ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita'  costituzionale  dell'art.  633  del
codice penale, promosso dal Tribunale ordinario di  Firenze,  sezione
prima penale, in composizione monocratica, nel procedimento a  carico
di E.P. L. e altri, con ordinanza del 17 aprile 2023, iscritta al  n.
74 del registro ordinanze 2023 e pubblicata nella Gazzetta  Ufficiale
della Repubblica n. 23, prima serie speciale, dell'anno 2023. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio del 6 febbraio  2024  il  Giudice
relatore Stefano Petitti; 
    deliberato nella camera di consiglio del 6 febbraio 2024. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Il Tribunale ordinario di Firenze, sezione prima  penale,  in
composizione monocratica, con ordinanza del 17 aprile 2023,  iscritta
al n. 74 del registro ordinanze 2023, ha  sollevato,  in  riferimento
agli  artt.  2,  3,  42  e  47  della  Costituzione,   questioni   di
legittimita' costituzionale dell'art. 633 del codice  penale,  «nella
parte in cui si applica anche  all'invasione  a  scopo  abitativo  di
edifici in stato di abbandono da piu' anni». 
    2.- Il giudice a quo riferisce che il processo pendente  riguarda
la posizione di quattro imputati citati a giudizio per rispondere del
reato di invasione di edifici. L'istruttoria  dibattimentale  avrebbe
dimostrato la  commissione  del  fatto  quanto  meno  per  tre  degli
imputati. Un testimone aveva esposto che l'immobile occupato  era  un
edificio «enorme  in  stato  di  abbandono,  con  un  grande  terreno
circostante», al cui interno erano state «rinvenute numerose persone,
tra cui gli attuali imputati, oltre a masserizie varie». 
    Nell'ordinanza di rimessione e' riassunta la  deposizione  di  un
teste, secondo cui gli occupanti avevano ricavato  nell'immobile  dei
«veri e  propri  spazi  abitativi,  divisi  per  famiglie»  ed  erano
presenti, in particolare,  sette  nuclei  familiari,  comprensivi  di
bambini in tenera eta'.  Al  momento  dell'intervento  operato  dalle
forze  dell'ordine,  le  persone  rinvenute  nell'edificio  si  erano
mostrate tranquille e collaboranti, ed avevano unicamente  dichiarato
«di non avere altro posto in cui potersi  recare».  Lo  sgombero  era
stato effettuato spontaneamente dagli occupanti a distanza di qualche
giorno dall'accertamento dei fatti. 
    Il rimettente ha posto in evidenza che l'edificio  era  destinato
ad uso abitativo,  che  lo  stesso  versava  in  stato  di  abbandono
all'incirca dal 2000, che il liquidatore della  societa'  immobiliare
proprietaria del bene non aveva nemmeno  visionato  lo  stabile,  ne'
sapeva della sua occupazione prima di esserne informato dalla Polizia
di Stato. 
    Tuttavia, ad avviso del giudice a quo, doveva escludersi che  gli
imputati versassero in stato di necessita', avendo la  giurisprudenza
di legittimita' ritenuto, con riguardo ad analoghe  fattispecie,  che
difetti  il  connotato  di  attualita'  del  pericolo,  di  per   se'
incompatibile  con  «tutte  quelle   situazioni   di   pericolo   non
contingenti caratterizzate da una sorta di cronicita' essendo  datate
e destinate a protrarsi nel tempo». Si sarebbe, quindi,  in  presenza
di un pericolo non attuale, ma «permanente proprio perche' l'esigenza
abitativa -  ove  non  sia  transeunte  [...]  -  necessariamente  e'
destinata a prolungarsi nel tempo». 
    In sostanza, osserva il rimettente, gli imputati  avevano  inteso
risolvere con l'occupazione dell'immobile altrui non  una  situazione
eccezionale e transitoria, quanto un duraturo bisogno di abitazione. 
    Il Tribunale precisa che nella fattispecie in esame  ricorrerebbe
anche l'elemento soggettivo del delitto  di  cui  all'art.  633  cod.
pen., come delineato dalla giurisprudenza della Corte  di  cassazione
proprio in ipotesi di occupazione di  immobili  altrui  in  stato  di
abbandono (non essendo configurabile una dismissione del  diritto  di
proprieta'). 
    Sussistendo, pertanto, gli estremi  del  reato  di  invasione  di
edifici, il Tribunale di Firenze si e' interrogato sulla legittimita'
costituzionale dell'art. 633 cod. pen. in riferimento agli  artt.  2,
3, 42 e 47 Cost. 
    3.- In punto di non manifesta infondatezza  delle  questioni,  il
rimettente,   ricollegandosi   all'elaborazione   risultante    dalla
giurisprudenza di questa Corte che include il diritto  all'abitazione
nel catalogo dei diritti inviolabili e  tra  i  requisiti  essenziali
caratterizzanti la socialita' cui si conforma  lo  Stato  democratico
voluto dalla Costituzione, cosi' considera il suo oggetto un bene  di
primaria importanza. 
    Il Tribunale di Firenze ha,  quindi,  richiamato  il  diritto  di
proprieta' privata, tutelato dall'art. 42 Cost.  e  dall'art.  1  del
Protocollo  addizionale  alla   Convenzione   europea   dei   diritti
dell'uomo, traendo spunto dalla giurisprudenza  di  questa  Corte  in
tema di limitazioni del diritto di proprieta' del locatore consentite
per  esigenze  di  interesse  generale  della  comunita'  e  per   la
salvaguardia  dei  diritti  del  conduttore   e,   tuttavia,   dubita
dell'applicabilita' di tali principi  in  favore  di  proprietari  di
immobili che  siano  lasciati  per  un  lungo  periodo  di  tempo  in
condizioni di abbandono. 
    L'asserto del rimettente e' che «[n]el caso di immobili per tanto
tempo inutilizzati,  lasciati  in  totale  stato  di  abbandono»,  la
funzione sociale della proprieta' «scompare»,  e  anzi  gli  immobili
stessi  divengono  «fonte  di  rischi  e  pregiudizi  per  l'ambiente
circostante», nonche' possibili cause  di  «alterazione  dell'assetto
urbanistico del territorio programmato dalle autorita'». 
    L'ordinanza di rimessione sostiene,  inoltre,  che  lo  stato  di
abbandono  degli  immobili  «appare  tanto  piu'  irrispettoso  della
prevista funzione sociale della proprieta' privata ove  si  consideri
la persistente emergenza abitativa che connota la realta' italiana». 
    La «carenza di soluzioni abitative dignitose per  le  fasce  meno
abbienti della popolazione» riceverebbe  significativa  conferma  dai
plurimi interventi legislativi volti a fronteggiare il disagio  nella
reperibilita' di alloggi. 
    Il Tribunale di Firenze osserva, cosi', che «[i]n tale  contesto,
se e'  forse  legittimo  accordare  comunque  una  tutela  sul  piano
civilistico ai proprietari di immobili lasciati in stato di abbandono
contro eventuali occupazioni abusive, appare irragionevole perseguire
queste ultime anche penalmente». 
    Sembra al rimettente irragionevole «incriminare  la  condotta  di
chi - per soddisfare un bisogno fondamentale, oggetto di  un  diritto
inviolabile che il nostro  Stato  democratico  dovrebbe  garantire  -
occupi  un  immobile  (eventualmente  anche  a  destinazione  teorica
abitativa, come nel caso di specie), ma  concretamente  lasciato  dal
proprietario da anni in stato di abbandono». 
    Ne', infine, sarebbe possibile pervenire ad  una  interpretazione
costituzionalmente conforme dell'art. 633 cod. pen., emergendo  dalla
costante applicazione giurisprudenziale l'attribuzione  di  rilevanza
penale alla condotta di chi occupi, anche se per finalita' abitative,
edifici in stato di abbandono. 
    4.- Ha depositato atto di intervento  nel  presente  giudizio  il
Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e   difeso
dall'Avvocatura generale dello  Stato,  chiedendo  che  le  questioni
siano dichiarate non fondate. 
    L'Avvocatura generale sottolinea che la disposizione censurata e'
posta a salvaguardia dell'inviolabilita' del patrimonio  immobiliare,
pubblico o privato, nei  confronti  di  atti  diretti  a  turbare  il
rapporto di fatto sui beni, instaurato sia dal  proprietario  che  da
terzi. 
    Con il termine «altrui» viene ampliato  l'oggetto  della  tutela,
costituito non solo dal diritto  di  proprieta',  ma  da  ogni  altro
rapporto con l'immobile, instaurato anche  da  soggetto  diverso  dal
proprietario, comunque interessato allo stesso modo alla  liberta'  e
alla integrita' del bene. 
    Inoltre, la  fattispecie  incriminatrice  persegue  condotte  che
necessariamente evocano un quid pluris rispetto al semplice  ingresso
arbitrario nell'immobile, denotando una  turbativa  riconducibile  ad
una sorta di "spoglio funzionale", idoneo a comprimere, in tutto o in
parte, le facolta' di godimento o la destinazione del bene. 
    Quanto ai parametri evocati dal  rimettente,  la  difesa  statale
rileva che l'art. 47  Cost.  favorisce  l'accesso  alla  «proprieta'»
della casa e non all'abitazione in quanto tale,  ottenuta  attraverso
un'illecita occupazione. Ne' l'art. 2 Cost. offrirebbe tutela  ad  un
diritto all'abitazione in qualsiasi forma procurato. Inoltre,  l'art.
42 Cost. non consentirebbe di dare  risposta  al  disagio  abitativo,
trasformando la proprieta' privata in un servizio pubblico. 
    L'Avvocatura sostiene che gli  imputati  non  potrebbero  neanche
lamentare alcuna irragionevole limitazione di un diritto riconosciuto
dal  legislatore,  ne'  invocare   una   pretesa   di   conservazione
dell'alloggio (che non viene messa in discussione dalla norma penale,
ma  semmai  dalle  regole  civilistiche  volte  a  tutelare  in   via
restitutoria e risarcitoria i diritti di proprieta'). 
    L'ordinanza di rimessione mirerebbe,  dunque,  ad  una  pronuncia
additiva che  escluda  la  punibilita'  di  un  reato  a  tutela  del
patrimonio individuale, attribuendo all'occupante un inedito  diritto
all'accesso all'abitazione. 
    La ricostruzione operata dal giudice a quo, secondo l'Avvocatura,
non sarebbe nemmeno in linea con l'interpretazione dell'art. 8  della
Convenzione europea dei diritti dell'uomo offerta dalla Corte europea
dei diritti dell'uomo: la nozione europea di  diritto  alla  casa  si
risolve in una pretesa di conservazione di un alloggio  che  e'  gia'
nella disponibilita' dell'interessato e non nel garantire -  o,  come
nel caso di specie, nel giustificare -  l'accesso  indiscriminato  (o
addirittura penalmente rilevante) ad una abitazione. 
    La difesa statale  confuta  anche  l'invocazione  della  funzione
sociale della proprieta' come giustificazione  della  disapplicazione
di una norma  penale.  Sarebbe  inadeguato  altresi'  il  riferimento
all'art. 1 Prot. addiz. CEDU, in quanto con le sollevate questioni di
legittimita' costituzionale dell'art. 633 cod. pen., non verrebbe  in
gioco il conflitto civilistico tra interessi dominicali  ed  esigenze
abitative, quanto la punibilita'  di  una  condotta,  perseguita  per
esigenze di  interesse  pubblico  ulteriori  rispetto  a  quelle  del
proprietario privato. 
    Il  petitum  dell'ordinanza   di   rimessione,   avverte   ancora
l'Avvocatura,  postulerebbe   una   irragionevole   e   indeterminata
estensione del  perimetro  di  non  punibilita'  della  condotta,  in
maniera da  abbracciare  tutte  le  ipotesi  di  «invasione  a  scopo
abitativo  di  edifici  in  stato  di  abbandono   da   piu'   anni»,
introducendo due elementi negativi  nella  fattispecie,  id  est  «lo
stato di abbandono da piu' anni» e lo «scopo abitativo». 
    Da ultimo, la difesa statale osserva che il Tribunale di  Firenze
non riconduce - e, anzi, positivamente esclude una  simile  soluzione
nel caso sottoposto alla sua cognizione  -  la  questione  nell'alveo
delle  cause   di   giustificazione,   in   maniera   da   scriminare
eventualmente la condotta in base allo stato di necessita' ex art. 54
cod. pen.; ne' opera un giudizio di proporzionalita' in concreto  tra
l'abbandono dell'immobile, che potrebbe deporre per una  attenuazione
dell'offesa al bene giuridico tutelato dalla norma incriminatrice,  e
la finalita' abitativa, che potrebbe aver motivato in  via  esclusiva
il reo. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.-  Il  Tribunale  di  Firenze,   sezione   prima   penale,   in
composizione monocratica, ha sollevato, in riferimento agli artt.  2,
3, 42 e 47 Cost., questioni di legittimita' costituzionale  dell'art.
633 cod. pen., «nella parte in cui si applica anche  all'invasione  a
scopo abitativo di edifici in stato di abbandono da piu' anni». 
    2.- Il giudice a quo riferisce che il processo pendente  riguarda
la posizione di quattro imputati citati a giudizio per rispondere del
reato di invasione di edifici. L'istruttoria  dibattimentale  avrebbe
dimostrato che: l'edificio occupato era destinato ad  uso  abitativo;
lo stesso versava in stato di  abbandono  all'incirca  dal  2000;  il
liquidatore della societa' immobiliare proprietaria non aveva nemmeno
visionato lo stabile, ne'  sapeva  della  sua  occupazione  prima  di
esserne informato dalla Polizia di Stato;  all'interno  del  medesimo
fabbricato erano  state  rinvenute  numerose  persone,  tra  cui  gli
imputati, i quali avevano ricavato nell'immobile spazi abitativi;  al
momento dell'accertamento, erano  presenti  sette  nuclei  familiari,
comprensivi di bambini in tenera eta'. 
    Escluso che gli  imputati  versassero  in  stato  di  necessita',
essendosi in presenza di un pericolo non attuale,  ovvero  imminente,
quanto «permanente»,  giacche'  correlato  ad  un'esigenza  abitativa
destinata a prolungarsi nel tempo, il Tribunale di Firenze,  ritenuti
altresi' sussistenti gli elementi soggettivo e oggettivo del reato di
invasione di edifici, si e'  quindi  interrogato  sulla  legittimita'
costituzionale dell'art. 633 cod. pen. in riferimento  agli  indicati
parametri. 
    3.-  Quanto  alla  non  manifesta  infondatezza,  il   rimettente
premette che, secondo la giurisprudenza di questa Corte,  il  diritto
all'abitazione costituisce un  diritto  fondamentale  della  persona.
Dubita,  quindi,  che  la  funzione  sociale  della  proprieta'   sia
rispettata nel caso in cui il titolare lasci il proprio immobile  per
un lungo periodo di tempo in condizioni di abbandono,  considerandosi
altresi' la persistente emergenza abitativa che  connota  la  realta'
italiana. 
    Il Tribunale ha cosi'  osservato  che,  ove  pure  sia  legittimo
riconoscere la tutela civilistica  al  proprietario  di  un  immobile
lasciato in stato di  abbandono,  contro  una  eventuale  occupazione
abusiva,  sarebbe   irragionevole   perseguire   quest'ultima   anche
penalmente, vieppiu' ove tale condotta sia attribuibile a  chi  abbia
agito per soddisfare un bisogno fondamentale, quale quello abitativo.
Sarebbero, quindi, violati gli artt. 2, 3, 42 e 47 Cost. 
    Da  ultimo,  il  rimettente  esclude  la  praticabilita'  di  una
interpretazione costituzionalmente conforme dell'art. 633 cod.  pen.,
emergendo    dalla    costante     applicazione     giurisprudenziale
l'attribuzione di  rilevanza  penale  alla  condotta  di  chi  occupi
edifici in stato di abbandono. 
    4.- Le questioni non sono fondate. 
    5.- L'art. 633 cod. pen. punisce, a querela della persona offesa,
la condotta di «[c]hiunque invade arbitrariamente terreni  o  edifici
altrui, pubblici  o  privati,  al  fine  di  occuparli  o  di  trarne
altrimenti profitto». Nel secondo comma, l'art. 633 cod. pen. prevede
una ipotesi aggravata, per la quale si procede d'ufficio, nel caso in
cui il fatto sia commesso da piu' di  cinque  persone  o  da  persona
palesemente armata. 
    Secondo   un   consolidato   indirizzo    interpretativo    della
giurisprudenza di legittimita', la nozione di  «invasione»,  elemento
tipico  della  fattispecie  in  questione,  postula   non   modalita'
esecutive violente o l'uso  di  una  forza  soverchiante,  quanto  un
accesso arbitrario, senza autorizzazione del titolare, e percio' solo
illecito,  nella  proprieta'  altrui.  La  conseguente  «occupazione»
costituisce, poi, l'estrinsecazione materiale della condotta  vietata
e  la  finalita'  per  la  quale  viene  posta  in  essere  l'abusiva
invasione; sicche', ove essa  si  protragga  nel  tempo,  il  delitto
rivela natura permanente (tra le tante, Corte di cassazione,  sezione
seconda penale, sentenze 27  marzo-8  luglio  2019,  n.  29657  e  11
novembre-14 dicembre 2016, n. 53005). 
    Il reato di cui all'art. 633 cod. pen. viene quindi  inteso  come
volto a perseguire una condotta  di  "spoglio  funzionale",  che  sia
idonea a comprimere, in tutto o in parte, le facolta' di godimento  e
destinazione del bene spettanti  al  titolare  dello  ius  excludendi
alios. 
    6.- L'ordinanza  di  rimessione,  pur  senza  specificare  quando
avesse avuto inizio  l'occupazione  dell'edificio,  conclude  che  le
condotte sono state perpetrate «in assenza di uno stato di necessita'
ex art. 54 c.p.», facendo difetto  il  connotato  di  attualita'  del
pericolo; pericolo  da  intendersi,  piuttosto,  «permanente  proprio
perche' l'esigenza  abitativa  -  ove  non  sia  transeunte  [...]  -
necessariamente e' destinata a prolungarsi nel tempo». 
    Il  profilo  cronologico  delle  condotte   contestate   potrebbe
rivestire un rilievo decisivo, giacche' la stessa Corte di cassazione
- ispirandosi alla giurisprudenza di  questa  Corte  che  colloca  il
diritto all'abitazione «fra i requisiti essenziali caratterizzanti la
socialita'  cui  si  conforma  lo  Stato  democratico  voluto   dalla
Costituzione» (ex multis, sentenze n. 145 del 2023, n. 87 e n. 43 del
2022, n. 128 e n. 112 del 2021), e  riconosciuto  cosi'  al  medesimo
diritto all'abitazione il rango di  diritto  fondamentale  riferibile
alla sfera dei beni primari collegati  alla  personalita'  -  afferma
costantemente che l'invasione di edifici puo' essere scriminata dallo
stato di necessita' conseguente anche  alla  compromissione  di  tale
diritto, purche' l'inevitabilita' della condotta e  l'attualita'  del
pericolo perdurino per tutto il tempo in cui  l'occupazione  prosegue
(ad esempio, Corte di cassazione, sezione seconda penale, sentenze 16
aprile-3 maggio 2013, n. 19147, 11 febbraio-4 marzo 2011, n. 8724, 27
giugno-26 settembre 2007, n. 35580  e  19  marzo-4  giugno  2003,  n.
24290, nonche', sezione sesta penale, sentenza 5-13 luglio  2012,  n.
28115). Queste interpretazioni non trasmodano in una anomala forma di
definitiva ablazione reale del bene, ma sono soltanto volte a privare
di antigiuridicita', agli effetti della norma incriminatrice  di  cui
all'art. 633 cod. pen., la condotta dell'occupante finche' l'esigenza
di occupare l'alloggio mantiene quei requisiti di assoluta necessita'
per il soddisfacimento di un bisogno primario della persona. 
    7.- Non puo'  condividersi  l'assunto  del  rimettente  per  cui,
esclusa nella specie la sussistenza della causa di giustificazione di
cui all'art. 54 cod. pen., sarebbe comunque irragionevole  munire  di
tutela penale la proprieta' di immobili lasciati dal titolare per  un
lungo periodo di tempo in condizioni di abbandono. 
    7.1.-  Il  Tribunale   di   Firenze   sollecita   un   intervento
manipolativo, che escluda la punibilita' della condotta ex  art.  633
cod. pen. allorche' si tratti  di  invasione  a  scopo  abitativo  di
edifici in stato di abbandono da piu' anni, sostenendo che  solo  ove
l'agente non sia animato da tale scopo e l'immobile non versi in tali
condizioni potrebbero ravvisarsi gli elementi idonei a  garantire  la
reale offensivita' del fatto. 
    Non sarebbe, infatti, ragionevole  che  la  condotta  tipica  del
reato di invasione di terreni o edifici abbracci situazioni di  fatto
in cui l'immobile sia stato per lungo tempo abbandonato e  sia  stato
successivamente occupato a fini abitativi: cio' che ne assicurerebbe,
piuttosto, un adeguato sfruttamento economico. 
    Le  questioni  sono  dunque  state  sollevate  nella  prospettiva
secondo cui, in vista del soddisfacimento del diritto all'abitazione,
da garantire in un sistema ispirato  alla  solidarieta'  economica  e
sociale  e  al  pieno  sviluppo  della  persona,  l'espandersi  della
funzione sociale  della  proprieta'  determinerebbe  una  limitazione
della rilevanza penale della condotta di occupazione. 
    7.2.- Tali argomentazioni del  rimettente,  pur  evocative  della
esigenza di tutelare  il  fondamentale  diritto  all'abitazione,  non
possono essere condivise. 
    Si e' gia' evidenziato che  l'art.  633  cod.  pen.  sanziona  la
condotta di «invasione» individuata come comportamento di colui  che,
al fine di occuparlo o di trarne altrimenti profitto, si introduce in
un edificio o in un terreno  arbitrariamente,  in  quanto  privo  del
diritto d'accesso (tra le altre, Corte di cassazione, sezione seconda
penale, sentenze 27 marzo-8 luglio 2019,  n.  29657  e  21  maggio-1°
ottobre 2013, n. 40571). La ratio della disposizione sanzionatoria e'
volta a punire lo spoglio funzionale  che  comprime  le  facolta'  di
godimento e destinazione  del  bene  spettanti  a  chi  sia  ad  esso
collegato da una relazione di attribuzione tutelata  dall'ordinamento
giuridico. 
    Posto che scopo della incriminazione ai sensi dell'art. 633  cod.
pen. e' la tutela del diritto di godere pacificamente o  di  disporre
dell'immobile,  spettante  al  proprietario,  al  possessore   o   al
detentore qualificato, oggetto dell'azione delittuosa non possono che
essere terreni o edifici altrui, senza alcuna distinzione,  e  quindi
anche terreni incolti, o non produttivi, nonche' edifici disabitati o
abbandonati. 
    La disposizione censurata, nella parte in cui  si  applica  anche
all'invasione a scopo abitativo di edifici in stato di  abbandono  da
piu'  anni,  si  appalesa  quindi  non  irragionevole  e  non  lesiva
dell'art. 42 Cost., non  discendendo  dallo  stato  di  abbandono  un
automatico effetto estintivo dello ius excludendi alios riservato  al
titolare della situazione di attribuzione del  bene,  ne',  pertanto,
della pretesa punitiva rivolta alla tutela di quel diritto. 
    7.3.- L'incriminazione della condotta di invasione di edifici  in
stato di abbandono nemmeno  appare  in  contrasto  con  la  «funzione
sociale» del  diritto  di  proprieta',  sia  pure  posta  in  stretta
relazione all'art. 2 Cost., in quanto il dovere del  proprietario  di
partecipare   alla   soddisfazione   di    interessi    generali    e
all'adempimento dei doveri inderogabili di solidarieta'  economica  e
sociale non significa affatto che la proprieta', anche se in stato di
abbandono, debba soffrire menomazioni da  parte  di  chiunque  voglia
limitarne la fruizione;  ne'  vi  puo'  essere  interferenza  tra  il
diritto  all'abitazione  dell'agente,  quale   diritto   fondamentale
riferibile alla sfera dei beni primari collegati alla personalita', e
l'interesse tutelato dall'art. 633 cod.  pen.,  giacche'  l'esercizio
del diritto di abitazione  non  comporta  come  mezzo  indispensabile
l'occupazione dell'edificio altrui (sentenza n. 220 del 1975). 
    7.4.- Quanto all'evocazione dell'art. 47 Cost., peraltro generica
e priva di motivazione, va considerato che lo stesso, nel disporre al
secondo comma che la Repubblica «[f]avorisce l'accesso del  risparmio
popolare alla proprieta' dell'abitazione»,  individua  una  forma  di
garanzia privilegiata dell'interesse primario ad avere  un'abitazione
e contiene  un  principio  al  quale  il  legislatore  e'  tenuto  ad
ispirarsi, ma non  rende  con  cio'  legittima  l'occupazione  di  un
edificio altrui da parte di chiunque  intenda  destinarlo  a  proprio
alloggio. 
    7.5.- Il giudice a quo sembra, in realta', mosso dall'esigenza di
far emergere nel singolo caso concreto, per confinarlo entro l'argine
della sussidiarieta' dello strumento penale, il  bisogno  ineludibile
dell'agente di reperire un alloggio per se' e per il  proprio  nucleo
familiare. 
    Ove, tuttavia, sia questo lo scopo essenziale ed esclusivo  della
condotta dell'agente e ove l'invasione riguardi  terreni  o  immobili
abbandonati o fatiscenti,  e'  compito  dell'interprete  esaminare  e
valutare se sussistano gli estremi dello stato di necessita'  dettato
dal pericolo attuale di un  danno  grave  alla  persona,  nonche'  di
verificare l'offensivita' "in concreto"  della  condotta,  alla  luce
della ratio della  disposizione  incriminatrice,  compito  che  esula
dallo scrutinio di legittimita' costituzionale. 
    7.6.- La qualificazione come illecito penale della condotta evoca
modalita' esecutive in concreto lesive del bene giuridico, restandosi
altrimenti al di fuori dell'area descritta dal  fatto  normativamente
tipizzato. Delimitata nel suo  ambito  applicativo,  la  disposizione
censurata,  dunque,  non  solo   non   si   appalesa   manifestamente
irragionevole, ma non lede  neanche  il  principio  di  offensivita',
inteso come precetto  rivolto  al  legislatore  affinche'  limiti  la
repressione penale a fatti che esprimano un  contenuto  offensivo  di
beni o interessi ritenuti meritevoli di protezione (sentenze n. 207 e
n. 139 del 2023, n. 211 del 2022, n. 278 e n. 141 del 2019). 
    In proposito, e'  utile  ricordare  che  la  configurazione  come
illecito penale della condotta di cui all'art. 633 cod.  pen.  assume
rilievo in una duplice  prospettiva:  da  un  lato,  il  proprietario
dell'immobile o del terreno oggetto  di  occupazione  o  il  soggetto
comunque tutelato dalla medesima  disposizione  ben  possono  reagire
legittimamente alla condotta di invasione  arbitrariamente  posta  in
essere da un  terzo;  dall'altro,  risulta  legittimato  l'intervento
delle forze dell'ordine  al  fine  di  far  cessare  la  condotta  di
occupazione attraverso lo sgombero degli occupanti. 
    Peraltro, come affermato dalle  richiamate  decisioni  di  questa
Corte,  il  principio  di  offensivita'  opera  anche  come  criterio
interpretativo-applicativo  affidato  al  giudice  affinche',   nella
verifica della riconducibilita' della singola fattispecie concreta al
paradigma punitivo  astratto,  eviti  di  ricondurre  a  quest'ultimo
comportamenti privi di qualsiasi attitudine lesiva. 
    7.7.-  Allo  stesso  obiettivo  di  consentire  una   valutazione
complessiva e congiunta di tutte le  peculiarita'  della  fattispecie
concreta  di  invasione  di  edifici  si  presta  pure  la  possibile
operativita' dell'esimente della particolare tenuita'  del  fatto  ex
art. 131-bis  cod.  pen.,  alla  cui  applicazione  il  giudice  puo'
procedere,  quando  la  permanenza  della  condotta  delittuosa   sia
cessata, tenendo conto delle  modalita'  esecutive,  delle  finalita'
della stessa e delle conseguenze che ne sono derivate. 
    8.- Le questioni di  legittimita'  costituzionale  sollevate  con
l'ordinanza indicata in epigrafe devono quindi essere dichiarate  non
fondate.