentemente dall'attivita' esercitata. 
    In  aggiunta  ad  essi,  pero',  sono  stati  previsti  ulteriori
requisiti, per lo piu' di  carattere  finanziario,  in  relazione  al
particolare  tipo  di  attivita'  svolta  e  alla  peculiare   natura
giuridica del soggetto abilitato, a maggiore garanzia degli interessi
coinvolti nella  disciplina  dei  servizi  per  l'impiego  che,  come
chiarito da questa Corte, sono «predisposti  alla  soddisfazione  del
diritto sociale al lavoro» (sentenza n. 50 del 2005). 
    In particolare, la lettera e) del comma 2 dell'art. 5 del  d.lgs.
n. 276 del 2003 - oggetto delle  odierne  questioni  di  legittimita'
costituzionale - prevede, per le societa' cooperative di produzione e
lavoro  che  intendano  svolgere  attivita'  di  somministrazione  di
manodopera, oltre ai requisiti giuridici e finanziari prescritti  dal
medesimo art. 5 per tutte le  agenzie,  l'ulteriore  requisito  della
«presenza  di  almeno  sessanta  soci  e  tra  di  essi,  come  socio
sovventore, almeno un fondo  mutualistico  per  la  promozione  e  lo
sviluppo della cooperazione, di cui agli articoli 11 e 12 della legge
31 gennaio 1992, n. 59, e successive modificazioni». 
    Nel prescrivere questo  requisito,  la  norma  individua  il  suo
ambito di applicazione, sul piano  oggettivo,  con  riferimento  alle
attivita' di cui all'art. 20 del medesimo decreto  legislativo  (oggi
art. 30 del decreto  legislativo  15  giugno  2015,  n.  81,  recante
«Disciplina organica  dei  contratti  di  lavoro  e  revisione  della
normativa in tema di mansioni, a  norma  dell'articolo  1,  comma  7,
della legge 10 dicembre 2014, n. 183»), ossia  alla  somministrazione
di lavoro, e, sul piano soggettivo, con riferimento alle sole agenzie
per il lavoro costituite  nella  forma  di  societa'  cooperative  di
produzione e lavoro. 
    In relazione al tipo di attivita' esercitata, la norma  censurata
si giustifica perche' la somministrazione di lavoro -  definita  come
il «contratto, a tempo indeterminato  o  determinato,  con  il  quale
un'agenzia di somministrazione  autorizzata,  ai  sensi  del  decreto
legislativo n. 276 del 2003, mette a disposizione di un  utilizzatore
uno o piu' lavoratori suoi dipendenti, i quali, per tutta  la  durata
della missione, svolgono la propria attivita' nell'interesse e  sotto
la direzione e il controllo dell'utilizzatore» (art. 30 del d.lgs. n.
81 del 2015) - «costituisce una fattispecie negoziale  complessa,  in
cui due contratti si combinano per realizzare  la  dissociazione  tra
datore di lavoro e fruitore della prestazione di lavoro, secondo  una
interposizione autorizzata  dall'ordinamento  in  quanto  soggetta  a
particolari controlli e garanzie, quali condizioni per  prevenire  il
rischio  che   l'imputazione   del   rapporto   a   persona   diversa
dall'effettivo utilizzatore si  presti  a  forme  di  elusione  delle
tutele del lavoratore» (sentenza n. 250 del 2021). 
    Trattasi di una forma di interposizione nei  rapporti  di  lavoro
fortemente innovativa,  peraltro  precedentemente  sottoposta  ad  un
generale divieto e a sanzioni penali e, ancora  oggi,  subordinata  a
specifiche condizioni di liceita', la cui inosservanza e'  sanzionata
in via amministrativa. 
    Proprio per realizzare i «controlli e  [le]  garanzie»  necessari
per prevenire «forme di elusione delle  tutele  del  lavoratore»,  il
comma 2 dell'art. 5 del d.lgs. n.  276  del  2003  prescrive,  «[p]er
l'esercizio delle attivita' di cui all'articolo 20 [oggi art. 30  del
d.lgs. n. 81 del 2015]»,  specifici  requisiti  finanziari,  tra  cui
quello - che qui viene  in  considerazione  -  della  presenza  nella
compagine sociale, come socio sovventore, di un fondo mutualistico. 
    La funzione di  tale  requisito  e'  precipuamente  rivolta  alla
tutela del lavoratore e alla garanzia dei suoi crediti nei  confronti
dell'agenzia di somministrazione datrice di  lavoro,  atteso  che  il
rapporto di lavoro si instaura appunto tra il lavoratore e  l'agenzia
stessa. 
    In  relazione  alla  natura  giuridica  del  soggetto  abilitato,
invece, il requisito prescritto dalla norma censurata  si  giustifica
perche' mira  a  superare  la  difficolta',  propria  delle  societa'
cooperative, della provvista dei mezzi finanziari  necessari  per  lo
svolgimento della loro attivita'. La  figura  del  socio  sovventore,
infatti, agevola la raccolta di capitale di rischio  da  parte  delle
cooperative, non essendo interessato all'attivita'  mutualistica,  ma
alla remunerazione del suo investimento nella societa', e perseguendo
uno scopo lucrativo. 
    Nel  bilanciamento  di  interessi  realizzato  dal   legislatore,
allora, l'obbligo imposto alle societa' cooperative di  avere,  nella
compagine   sociale,    un    socio    sovventore    non    sacrifica
irragionevolmente la funzione sociale della cooperazione,  mirando  a
realizzare un obiettivo generale di  tutela  dei  lavoratori  in  una
fattispecie di «dissociazione tra datore di lavoro e  fruitore  della
prestazione di lavoro» (sentenza n. 250 del 2021). 
    6.3.-  Peraltro,  la  funzione  sociale  della   cooperazione   a
carattere di mutualita' non risulta compromessa dalla norma censurata
anche perche' il socio sovventore deve essere un  fondo  mutualistico
per la promozione e lo  sviluppo  della  cooperazione,  che  di  quel
carattere partecipa. 
    L'istituzione di questi fondi, ad opera della  legge  n.  59  del
1992, e' ispirata alla cosiddetta mutualita' di  sistema  o  esterna,
che e' volta a incentivare, finanziare e  sostenere  la  cooperazione
nella sua globalita'. Anche lo scopo perseguito dai fondi  in  esame,
quindi, va considerato mutualistico,  essendo  i  benefici  derivanti
dalla loro gestione destinati al sistema cooperativo complessivamente
inteso. 
    Ai sensi dell'art. 11 della menzionata  legge  n.  59  del  1992,
infatti, il loro  «oggetto  sociale  deve  consistere  esclusivamente
nella promozione e nel finanziamento di nuove imprese e di iniziative
di sviluppo  della  cooperazione,  con  preferenza  per  i  programmi
diretti all'innovazione tecnologica, all'incremento  dell'occupazione
ed allo sviluppo del Mezzogiorno» (comma 2).  Per  realizzare  questi
fini, i fondi mutualistici «possono  promuovere  la  costituzione  di
societa'  cooperative  o   di   loro   consorzi,   nonche'   assumere
partecipazioni in  societa'  cooperative  o  in  societa'  da  queste
controllate.  Possono  altresi'  finanziare  specifici  programmi  di
sviluppo di societa' cooperative o di loro  consorzi,  organizzare  o
gestire corsi di formazione  professionale  del  personale  dirigente
amministrativo o tecnico del settore della  cooperazione,  promuovere
studi e ricerche su temi economici e sociali di  rilevante  interesse
per il movimento cooperativo» (comma 3). 
    Questa Corte ha peraltro rilevato come la finalita'  delle  norme
che  prevedono,  a  carico  delle  societa'   cooperative,   obblighi
contributivi e devolutivi  in  favore  dei  fondi  mutualistici  vada
«identificata in quella di garantire che i benefici conseguiti grazie
alle agevolazioni previste per incentivare lo scopo mutualistico  non
siano destinati  allo  svolgimento  di  un'attivita'  priva  di  tale
carattere e, comunque, non siano fatti propri da coloro che ne  hanno
fruito» (sentenza n. 170 del 2008). 
    Non  deve,  infine,  dimenticarsi  che  questa  Corte  ha  sempre
riconosciuto al legislatore ampia discrezionalita' nella  scelta  dei
mezzi piu' idonei ad incrementare la cooperazione  (sentenza  n.  334
del 1995; ordinanze n. 19 del 1988 e n. 371 del 1987). 
    6.4.- Alla luce delle  considerazioni  che  precedono,  anche  la
questione sollevata in riferimento all'art. 45 Cost. non e' fondata. 
    7.- Ad avviso del giudice rimettente, la norma censurata  sarebbe
in  contrasto  anche  con  gli  artt.  3  e  41  Cost.,   in   quanto
«l'imposizione   alle   sole   societa'   cooperative   dedite   alla
intermediazione di lavoro, in  aggiunta  alle  garanzie  generalmente
richieste a tutti gli altri operatori,  della  condizione  aggiuntiva
della  necessaria  partecipazione  di  un  fondo  mutualistico  nella
compagine sociale, appare frutto di  una  scelta  priva  di  motivate
ragioni ed implicante una altrettanto  immotivata  restrizione  della
liberta' d'iniziativa economica». 
    Non sarebbe ragionevole ritenere  che,  nello  specifico  settore
dell'intermediazione di lavoro, «solo la partecipazione di  un  fondo
mutualistico garantirebbe,  oltre  ad  una  qualificata  garanzia  di
solidita'  finanziaria,  la  rispondenza   della   cooperativa   alle
finalita' di mutualita' e, dunque, la prevenzione di forme abusive di
esercizio dell'attivita'». Cio' in quanto gli artt. 4 e 5 del  d.lgs.
n. 276 del 2003 gia'  prevedono,  oltre  a  una  serie  di  requisiti
giuridici  e  finanziari,  un  sistema  di   vigilanza   ministeriale
permanente sugli operatori nel campo dell'intermediazione di lavoro e
un  sistema  autorizzatorio,  «che  passa  attraverso  una  fase   di
autorizzazione  provvisoria  cui  fa  seguito,  previa  verifica  dei
requisiti   e   del   corretto   andamento   dell'attivita'   svolta,
l'autorizzazione in via definitiva». 
    Inoltre, una volta superato il regime di monopolio  pubblico  nel
settore del collocamento, «l'attivita' di intermediazione non  sembra
rivelare  piu'  alcuna  specialita'  che   possa   giustificarne   un
trattamento differenziato e  piu'  restrittivo  rispetto  alle  altre
attivita'  pure  generalmente,  e  senza   particolari   limitazioni,
esercitabili in forma cooperativa». 
    7.1.- La difesa dello Stato ha replicato che la  norma  censurata
non  violerebbe  «i  limiti  costituzionali  entro  cui  puo'  essere
esercitato il potere legislativo», in quanto la  necessaria  presenza
di un socio  sovventore,  nelle  societa'  cooperative  che  svolgono
attivita' di intermediazione di lavoro, «da un lato, non pare  idonea
a  sacrificarne  le  opzioni  di   fondo,   dall'altro,   corrisponde
all'esigenza  di  utilita'  sociale  di  realizzare  [...]  la   c.d.
mutualita' di sistema, oltre che di garantire un apporto di  capitale
sociale sicuro nella disponibilita' di dette societa'». 
    7.2.- Secondo  il  costante  orientamento  di  questa  Corte  (ex
plurimis, sentenze n. 151 e n. 47 del 2018, n. 16 del 2017  e  n.  56
del  2015),  non  e'  configurabile  una   lesione   della   liberta'
d'iniziativa economica privata allorche' l'apposizione di  limiti  di
ordine  generale  al  suo  esercizio  corrisponda,  oltre  che   alla
protezione di valori  primari  attinenti  alla  persona  umana,  come
sancito dall'art. 41, comma  secondo,  Cost.,  all'utilita'  sociale,
purche' l'individuazione di quest'ultima, che spetta al  legislatore,
non  appaia  arbitraria  e  non  venga  perseguita  mediante   misure
palesemente incongrue. 
    Nella specie, la norma censurata - nell'imporre alle  cooperative
di produzione e lavoro che svolgono attivita' di somministrazione  di
manodopera  la  presenza,  nella  compagine  sociale,  di  un   socio
sovventore costituito da un fondo mutualistico - mira a realizzare un
obiettivo generale di tutela dei lavoratori e in particolare, in  una
fattispecie di «dissociazione tra datore di lavoro e  fruitore  della
prestazione di lavoro», a garantire  quei  «particolari  controlli  e
garanzie» richiesti da questa Corte per  «prevenire  il  rischio  che
l'imputazione  del  rapporto   a   persona   diversa   dall'effettivo
utilizzatore  si  presti  a  forme  di  elusione  delle  tutele   del
lavoratore» (sentenza n. 250 del 2021). 
    Cosi'  facendo,  il  legislatore  ha  compiuto  un  bilanciamento
ragionevole tra la liberta' di iniziativa economica delle agenzie per
il lavoro che svolgono attivita' di somministrazione di manodopera in
forma cooperativa ed altre utilita' sociali. 
    Quanto all'individuazione  dell'utilita'  sociale,  infatti,  non
puo' dubitarsi che, nel relativo ambito, vadano ricomprese, attesa la
peculiarita' dell'attivita' interpositoria in esame,  la  tutela  del
lavoratore e il buon funzionamento del mercato  del  lavoro;  e  cio'
tanto piu' quando, come nella  specie,  la  norma  non  ha  contenuto
preclusivo di un'attivita', ma si limita a  prevedere  uno  specifico
requisito per il suo esercizio. 
    7.3.- Anche le censure di violazione degli artt. 3  e  41  Cost.,
quindi, non sono fondate. 
    8.-  Sia  il  giudice  rimettente  che   la   Manutencoop   hanno
argomentato la presenza di  un  vulnus  ai  parametri  costituzionali
invocati anche sul presupposto che la disposizione censurata,  «oltre
ad  imporre  la  presenza  del  fondo  mutualistico  nella  compagine
sociale» come socio sovventore, obbligherebbe la societa' cooperativa
«ad aderire alle associazioni nazionali di  rappresentanza  e  tutela
del  movimento  cooperativo,  dalle  quali   i   fondi   mutualistici
promanano». 
    Di conseguenza, ad avviso del Consiglio di Stato  e  della  parte
costituita,  ad  una  cooperativa  sarebbe  preclusa  l'attivita'  di
intermediazione, non solo se «non presenta un  socio  sovventore  che
sia fondo mutualistico [ma anche] se non aderisce previamente ad  uno
degli organismi associativi nazionali esistenti». 
    L'argomentazione  dell'ordinanza  di  rimessione,  tuttavia,  non
attiene al contenuto precettivo della norma oggetto del  giudizio  di
costituzionalita', ovvero di altra  normativa  dalla  quale  evincere
tale obbligo di associazione, ma riflette quanto accaduto nel caso di
specie non in forza di una previsione di legge, bensi' per effetto di
scelte delle parti.  Infatti,  il  fondo  mutualistico  Coopefond  ha
deciso di recedere da Manutencoop, perche' a sua  volta  quest'ultima
aveva abbandonato l'associazione nazionale LegaCoop, essendosi  posta
«in posizione marcatamente concorrenziale» con  le  imprese  ad  essa
aderenti. 
    Tuttavia, la norma censurata - nell'imporre  la  presenza,  nella
compagine sociale delle cooperative che svolgono somministrazione  di
manodopera, di un fondo mutualistico in qualita' di socio  sovventore
- non richiede che le societa' aderiscano all'associazione  nazionale
che lo ha istituito, ne' tale obbligo deriva  dagli  artt.  11  e  12
della legge n. 59 del 1992 richiamati dal rimettente. 
    Premesso che una previsione atta a interferire con la liberta' di
associazione (art. 18 Cost.) non puo' certamente  essere  desunta  in
via interpretativa, va osservato che i menzionati artt. 11 e 12,  nel
disciplinare la costituzione, le finalita' e le attivita'  dei  fondi
mutualistici, nulla dicono quanto ad eventuali forme di adesione alle
associazioni  nazionali  riconosciute   da   parte   delle   societa'
cooperative di cui questi fondi diventano soci. 
    Cio' del resto si giustifica perche' l'attivita' di «promozione e
[di] finanziamento di nuove imprese e  [le]  iniziative  di  sviluppo
della cooperazione», che costituiscono l'oggetto esclusivo dei  fondi
mutualistici (art. 11, comma 2), sono rivolte al sistema  cooperativo
complessivamente inteso e, quindi, anche a societa'  cooperative  che
non aderiscono alle associazioni nazionali riconosciute che li  hanno
istituiti. 
    Poiche', ai sensi del  comma  3  del  citato  art.  11,  i  fondi
mutualistici, per  realizzare  le  proprie  finalita',  possono,  tra
l'altro,  assumere  partecipazioni  in  societa'  cooperative,   deve
ritenersi che ben possa uno di questi fondi entrare a  far  parte  di
una societa' cooperativa (ossia assumere in essa una  partecipazione)
che  non  aderisce  all'associazione  rappresentativa   che   lo   ha
istituito. 
    In conclusione, contrariamente  a  quanto  ritenuto  dal  giudice
rimettente e dalla Manutencoop, le societa' cooperative che intendano
svolgere  attivita'  di  somministrazione   di   manodopera   possono
soddisfare   il   requisito   imposto   dalla   norma   censurata   -
l'acquisizione di un fondo mutualistico come socio sovventore - senza
dover,  necessariamente,   aderire   ad   un'associazione   nazionale
riconosciuta per la rappresentanza del movimento cooperativo.