ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimita' costituzionale del combinato
disposto degli artt. 1, comma 26, della legge 20 maggio 2016, n. 76
(Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso
e disciplina delle convivenze), 31, commi 3 e 4-bis, del decreto
legislativo 1° settembre 2011, n. 150 (Disposizioni complementari al
codice di procedura civile in materia di riduzione e semplificazione
dei procedimenti civili di cognizione, ai sensi dell'articolo 54
della legge 18 giugno 2009, n. 69), quest'ultimo aggiunto dall'art. 7
del decreto legislativo 19 gennaio 2017, n. 5, recante «Adeguamento
delle disposizioni dell'ordinamento dello stato civile in materia di
iscrizioni, trascrizioni e annotazioni, nonche' modificazioni ed
integrazioni normative per la regolamentazione delle unioni civili,
ai sensi dell'articolo 1, comma 28, lettere a) e c), della legge 20
maggio 2016, n. 76», e 70-octies, comma 5, del decreto del Presidente
della Repubblica 3 novembre 2000, n. 396 (Regolamento per la
revisione e la semplificazione dell'ordinamento dello stato civile, a
norma dell'articolo 2, comma 12, della legge 15 maggio 1997, n. 127),
aggiunto dall'art. 1, comma 1, lettera t), del d.lgs. n. 5 del 2017,
promosso dal Tribunale ordinario di Lucca, in composizione
collegiale, nel giudizio proposta da A.A. D.S., con ordinanza del 14
gennaio 2022, iscritta al n. 31 del registro ordinanze 2022 e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 14, prima
serie speciale, dell'anno 2022.
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
udito nella camera di consiglio del 9 novembre 2022 il Giudice
relatore Maria Rosaria San Giorgio;
deliberato nella camera di consiglio del 10 novembre 2022.
Ritenuto in fatto
1.- Con ordinanza del 14 gennaio 2022, iscritta al n. 31 del
registro ordinanze 2022, il Tribunale ordinario di Lucca, in
composizione collegiale, nel corso di un giudizio di rettificazione
di attribuzione di sesso introdotto, ai sensi della legge 14 aprile
1982, n. 164 (Norme in materia di rettificazione di attribuzione di
sesso), da A.A. D.S., ha sollevato questioni di legittimita'
costituzionale del «combinato disposto» degli artt. 1, comma 26,
della legge 20 maggio 2016, n. 76 (Regolamentazione delle unioni
civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze),
31, commi 3 e 4-bis, del decreto legislativo 1° settembre 2011, n.
150 (Disposizioni complementari al codice di procedura civile in
materia di riduzione e semplificazione dei procedimenti civili di
cognizione, ai sensi dell'articolo 54 della legge 18 giugno 2009, n.
69), quest'ultimo aggiunto dall'art. 7 del decreto legislativo 19
gennaio 2017, n. 5, recante «Adeguamento delle disposizioni
dell'ordinamento dello stato civile in materia di iscrizioni,
trascrizioni e annotazioni, nonche' modificazioni ed integrazioni
normative per la regolamentazione delle unioni civili, ai sensi
dell'articolo 1, comma 28, lettere a) e c), della legge 20 maggio
2016, n. 76», e 70-octies, comma 5, del decreto del Presidente della
Repubblica 3 novembre 2000, n. 396 (Regolamento per la revisione e la
semplificazione dell'ordinamento dello stato civile, a norma
dell'articolo 2, comma 12, della legge 15 maggio 1997, n. 127),
aggiunto dall'art. 1, comma 1, lettera t), del d.lgs. n. 5 del 2017,
in riferimento agli artt. 2, 3 e 117, primo comma, della
Costituzione, quest'ultimo in relazione agli artt. 8 e 14 della
Convenzione europea dei diritti dell'uomo.
2.- Il giudice a quo premette che l'attore ha dichiarato di
manifestare da tempo risalente una disforia di genere di tipo MtF
(Male to Female), come emergerebbe dalla relazione psicologica
conclusiva eseguita da un consultorio transgenere, versata in atti,
cioe' una condizione di transessualismo che lo ha identificato
irrevocabilmente nel genere femminile, e che richiede l'adeguamento
dell'identita' fisica a quella psichica; di aver contratto nel 2019
unione civile con R. I., e di avere interesse, cosi' come il partner,
alla conservazione del vincolo familiare attraverso l'automatica
conversione in matrimonio per effetto della rettificazione anagrafica
del sesso dello stesso attore. Quest'ultimo ha, pertanto, chiesto: 1)
l'autorizzazione all'intervento chirurgico strumentale alla
riassegnazione del sesso, da maschile in femminile; 2) la
rettificazione anagrafica dei dati riguardanti il sesso e il nome; 3)
l'ordine al competente ufficiale dello stato civile di procedere
all'iscrizione del matrimonio con R. I. nel relativo registro.
Cio' posto, il Collegio rimettente censura: a) l'art. 1, comma
26, della legge n. 76 del 2016 per contrasto con gli artt. 2 e 117,
primo comma, Cost., quest'ultimo in relazione agli artt. 8 e 14 CEDU,
nella parte in cui prevede che la sentenza di rettificazione di
attribuzione di sesso determina lo scioglimento della unione civile
tra persone dello stesso sesso, senza alcuna possibilita' di
conversione in matrimonio previa dichiarazione congiunta dell'attore
e dell'altro contraente dell'unione, in caso di accoglimento della
domanda di rettificazione, senza soluzione di continuita' con il
precedente vincolo; b) lo stesso art. 1, comma 26, per lesione
dell'art. 3 Cost., in considerazione della ingiustificata disparita'
tra il trattamento riservato dalla norma allo scioglimento
dell'unione civile in seguito a rettificazione anagrafica di sesso di
uno dei contraenti e quello previsto dal successivo comma 27,
relativo alla rettificazione anagrafica di sesso di uno dei
componenti di coppia unita in matrimonio, che ammette, invece, per
comune manifestazione di volonta' delle parti di non sciogliere il
matrimonio o di non farne cessare gli effetti civili, la conversione
del vincolo matrimoniale in unione civile; c) l'art. 31, comma 3, del
d.lgs. n. 150 del 2011, per contrasto con gli artt. 2, 3 e 117, primo
comma, Cost., quest'ultimo in relazione agli artt. 8 e 14 CEDU, nella
parte in cui non prevede che l'atto di citazione introduttivo del
giudizio di rettificazione di sesso, di cui alla legge n. 164 del
1982, sia notificato anche all'altro contraente dell'unione civile;
d) l'art. 31, comma 4-bis, del decreto legislativo del 1° settembre
2011, n. 150, aggiunto dall'art. 7 del d.lgs. n. 5 del 2017, per
vulnus ai medesimi parametri costituzionali, nella parte in cui non
prevede che anche la persona che ha proposto domanda di
rettificazione di attribuzione di sesso e l'altro contraente
dell'unione civile possano, fino alla precisazione delle conclusioni,
con dichiarazione congiunta resa personalmente in udienza, esprimere
la volonta', in caso di accoglimento della domanda di rettifica, di
unirsi in matrimonio, effettuando le eventuali dichiarazioni
riguardanti il regime patrimoniale e la conservazione del cognome
comune, nonche' nella parte in cui non prevede che il tribunale, con
la sentenza che accoglie la domanda, ordini all'ufficiale dello stato
civile del comune di costituzione dell'unione civile, o di
registrazione se costituita all'estero, di iscrivere il matrimonio
nel relativo registro e di annotare le eventuali dichiarazioni rese
dalle parti sulla scelta del cognome e del regime patrimoniale; e)
l'art. 70-octies, comma 5, del d.P.R. n. 396 del 2000, aggiunto
dall'art. 1, comma 1, lettera t), del d.lgs. n. 5 del 2017, sempre
per contrasto con gli artt. 2, 3 e 117, primo comma, Cost.,
quest'ultimo in relazione agli artt. 8 e 14 CEDU, nella parte in cui
non prevede che anche nell'ipotesi di cui all'art. 31, comma 4-bis,
del d.lgs. n. 150 del 2011, come emendato al punto precedente,
l'ufficiale dello stato civile del comune di costituzione dell'unione
civile, o di registrazione se costituita all'estero, ricevuta la
comunicazione della sentenza di rettificazione di attribuzione di
sesso, proceda alla trascrizione del matrimonio nel relativo
registro, con le eventuali annotazioni relative al cognome ed al
regime patrimoniale.
3.- In punto di rilevanza, il giudice a quo, nella premessa che
l'attore ha richiesto la rettifica dell'attribuzione di sesso nei
registri dello stato civile senza essersi sottoposto ad intervento
chirurgico demolitivo-ricostruttivo degli organi sessuali, ma solo ad
una terapia ormonale, e ha dedotto di aver acquisito,
indipendentemente dalle caratteristiche anatomiche degli organi
sessuali, l'identita' di genere femminile, attraverso un processo di
natura psicologica, che attesterebbe la definitivita' ed
irreversibilita' di tale orientamento personale, evidenzia che, in
base ai piu' recenti approdi della giurisprudenza costituzionale e di
quella di legittimita', e' da escludere che l'intervento chirurgico
costituisca una precondizione imprescindibile della pronuncia di
mutamento del sesso (sono citate la sentenza di questa Corte n. 221
del 2015 e la sentenza della Corte di cassazione, prima sezione
civile, 20 luglio 2015, n.15138).
Da tale rilievo desume che «ove le circostanze di fatto allegate
trovassero riscontro nella documentazione in atti e nell'istruttoria
in ipotesi espletabile, l'attore vanterebbe dunque, in abstracto, la
legittima aspettativa all'acquisizione di una nuova identita' di
genere indipendentemente dall'intervento chirurgico di adeguamento
dei caratteri sessuali primari». E' in tale contesto - prosegue il
rimettente - che l'attore ha richiesto, in connessione
logico-giuridica con la rettificazione anagrafica del sesso, che si
proceda alla iscrizione nel registro degli atti di matrimonio
dell'unione civile dallo stesso contratta con il partner R. I., che
egli suppone debba sopravvivere a seguito della rettificazione. Al
contrario, la normativa vigente - conclude il giudice a quo - non
autorizza tale conclusione.
3.1.- Al riguardo, nell'ordinanza di rimessione si sottolinea il
carattere "lapidario" della disciplina dettata per l'unione civile,
di cui e' stabilito il solo automatico scioglimento all'esito
dell'intervenuta rettifica del sesso (art. 1, comma 26, della legge
n. 76 del 2016), senza alcuna previsione - lacuna ritenuta non
colmabile attraverso una lettura costituzionalmente orientata della
norma - analoga a quanto invece stabilito per il matrimonio, in
relazione al quale si dispone che, in caso di rettifica anagrafica
del sesso di uno dei suoi componenti, i coniugi possano manifestare,
nel processo e fino alla precisazione delle conclusioni, la volonta'
di convertire il matrimonio in unione civile (art. 1, comma 27, della
legge n. 76 del 2016 e art. 31, comma 4-bis, del d.lgs. n. 150 del
2011, aggiunto dall'art. 7, comma 1, del d.lgs. n. 5 del 2017), per
una effettiva tutela conservativa della formazione familiare alla
base del vincolo giuridico preesistente.
Anche la tecnica normativa prescelta dal legislatore di dar corpo
ad una disposizione autonoma - quale il richiamato art. 1, comma 26
-, anziche' rinviare, nei limiti della compatibilita', alla
disciplina del matrimonio, per regolamentare l'incidenza della
rettificazione anagrafica del sesso in materia di unione civile,
deporrebbe per la volonta' di non equiparare l'uno all'altra.
Ne' la norma indubbiata potrebbe essere diversamente
interpretata, con estensione della conversione del vincolo,
attraverso il riferimento all'art. 3, comma 1, numero 2), lettera g),
della legge 1° dicembre 1970, n. 898 (Disciplina dei casi di
scioglimento del matrimonio), non richiamato nella disciplina in
esame.
Quest'ultima disposizione, che indica la rettificazione del sesso
come una delle cause di scioglimento o cessazione degli effetti
civili del matrimonio, riconducibile alla volonta' delle parti, in
quanto costituente esito di una domanda in tal senso proposta dalle
stesse, non varrebbe, infatti, ad escludere il cosiddetto "divorzio
imposto", che opera nel nostro ordinamento, in caso di scioglimento,
o cessazione degli effetti civili, del matrimonio per intervenuta
sentenza di rettifica anagrafica del sesso di uno dei coniugi, vuoi
per l'esistenza di un archetipo matrimoniale modellato sulla
eterosessualita' dei suoi componenti (si citano la sentenza di questa
Corte n. 170 del 2014 e la ordinanza "interlocutoria" della Corte di
cassazione, sezione prima civile, 6 giugno 2013, n. 14329), vuoi
perche' con la legge 6 marzo 1987, n. 74 (Nuove norme sulla
disciplina dei casi di scioglimento di matrimonio), il cui art. 7,
comma 1, ha aggiunto la lettera g) all'art. 3, comma 1, numero 2),
della legge n. 898 del 1970, si e' inteso solo procedere alla
razionalizzazione del sistema precedente e alla instaurazione di un
modello processuale piu' spedito ed efficiente, nella impossibilita'
della permanente durata del matrimonio tra persone dello stesso
sesso.
Ancora, rileva il rimettente che la norma sullo scioglimento del
matrimonio, in punto di conversione del vincolo matrimoniale in
unione, non puo' nemmeno essere specularmente recuperata attraverso
la clausola di rinvio di cui all'art. 1, comma 20, della legge n. 76
del 2016, il quale stabilisce che le disposizioni che si riferiscono
al matrimonio, e quelle contenenti le parole «coniuge», «coniugi» o
termini equivalenti, ovunque ricorrano, si applicano anche ad ognuna
delle parti dell'unione civile tra persone dello stesso sesso.
Osterebbe a tanto, infatti, il criterio selettivo adottato dal
legislatore ai successivi commi, dal 22 al 25, che estendono
all'unione civile solo alcune norme sul divorzio, e non quelle
censurate.
In coerenza con le ricordate previsioni, rileva il rimettente, il
legislatore «comanda» la notifica dell'atto di citazione,
introduttivo del giudizio di rettificazione di attribuzione di sesso,
solo al «coniuge» e non all'altra «parte dell'unione civile» (ex art.
31, comma 3, del d.lgs. n. 150 del 2011), per un incombente che,
rispondendo ad una mera litis denuntiatio, sarebbe diretto a
provocare, all'interno del processo sullo status, l'eventuale
manifestazione del consenso alla conversione del matrimonio in unione
civile (art. 31, comma 4-bis, dello stesso d.lgs. n. 150 del 2011),
cui si correlano, poi, gli adempimenti dell'ufficiale dello stato
civile sull'iscrizione nel relativo registro (art. 70-octies, comma
5, del d.P.R. n. 396 del 2000).
3.2.- La riconosciuta rilevanza della questione sulla conversione
dell'unione civile in matrimonio nel giudizio di cui si tratta non
verrebbe ad essere "affievolita" per il solo fatto che l'altro
contraente non abbia manifestato il consenso ad unirsi in matrimonio
con l'attore, essendo stato egli a tanto impedito dalle preclusioni
imposte dal sistema vigente che, nella pendenza del giudizio di cui
all'art. 31 del d.lgs. n. 150 del 2011, di contro a quanto previsto
per la coppia coniugata, gli inibiscono di manifestare la volonta' di
contrarre matrimonio con l'attore.
3.3.- Il descritto quadro normativo osterebbe, dunque, ad avviso
del giudice a quo, una volta accertati i presupposti per la pronuncia
della rettificazione del sesso dell'attore, all'accoglimento della
domanda volta a sentir ordinare all'ufficiale dello stato civile di
procedere all'iscrizione del matrimonio tra A.A. D.S. e R. I.: donde
la ritenuta rilevanza delle questioni di legittimita' costituzionale
sollevate.
4.- Quanto alla non manifesta infondatezza, il Collegio
rimettente, premesso di dover vagliare il rispetto da parte del
plesso normativo censurato degli evocati parametri congiuntamente
considerati in ragione della loro intima connessione, muove dalla
considerazione, con precipuo riguardo al primo di essi, l'art. 2
Cost., che la giurisprudenza costituzionale e quella di legittimita'
hanno inquadrato le convivenze more uxorio alla stregua di formazioni
sociali, fonti non solo di doveri di natura morale e sociale, ma
anche di rapporti giuridici vincolanti secondo il paradigma di cui
all'art. 2 Cost. (sono citate, a titolo esemplificativo, le sentenze
di questa Corte n. 213 del 2016, n. 140 del 2009, n. 394 del 2005, n.
404 del 1988, n. 237 del 1986, le ordinanze n. 192 del 2006 e n. 313
del 2000, e, con specifico riferimento alle unioni omosessuali, la
sentenza n. 138 del 2010; nonche' le sentenze della Corte di
cassazione, sezione terza civile, 27 aprile 2017, n. 10377; sezione
terza civile, 23 febbraio 2016, n. 3505; sezione prima civile, 25
gennaio 2016, n. 1266; sezione prima civile, 22 gennaio 2014, n.
1277; sezione seconda civile, 21 marzo 2013, n. 7214; sezione sesta
civile-3, 29 maggio 2019, n. 14746). Vengono ancora riferite le
affermazioni della Corte di cassazione sul riconoscimento,
all'interno delle unioni omoaffettive, per un processo di
costituzionalizzazione, di un nucleo comune di diritti e doveri di
assistenza e solidarieta' propri delle relazioni affettive di coppia,
nonche' sulla riconducibilita' di tali relazioni nell'alveo delle
formazioni sociali dirette allo sviluppo della personalita' umana (si
cita la sentenza della Corte di cassazione, sezione prima civile, 9
febbraio 2015, n. 2400). Viene pure richiamato, nella rimarcata
necessita' di preservare quel nucleo essenziale e di non retrocedere
da tali contenuti "minimi", il quadro convenzionale, le cui norme, e
in particolare gli artt. 8 e 14 CEDU, sono destinate a valere da
parametro interposto, ex art. 117, primo comma, Cost. (sono citate le
sentenze di questa Corte n. 348 e n. 349 del 2007, e quelle della
Corte europea dei diritti dell'uomo 11 luglio 2002, Goodwin contro
Regno Unito; 24 giugno 2010, Schalk e Kopf contro Austria; grande
camera, 16 luglio 2014, Hämäläinen contro Finlandia, sulla vita
familiare e la non discriminazione).
4.1.- Il rimettente denuncia quindi il vulnus, inaccettabile ed
irragionevole, in quanto idoneo a metterne a «repentaglio la stessa
sopravvivenza nelle more della transizione verso l'unione
matrimoniale», recato alle coppie omosessuali dalla insussistenza,
nella normativa vigente, di un meccanismo, come quello definito
dall'art. 31, comma 4-bis, del d.lgs. n. 150 del 2011, volto a
convertire, senza soluzione di continuita', l'unione in matrimonio,
in caso di rettificazione anagrafica di sesso di uno dei suoi
componenti.
Nell'intervallo temporale che segue all'estinzione del vincolo
per legge, il giudice a quo paventa eventi a fronte dei quali l'altro
componente resterebbe privo di tutela, nella incapacita' della
normativa censurata di dare effettiva garanzia ai diritti nascenti da
un rapporto ormai estinto.
Da qui la dedotta non manifesta infondatezza della questione di
legittimita' costituzionale della normativa indicata per
irragionevole disparita' di trattamento, ex art. 3 Cost., riservata
all'unione civile ove attraversata dal cambio di sesso di uno dei
suoi componenti, rispetto a quella matrimoniale, quando attinta dalla
medesima vicenda.
4.2.- L'esistenza per le due formazioni sociali di una differente
disciplina quanto al momento costitutivo del vincolo non osterebbe
poi all'adeguamento, nei termini indicati, della transizione da
unione civile a matrimonio, sostenendo, anche ai sensi dell'art. 2
Cost., la relativa questione di legittimita' costituzionale.
La mancanza, quanto all'unione civile, del meccanismo delle
pubblicazioni di cui all'art. 93 del codice civile che, con carattere
preventivo, si frapporrebbe alla costituzione del vincolo
matrimoniale, legittimando le persone interessate all'opposizione ex
art. 102 e seguenti cod. civ., o, ancora, l'omesso richiamo, tra i
doveri gravanti sui componenti dell'unione civile, dell'obbligo di
fedelta' (art. 1, comma 11, della legge n. 76 del 2016), «frutto di
esasperato apriorismo ideologico», non varrebbero ad individuare
differenze, ragionevolmente destinate a dare conto di una diversa
disciplina.
Rileverebbe, piuttosto ed in senso contrario, l'attribuzione ai
componenti dell'unione civile di un fascio di diritti e di doveri
(art. 1, commi da 11 a 21, della legge n. 76 del 2016) «in larga
parte conformati [...] secondo lo schema dell'unione matrimoniale».
Il passaggio in giudicato della sentenza di rettificazione di
attribuzione di sesso, «nel travolgere con un rigido automatismo
l'unione civile, senza alcuna possibilita' per i contraenti di
manifestare la volonta' di proseguire il rapporto, in ipotesi con le
sembianze di altra forma riconosciuta dall'ordinamento, provoca
dunque una menomazione irreversibile ed irragionevole, non bilanciata
comparativamente dalla salvaguardia di interessi contrapposti di pari
rango», dei diritti e doveri scaturenti dalla costituzione
dell'unione.
4.3.- Il rimettente richiama altresi' la sentenza di questa Corte
n. 170 del 2014, che, anteriormente alla entrata in vigore della
legge sulle unioni civili e all'aggiunta del comma 4-bis all'art. 31
del d.lgs. n. 150 del 2011, aveva dichiarato l'illegittimita'
costituzionale degli artt. 2 e 4 della legge n. 164 del 1982 e, in
via conseguenziale, dell'art. 31, comma 6, dello stesso d.lgs. n.
150, nella speculare vicenda del cosiddetto divorzio imposto, per la
mancata previsione che, su concorde richiesta dei coniugi, allo
scioglimento del matrimonio che si accompagna al pronunciato cambio
di sesso di uno di essi, consegua, in continuita', il mantenimento di
un rapporto di coppia giuridicamente regolato con altra forma di
convivenza registrata che tuteli adeguatamente i diritti e gli
obblighi della coppia, con le modalita' da statuirsi dal legislatore.
La ricordata pronuncia - rileva il giudice a quo - ha riconosciuto
centralita' all'ingiustificato sacrificio dell'interesse della coppia
a conservare una qualche forma di continuita' con la dimensione
relazionale precedente alla rettificazione del sesso di uno dei
coniugi, a fronte della esclusiva salvaguardia dell'interesse
statuale alla intangibilita' della matrice eterosessuale
dell'istituto matrimoniale. Il ragionamento e' stato poi
ulteriormente sviluppato - prosegue l'ordinanza di rimessione - nella
sentenza della Corte di cassazione, sezione prima civile, 21 aprile
2015, n. 8097, che ha ritenuto costituzionalmente non tollerabile la
caducazione automatica del matrimonio, poiche' la interruzione del
rapporto che essa determina instaura una soluzione di massima
indeterminatezza nel rapporto affettivo gia' costituito, dovendosi
pertanto conservare in capo ai coniugi, pur a seguito della
rettificazione di attribuzione di sesso di uno di essi, il
riconoscimento dei diritti e dei doveri conseguenti al matrimonio
sino all'intervento del legislatore, necessario per consentire alla
coppia di mantenere in vita il rapporto con altra forma di convivenza
registrata che ne tuteli adeguatamente diritti ed obblighi.
4.4.- Nella erroneita' dell'opzione ermeneutica, fatta propria da
taluni giudici di merito (si cita il provvedimento del Tribunale
ordinario di Brescia, 17 ottobre 2019, n. 11990), che, in via
analogica, ai sensi dell'art. 12, secondo comma, delle preleggi,
nella presupposta sussistenza di un vuoto normativo, hanno esteso ai
componenti dell'unione civile il regime gia' previsto per la coppia
unita in matrimonio, il rimettente deduce, a fronte del silenzio
serbato dal legislatore, l'impossibilita' di una interpretazione
correttiva della norma indubbiata.
5.- Nel giudizio innanzi a questa Corte e' intervenuto il
Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso
dell'Avvocatura generale dello Stato.
5.1.- La difesa erariale ha eccepito l'inammissibilita' delle
questioni di legittimita' costituzionale per difetto di rilevanza,
non avendo il rimettente effettuato alcuna indagine sulla sussistenza
delle condizioni richieste perche' l'attore potesse essere
autorizzato ad acquisire una nuova identita' di genere.
Il giudice a quo si sarebbe limitato ad affermare che tanto
sarebbe stato possibile "in astratto" la' dove, invece, egli avrebbe
dovuto fare applicazione della norma elevata a sospetto - relativa
alla conversione dell'unione civile in matrimonio nel corso del
giudizio di rettifica anagrafica del sesso di uno dei componenti -
"in concreto" e, quindi, all'esito della accertata nuova identita'
del richiedente, nella natura di imprescindibile antecedente logico e
giuridico assolto dalla domanda di rettificazione rispetto
all'applicazione della norma indubbiata, fermo il rapporto di
pregiudizialita' necessaria esistente tra giudizio principale e
giudizio costituzionale (si menziona la sentenza di questa Corte n.
91 del 2013).
5.2.- L'Avvocatura generale eccepisce l'inammissibilita' delle
questioni per difetto di rilevanza anche sotto un altro profilo.
In seguito alla mancata partecipazione al giudizio, sia pure come
interveniente, dell'altro componente dell'unione, ed in difetto della
manifestazione della sua volonta' di convertire l'unione civile in
matrimonio, la disciplina vigente - anche ove si fosse ritenuto che
l'art. 31, comma 3, del d.lgs. n. 150 del 2011 dovesse interpretarsi
nel senso che non preveda la notifica all'altro contraente
dell'unione civile - non avrebbe impedito ne' che la notifica venisse
comunque effettuata, anche ai fini di una mera denuntiatio litis, ne'
che l'altra parte potesse comunque intervenire volontariamente nel
processo, anche solo ad adiuvandum, per esprimere la volonta' che il
vincolo venisse mantenuto senza soluzione di continuita'.
In senso contrario, per le norme generali del codice di rito, non
sarebbe valsa infatti l'affermazione del rimettente secondo cui
l'art. 31 del d.lgs. n. 150 del 2011 avrebbe inibito ai contraenti
dell'unione civile di manifestare la volonta' di unirsi in
matrimonio: il fatto che un determinato soggetto non sia indicato tra
i litisconsorti necessari non impedisce allo stesso di essere
convenuto in giudizio o di intervenire nel processo, e il giudice a
quo avrebbe dovuto motivare, in concreto, in ordine alla incidenza
dell'art. 1, comma 26, della legge n. 76 del 2016 sul procedimento al
suo esame.
5.3.- Nel merito le questioni non sarebbero, comunque, fondate.
5.3.1.- Quanto alle prime due, osserva la difesa erariale che non
sarebbero applicabili in via automatica all'ipotesi inversa le
valutazioni espresse da questa Corte con la sentenza n. 170 del 2014
sulla coppia gia' unita in matrimonio ed «attraversata» dalla vicenda
di rettificazione di sesso. Nella fattispecie all'esame del
rimettente, allo scioglimento dell'unione civile sarebbe potuta,
infatti, seguire la distinta celebrazione del matrimonio, mentre nel
diverso caso della coppia unita in matrimonio, e sciolta per
sopravvenuta nuova identita' sessuale dei suoi componenti, non vi
era, all'epoca della indicata sentenza, alcun istituto che ne
tutelasse le ragioni.
5.3.2.- Non sussisterebbero poi le paventate violazioni degli
artt. 8 e 14 CEDU perche' la Carta dei diritti fondamentali
dell'Unione europea, e in particolare l'art. 9 - che, ai sensi
dell'art. 6 del Trattato sull'Unione europea, ha assunto lo stesso
valore giuridico dei trattati - e la CEDU (art. 12) rinviano, in
materia familiare, all'ampio margine di apprezzamento delle
legislazioni nazionali ed ai principi ivi affermati (e' richiamata la
sentenza della Corte di cassazione, sezione prima civile, 15 marzo
2012, n. 4184).
5.3.3.- La non omogeneita' delle situazioni a confronto
(matrimonio ed unione civile) in punto di celebrazione (art. 93 cod.
civ.), di disciplina dei diritti ereditari, di filiazione ed
adozione, sarebbe poi ostativa al riconoscimento della violazione
dell'art. 3 Cost., nel rilievo pubblicistico da attribuirsi
all'istituto matrimoniale.
5.3.4.- Si aggiunge nell'atto di intervento che la disposizione
dell'art. 1, comma 27, della legge n. 76 del 2016 - diretta a
consentire ai coniugi, in caso di rettificazione anagrafica del
sesso, la conversione del matrimonio in unione civile - dovrebbe
intendersi quale esito di una scelta ben precisa del legislatore, non
costituzionalmente imposta ma, in quanto relativa ad area connotata
da contenuti etici ed assiologici, perseguibile solo in via normativa
previo bilanciamento tra i valori fondamentali in conflitto (si
citano le sentenze di questa Corte n. 230 del 2020, n. 84 del 2016,
n. 221 del 2015 e n. 161 del 1985).
5.4.- Quanto alle ulteriori questioni, la terza non sarebbe
fondata, essendo possibile una interpretazione costituzionalmente
orientata della norma censurata. Infatti, l'art. 1, comma 20, della
legge n. 76 del 2016 stabilisce l'applicabilita' delle disposizioni
che si riferiscono al matrimonio e quelle contenenti le parole
«coniuge», «coniugi», o termini equivalenti, ovunque ricorrenti
(nelle leggi, negli atti aventi forza di legge, nei regolamenti
nonche' negli atti amministrativi e nei contratti collettivi), anche
ad ognuna delle parti dell'unione civile. Sicche', sarebbe ben
possibile interpretare la norma secondo la quale «l'atto di citazione
e' notificato al coniuge» come riferita anche all'altra parte
dell'unione civile, che ha indubbiamente interesse ad essere messa in
condizione di partecipare al procedimento di cui si tratta.
La quarta e la quinta questione, concernenti l'accordo di
conversione e la disciplina regolamentare sulla trascrizione del
matrimonio, poi sarebbero non fondate, per le ragioni indicate con
riferimento a quelle gia' esaminate, rispetto alle quali sarebbero,
comunque, consequenziali.
Considerato in diritto
1.- Il Tribunale ordinario di Lucca, in composizione collegiale,
dubita della legittimita' costituzionale del «combinato disposto»
degli artt. 1, comma 26, della legge n. 76 del 2016, 31, commi 3 e
4-bis, del d.lgs. n. 150 del 2011 e 70-octies, comma 5, del d.P.R. n.
396 del 2000, per contrasto con gli artt. 2, 3 e 117, primo comma,
Cost., quest'ultimo in relazione agli artt. 8 e 14 CEDU.
1.1.- Il giudice a quo riferisce di essere chiamato a
pronunciarsi, nell'ambito di un giudizio di rettificazione anagrafica
di attribuzione di sesso, sulla domanda di autorizzazione
all'intervento chirurgico, strumentale alla riassegnazione del sesso,
e di rettificazione anagrafica di sesso e nome, con ordine al
competente ufficiale dello stato civile di trascrizione del
matrimonio con il partner dell'attore, con il quale questi aveva in
precedenza contratto unione civile.
1.2.- Cio' premesso, il Tribunale di Lucca solleva questioni di
legittimita' costituzionale: a) dell'art. 1, comma 26, della legge n.
76 del 2016, in riferimento all'art. 2 Cost., e, quali norme
interposte nei termini di cui all'art. 117, primo comma, Cost., agli
artt. 8 e 14 CEDU, nella parte in cui prevede che la sentenza di
rettificazione di attribuzione di sesso determina lo scioglimento
dell'unione civile tra persone dello stesso sesso, senza alcuna
possibilita' di conversione in matrimonio previa dichiarazione
congiunta dell'attore e dell'altro contraente, in caso di
accoglimento della domanda di rettificazione, senza soluzione di
continuita' con il preesistente legame; b) ancora dell'art. 1, comma
26, della legge n. 76 del 2016, in riferimento all'art. 3 Cost., per
l'ingiustificata disparita' tra il trattamento riservato dalla norma
allo scioglimento dell'unione civile omoaffettiva, in seguito a
rettificazione anagrafica di sesso di uno dei contraenti, e quanto
stabilito dal successivo comma 27 nel caso in cui la medesima
fattispecie attraversi il legame di due persone eterosessuali, unite
in matrimonio, e, quindi, la' dove non estende, con la norma
censurata, all'unione civile, analogo regime; c) dell'art. 31, comma
3, del d.lgs. n. 150 del 2011, in riferimento agli artt. 2 e 3 Cost.,
e, in qualita' di norme interposte nei termini di cui all'art. 117,
primo comma, Cost., agli artt. 8 e 14 CEDU, nella parte in cui non
prevede che l'atto di citazione introduttivo del giudizio di
rettificazione venga notificato anche all'altro contraente
dell'unione civile; d) dell'art. 31, comma 4-bis, del d.lgs. n. 150
del 2011, aggiunto dall'art. 7 del d.lgs. n. 5 del 2017, sempre in
riferimento agli artt. 2 e 3 Cost., e, in qualita' di norme
interposte, ai sensi dell'art. 117, primo comma, Cost., agli artt. 8
e 14 CEDU, nella parte in cui non prevede che anche la persona che ha
proposto domanda di rettificazione di attribuzione di sesso e l'altro
contraente dell'unione civile possano, fino alla precisazione delle
conclusioni, con dichiarazione congiunta, resa personalmente in
udienza, esprimere la volonta', in caso di accoglimento della domanda
di rettifica, di unirsi in matrimonio, con eventuali dichiarazioni
riguardanti il regime patrimoniale e la conservazione del cognome
comune, nonche' nella parte in cui non prevede che il tribunale, con
la sentenza che accoglie la domanda, ordini all'ufficiale dello stato
civile del comune di costituzione dell'unione civile, o di
registrazione se costituita all'estero, di iscrivere il matrimonio
nel relativo registro e di annotare le eventuali dichiarazioni rese
dalle parti sulla scelta del cognome e del regime patrimoniale; e)
dell'art. 70-octies, comma 5, del d.P.R. n. 306 del 2000, aggiunto
dell'art. 1, comma 1, lettera t), del d.lgs. n. 5 del 2017, ancora in
riferimento agli artt. 2 e 3 Cost., e, in qualita' di norme
interposte, ai sensi dell'art. 117, primo comma, Cost., agli artt. 8
e 14 CEDU, nella parte in cui non prevede che anche nell'ipotesi di
cui all'art. 31, comma 4-bis, del d.lgs. n. 150 del 2011, come
emendato al punto precedente, il competente ufficiale dello stato
civile, ricevuta la comunicazione della sentenza di rettificazione di
attribuzione di sesso, proceda alla trascrizione del matrimonio nel
registro degli atti di matrimonio, con le eventuali annotazioni
relative al cognome ed al regime patrimoniale.
2.- Il rimettente sottolinea l'esigenza di protezione del nucleo
dei diritti e doveri di assistenza e solidarieta' riconosciuto dalle
sentenze di questa Corte e della Corte di cassazione e, ancora, della
Corte EDU, all'interno della vita di relazione familiare, alle due
formazioni sociali in discorso, in ossequio agli artt. 2 e 117, primo
comma, Cost. e agli artt. 8 e 14 CEDU, esigenza che sarebbe
obliterata dalla normativa censurata. E denuncia, per contrasto con
l'art. 3 Cost., l'irragionevolezza della disparita' nel trattamento
tra le stesse formazioni sociali di cui si tratta, non giustificata
dai contenuti, diversi, che presiedono al momento genetico e
costitutivo dei relativi vincoli - anche per gli impedimenti
preventivi, previsti solo per la celebrazione del matrimonio, con le
connesse opposizioni (artt. 93 e 102 e seguenti cod. civ.) - e ai
rispettivi rapporti, quanto all'assunzione dell'obbligo di fedelta',
omesso tra i doveri nascenti dall'unione civile nell'art. 1, comma
11, della legge n. 76 del 2016, e stabilito per le sole coppie
coniugate, a fronte della disciplina analitica con la quale la stessa
legge riconosce ai componenti dell'unione civile un fascio di diritti
identici a quelli attribuiti ai coniugi.
3.- Il quadro di riferimento in cui si inseriscono i sollevati
dubbi di illegittimita' costituzionale muove dalle affermazioni di
principio contenute nella sentenza di questa Corte n. 170 del 2014.
3.1.- Con la richiamata pronuncia e' stata dichiarata la
illegittimita' costituzionale degli artt. 2 e 4 della legge n. 164
del 1982 (e, in via consequenziale, dell'art. 31, comma 6, del d.lgs.
n. 150 del 2011, che ha sostituito l'abrogato art. 4 della predetta
legge n. 164 del 1982, riproducendone il contenuto), nella parte in
cui non prevedevano che la sentenza di rettificazione di attribuzione
di sesso di uno dei coniugi, che provoca lo scioglimento o la
cessazione degli effetti civili del matrimonio, consentisse, ove
entrambi lo richiedessero, di mantenere in vita un rapporto di coppia
giuridicamente regolato con altra forma di convivenza registrata che
ne tutelasse, adeguatamente, i diritti e gli obblighi, con modalita'
da statuirsi dal legislatore.
Le norme in esame - ha rilevato in quella occasione la Corte,
partendo dal presupposto incontrovertibile che la nozione di
matrimonio contenuta nell'art. 29 Cost. sia quella di unione tra due
persone di sesso diverso, con richiamo alla propria sentenza n. 138
del 2010 - risolvono il contrasto tra l'interesse statuale a non
modificare il modello eterosessuale del matrimonio e quello della
coppia attraversata da una vicenda di rettificazione del sesso a non
sacrificare integralmente la dimensione giuridica del preesistente
rapporto in termini di tutela esclusiva del primo. Dette norme - ha
proseguito la Corte - rimangono chiuse «ad ogni qualsiasi, pur
possibile, forma di (...) bilanciamento con gli interessi della
coppia, non piu' eterosessuale, ma che, in ragione del pregresso
vissuto nel contesto di un regolare matrimonio, reclama di essere,
comunque, tutelata come "forma di comunita'", connotata dalla
"stabile convivenza tra due persone", "idonea a consentire e favorire
il libero sviluppo della persona nella vita di relazione" (sentenza
n. 138 del 2010)» (sentenza n. 170 del 2014).
3.2.- In adempimento del dictum della ricordata pronuncia, oltre
che in risposta alle sollecitazioni che in tal senso venivano dalla
giurisprudenza della Corte EDU (basti pensare all'emblematico caso
risolto con la sentenza 21 luglio 2015, Oliari e altri contro
Italia), il legislatore e' intervenuto introducendo l'istituto
dell'unione civile con la legge n. 76 del 2016. Successivamente, in
sede di attuazione della delega contenuta nell'art. 1, comma 28,
della stessa legge ai fini dell'adeguamento ad essa delle
disposizioni dell'ordinamento dello stato civile in materia di
iscrizioni, trascrizioni e annotazioni, ha inserito, con l'art. 7 del
d.lgs. n. 5 del 2017, il comma 4-bis all'interno dell'art. 31 del
d.lgs. n. 150 del 2011, che disciplina il rito per i procedimenti di
rettificazione dell'attribuzione di sesso. La introduzione di tale
disposizione - espressiva, come indicato nella relazione illustrativa
del testo definitivo di legge, appunto della volonta' del legislatore
di dare concreta attuazione alla citata sentenza n. 170 del 2014 -
adegua le norme su detti procedimenti alla previsione del comma 27
dell'art. 1 della legge n. 76 del 2016, secondo il quale «[a]lla
rettificazione anagrafica di sesso, ove i coniugi abbiano manifestato
la volonta' di non sciogliere il matrimonio o di non cessarne gli
effetti civili, consegue l'automatica instaurazione dell'unione
civile tra persone dello stesso sesso». Infine, il d.lgs. n. 5 del
2017 ha aggiunto al d.P.R. n. 396 del 2000 l'art. 70-bis, il quale,
al comma 5, dispone che, nella ipotesi di cui all'art. 31, comma
4-bis, del d.lgs. n. 150 del 2011, l'ufficiale dello stato civile del
comune di celebrazione del matrimonio o di trascrizione se avvenuto
all'estero, ricevuta la comunicazione della sentenza di
rettificazione di attribuzione di sesso, procede alla iscrizione
dell'unione civile nel relativo registro, con le eventuali
annotazioni relative alla scelta del cognome e al regime
patrimoniale.
Il legislatore ha voluto in tal modo recuperare il senso di
quella pronuncia la' dove, tra l'altro, si preoccupava di evitare il
prodursi di un deficit temporale di tutela avuto riguardo ai diritti
ed obblighi della coppia introducendo, con il citato comma 4-bis, un
meccanismo che, destinato ad operare nei giudizi di rettificazione
anagrafica del sesso, consente che «[f]ino alla precisazione delle
conclusioni la persona che ha proposto domanda di rettificazione di
attribuzione di sesso ed il coniuge possono, con dichiarazione
congiunta, resa personalmente in udienza, esprimere la volonta', in
caso di accoglimento della domanda, di costituire l'unione civile,
effettuando le eventuali dichiarazioni riguardanti la scelta del
cognome ed il regime patrimoniale».
4.- Dalle cennate premesse, normative e giurisprudenziali,
traggono origine i dubbi di illegittimita' costituzionale sollevati
dal Tribunale di Lucca nei confronti del plesso normativo sottoposto
all'esame di questa Corte sostanzialmente per il fatto di non
attribuire alla coppia omoaffettiva che, unita civilmente, abbia
conosciuto la rettifica anagrafica del sesso di uno dei suoi
componenti, il diritto, nell'acquisita eterosessualita', di
transitare verso il matrimonio, senza interruzione del pregresso
vincolo, cosi' conservando diritti ed obblighi in precedenza
maturati.
4.1.- Suggerisce il carattere unitario della trattazione delle
questioni, pure a fronte del ventaglio di quelle interessate dal
sollevato dubbio, la circostanza che le norme oggetto di denuncia
vengano trattate dal rimettente come una sorta di statuto unico, al
quale riservare una unitaria lettura volta a valorizzare la
disciplina da riservare all'unione civile tra persone dello stesso
sesso di cui alla legge n. 76 del 2016 quando - cessata o sciolta la
stessa per l'intervenuta eterosessualita' della coppia in seguito a
rettifica anagrafica di sesso di uno dei suoi componenti -, le parti,
di comune accordo, intendano conservare, senza soluzione di
continuita' rispetto al preesistente vincolo, quei diritti e doveri
di cura ed assistenza reciproci che connotavano il precedente legame
attraverso il matrimonio. In detto contesto, il giudice a quo
paventa, nella interruzione che il vincolo conoscerebbe nel passaggio
tra sentenza di rettificazione anagrafica e successiva celebrazione
del matrimonio davanti all'ufficiale dello stato civile, il
verificarsi di eventi destinati a compromettere, irreversibilmente,
la costituzione del nuovo legame, con perdita dei maturati diritti.
5.- Cio' posto, devono essere preliminarmente esaminate le
eccezioni di inammissibilita' delle questioni sollevate
dall'Avvocatura generale dello Stato per difetto di rilevanza, in
ragione di un plurimo e articolato profilo.
5.1.- Anzitutto, secondo la difesa dello Stato, il rimettente non
avrebbe effettuato alcuna indagine sulla sussistenza delle condizioni
richieste perche' l'attore potesse essere autorizzato ad acquisire
una nuova identita' di genere, limitandosi ad affermare che un tale
accertamento sarebbe stato possibile "in astratto", la' dove, invece,
egli avrebbe dovuto fare applicazione della norma elevata a sospetto
"in concreto" e, quindi, all'esito della accertata nuova identita'
del richiedente. La domanda di rettificazione era, infatti
imprescindibile antecedente logico e giuridico rispetto
all'applicazione della norma indubbiata, fermo il rapporto di
pregiudizialita' necessaria esistente tra giudizio principale e
giudizio costituzionale.
5.2.- La eccezione e' fondata nei termini che seguono.
Alla stregua della costante giurisprudenza costituzionale in tema
di accertamento del requisito della rilevanza, segnato dal nesso di
pregiudizialita' che correla il giudizio incidentale innanzi a questa
Corte a quello principale di merito, detto requisito implica
necessariamente che la sollevata questione di legittimita'
costituzionale abbia nel procedimento a quo un'incidenza attuale e
non meramente eventuale. Il postulato della pregiudizialita' della
questione richiede infatti che questa si concreti solo quando il
dubbio di contrasto con la Costituzione investa una norma dalla cui
applicazione, ai fini della definizione del giudizio dinanzi a lui
pendente, il giudice a quo dimostri di non poter prescindere.
Il controllo di questa Corte sulla rilevanza della questione e',
peraltro, limitato alla non implausibilita' delle motivazioni sui
«presupposti in base ai quali il giudizio a quo possa dirsi
concretamente ed effettivamente instaurato, con un proprio oggetto,
vale a dire un petitum, separato e distinto dalla questione di
legittimita' costituzionale, sul quale il giudice remittente sia
chiamato a decidere» (ex plurimis, sentenza n. 110 del 2015; nello
stesso senso, sentenza n. 35 del 2017).
In particolare, il giudice rimettente e' chiamato a valutare, sia
pure in via delibativa e prognostica, allo stato degli atti e
dell'iter decisionale, la questione di legittimita' costituzionale
con riguardo ai requisiti di attualita' e rilevanza che sono, del
pari, oggetto del controllo in sede di giudizio di legittimita'
costituzionale, pur destinato a fermarsi alla non implausibilita'
delle motivazioni addotte dal rimettente (ex plurimis, sentenze n. 35
del 2017, n. 91 del 2013, n. 270 e n. 34 del 2010).
5.2.1.- In applicazione degli indicati principi, le questioni
sollevate dal Tribunale di Lucca mancano di rilevanza per difetto di
attualita' e concretezza.
Come riferito dallo stesso rimettente, nel giudizio principale
l'attore, premesso di manifestare una disforia di genere, che
necessitava di «adeguamento dell'identita' fisica a quella psichica»,
aveva chiesto anzitutto «l'autorizzazione all'intervento chirurgico
strumentale alla riassegnazione del sesso da maschile in femminile»,
e, quindi, la rettificazione dei dati anagrafici riguardanti il sesso
e il nome, e l'ordine all'ufficiale dello stato civile di procedere
alla iscrizione del suo matrimonio con il partner, con il quale aveva
in passato contratto unione civile.
La disciplina di detto intervento chirurgico, prevista
originariamente dagli abrogati artt. 2 e 3 della legge n. 164 del
1982, e' attualmente posta dall'art. 31, comma 4, del d.lgs. n. 150
del 2011, il quale dispone che «[q]uando risulta necessario un
adeguamento dei caratteri sessuali da realizzare mediante trattamento
medico-chirurgico, il tribunale lo autorizza con sentenza passata in
giudicato. Il procedimento e' regolato dai commi 1, 2 e 3».
Il giudice a quo ha del tutto obliterato l'esame della domanda
dell'attore, superandolo con l'affermazione secondo la quale «[i]n
base al diritto vivente [...] l'intervento chirurgico modificativo
dei caratteri sessuali primari non integra un "prerequisito per
accedere al procedimento di rettificazione", bensi' un "possibile
mezzo, funzionale al conseguimento di un pieno benessere psicofisico»
(vengono citate in proposito la sentenza di questa Corte n. 221 del
2015 e quella della Corte di cassazione, sezione prima civile, 20
luglio 2015, n. 15138).
Cosi' operando, egli non si e' pero' fatto carico della esigenza,
a fronte della specifica domanda dell'interessato, di svolgere un
approfondimento in ordine alla effettiva necessita' di un siffatto
trattamento, limitandosi alla considerazione che l'attore non aveva
effettuato alcun intervento demolitivo-ricostruttivo degli organi
sessuali (cio' che costituiva proprio l'oggetto della domanda di
autorizzazione), ma solo una terapia ormonale, e che lo stesso aveva
chiesto la rettifica dell'attribuzione di sesso nei registri dello
stato civile assumendo di aver acquisito l'identita' di genere
femminile attraverso un processo psicologico attestante la
irreversibilita' di tale orientamento personale.
Il Collegio rimettente ha, quindi, proceduto alla illustrazione
dei propri dubbi di illegittimita' costituzionale del plesso
normativo evocato ed ha sollevato innanzi a questa Corte le relative
questioni in via del tutto ipotetica e, allo stato, eventuale,
prescindendo dal caso sottoposto al suo esame.
5.2.2.- Peraltro, lo stesso non ha svolto alcuna indagine sulla
sussistenza delle condizioni necessarie affinche' l'attore del
giudizio di rettificazione anagrafica potesse essere autorizzato ad
acquisire una nuova identita' di genere.
Se i requisiti dell'attualita' e della rilevanza di una questione
di legittimita' costituzionale devono essere valutati allo stato
degli atti e dell'iter decisionale, essi non possono ritenersi
integrati sulla base di un'eventuale e teorica applicabilita' della
norma indubbiata. Tanto si realizza nel caso in esame, in cui il
giudice a quo ha sollevato le questioni a tutela della continuita'
del preesistente vincolo, senza motivare sul diritto dell'attore ad
ottenere la rettificazione del sesso: passaggio, questo, essenziale,
nel suo carattere preliminare, in quanto volto a spiegare le ragioni
per le quali il rimettente ritenga di essere necessariamente tenuto a
fare concreta applicazione delle norme che censura.
Il Tribunale di Lucca sul preliminare accertamento si e'
limitato, infatti, ad affermare un'astratta e teorica esistenza del
diritto alla rettificazione di sesso, peraltro qualificato in termini
di «legittima aspettativa», arrestando in tal modo la propria
verifica ad un apprezzamento condizionato ad un eventuale «riscontro
nella documentazione in atti e nell'istruttoria in ipotesi
espletabile» (punto 4.1.2. dell'ordinanza di rimessione).
Al riguardo, e' appena il caso di richiamare la giurisprudenza di
questa Corte, che, in tema di rettificazione di attribuzione di
sesso, ha avuto modo di affermare che «l'interpretazione
costituzionalmente adeguata della legge n. 164 del 1982 consente di
escludere il requisito dell'intervento chirurgico di
normoconformazione. E tuttavia cio' non esclude affatto, ma anzi
avvalora, la necessita' di un accertamento rigoroso non solo della
serieta' e univocita' dell'intento, ma anche dell'intervenuta
oggettiva transizione dell'identita' di genere, emersa nel percorso
seguito dalla persona interessata; percorso che corrobora e rafforza
l'intento cosi' manifestato». E ancora, che «va escluso che il solo
elemento volontaristico possa rivestire prioritario o esclusivo
rilievo ai fini dell'accertamento della transizione». Il ragionevole
punto di equilibrio tra le molteplici istanze di garanzia e' stato
individuato affidando al giudice, «nella valutazione delle
insopprimibili peculiarita' di ciascun individuo, il compito di
accertare la natura e l'entita' delle intervenute modificazioni dei
caratteri sessuali, che concorrono a determinare l'identita'
personale e di genere» (sentenza n. 180 del 2017; si veda anche
sentenza n. 221 del 2015).
5.3.- L'Avvocatura generale dello Stato ha sollevato un'ulteriore
eccezione di inammissibilita' per difetto di rilevanza delle
questioni, collegata alla mancata manifestazione della volonta' del
partner dell'attore nel giudizio principale di convertire l'unione
civile in matrimonio. Osserva la difesa statale che la disciplina
vigente non avrebbe impedito che la notifica della pendenza del
giudizio venisse comunque effettuata all'altro contraente, o che
questi intervenisse volontariamente nel processo al fine di
manifestare la volonta' del mantenimento del vincolo in diversa forma
e senza soluzione di continuita'.
5.4.- Anche questa eccezione e' meritevole di accoglimento.
Premesso che la partecipazione al giudizio, tra altri soggetti
pendente, quantomeno in risposta ad una mera litis denuntiatio, e'
liberamente esercitabile, al di fuori della rigidita' di forme
proprie del litisconsorzio necessario, sempre che si realizzi il
condiviso interesse del convenuto-interveniente alla domanda, ai
sensi dell'art. 100 del codice di procedura civile, nella specie,
perche' le questioni sollevate potessero dirsi concrete ed attuali,
sarebbe stata necessaria la dichiarazione congiunta dei contraenti
dell'unione civile di convertire la stessa in matrimonio. Cio'
proprio in adesione allo schema, invocato dal rimettente e mutuato
dal meccanismo speculare previsto dal comma 27 dell'art. 1 della
legge n. 76 del 2016 e dal comma 4-bis dell'art. 31 del d.lgs. n. 150
del 2011, in base al quale soltanto alla manifestazione di volonta'
delle parti, gia' unite in un precedente vincolo attraversato dalla
rettifica di sesso di uno dei suoi componenti, consegue l'effetto
della permanenza del legame, nelle diverse forme. In difetto, invece,
la fattispecie resta diversamente definita dalla mera caducazione del
primo legame (sentenza n. 170 del 2014; vedi anche Corte di
cassazione, sentenza n. 8097 del 2015).
6.- Alla stregua delle argomentazioni sopra esposte, le questioni
devono essere dichiarate inammissibili.