ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nei giudizi di legittimita' costituzionale  dell'art.  43,  primo
comma, del decreto del Presidente della Repubblica 29 dicembre  1973,
n. 1092 (Approvazione del testo unico delle norme sul trattamento  di
quiescenza  dei  dipendenti  civili  e  militari  dello  Stato),   in
combinato disposto con l'art.  170,  primo  comma,  del  decreto  del
Presidente della  Repubblica  5  gennaio  1967,  n.  18  (Ordinamento
dell'Amministrazione degli affari esteri), promossi dalla  Corte  dei
conti, sezione giurisdizionale per il Lazio, con  quindici  ordinanze
del 10 agosto 2021, iscritte, rispettivamente, ai numeri da 189 a 193
e da 195 a  204  del  registro  ordinanze  2021  e  pubblicate  nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica numeri 49, 50 e 51,  prima  serie
speciale, dell'anno 2021. 
    Visti gli atti  di  costituzione  di  Mario  Fugazzola  e  altri,
nonche' gli atti di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nell'udienza pubblica del  13  settembre  2022  il  Giudice
relatore Silvana Sciarra; 
    uditi gli avvocati Maria Vittoria Ferroni ed Eugenio Picozza  per
Mario Fugazzola  e  altri  e  gli  avvocati  dello  Stato  Enrico  De
Giovanni, Emanuele Feola e Giancarlo Pampanelli per il Presidente del
Consiglio dei ministri; 
    deliberato nella camera di consiglio del 13 settembre 2022. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con  quindici  ordinanze  depositate  il  10  agosto  2021  e
iscritte ai numeri da 189 a 193 e da 195 a 204 del registro ordinanze
2021, la Corte dei conti, sezione giurisdizionale per  il  Lazio,  ha
sollevato, in riferimento agli artt. 3, secondo comma, e 97,  secondo
comma, della Costituzione, questioni di  legittimita'  costituzionale
dell'art.  43,  primo  comma,  del  decreto  del   Presidente   della
Repubblica 29 dicembre 1973, n. 1092 (Approvazione  del  testo  unico
delle norme sul trattamento di quiescenza  dei  dipendenti  civili  e
militari dello Stato), e dell'art. 170, primo comma, del decreto  del
Presidente della  Repubblica  5  gennaio  1967,  n.  18  (Ordinamento
dell'Amministrazione degli affari esteri). 
    Le disposizioni sono censurate nella parte in cui disciplinano la
base  pensionabile  degli  appartenenti  alla  carriera   diplomatica
assegnati  a  una  sede  di  servizio  all'estero   alla   data   del
collocamento a riposo, computando  l'indennita'  di  posizione  nella
misura minima e non in misura parametrata al grado e alle funzioni. 
    1.1.- Il  rimettente  espone  di  dover  decidere  sulle  domande
proposte da ministri plenipotenziari (reg. ord. n. 189,  n.  191,  n.
192, n. 193, n. 196, n. 201  e  n.  202  del  2021),  da  consiglieri
d'ambasciata (reg. ord. n. 190 del 2021) e da ambasciatori (reg. ord.
n. 195, n. 197, n. 198, n. 199, n. 200, n. 203 e n.  204  del  2021),
che hanno chiesto «ai fini pensionistici un piu'  favorevole  computo
dell'indennita' di posizione connessa  a  quel  rapporto  d'impiego».
Tale indennita', connessa con  le  funzioni  e  con  il  grado  degli
appartenenti alla carriera diplomatica, dovrebbe essere  ragguagliata
alla «posizione funzionale di rango piu' elevato o, in  subordine,  a
quella di minor rango» che spetta a chi  ricopra  il  medesimo  grado
nella sede centrale del Ministero o, in  via  gradata,  alla  «misura
concretamente percepita» dai ricorrenti nel giudizio principale prima
dell'assegnazione alla sede estera. 
    Nella  decisione  sulle  domande  dei  ricorrenti,   rivestirebbe
fondamentale importanza l'art. 43 del d.P.R. n. 1092 del  1973,  che,
ai  fini  della  determinazione  della  misura  del  trattamento   di
quiescenza dei dipendenti  civili,  individua  la  base  pensionabile
nell'ultimo stipendio o nell'ultima paga o retribuzione. 
    Ad avviso del rimettente, in forza di un'interpretazione logica e
sistematica, l'indennita' di posizione, «sia pur  ai  soli  fini  del
trattamento di quiescenza», al  momento  del  collocamento  a  riposo
dovrebbe essere ripristinata nella misura che spetta  al  funzionario
diplomatico in virtu' del grado e delle funzioni. 
    Tuttavia, l'interpretazione «costituzionalmente  orientata»,  che
computa a fini pensionistici l'indennita' di  posizione  «sulla  base
della fictio iuris costituita da un rientro a  Roma  del  diplomatico
stesso in coincidenza con il  suo  collocamento  a  riposo»,  sarebbe
stata disattesa, in altre controversie, in fase di gravame (Corte dei
conti, seconda sezione giurisdizionale centrale di appello,  sentenza
22 febbraio 2017, n. 112). L'indennita' di  posizione  sarebbe  stata
computata anche ai fini previdenziali nella misura minima corrisposta
durante il periodo di servizio all'estero. 
    Le questioni  sarebbero  rilevanti,  in  quanto  le  disposizioni
censurate condurrebbero al rigetto delle domande proposte e solo  una
declaratoria di illegittimita' costituzionale  potrebbe  determinarne
l'accoglimento, «nella sua prospettazione  principale  o  in  una  di
quelle subordinate,  dopo  aver  vagliato  anche  la  non  assorbente
eccezione di prescrizione». 
    1.2.- Il rimettente muove dal presupposto che, al  momento  della
cessazione del  rapporto  di  impiego,  perda  rilievo  la  pregressa
assegnazione del ricorrente alla sede centrale del Ministero o  a  un
altro ufficio all'estero e che si debba  tener  conto  esclusivamente
del «grado rivestito», come accade anche al personale militare. 
    1.2.1.-  Un  meccanismo  di  determinazione  del  trattamento  di
quiescenza che calcoli l'indennita' di posizione nella misura  minima
«applicata durante il  servizio  all'estero»  contrasterebbe  con  il
«principio  di  eguaglianza  sostanziale»  (art.  3,  secondo  comma,
Cost.). 
    L'indennita'  integrativa  speciale,  che  pure  non  spetta   al
dipendente che presti  servizio  all'estero,  e'  computata  ai  fini
pensionistici. 
    Ne'  si   potrebbe   invocare,   a   sostegno   del   trattamento
differenziato, l'erogazione dell'indennita' di  servizio  all'estero,
sprovvista di carattere retributivo e, pertanto, non  computabile  ai
fini pensionistici. 
    La sperequazione non potrebbe  neppure  essere  giustificata  dal
fatto che al computo dell'indennita' di posizione in misura eccedente
quella minima non faccia  riscontro  alcuna  copertura  contributiva,
giacche' la medesima situazione si riscontra per chi sia collocato in
quiescenza a distanza di breve tempo dal rientro in Italia. 
    1.2.2.- Il rimettente denuncia, in secondo  luogo,  il  contrasto
con il  principio  di  buon  andamento  dell'amministrazione  di  cui
all'art. 97, secondo comma, Cost. La  disciplina  censurata  potrebbe
indurre  all'immediato   collocamento   a   riposo   il   funzionario
diplomatico assegnato a una sede estera, quando gia' abbia maturato i
requisiti per conseguire la pensione, oppure potrebbe ingenerare  «un
indubbio interesse personale a rientrare in sede centrale» prima  del
collocamento a riposo, «in potenziale contrasto con  l'incondizionata
protrazione del servizio all'estero». 
    2.-  Si  sono  costituiti,  per  chiedere  l'accoglimento   delle
questioni sollevate dalla Corte dei conti,  tutti  i  ricorrenti  nei
giudizi principali. 
    Le parti hanno posto in risalto  l'unitarieta'  del  ruolo  della
carriera  diplomatica  (art.  101  del  d.P.R.  n.  18   del   1967),
contraddistinta dall'avvicendarsi di periodi di servizio all'estero e
da  periodi  di  servizio  in  Italia,  e  hanno  osservato  che   il
funzionario diplomatico non beneficia di una facolta' di scelta circa
la permanenza all'estero o il richiamo in Italia. 
    A fronte di tali peculiarita' della carriera diplomatica, sarebbe
ingiustificata, fonte di «grave sperequazione» nonche' di una «palese
disparita' di trattamento» la notevole decurtazione  del  trattamento
di quiescenza e dell'indennita' di buonuscita che deriva dal  computo
dell'indennita' di posizione al minimo e non nella misura prevista in
relazione al grado. Non sarebbe  ragionevole  attribuire  un  rilievo
determinante al luogo in cui  casualmente  si  conclude  la  carriera
lavorativa, nell'adempimento dei propri doveri di servizio. 
    Tale   incongruenza   emergerebbe   anche   dal   raffronto   con
l'indennita'  integrativa  speciale:  pur  non  essendo   corrisposta
durante il periodo di servizio all'estero, tale voce sarebbe comunque
computata ai fini pensionistici. 
    Ne' l'incongruenza potrebbe essere giustificata  in  ragione  del
mancato  pagamento  dei  necessari   contributi   previdenziali:   al
diplomatico sarebbe sufficiente tornare in Italia anche pochi  giorni
prima del pensionamento per fruire dell'indennita' di  posizione,  ai
fini previdenziali, in misura corrispondente al grado. La prassi  dei
rientri anticipati in Italia, che avrebbe riguardato un  gran  numero
di diplomatici, sarebbe  pertanto  contraria  al  principio  di  buon
andamento dell'amministrazione. 
    Il  trattamento  deteriore  non   potrebbe   essere   considerato
ragionevole neppure sulla scorta  del  godimento  dell'indennita'  di
servizio all'estero, in quanto tale indennita'  persegue  la  diversa
funzione di sovvenire agli oneri derivanti dal servizio all'estero  e
non ha natura retributiva. 
    3.- E' intervenuto in tutti i giudizi il Presidente del Consiglio
dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, e ha chiesto di dichiarare inammissibili e/o  non  fondate  le
questioni sollevate dal rimettente. 
    3.1.- La difesa dello Stato ha formulato, in  linea  preliminare,
molteplici eccezioni di inammissibilita'. 
    3.1.1.-  Le  questioni  sarebbero  inammissibili  per  incompleta
ricostruzione del quadro normativo e tali  lacune  comprometterebbero
l'iter logico argomentativo posto a  fondamento  delle  censure,  sia
sotto  il  profilo  della  rilevanza,  sia  sotto  quello  della  non
manifesta infondatezza. 
    Il  rimettente  non  avrebbe  offerto  alcun   ragguaglio   sulla
complessa evoluzione  del  trattamento  previdenziale  del  personale
appartenente alla carriera diplomatica. 
    Non  sarebbe  stata  adeguatamente  valutata  la  disciplina  del
trattamento retributivo del  personale  diplomatico  all'estero,  che
include  emolumenti  aggiuntivi,  come   l'indennita'   di   servizio
all'estero. 
    3.1.2.- Un ulteriore profilo di inammissibilita' si  ravviserebbe
nella  mancata  sperimentazione  di  un'interpretazione  conforme   a
Costituzione. 
    Il rimettente, nel sottrarsi al doveroso tentativo  di  esplorare
una interpretazione costituzionalmente orientata, si prefiggerebbe di
ottenere da questa Corte un improprio avallo dell'interpretazione che
ha prescelto. 
    3.1.3.-  Le   questioni   sarebbero   inammissibili   anche   per
l'indeterminatezza   e   l'inadeguatezza   del   petitum,   che   non
indicherebbe una soluzione costituzionalmente obbligata. 
    3.1.4.- Carente sarebbe anche la  motivazione  in  punto  di  non
manifesta infondatezza. 
    Il  rimettente  non  avrebbe  considerato  che  l'indennita'   di
posizione, pur conteggiata nella misura minima,  e'  controbilanciata
dal riconoscimento di ulteriori voci retributive e  che  l'indennita'
di servizio all'estero e', sia pure in parte, pensionabile. 
    3.2.- I dubbi  di  legittimita'  costituzionale  prospettati  dal
rimettente, nel  merito,  non  sarebbero  fondati  sia  con  riguardo
all'art. 3, secondo  comma,  Cost.  sia  con  riguardo  all'art.  97,
secondo comma, Cost., parametro che non potrebbe essere invocato  per
conseguire miglioramenti retributivi. 
    4.- In  prossimita'  dell'udienza,  l'Avvocatura  generale  dello
Stato  ha  depositato  una  memoria   illustrativa,   per   insistere
nell'accoglimento delle conclusioni preliminari e di merito. 
    5.- In vista dell'udienza, hanno depositato memorie  illustrative
anche le  parti,  per  ribadire  le  conclusioni  gia'  rassegnate  e
replicare alle argomentazioni dell'Avvocatura generale dello Stato. 
    6.- All'udienza  le  parti  hanno  chiesto  l'accoglimento  delle
conclusioni formulate negli scritti difensivi. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Con le ordinanze indicate in epigrafe, la  Corte  dei  conti,
sezione giurisdizionale  per  il  Lazio,  dubita  della  legittimita'
costituzionale dell'art. 43, primo comma, del d.P.R. n. 1092 del 1973
e dell'art.  170,  primo  comma,  del  d.P.R.  n.  18  del  1967,  in
riferimento agli artt. 3, secondo comma, e 97, secondo comma, Cost. 
    Le  censure  del  giudice  rimettente  investono  il  trattamento
previdenziale  del  personale  diplomatico  assegnato  all'estero  al
momento del collocamento a riposo e, in particolare,  la  valutazione
dell'indennita' di  posizione  ai  fini  pensionistici,  nel  sistema
retributivo applicabile nella specie. 
    Alla luce del tenore testuale delle  disposizioni  censurate,  il
giudice a quo argomenta che l'indennita' in esame e' computata  nella
misura minima, stabilita dalle disposizioni applicabili per  il  caso
di servizio all'estero, e non e' commisurata al grado e alle funzioni
del diplomatico che concluda la carriera in una sede estera. 
    1.1.- Il  descritto  meccanismo  di  computo  dell'indennita'  di
posizione contrasterebbe, anzitutto, con il «principio di eguaglianza
sostanziale» (art. 3, secondo comma,  Cost.)  e  sarebbe  foriero  di
un'arbitraria  disparita'  di   trattamento   pensionistico   tra   i
diplomatici  in  servizio  in  Italia,  che  ai  fini   previdenziali
beneficiano  di  una  indennita'  di  posizione  liquidata  nel  piu'
cospicuo importo base, e i diplomatici in  servizio  all'estero,  che
godono della citata indennita' soltanto nella misura minima. 
    La circostanza accidentale  della  conclusione  all'estero  della
carriera  diplomatica,  che  pure  si  caratterizza  come   unitaria,
determinerebbe  una  considerevole  riduzione  del   trattamento   di
quiescenza. 
    Il riconoscimento dell'indennita'  di  servizio  all'estero,  che
persegue  una  diversa  funzione  e  non  e'  valorizzata   ai   fini
previdenziali, non giustificherebbe la sperequazione denunciata. 
    1.2.- Il giudice rimettente ravvisa, inoltre, il contrasto con il
principio di buon andamento dell'amministrazione di cui all'art.  97,
secondo comma, Cost. 
    In conseguenza  della  disciplina  sospettata  di  illegittimita'
costituzionale, il diplomatico assegnato a una sede  estera  potrebbe
infatti essere indotto all'immediato collocamento  a  riposo,  quando
gia' abbia  maturato  i  requisiti  per  conseguire  la  pensione,  o
potrebbe  scegliere  di  rientrare  nella  sede  centrale  prima  del
collocamento a riposo, «in potenziale contrasto con  l'incondizionata
protrazione del servizio all'estero». 
    2.- I giudizi, che hanno ad  oggetto  le  medesime  disposizioni,
censurate in riferimento ai medesimi parametri costituzionali, devono
essere riuniti e decisi con un'unica pronuncia. 
    3.- L'Avvocatura generale dello  Stato  ha  formulato  molteplici
eccezioni di inammissibilita', che devono essere esaminate  in  linea
preliminare. 
    4.- La difesa dello Stato imputa al giudice a quo  di  non  avere
ricostruito    compiutamente    l'evoluzione     della     disciplina
previdenziale, che anche la sentenza di questa Corte n. 153 del  2018
ha mostrato di considerare come dato imprescindibile, nel  dichiarare
inammissibili per aberratio ictus le questioni sollevate dal medesimo
rimettente. 
    L'eccezione non e' fondata. 
    Il giudice a quo ha individuato in maniera puntuale la  normativa
previdenziale che reputa essere all'origine del vulnus  denunciato  e
ha cosi' colmato le lacune segnalate nella citata pronuncia di questa
Corte. In quell'occasione le censure, incentrate sulla sola normativa
che definisce la retribuzione, avevano trascurato di approfondirne le
correlazioni con la disciplina in tema di trattamento di quiescenza. 
    Con motivazione non implausibile,  in  linea  con  l'orientamento
gia'  espresso  dalla  giurisprudenza  contabile  (Corte  dei  conti,
sezione giurisdizionale regionale per il  Lazio,  sentenza  4  maggio
2015, n. 244), l'odierno rimettente ha dato conto della necessita' di
fare applicazione dell'art. 43 del  d.P.R.  n.  1092  del  1973,  con
specifico riguardo alla posizione previdenziale  dei  ricorrenti  nei
giudizi principali. 
    A ben vedere, e' proprio tale disciplina che, nel commisurare  il
trattamento di quiescenza all'ultimo stipendio percepito,  genera  le
disarmonie censurate. 
    Il giudice rimettente  non  ha  mancato  di  ponderare  anche  le
particolarita' del trattamento retributivo del personale  diplomatico
in  servizio  all'estero  e  gli  emolumenti  aggiuntivi  erogati  in
relazione a tale servizio. 
    Gli argomenti addotti a sostegno delle censure sono dunque idonei
a illustrarne il senso e non sussistono carenze  nella  ricostruzione
del  quadro  normativo  di   riferimento,   tali   da   compromettere
irrimediabilmente  l'iter  logico  argomentativo  e   precludere   lo
scrutinio del merito (fra le molte, sentenza n. 194 del  2021,  punto
3.1. del Considerato in diritto). 
    5.-    L'Avvocatura    generale     dello     Stato     prospetta
l'inammissibilita' delle questioni anche per l'omessa sperimentazione
di una  interpretazione  conforme  ai  principi  costituzionali.  Pur
ammettendo  la  praticabilita'  di  una   siffatta   interpretazione,
contraddetta da una pronuncia del giudice d'appello che non  potrebbe
assurgere a diritto vivente, il giudice a quo avrebbe poi  rivolto  a
questa Corte una impropria richiesta di avallo della lettura  che  ha
recepito. 
    Neppure tale eccezione puo' essere accolta. 
    E'  la  stessa   difesa   dello   Stato   a   puntualizzare   che
l'interpretazione adeguatrice  sarebbe  priva  di  fondamento  e  non
potrebbe  dunque  essere  utilmente   esplorata.   L'univoco   tenore
letterale delle disposizioni censurate si frappone alla  possibilita'
di un'interpretazione conforme a Costituzione, che deve cosi'  cedere
il passo al sindacato di legittimita' costituzionale (sentenza n. 102
del 2021, punto 3.2. del Considerato in diritto). 
    Il  giudice  rimettente  ha  evidenziato  che  una  tale   scelta
interpretativa esporrebbe la sentenza a  una  verosimile  riforma  da
parte del giudice d'appello, che ha  gia'  privilegiato  una  diversa
lettura  delle  disposizioni  censurate  e  ha   osservato   che   il
trattamento  di  quiescenza  e'  determinato  in  base  agli   ultimi
trattamenti economici  effettivamente  percepiti  e,  dunque,  a  una
indennita' di posizione calcolata  nella  misura  minima  (Corte  dei
conti, seconda sezione giurisdizionale centrale di appello,  sentenza
22 febbraio 2017, n. 112). 
    Nel quadro cosi'  delineato,  pur  mancando  un  vero  e  proprio
"diritto vivente", la  via  della  proposizione  della  questione  di
legittimita' costituzionale «costituisce l'unica idonea  ad  impedire
che  continui  a  trovare  applicazione  una  disposizione   ritenuta
costituzionalmente illegittima» (sentenza n. 240 del  2016,  punto  6
del Considerato in diritto). 
    6.- La difesa  dello  Stato  eccepisce  l'inammissibilita'  delle
questioni anche perche' il giudice rimettente invita questa  Corte  a
un  intervento  manipolativo  che  impinge  su  scelte  eminentemente
discrezionali del legislatore. 
    L'eccezione e' fondata. 
    6.1.-  Questa   Corte   e'   costante   nell'affermare   che   la
determinazione della base retributiva utile ai fini  del  trattamento
di quiescenza e' rimessa alle scelte discrezionali  del  legislatore,
«chiamato a compiere  "una  congrua  valutazione  che  contemperi  le
esigenze di vita dei  lavoratori,  che  ne  sono  beneficiari,  e  le
disponibilita' finanziarie" (sentenza n. 531 del 1988,  punto  5  del
Considerato in diritto), senza valicare  il  limite  della  "garanzia
delle esigenze minime di protezione della persona" (sentenza  n.  457
del 1998, punto 5 del Considerato in diritto)» (sentenza n.  259  del
2017, punto 3.1. del Considerato in diritto). 
    Compete al  legislatore,  nel  preminente  rispetto  dei  diritti
fondamentali,  la  razionalizzazione   dei   sistemi   previdenziali,
operazione quest'ultima che postula valutazioni  e  bilanciamenti  di
interessi contrapposti  (sentenza  n.  202  del  2008,  punto  2  del
Considerato in diritto). 
    6.2.- Nella fattispecie sottoposta al vaglio di questa Corte, non
viene in rilievo il rispetto  delle  esigenze  minime  di  protezione
della persona, che pure si impongono alle  scelte  discrezionali  del
legislatore nel definire la disciplina del trattamento di quiescenza. 
    Le censure vertono sulla determinazione della base  pensionabile,
che si interseca con la disciplina  delle  singole  componenti  della
retribuzione, come l'indennita' di servizio all'estero, e si  iscrive
in un quadro devoluto alla contrattazione collettiva. 
    Il superamento delle incongruenze indicate dal rimettente postula
un complessivo intervento di armonizzazione,  destinato  a  incidere,
sia sulla peculiare disciplina retributiva applicabile  al  personale
diplomatico,  sia  sulla  connessa  normativa  previdenziale,   nella
ineludibile   considerazione    dell'unitarieta'    della    carriera
diplomatica, della specificita' dei ruoli di volta in volta ricoperti
nelle diverse sedi dell'amministrazione, della  particolarita'  degli
emolumenti corrisposti a chi presti servizio all'estero  e  in  parte
valorizzati anche ai fini previdenziali. 
    6.3.- Le stesse argomentazioni illustrate dal giudice  rimettente
lasciano trapelare una molteplicita' di opzioni, che solo la prudente
valutazione del legislatore puo' vagliare nelle svariate implicazioni
che presentano. 
    Come si evidenzia nelle ordinanze  di  rimessione,  i  ricorrenti
hanno  rivendicato   il   riconoscimento,   a   fini   previdenziali,
dell'indennita' di posizione «nella maggior misura spettante al  "...
personale di pari grado e funzioni in servizio in Italia"  (cosi'  le
conclusioni del ricorso introduttivo):  cioe'  avendo  riguardo  alla
posizione funzionale di rango piu' elevato o, in subordine, a  quella
di minor rango da attribuirsi ad un funzionario diplomatico avente il
grado di ministro plenipotenziario che  presti  servizio  nella  sede
centrale  di  quel  Ministero;  o  ancora,   in   via   ulteriormente
subordinata,   nella   medesima   misura   concretamente    percepita
dall'odierno ricorrente durante la sua pregressa assegnazione  presso
l'Amministrazione centrale antecedente a quella, in sede estera,  che
aveva caratterizzato il suo conclusivo periodo di servizio». 
    Nella  prospettiva  del  giudice  rimettente,   l'indennita'   di
posizione potrebbe essere dunque computata secondo  una  fictio,  che
consideri il  diplomatico  cessato  dal  servizio  in  Italia  e  non
all'estero, oppure alla  stregua  di  un  diverso,  meno  favorevole,
meccanismo  ancorato   all'importo   dell'indennita'   spettante   al
diplomatico - o alla corrispondente figura di minor rango - prima del
trasferimento nella sede estera. 
    Si  profilano,  come  appare  evidente,  soluzioni   radicalmente
alternative,  che  non   consentono   di   indirizzare   l'intervento
correttivo di questa Corte ne'  di  «collocarlo  entro  un  perimetro
definito, segnato da grandezze gia' presenti nel sistema normativo  e
da punti di riferimento univoci» (sentenza n. 183 del 2022,  punto  6
del Considerato in diritto). 
    7.-  Dalle  considerazioni  svolte  discende,   in   conclusione,
l'inammissibilita' delle questioni sollevate.