ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 2, comma 1,
della legge della  Regione  Valle  d'Aosta  13  luglio  2021,  n.  16
(Disposizioni in materia di funzionamento e limiti ai compensi  degli
organi societari di Finaosta S.pA., nonche' di operazioni societarie.
Modificazioni alla legge regionale 16 marzo 2006, n. 7), nella  parte
in cui sostituisce l'art. 14, comma  4,  della  legge  della  Regione
Valle d'Aosta 16 marzo 2006, n. 7 (Nuove disposizioni concernenti  la
societa' finanziaria  regionale  FINAOSTA  S.p.A.  Abrogazione  della
legge regionale 28 giugno 1982, n. 16), promosso dal  Presidente  del
Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 13  settembre  2021,
depositato in cancelleria il 21 settembre 2021, iscritto al n. 50 del
registro ricorsi 2021 e pubblicato  nella  Gazzetta  Ufficiale  della
Repubblica n. 41, prima serie speciale, dell'anno 2021. 
    Visto  l'atto  di  costituzione  della  Regione  autonoma   Valle
d'Aosta/Vallee d'Aoste; 
    udito  nell'udienza  pubblica  del  24  maggio  2022  il  Giudice
relatore Stefano Petitti; 
    uditi l'avvocato dello Stato Fabrizio Fedeli  per  il  Presidente
del Consiglio dei ministri e l'avvocato Francesco Saverio Marini  per
la Regione autonoma Valle d'Aosta/Vallee d'Aoste; 
    deliberato nella camera di consiglio del 24 maggio 2022. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ricorso notificato il 13 settembre 2021, depositato il 21
settembre successivo e iscritto al n. 50 del registro  ricorsi  2021,
il Presidente del Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e  difeso
dall'Avvocatura generale dello Stato, ha impugnato l'art. 2, comma 1,
della legge della  Regione  Valle  d'Aosta  13  luglio  2021,  n.  16
(Disposizioni in materia di funzionamento e limiti ai compensi  degli
organi societari di Finaosta S.pA., nonche' di operazioni societarie.
Modificazioni alla legge regionale 16 marzo 2006, n. 7), nella  parte
in cui sostituisce l'art. 14, comma  4,  della  legge  della  Regione
Valle d'Aosta 16 marzo 2006, n. 7 (Nuove disposizioni concernenti  la
societa' finanziaria  regionale  FINAOSTA  S.p.A.  Abrogazione  della
legge regionale 28 giugno 1982, n. 16), in  riferimento  all'art.  2,
lettera a),  della  legge  costituzionale  26  febbraio  1948,  n.  4
(Statuto speciale per la Valle d'Aosta) e all'art. 117, terzo  comma,
della Costituzione,  relativamente  alla  materia  del  coordinamento
della finanza pubblica. 
    1.1.- Il ricorrente premette che, nell'ambito delle  disposizioni
introdotte con la legge  reg.  Valle  d'Aosta  n.  16  del  2021,  il
legislatore  valdostano  e'  intervenuto,  mediante  la  disposizione
impugnata, a disciplinare i limiti ai compensi degli organi societari
di  Finaosta  spa,  prevedendo  in  particolare  che  «[i]   compensi
spettanti al Presidente e ai membri del  consiglio  d'amministrazione
sono stabiliti dall'assemblea in misura non superiore  al  doppio  di
quella prevista per i componenti in carica alla data di  approvazione
del bilancio relativo all'esercizio 2020». 
    Tale  previsione  contrasterebbe  con  la  normativa  statale  di
principio contenuta nell'art. 11, comma 7, del decreto legislativo 19
agosto  2016,  n.  175  (Testo  unico  in  materia  di   societa'   a
partecipazione pubblica), secondo il quale, per la determinazione dei
compensi degli amministratori delle societa' controllate direttamente
o   indirettamente   dalle   pubbliche    amministrazioni,    trovano
applicazione, in attesa dell'emanazione del decreto  ministeriale  di
cui all'art. 11, comma 6, del medesimo d.lgs. n.  175  del  2016,  le
disposizioni di cui all'art. 4, comma 4, del decreto-legge  6  luglio
2012, n. 95  (Disposizioni  urgenti  per  la  revisione  della  spesa
pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini  nonche'  misure  di
rafforzamento  patrimoniale  delle  imprese  del  settore  bancario),
convertito, con modificazioni, nella legge 7 agosto 2012, n. 135. 
    Tale ultima disposizione, in  particolare,  stabilisce  che  «[a]
decorrere dal 1° gennaio 2015,  il  costo  annuale  sostenuto  per  i
compensi degli amministratori  di  tali  societa',  ivi  compresa  la
remunerazione di quelli investiti di particolari  cariche,  non  puo'
superare  l'80  per  cento  del  costo   complessivamente   sostenuto
nell'anno 2013». 
    1.2.- Per il fatto di consentire all'assemblea di Finaosta spa di
deliberare un incremento dei compensi degli organi  della  stessa  in
deroga al limite massimo dell'80 per cento dei costi complessivamente
sostenuti nel 2013, la norma impugnata contrasterebbe con  l'art.  4,
comma 4, del d.l. n. 95 del 2012, che e'  stato  ritenuto  da  alcune
sezioni regionali della Corte dei  conti  principio  fondamentale  di
coordinamento  della  finanza  pubblica,  rientrante   quindi   nella
competenza legislativa statale ai sensi dell'art. 117,  terzo  comma,
Cost.  (sono  richiamate  le  delibere  delle  sezioni  regionali  di
controllo per la Basilicata del 29  marzo  2018,  n.  10,  e  per  la
Liguria del 27 marzo 2020, n. 29). 
    Muovendo  dalla  ricostruzione  della  giurisprudenza  contabile,
l'Avvocatura osserva come la finalita' dell'art. 4, comma 4, del d.l.
n. 95 del 2012 consista nel contenimento  dei  costi  delle  societa'
pubbliche  e  il  suo  contenuto  non  possa  essere   derogato   dal
legislatore regionale, ne' facendo  valere  le  aumentate  competenze
della societa', ne' invocando la necessita' di dare  attuazione  alle
previsioni  dei  piani  di  razionalizzazione  delle   partecipazioni
mediante operazioni di alienazione o aggregazione.  Solo  laddove  il
costo per l'anno  2013  non  sia  in  concreto  rinvenibile,  sarebbe
possibile considerare «l'onere sostenuto  nell'ultimo  esercizio  nel
quale risulti presente un esborso a tale titolo, nel  rispetto  della
stretta necessarieta' e del limite massimo di 240 mila euro»  di  cui
all'art. 11, comma 7 (recte: comma 6), del d.lgs.  n.  175  del  2016
(sono richiamate la gia' citata deliberazione della sezione regionale
di controllo della Corte dei conti per la Liguria, n. 29 del 2020,  e
quella della sezione regionale di  controllo  per  il  Veneto  del  5
febbraio 2018, n. 31). 
    Secondo il  ricorrente,  quindi,  il  limite  in  parola  avrebbe
carattere tassativo e, in difetto di  espressa  previsione  di  legge
statale, non potrebbe «essere derogato dalla Regione  in  conseguenza
di  un'evoluzione  rispetto  alla  configurazione  originaria   della
societa'  e  neppure  invocando  una   pretesa   incongruenza   degli
emolumenti attribuibili in base all'applicazione di siffatti limiti». 
    Non troverebbe peraltro applicazione l'art. 36 Cost., perche'  il
rapporto tra amministratore e societa' non sarebbe riconducibile  ne'
a un contratto d'opera, ne' a un contratto di  lavoro  subordinato  o
parasubordinato,  ma  a  un  rapporto  di   tipo   societario,   «con
conseguente disponibilita' e rinunciabilita'  del  compenso  e  piena
legittimita' di ogni previsione statutaria restrittiva  finanche,  al
limite, della eventuale gratuita' dell'incarico». 
    A  fronte  di   tale   contrasto,   la   disposizione   impugnata
esorbiterebbe pertanto  dalla  competenza  primaria  attribuita  alla
Regione dall'art. 2, lettera a), dello statuto speciale nella materia
«ordinamento degli uffici e degli enti  dipendenti  dalla  regione  e
stato giuridico ed economico del personale», invadendo cosi' l'ambito
riservato  alla  competenza  legislativa  statale  in  relazione   al
principio  fondamentale  di  coordinamento  della  finanza   pubblica
ricavabile dal combinato disposto di cui al richiamato art. 4,  comma
4, del d.l. n. 95 del 2012 e all'art. 11, comma 7, del d.lgs. n.  175
del 2016. 
    2.- In data 11 ottobre 2021  si  e'  costituita  in  giudizio  la
Regione autonoma Valle d'Aosta/Vallee d'Aoste,  in  persona  del  suo
Presidente pro tempore, chiedendo che il ricorso venga dichiarato non
fondato. 
    2.1.- Secondo la  difesa  regionale,  l'impugnativa  del  Governo
sarebbe inammissibile, o  comunque  non  fondata,  perche'  le  norme
interposte di cui si lamenta la violazione non sarebbero  applicabili
nella Regione Valle d'Aosta. 
    L'art. 23 del d.lgs. n. 175 del 2016, infatti, stabilisce che  le
disposizioni in esso contenute si applicano nelle Regioni  a  statuto
speciale  e  nelle  Province  autonome  di  Trento   e   di   Bolzano
«compatibilmente con i rispettivi statuti  e  le  relative  norme  di
attuazione», mentre l'art. 24-bis del  d.l.  n.  95  del  2012,  come
convertito,  prevede  che  le  disposizioni  contenute  nel   decreto
medesimo si applichino agli enti ad autonomia  speciale  «secondo  le
procedure previste dai rispettivi statuti speciali e  dalle  relative
norme di attuazione, anche con riferimento  agli  enti  locali  delle
autonomie speciali che esercitano le funzioni in materia  di  finanza
locale,  agli  enti  ed  organismi  strumentali  dei  predetti   enti
territoriali e agli altri enti o organismi ad ordinamento regionale o
provinciale». 
    In  virtu'  del  principio  pattizio  che  governa  l'ordinamento
finanziario in Valle d'Aosta, secondo  quanto  previsto  dagli  artt.
48-bis e 50 dello  statuto  speciale,  anche  ammettendo  che  quelli
richiamati nel ricorso siano principi di coordinamento della  finanza
pubblica,  essi  non  sarebbero  comunque  vincolanti   perche'   non
individuati secondo il principio dell'accordo, «inteso  come  vincolo
di metodo (e non gia' di risultato) e  declinato  nella  forma  della
leale collaborazione» (sono richiamate le sentenze di questa Corte n.
58 del 2021 e n. 250 del 2020). 
    Tale  metodo,  osserva  la  resistente,   ha   trovato   conferma
nell'accordo  sottoscritto  il  16  novembre  2018  tra  il  Ministro
dell'economia e delle finanze e il Presidente della Regione  autonoma
Valle d'Aosta/Vallee d'Aoste, i cui  contenuti  sono  stati  recepiti
nell'art. 1, commi da 876 a 879, della legge 30 dicembre 2018, n. 145
(Bilancio di previsione dello Stato per  l'anno  finanziario  2019  e
bilancio pluriennale per  il  triennio  2019-2021).  Questo  accordo,
rileva  ancora  la  difesa  regionale,   non   contempla   specifiche
previsioni  nella  materia  interessata  dall'odierna   impugnazione,
limitandosi  a  quantificare   complessivamente   gli   effetti   del
contributo della Regione al risanamento della finanza  pubblica.  Ne'
la   situazione   sarebbe   mutata    negli    accordi    intervenuti
successivamente. 
    Da tanto discenderebbe la non diretta applicabilita' dell'art. 4,
comma 4, del d.l. n. 95 del 2012, richiamato dall'art. 11,  comma  7,
del d.lgs. n. 175 del 2016,  e  la  conseguente  inammissibilita'  o,
comunque, non fondatezza del ricorso governativo. 
    2.2.-  Anche  ove  tali   disposizioni   fossero   da   ritenersi
applicabili alla Regione autonoma Valle d'Aosta/Vallee d'Aoste,  esse
comunque non integrerebbero un principio  fondamentale  «in  assoluto
non derogabile» da parte di quest'ultima. 
    Il limite di cui al citato art. 4, comma 4, del d.l.  n.  95  del
2012, infatti, troverebbe applicazione, in  virtu'  del  richiamo  ad
esso effettuato dall'art. 11, comma 7, del d.lgs. n.  175  del  2016,
nelle more dell'adozione del decreto ministeriale previsto  dall'art.
11, comma 6, del medesimo decreto legislativo.  Nonostante  il  tempo
trascorso dall'entrata in vigore del Testo  unico  sulle  societa'  a
partecipazione pubblica e il fatto che quest'ultimo abbia  potenziato
i requisiti qualitativi e le  competenze  richieste  agli  organi  di
amministrazione di tali societa', il decreto di cui  al  citato  art.
11, comma 6 - osserva la Regione - non e' stato ancora adottato,  con
l'effetto  che  l'inerzia  statale  avrebbe  consolidato,   in   modo
illegittimo, una  situazione  che  nasceva  come  transitoria  e  che
impone, oggi, di «individuare soluzioni costituzionalmente  orientate
anche nell'interpretazione del limite in  discussione,  sulla  scorta
dei principi di ragionevolezza e buon  andamento  ex  artt.  3  e  97
Cost.». 
    Proprio tale esigenza avrebbe spinto alcune sezioni regionali  di
controllo della Corte dei conti a sottolineare, nel momento in cui si
deroga al limite di cui al citato art. 4, comma 4, del d.l. n. 95 del
2012,  la  necessita'  di  combinare  le   norme   pubblicistiche   e
privatistiche rilevanti nella materia de qua, orientando le soluzioni
a una «attenta combinazione del rispetto di tutti i limiti  stabiliti
a tutela di un corretto  utilizzo  delle  pubbliche  risorse,  e  del
contestuale interesse alla massima efficacia dello svolgimento  delle
funzioni, atta a consentire una proficua operativita'  dello  stesso»
(sezione  regionale  di  controllo  per  il  Friuli-Venezia   Giulia,
deliberazione del 30 aprile 2020, n. 15). 
    Cio' ha condotto, nel caso in cui non vi fosse  un  parametro  di
costo  per  l'anno  2013,  ad  assumere  quale  riferimento   l'onere
sostenuto nell'ultimo esercizio nel quale risulti presente un esborso
da  utilizzare,  purche'  contenuto  entro  i  limiti  della  stretta
necessita', ovvero a far ricorso allo stesso principio  allorche'  il
costo di riferimento, pur desumibile,  risulti  «talmente  esiguo  da
essere considerato sostanzialmente  inesistente,  soprattutto  se  si
abbia in considerazione la necessita'  di  garantire  un  proficuo  e
professionalmente adeguato  funzionamento  degli  organi  societari»,
sempre che i compensi vengano contenuti entro  «limiti  riconducibili
ai parametri di sana gestione». 
    2.3.- Entro tali coordinate si collocherebbe l'impugnato art.  2,
comma 1, della legge reg. Valle d'Aosta n. 16 del 2021. 
    La difesa regionale precisa che il compenso  percepito  nell'anno
2020, invariato dal 2015, dai membri del consiglio di amministrazione
di Finaosta spa e' pari a euro 4.464, mentre  quello  del  presidente
del consiglio di amministrazione ammonta a euro 25.200. 
    Si tratterebbe di un compenso quasi simbolico e che  risulterebbe
vieppiu' inadeguato oggi alla luce della  maggiore  qualificazione  e
delle    corrispondenti    responsabilita'    richieste    per    gli
amministratori, secondo quanto prevede  proprio  la  legge  regionale
impugnata, alla luce delle nuove attivita' svolte dalla societa'. 
    Dando attuazione al decreto del Ministro  dell'economia  e  delle
finanze del 23 novembre 2020,  n.  169  (Regolamento  in  materia  di
requisiti e criteri di idoneita' allo svolgimento dell'incarico degli
esponenti aziendali delle banche, degli intermediari finanziari,  dei
confidi, degli istituti di  moneta  elettronica,  degli  istituti  di
pagamento e dei sistemi di garanzia dei depositanti), la  legge  reg.
Valle d'Aosta n. 16 del 2021 - precisa la  resistente  -  ha  infatti
dettato specifici criteri e  requisiti  di  idoneita'  in  capo  agli
amministratori,  tra  cui  assume  rilievo   la   non   cumulabilita'
dell'incarico di presidente  del  consiglio  d'amministrazione  e  di
direttore generale, il che avrebbe  reso  ancora  piu'  irrisorio  il
compenso riconosciuto al presidente in base al criterio storico. 
    Per effetto della disposizione impugnata,  pertanto,  si  sarebbe
determinato  un  riallineamento  dei  compensi  degli  organi   della
societa', che,  rimediando  alla  sostanziale  irrilevanza  del  loro
ammontare fino al 2020, resterebbe tuttavia rispettoso del  principio
di efficacia perche' commisurerebbe la remunerazione a un criterio di
adeguatezza alla luce delle competenze attribuite agli organi  e  dei
nuovi requisiti che impongono una maggiore qualificazione dei  membri
di questi ultimi. 
    Cio'  sarebbe  dimostrato  dal  fatto  che  il  compenso  massimo
riconoscibile ai membri del consiglio di amministrazione di  Finaosta
spa sara' pari a euro 8.928 annui, mentre  il  presidente  si  vedra'
riconosciuti al massimo euro 50.400 all'anno. Si tratterebbe  di  una
«misura pienamente razionale e proporzionata», se solo  si  pensa  ai
compensi percepiti  dagli  organi  di  altre  societa'  analoghe  (e'
riportato il caso di Finlombarda spa, il cui  presidente  ottiene  un
compenso  pari  a  euro  102.720  annui  e  i  membri  del  consiglio
d'amministrazione pari a euro 34.240 annui). 
    Ne deriverebbe, in conclusione, che  la  Regione  autonoma  Valle
d'Aosta/Vallee  d'Aoste  non  avrebbe  ne'   esorbitato   dalle   sue
attribuzioni statutarie nella materia  «ordinamento  degli  uffici  e
degli enti dipendenti dalla Regione [e] stato giuridico ed  economico
del personale», ne' avrebbe  violato  un  principio  fondamentale  di
coordinamento  della  finanza   pubblica,   essendosi   «limitata   a
declinarlo,  nei  limiti  in  cui  lo  stesso  "diritto  vivente"  lo
consente, per garantire la proporzionalita' tra funzioni e  compenso,
senza tradire la logica di sana gestione finanziaria». 
    3.- In ulteriore subordine,  laddove  non  venissero  accolte  le
ragioni di non fondatezza di  cui  ai  punti  precedenti,  la  difesa
regionale chiede a questa Corte di promuovere davanti a se stessa  la
questione di  legittimita'  costituzionale  delle  norme  invocate  a
parametro interposto (art. 11, comma 7, d.lgs. n. 175 del 2016 e art.
4, comma 4, d.l. n. 95 del 2012), per contrasto con plurimi parametri
costituzionali. 
    3.1.- La rilevanza della questione sarebbe  evidente  in  ragione
del fatto che proprio su tali  parametri  interposti  si  fondano  le
ragioni  governative  a   sostegno   della   dedotta   illegittimita'
costituzionale dell'art. 2 della legge reg. Valle d'Aosta n.  16  del
2021. 
    3.2.- Quanto alla non manifesta infondatezza della questione,  la
difesa regionale osserva come le finalita' di contenimento dei  costi
perseguite dalle disposizioni richiamate nascevano  nel  contesto  di
una disciplina emergenziale quale quella di cui al  d.l.  n.  95  del
2012 e venivano trasfuse nel corpo del testo unico di cui  al  d.lgs.
n.  175  del  2016  con  l'obiettivo  di  approntare  una  disciplina
temporanea, in attesa che venisse adottato  il  decreto  ministeriale
previsto dall'art. 11, comma 6, del medesimo decreto legislativo. 
    Il protrarsi dell'inerzia avrebbe reso oggi non piu'  tollerabile
la  sopravvivenza  di  una  disciplina  transitoria  che  palesemente
colliderebbe  con  l'introduzione,  ad  opera  del  medesimo  decreto
legislativo,  di  peculiari  requisiti  di  qualificazione  per   gli
amministratori delle societa' in questione e di ulteriori  competenze
assegnate a questi ultimi rispetto alla disciplina previgente. 
    Cio' si tradurrebbe, in primo luogo,  in  una  menomazione  delle
competenze legislative della Regione  autonoma  Valle  d'Aosta/Vallee
d'Aoste, che si vedrebbe impossibilitata ad adeguare i compensi delle
societa' di cui e' socio  unico,  con  conseguente  violazione  degli
artt.  2,  lettera  a)  (in  relazione   all'ambito   di   competenza
legislativa primaria nella materia «ordinamento degli uffici e  degli
enti dipendenti dalla regione e  stato  giuridico  ed  economico  del
personale»), 3, lettera f) (con riguardo alla competenza  integrativa
in materia di finanze  regionali  e  comunali),  48-bis  e  50  dello
statuto speciale, nonche'  dell'art.  117,  terzo  comma,  Cost.,  in
relazione alla materia «coordinamento  della  finanza  pubblica»,  in
combinato disposto  con  l'art.  10  della  legge  costituzionale  18
ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte  seconda  della
Costituzione). 
    Vi sarebbe, poi, un contrasto con gli artt. 3 e 97 Cost., perche'
il protrarsi dell'utilizzo del criterio della spesa  storica  sarebbe
inadeguato alla luce delle novita' introdotte dal testo unico di  cui
al d.lgs. n. 175 del 2016, che ha ancorato il modello operativo delle
societa' a partecipazione pubblica a  una  logica  di  sana  gestione
finanziaria, al  contempo  mirando  al  perseguimento  della  massima
efficacia nello svolgimento delle relative funzioni. 
    Sarebbero  lesi,  inoltre,  gli  artt.  3  e  41  Cost.,  per  il
sacrificio subito dall'autonomia  imprenditoriale  delle  societa'  a
partecipazione pubblica in ragione del protrarsi  del  vincolo  della
spesa storica nella determinazione del compenso degli amministratori,
come anche gli  artt.  3  e  36  Cost.,  perche'  tali  compensi  non
sarebbero piu' adeguati e proporzionati «rispetto ai nuovi e maggiori
incarichi da questi assunti, alla complessita' delle funzioni  svolte
e alla relativa assunzione di responsabilita'». 
    Pur se tra amministratore e societa'  non  sia  configurabile  un
rapporto di lavoro, secondo la  difesa  regionale  l'imposizione  del
tetto di spesa colliderebbe col principio, chiaramente fatto  proprio
dall'art. 11, comma 6, del d.lgs. n. 175  del  2016,  che  vuole  gli
emolumenti crescere proporzionalmente rispetto alla quantita' e  alla
qualita' delle funzioni svolte, cio' che si tradurrebbe, appunto,  in
una violazione dell'art. 36 Cost. 
    Da ultimo, osserva  la  difesa  regionale  che  l'invocazione  di
parametri estranei a quelli attinenti il riparto delle competenze tra
Stato e Regione e' comunque ammissibile, attesa la  ridondanza  della
eccepita lesione sulle competenze regionali richiamate. 
    4.- In prossimita' dell'udienza pubblica, la difesa della Regione
autonoma  Valle  d'Aosta/Vallee  d'Aoste   ha   depositato   memoria,
insistendo affinche' questa Corte dichiari  non  fondate  le  censure
formulate dal ricorso governativo. 
    5.-  Anche  l'Avvocatura  generale  dello  Stato  ha   depositato
memoria, insistendo nelle conclusioni gia'  rassegnate  e  replicando
alle  deduzioni  svolte   dalla   difesa   regionale   nell'atto   di
costituzione. 
    Ad avviso dell'Avvocatura, le clausole  di  salvaguardia  evocate
dalla difesa regionale a sostegno dell'inapplicabilita' dell'art.  4,
comma 4, del d.l. n. 95 del 2012 e dell'art. 11, comma 7, del  d.lgs.
n. 175 del 2016 «valgono soltanto a regolare la partecipazione  delle
Regioni autonome agli obiettivi di finanza pubblica  nell'ambito  del
patto di stabilita' e  non  sembra  possano  condizionare,  nel  caso
sottoposto a giudizio, l'applicazione di una  norma  che  dispone  un
limite generale alla spesa  corrente».  Limiti  alla  spesa  di  enti
pubblici  regionali,  pertanto,  sarebbero  consentiti  purche'  essi
pongano obiettivi di riequilibrio della stessa «intesi nel  senso  di
un transitorio contenimento complessivo, anche se non generale, della
spesa corrente»  e  non  prevedano  in  modo  esaustivo  strumenti  o
modalita' per  il  perseguimento  di  tali  obiettivi.  Proprio  tali
caratteristiche connoterebbero le richiamate disposizioni, da cui  si
ricava il limite di spesa per i compensi degli  amministratori  delle
societa' a partecipazione pubblica, senza  che  quindi  le  autonomie
speciali, e la Regione autonoma Valle d'Aosta/Vallee d'Aoste nel caso
di specie, possano sottrarsi al rispetto di quest'ultimo. 
    Ne' un limite  all'applicabilita'  di  tali  previsioni  potrebbe
essere rinvenuto nel principio pattizio, perche' con gli  accordi  in
parola vengono regolati «complessi rapporti finanziari» tra  Stato  e
Regioni ad autonomia speciale, laddove una disposizione  come  quella
impugnata,  che  si  limita  a  introdurre  un  limite   generale   e
temporaneo, non richiederebbe di essere recepita tramite accordo. 
    Quanto, poi, alla derogabilita' del limite fissato  dall'art.  4,
comma 4, del d.l. n. 95 del 2012, l'Avvocatura  ribadisce  come  essa
sia impedita anche nel caso in cui alle societa' in questione vengano
attribuiti nuovi compiti o esse siano investite  da  un  processo  di
riorganizzazione. Non sussisterebbero, infine, i presupposti  perche'
questa Corte, in accoglimento della richiesta avanzata  dalla  difesa
regionale, sollevi di fronte a se stessa  questione  di  legittimita'
costituzionale  delle  richiamate  norme   interposte.   La   dedotta
violazione deriverebbe, infatti, unicamente dal ritardo nell'adozione
del regolamento previsto dall'art. 11, comma 6, del d.lgs. n. 175 del
2016, cio' che, tuttavia,  costituirebbe  un  inconveniente  di  mero
fatto,  non  rilevante  ai  fini  del   controllo   di   legittimita'
costituzionale (sono richiamate le sentenze n. 117 del 2012,  n.  303
del 2011 e n. 329 del 2009). 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Con ricorso notificato il 13 settembre 2021, depositato il 21
settembre successivo e iscritto al n. 50 del registro  ricorsi  2021,
il Presidente del Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e  difeso
dall'Avvocatura generale dello Stato, ha impugnato l'art. 2, comma 1,
della legge della  Regione  Valle  d'Aosta  13  luglio  2021,  n.  16
(Disposizioni in materia di funzionamento e limiti ai compensi  degli
organi societari di Finaosta S.pA., nonche' di operazioni societarie.
Modificazioni alla legge regionale 16 marzo 2006, n. 7), nella  parte
in cui sostituisce l'art. 14, comma  4,  della  legge  della  Regione
Valle d'Aosta 16 marzo 2006, n. 7 (Nuove disposizioni concernenti  la
societa' finanziaria  regionale  FINAOSTA  S.p.A.  Abrogazione  della
legge regionale 28 giugno 1982, n. 16), in  riferimento  all'art.  2,
lettera a),  della  legge  costituzionale  26  febbraio  1948,  n.  4
(Statuto speciale per la Valle d'Aosta) e all'art. 117, terzo  comma,
della Costituzione,  relativamente  alla  materia  del  coordinamento
della finanza pubblica. 
    1.1.- La disposizione impugnata, nell'ambito  di  un  piu'  ampio
intervento di riforma sugli  organi  e  le  funzioni  della  societa'
finanziaria regionale Finaosta  spa,  stabilisce  che  «[i]  compensi
spettanti al Presidente e ai membri del  consiglio  d'amministrazione
sono stabiliti dall'assemblea in misura non superiore  al  doppio  di
quella prevista per i componenti in carica alla data di  approvazione
del bilancio relativo all'esercizio 2020». 
    Il ricorso lamenta che  tale  autorizzazione  all'incremento  dei
compensi si porrebbe in contrasto con il principio  di  coordinamento
della finanza pubblica ricavabile dal combinato disposto degli  artt.
11, comma 7, del decreto legislativo 19 agosto 2016,  n.  175  (Testo
unico in materia di societa' a partecipazione pubblica) e 4, comma 4,
del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 (Disposizioni urgenti  per  la
revisione  della  spesa  pubblica  con  invarianza  dei  servizi   ai
cittadini nonche' misure di rafforzamento patrimoniale delle  imprese
del settore bancario), convertito, con modificazioni, nella  legge  7
agosto 2012, n. 135. 
    La prima  di  tali  disposizioni  prevede  infatti  che,  per  la
determinazione  dei  compensi  degli  amministratori  delle  societa'
controllate   direttamente   o   indirettamente    dalle    pubbliche
amministrazioni, continuino ad applicarsi,  fino  all'emanazione  del
decreto ministeriale di cui all'art. 11, comma 6, del medesimo d.lgs.
n. 175 del 2016, il richiamato art. 4, comma 4, del d.l.  n.  95  del
2012 e il decreto del  Ministro  dell'economia  e  delle  finanze  24
dicembre 2013, n. 166  (Regolamento  relativo  ai  compensi  per  gli
amministratori con deleghe delle societa' controllate  dal  Ministero
dell'economia e delle finanze, ai sensi dell'ex articolo  23-bis  del
decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni,
dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214). 
    La seconda (art. 4, comma 4, d.l. n.  95  del  2012),  nel  testo
attualmente vigente, introdotto dall'art. 16, comma  1,  lettera  a),
del decreto-legge 24 giugno  2014,  n.  90  (Misure  urgenti  per  la
semplificazione e la trasparenza amministrativa  e  per  l'efficienza
degli uffici giudiziari), convertito, con modificazioni, nella  legge
11 agosto 2014, n. 114, stabilisce che, «[a] decorrere dal 1° gennaio
2015, il costo annuale sostenuto per i compensi degli  amministratori
di tali societa', ivi compresa la remunerazione di  quelli  investiti
di particolari cariche, non puo' superare l'80 per  cento  del  costo
complessivamente sostenuto nell'anno 2013». 
    Ad avviso dell'Avvocatura, questa  disposizione  integrerebbe  un
principio di  coordinamento  della  finanza  pubblica,  sicche',  non
essendo stato sinora emanato il decreto previsto dall'art. 11,  comma
6, del d.lgs. n. 175 del 2016, l'impugnato art.  2,  comma  1,  della
legge reg. Valle d'Aosta n. 16 del 2021 violerebbe l'art. 117,  terzo
comma,  Cost.  e,  ad  un  tempo,  esorbiterebbe   dalla   competenza
legislativa primaria attribuita alla Regione dall'art. 2, lettera a),
dello statuto speciale nella  materia  «ordinamento  degli  uffici  e
degli enti dipendenti dalla regione e stato  giuridico  ed  economico
del personale». 
    2.- La Regione autonoma Valle d'Aosta/Vallee  d'Aoste  replica  a
questi motivi  rilevando,  in  via  preliminare,  che  l'impugnazione
sarebbe inammissibile, o comunque non fondata, in quanto  ne'  l'art.
11, comma 7, del d.lgs. n. 175 del 2016, ne' l'art. 4, comma  4,  del
d.l. n. 95 del  2012  sarebbero  direttamente  applicabili  in  Valle
d'Aosta. Tale inapplicabilita' si ricaverebbe, in particolare,  dalle
clausole di salvaguardia contenute nell'art. 23 del d.lgs. n. 175 del
2016 e nell'art. 24-bis del d.l. n. 95 del 2012, le quali subordinano
l'applicabilita' delle previsioni in essi  rispettivamente  contenute
alla compatibilita', sostanziale e procedurale, con  quanto  previsto
dagli statuti degli enti ad autonomia speciale. 
    Nel caso della Regione  autonoma  Valle  d'Aosta/Vallee  d'Aoste,
tale applicabilita'  sarebbe  specificamente  da  escludersi  perche'
l'ordinamento finanziario regionale e' retto dal principio  pattizio,
che trova espressione soprattutto  negli  artt.  48-bis  e  50  dello
statuto speciale, cosi' che i principi fondamentali di  coordinamento
della  finanza  pubblica  contenuti   in   leggi   statali   non   si
applicherebbero «in assenza di una specifica previsione  mediante  un
apposito accordo». 
    3.- L'esame di tale argomento richiede di riepilogare  brevemente
quanto questa Corte ha affermato, in linea generale, relativamente ai
presupposti e agli effetti delle clausole di  salvaguardia,  talvolta
contenute in leggi statali,  con  le  quali  il  legislatore  intende
preservare gli enti ad autonomia speciale dalla  necessita'  di  dare
applicazione a talune delle disposizioni in esse contenute, nel  caso
in  cui  queste  intervengano  in  ambiti   riservati   all'autonomia
statutaria di tali enti. 
    3.1.- Ferma restando la necessita' di  apprezzarne  di  volta  in
volta il contenuto e la portata, e' costante l'orientamento di questa
Corte per cui tali clausole non possono essere qualificate come  mere
formule di stile, prive di significato  normativo,  perche'  ad  esse
deve essere, di volta in volta, riconosciuta «la precisa funzione  di
rendere applicabili le disposizioni della medesima legge agli enti ad
autonomia differenziata, a condizione che tali disposizioni non siano
lesive delle prerogative regionali e provinciali» (sentenze n. 94 del
2018 e n. 191 del 2017; nello stesso senso, sentenze n. 273 del  2015
e n. 241 del 2012). In generale, esse rivestono pertanto la  funzione
di «limite per l'applicazione delle disposizioni della legge  statale
in  cui  ciascuna  clausola  e'  inserita  e   implica[no]   che   le
disposizioni della legge statale non siano applicabili nei  confronti
degli enti a statuto speciale, se in contrasto con gli statuti  e  le
relative norme di attuazione» (sentenze n. 107 del 2021 e n. 191  del
2017; analogamente, sentenza n. 46 del 2022). 
    La presenza di dette clausole di salvaguardia nella  legislazione
statale,  tuttavia,  non  consente  di   ritenere   per   cio'   solo
inapplicabili, nel territorio degli enti ad  autonomia  speciale,  le
disposizioni cui accedono, poiche'  esse  impongono  una  valutazione
caso per caso circa il rispetto delle norme statutarie da parte delle
singole disposizioni impugnate (sentenze n. 46 del 2022, n.  107  del
2021 e n. 231 del 2017). In particolare,  in  piu'  occasioni  questa
Corte  ha  precisato  che  la  sola  presenza  di  una  clausola   di
salvaguardia non  determina,  di  per  se',  l'inapplicabilita'  alle
autonomie speciali delle  disposizioni  di  legge  statale  cui  essa
rimanda, allorche' gli ambiti investiti da  tali  disposizioni  siano
ascrivibili a materie di competenza legislativa esclusiva dello Stato
«prevalente  sulle  competenze  degli  enti  ad  autonomia  speciale»
(sentenza  n.  46  del  2022)  o  rispetto  alle  quali  «la  Regione
resistente non puo' opporre [...] alcuna attribuzione  fondata  sullo
statuto o sulle norme di attuazione statutaria» (sentenza n.  37  del
2021). Lo stesso e', inoltre, a dirsi  nel  caso  in  cui  specifiche
disposizioni  di  legge  statale,  malgrado  le  predette   clausole,
facciano  comunque  espresso  riferimento  ad  uno  o  piu'  enti  ad
autonomia speciale, ovvero al complesso di essi (sentenze n. 107  del
2021, n. 103 e n. 94 del 2018, n. 151 del 2017, n. 40 del 2016),  con
la conseguenza che  l'operativita'  di  tali  clausole  «deve  essere
esclusa nei particolari casi in cui singole norme di legge, in virtu'
di una  previsione  espressa,  siano  direttamente  e  immediatamente
applicabili agli enti ad autonomia speciale» (ex multis, sentenze  n.
231 del 2017 e n. 40 del 2016). 
    4.- Poste tali premesse, la questione deve essere dichiarata  non
fondata. 
    La portata delle disposizioni statali di principio che il ricorso
ritiene siano state violate nel caso di specie, infatti, non puo' che
essere inquadrata alla  luce  di  quanto  prevedono  le  clausole  di
salvaguardia contenute nell'art. 23 del d.lgs. n. 175 del 2016 («[l]e
disposizioni del  presente  decreto  si  applicano  nelle  Regioni  a
statuto speciale e nelle province autonome di  Trento  e  di  Bolzano
compatibilmente con i rispettivi  statuti  e  le  relative  norme  di
attuazione,  anche  con  riferimento  alla  legge  costituzionale  18
ottobre 2001, n. 3») e nell'art. 24-bis del d.l. n. 95 del 2012, come
convertito. 
    Quest'ultima, in particolare, stabilisce che «[f]ermo restando il
contributo delle regioni a statuto speciale e delle province autonome
di  Trento  e  di  Bolzano  all'azione  di  risanamento  cosi'   come
determinata dagli articoli 15 e 16,  comma  3,  le  disposizioni  del
presente decreto  si  applicano  alle  predette  regioni  e  province
autonome  secondo  le  procedure  previste  dai  rispettivi   statuti
speciali e dalle relative norme di attuazione, anche con  riferimento
agli enti locali delle autonomie speciali che esercitano le  funzioni
in materia di finanza locale, agli enti ed organismi strumentali  dei
predetti  enti  territoriali  e  agli  altri  enti  o  organismi   ad
ordinamento regionale o provinciale». 
    Questa  Corte  ha  gia'  chiarito  che  l'introduzione  di   tale
clausola, in sede di conversione, e' avvenuta proprio  per  garantire
che il contributo delle Regioni a statuto speciale e  delle  Province
autonome all'azione di risanamento  della  finanza  pubblica,  allora
intrapresa, venisse realizzato «rispettando i rapporti  e  i  vincoli
che gli statuti speciali stabiliscono tra livello nazionale e Regioni
a statuto speciale»,  con  l'effetto  che  «[l]a  previsione  di  una
procedura "garantita" al fine di applicare  agli  enti  ad  autonomia
speciale  la  normativa  introdotta  esclude,  percio',  l'automatica
efficacia della disciplina prevista dal decreto-legge per le  Regioni
a statuto ordinario» (sentenza n. 236 del 2013; nello  stesso  senso,
sentenze n. 22 del 2014 e n. 215 del 2013). 
    4.1.- Inoltre, nella sentenza n. 229 del 2013,  questa  Corte  ha
affrontato la questione  relativa  alla  portata  della  clausola  di
salvaguardia contenuta nel richiamato art. 24-bis del d.l. n. 95  del
2012, con riguardo all'applicabilita' agli enti ad autonomia speciale
di diverse disposizioni contenute proprio nell'art.  4  del  medesimo
decreto-legge. 
    In quell'occasione, essa ha ritenuto che i commi 1, 2, 3, 7  e  8
del citato art. 4 del d.l. n. 95 del 2012,  impugnati  dalla  Regione
autonoma Friuli-Venezia Giulia per aspetti legati alla  loro  portata
di principi di coordinamento  della  finanza  pubblica,  non  fossero
applicabili al complesso delle autonomie  speciali  alla  luce  della
predetta clausola di salvaguardia, la quale prefigura  «"un  percorso
procedurale,  dominato  dal  principio   consensualistico,   per   la
modificazione delle norme di attuazione degli statuti  speciali,  con
riguardo all'eventualita' in cui lo  Stato  voglia  introdurre  negli
enti ad autonomia differenziata, quanto  alle  materie  trattate  nel
decreto-legge, una disciplina non conforme alle norme  di  attuazione
statutaria" (sentenza n. 241 del 2012)» (punto 8.1.  del  Considerato
in diritto). 
    Nella medesima sentenza, questa Corte si e'  inoltre  pronunciata
su  analoghe  doglianze,  promosse,  tra  gli  altri,  dalla  Regione
autonoma Sardegna, aventi ad oggetto anche il comma 4 dell'art. 4 del
d.l. n. 95 del 2012, ma nella formulazione allora vigente, precedente
all'introduzione del richiamato tetto di  spesa  dell'80  per  cento,
operata, come detto, dall'art. 16, comma 1, lettera a), del  d.l.  n.
90 del 2014, come convertito. 
    In  particolare,  tali   previsioni,   successivamente   abrogate
dall'art. 28, comma 1, lettera o), del d.lgs. n. 175 del 2016,  erano
state allora impugnate nella parte in  cui  determinavano  il  numero
massimo dei componenti dei consigli di amministrazione delle societa'
a  partecipazione  pubblica,  individuando  anche  le  modalita'   di
composizione  dei  predetti  consigli  e  le  funzioni  dei  relativi
componenti. 
    Limitatamente  a  tali  profili  di  censura,  che  pertanto  non
investivano la previsione transitoria relativa al tetto  ai  compensi
degli amministratori, la richiamata  sentenza  n.  229  del  2013  ha
rilevato allora la non fondatezza delle doglianze  regionali  perche'
«la disciplina puntuale delle modalita' di composizione dei  consigli
di amministrazione di tali  societa',  nonche'  l'individuazione  del
numero e delle funzioni dei componenti deve [...]  essere  ricondotta
alla materia dell'"ordinamento civile", di competenza  esclusiva  del
legislatore statale» (punto 10.3. del Considerato in diritto). 
    4.2.- L'unica previsione attualmente contenuta nell'art. 4, comma
4, del d.l.  n.  95  del  2012,  che  si  limita  a  fissare  in  via
transitoria il tetto ai compensi degli amministratori delle  societa'
partecipate e che il ricorso governativo  assume  sia  stata  violata
dalla Regione autonoma Valle d'Aosta/Vallee d'Aoste, persegue  invece
indubitabilmente finalita'  di  contenimento  della  spesa  pubblica,
tanto piu' evidenti se si considera che il richiamo ad essa, da parte
dell'art.  11,  comma  7,  del  d.lgs.  n.  175  del  2016,  dimostra
l'intenzione del legislatore,  che  ha  riformato  il  settore  delle
societa' a partecipazione pubblica, di dettare specifiche  misure  di
coordinamento  della  finanza   pubblica   necessarie   a   garantire
l'effettivita' dell'azione riformatrice allora  intrapresa,  rispetto
alla quale il vincolo  di  spesa  in  questione  mostra  pertanto  un
evidente «rapporto di coessenzialita' e di  necessaria  integrazione»
(sentenze n. 166 del 2021 e n. 186  del  2019;  nello  stesso  senso,
sentenza n. 64 del 2020). 
    Diversamente invece  e'  a  dirsi  per  la  disciplina  contenuta
nell'art. 11, comma 6, del d.lgs. n. 175 del 2016, la  quale  demanda
al Ministro dell'economia e delle finanze l'adozione  di  un  decreto
contenente «indicatori dimensionali  quantitativi  e  qualitativi  al
fine di individuare fino a cinque fasce» per la classificazione delle
societa'  a  controllo  pubblico,  a  ciascuna  delle  quali   andra'
commisurato, in proporzione, «il limite dei compensi massimi al quale
gli organi di dette societa' devono fare riferimento, secondo criteri
oggettivi  e  trasparenti,  per  la  determinazione  del  trattamento
economico annuo onnicomprensivo da corrispondere agli amministratori,
ai titolari e componenti degli organi di controllo, ai dirigenti e ai
dipendenti». 
    Rispetto  a  tale  disposizione,  non  direttamente  evocata  nel
presente giudizio se non in  ragione  della  sua  (ad  oggi)  mancata
attuazione, questa Corte ha gia' precisato che «[l]a  disciplina  dei
compensi di  amministratori,  dirigenti  e  dipendenti,  la  puntuale
regolamentazione del conferimento e della pubblicita' degli incarichi
di consulenza, di collaborazione e degli incarichi professionali,  le
previsioni  sul  pagamento  dei  relativi  compensi,  attengono  alla
materia  dell'"ordinamento  civile",  di  competenza  esclusiva   del
legislatore statale» (sentenza n. 191 del 2017). 
    5.- Le disposizioni statali  interposte  non  si  applicano  alle
Regioni a statuto speciale e alle Province autonome perche' rientrano
nell'ambito operativo  delle  richiamate  clausole  di  salvaguardia.
Esse,  inoltre,  non  afferiscono  ad   ambiti   riconducibili   alla
competenza legislativa esclusiva dello Stato  (peraltro  non  evocati
nel presente giudizio), ma  ricadono  nell'alveo  del  «coordinamento
della finanza pubblica», di cui all'art. 117, terzo comma, Cost. 
    A cio' si aggiunga che la disposizione impugnata, per il fatto di
autorizzare l'assemblea di Finaosta spa a innalzare fino al doppio  i
compensi previsti per i membri del consiglio di amministrazione  alla
data  di  approvazione  del  bilancio  relativo  all'esercizio  2020,
risulta funzionalmente e materialmente  connessa  con  la  competenza
legislativa primaria della Regione nella materia  «ordinamento  degli
uffici e degli enti dipendenti dalla regione  e  stato  giuridico  ed
economico del personale» (art. 2, lettera a, dello statuto  speciale)
e  risulta  in  ogni  caso  inidonea  a  incidere  sull'obiettivo  di
coordinamento  della  finanza  pubblica  perseguito  dal  legislatore
statale. 
    Nell'ambito della richiamata  competenza  legislativa  regionale,
infatti, rientra anche l'obiettivo di un  piu'  efficace  svolgimento
dei compiti istituzionali di un ente strumentale della  Regione  come
Finaosta spa. L'innalzamento dei  compensi  degli  amministratori  e'
rivolto a tale finalita' ed e' stato realizzato, nel caso di  specie,
entro  limiti  non  incompatibili  con  requisiti  di  sana  gestione
finanziaria. 
    D'altra parte, l'obiettivo  del  coordinamento  finanziario,  che
costituisce un limite all'esercizio della potesta' legislativa  delle
Regioni,  anche  ad  autonomia  speciale,  in   tanto   puo'   essere
perseguito, in quanto, nel condizionare  gli  interventi  legislativi
regionali  rispetto  ai  quali  venga  evocato,  sia  ragionevolmente
rapportato alle situazioni sostanziali che si intendono regolare.  E,
nella specie, a escludere che le  situazioni  concretamente  regolate
dal  legislatore  regionale   possano   attingere   i   principi   di
coordinamento finanziario richiamati dal  ricorso,  assumono  rilievo
sia  l'esiguita'  del   costo   derivante   dall'applicazione   della
disposizione impugnata  (i  compensi  dei  membri  del  consiglio  di
amministrazione passerebbero dagli attuali euro 4.464  a  un  importo
non superiore a euro  8.928  annui  e  quelli  del  presidente  dagli
attuali euro 25.200 a un importo non superiore a euro 50.400  annui),
sia la riferibilita'  dello  stesso  esclusivamente  al  bilancio  di
Finaosta spa, stante la clausola di  invarianza  finanziaria  di  cui
all'art. 8 della legge reg. Valle d'Aosta n. 16  del  2021,  peraltro
non oggetto di specifica impugnazione con riguardo  al  principio  di
copertura dei nuovi oneri, di cui all'art. 81, terzo comma, Cost. 
    In conclusione, ricorrendo nel caso in  esame  le  condizioni  di
operativita' delle clausole di salvaguardia richiamate al  precedente
punto  3.1.  e  tenuto  conto  delle  ora   esposte   considerazioni,
all'esercizio  della  potesta'  normativa  da  parte  della   Regione
autonoma Valle d'Aosta/Vallee d'Aoste non e' opponibile  il  rispetto
di quanto previsto dalle disposizioni statali introduttive del  tetto
di spesa di cui alle evocate norme interposte. 
    6.- La questione  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  2,
comma 1, della legge reg. Valle d'Aosta n. 16 del  2021  deve  quindi
essere dichiarata non fondata, restando cosi' assorbita la richiesta,
avanzata dalla Regione resistente, di autorimessione delle  questioni
di legittimita' costituzionale aventi ad oggetto l'art. 11, comma  7,
del d.lgs. n. 175 del 2016 e l'art. 4, comma 4, del d.l.  n.  95  del
2012. 
    Peraltro, questa Corte non puo' fare a meno di  rilevare  che  la
fondamentale  necessita'  di  contemperare,  con   misure   adeguate,
un'efficace azione amministrativa  delle  societa'  a  partecipazione
pubblica con requisiti organizzativi che siano  espressione  di  sana
gestione finanziaria, messa in luce da  diverse  deliberazioni  delle
sezioni regionali di controllo della Corte dei  conti  richiamate  da
entrambe le parti, induce ad auspicare la sollecita approvazione  del
decreto del Ministro dell'economia e delle finanze previsto dall'art.
11, comma 6, del d.lgs. n. 175 del 2016, con il  quale,  adottata  la
disciplina a regime sui compensi degli amministratori delle  societa'
partecipate,  si  eviterebbero  le  ulteriori  disfunzioni  derivanti
dall'ultrattivita' di un regime  dichiaratamente  transitorio  (quale
quello contenuto negli artt. 11, comma 7, del citato  d.lgs.  n.  175
del 2016 e 4, comma 4,  del  d.l.  n.  95  del  2012),  per  di  piu'
incentrato unicamente sul criterio della spesa storica.