ha pronunciato la seguente
                                Sentenza
 nel giudizio di legittimita' costituzionale della legge della Regione
 Veneto, riapprovata il  12  giugno  1998,  recante  "Addestramento  e
 allenamento  dei  falchi  per  l'esercizio  venatorio"  promosso  con
 ricorso del Presidente del Consiglio dei Ministri,  notificato  il  1
 luglio 1998, depositato in cancelleria l'11 successivo ed iscritto al
 n. 31 del registro ricorsi 1998.
   Visto l'atto di costituzione della Regione Veneto;
   Udito nell'udienza pubblica del 12 ottobre 1999 il giudice relatore
 Fernanda Contri;
   Uditi l'avvocato dello Stato Ignazio F. Caramazza per il Presidente
 del  Consiglio  dei  Ministri e l'avvocato Mario Loria per la Regione
 Veneto.
                           Ritenuto in fatto
   1.  -  Con  ricorso  regolarmente  notificato  e   depositato   del
 Presidente  del Consiglio dei Ministri, il Governo ha promosso in via
 principale, in riferimento all'art. 117 della Costituzione e all'art.
 18 della legge 11 febbraio 1992, n.  157  (Norme  per  la  protezione
 della  fauna  selvatica  omeoterma  e  per  il  prelievo  venatorio),
 questione di legittimita' costituzionale della  legge  della  Regione
 Veneto  concernente  "Addestramento  e  allenamento  dei  falchi  per
 l'esercizio  venatorio",  riapprovata  a  maggioranza  assoluta   dal
 Consiglio regionale nella seduta del 12 giugno 1998, con modifiche al
 testo rinviato dal Governo con atto del 3 aprile 1998.
   Nella  sua  versione  originaria,  l'impugnata delibera legislativa
 veniva  rinviata  al  Consiglio   regionale   giacche',   consentendo
 l'addestramento   dei   falchi  per  l'esercizio  venatorio  "durante
 l'intero periodo  dell'anno"  -  attivita',  si  legge  nel  ricorso,
 qualificabile come venatoria alla luce della sentenza di questa Corte
 n.  578  del  1990  -,  appariva  in  contrasto con la disciplina dei
 periodi venatori di cui all'art.  18 della menzionata  legge  n.  157
 del 1992.
   In   accoglimento   dei   rilievi   formulati  in  sede  di  rinvio
 governativo, la Regione Veneto modificava la  legge  introducendo  il
 "divieto di predazione di fauna selvatica limitatamente ai periodi di
 caccia chiusa" (art. 3,  comma 3).
   Ad  avviso del ricorrente, tale modifica non consente di superare i
 rilievi governativi, in considerazione dell'inidoneita'  del  divieto
 legislativo "a produrre qualunque modificazione del comportamento del
 falco in volo" (cosi' nel ricorso).
   2.  -  Nel  giudizio  davanti  a  questa  Corte si e' costituita la
 Regione Veneto per chiedere una declaratoria  di  infondatezza  della
 questione di legittimita' costituzionale promossa dal Governo.
   Premesso  che  gia'  in altre Regioni sono in vigore discipline del
 tutto   analoghe   a   quella   censurata,   e   tuttavia    sfuggite
 all'impugnativa  statale,  la  Regione resistente deduce, nel merito,
 che il ricorso governativo si baserebbe su  un  presupposto  erroneo:
 "che il semplice addestramento del falco da caccia costituisca in se'
 esercizio di attivita' venatoria, pure se esso non abbia come scopo e
 come   effetto   l'abbattimento   di  selvaggina".  Con  la  modifica
 introdotta in accoglimento del rinvio, il  legislatore  regionale  ha
 inteso  escludere  espressamente  che l'attivita' di addestramento di
 cui si tratta  possa  "assumere  i  contenuti  e  le  caratteristiche
 dell'intervento  venatorio",  come  individuati anche alla luce della
 pronuncia di questa Corte richiamata dal ricorrente.
   La normativa censurata, obietta la difesa della  Regione,  preclude
 al falconiere di utilizzare forme di addestramento che contemplino la
 cattura  o  l'abbattimento di esemplari di selvaggina: "sara' compito
 dell'istruttore assumere le precauzioni ed adottare gli  accorgimenti
 necessari  ad evitare che il rapace, nel corso dell'allenamento, posa
 attaccare  animali  appartenenti  alla  fauna  selvatica;   parimenti
 gravera'  sull'istruttore la responsabilita' per eventuali violazioni
 della legge, qualora il falco ponga in essere azioni predatorie".
   3. - In prossimita' della data fissata per  l'udienza,  la  Regione
 Veneto  ha  depositato  una  memoria  illustrativa ad integrazione di
 quanto gia' dedotto con l'atto di costituzione.
   La difesa della Regione si diffonde sulle caratteristiche  e  sulle
 modalita'  di  esercizio della falconeria per smentire l'assunto, dal
 quale  muove  la  censura  statale,  della   natura   necessariamente
 venatoria dell'attivita' di addestramento del falco.
   Si  legge  nella memoria della Regione che l'addestramento tende in
 una prima fase a sviluppare nel rapace una capacita'  di  adattamento
 alla  presenza  dell'uomo,  inducendolo  a riconoscere e a seguire il
 proprio falconiere. In una seconda fase, il falco viene fatto volare,
 legato al pugno del falconiere, a distanze sempre maggiori. La  terza
 fase  dell'addestramento, che come le precedenti deve necessariamente
 precedere l'apertura della caccia, e' quella del  volo  libero  senza
 l'impiego di prede vive.
   In  ordine  al  rilievo  governativo della inidoneita' del precetto
 legislativo "a produrre qualunque modificazione del comportamento del
 falco in volo", la Regione resistente replica che "seguendo l'assunto
 dello Stato, si dovrebbe concludere che il tipo di  caccia  in  esame
 non  offre  mai  sufficienti  garanzie di rispetto della normativa di
 settore, in quanto il rapace potrebbe pur sempre  essere  indotto  ad
 abbattere  esemplari sottratti al prelievo, o fare incursione in aree
 protette".
   La Regione Veneto richiama  infine  l'attenzione  sull'insieme  dei
 vincoli  e  dei  controlli cui la legge regionale impugnata subordina
 l'attivita' di addestramento in  questione:  iscrizione  in  apposito
 registro   provinciale;   previa   presentazione  di  un  dettagliato
 programma di addestramento; limitazione dell'a'mbito territoriale per
 l'esercizio dell'attivita' di cui si tratta (comune  di  residenza  o
 comune  confinante con il primo); consenso del proprietario dell'area
 destinata  allo  scopo;  obbligo  di  preventiva  comunicazione  alla
 Provincia del periodo di utilizzazione del falco.
   I   menzionati   vincoli,   conclude   la   difesa  della  Regione,
 "restringono fortemente i margini di liberta' del falconiere e  danno
 completa garanzia in ordine al corretto svolgimento dell'attivita'".
                         Considerato in diritto
   1.  -  Con  ricorso  del  Presidente  del  Consiglio  dei  Ministri
 notificato il 1 e depositato l'11 luglio 1998, il Governo ha promosso
 in via principale - in riferimento all'art. 117  della  Costituzione,
 in  relazione all'art. 18 della legge 11 febbraio 1992, n. 157 (Norme
 per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per  il  prelievo
 venatorio)  - questione di legittimita' costituzionale della delibera
 legislativa concernente "Addestramento e allenamento dei  falchi  per
 l'esercizio   venatorio",  riapprovata  a  maggioranza  assoluta  dal
 Consiglio regionale del Veneto nella seduta del 12 giugno  1998,  con
 modifiche al testo rinviato dal Governo con atto del 3 aprile 1998.
   Il  ricorrente impugna l'art. 3, comma 3, della menzionata delibera
 legislativa, a norma del quale "con l'iscrizione al registro  di  cui
 al  comma  2  dell'art.  2,  il  falconiere  viene  autorizzato dalla
 Provincia ad addestrare ed allenare i falchi durante l'intero periodo
 dell'anno, con divieto di predazione di fauna selvatica limitatamente
 ai periodi di caccia chiusa", in  quanto,  apparendo  non  idoneo  "a
 produrre  qualunque  modificazione  del  comportamento  del  falco in
 volo", si  porrebbe  in  contrasto  con  la  disciplina  dei  periodi
 venatori di cui all'art.  18 della legge n. 157 del 1992.
   2. - La questione non e' fondata.
   3.  -  Alla disciplina dell'attivita' venatoria di cui all'invocata
 legge n. 157 del 1992 si puo' estendere quanto questa Corte ebbe modo
 di affermare, nella decisione richiamata dal ricorrente (sentenza  n.
 578  del  1990),  con  riguardo  all'abrogata  legge  n. 968 del 1977
 (Principi generali e disposizioni per la protezione  e  tutela  della
 fauna  e  disciplina  della caccia). Anche alla stregua della vigente
 legge-quadro,  puo' infatti ribadirsi che l'attivita' venatoria viene
 a caratterizzarsi per  il  tipo  di  azioni  svolte  (abbattimento  o
 cattura  di  animali  e  attivita'  preparatorie),  per l'oggetto cui
 l'attivita' in questione risulta  diretta  (animali  da  abbattere  o
 catturare  appartenenti  alla  fauna  selvatica), nonche' per i mezzi
 destinati allo svolgimento della stessa  attivita'  (armi  o  animali
 consentiti dalla legge come strumenti di caccia).
   Tale  premessa  non  rende  tuttavia  la denunciata legge regionale
 lesiva dei principi  stabiliti  dalla  legge  n.  157  del  1992.  Al
 contrario, nei limiti in cui, attraverso l'attivita' di addestramento
 del  falco,  o  in  conseguenza  di  essa, si realizzino i menzionati
 presupposti, deve trovare piena  applicazione  la  disciplina,  anche
 sanzionatoria, in materia di periodi venatori, che, come questa Corte
 ha  avuto  occasione  di chiarire in consonanza con la normativa e la
 giurisprudenza comunitarie, contribuisce alla delineazione del nucleo
 minimo di salvaguardia della fauna selvatica  (sentenze  n.  168  del
 1999; n. 323 del 1998).
   Ai  fini  del  presente  giudizio costituzionale, non e' necessario
 entrare nel merito della questione  dell'oggettiva  impossibilita'  -
 asserita  dal ricorrente e diffusamente contestata nelle difese della
 Regione - di addestrare il falco da caccia impedendo al  rapace  ogni
 azione di predazione di esemplari di fauna selvatica.
   Anche  se  si dovesse aderire all'assunto - nel ricorso, per altro,
 indimostrato - che esclude a  priori  la  possibilita'  di  porre  in
 essere   pratiche   o   modalita'  di  addestramento  non  implicanti
 predazione, la delibera legislativa impugnata  non  si  appaleserebbe
 idonea a concretare un vulnus agli invocati princi'pi fondamentali in
 materia  di  periodi venatori. La disciplina censurata, tutt'al piu',
 verrebbe a configurarsi, per  un  verso,  come  norma  preordinata  a
 facoltizzare  un  comportamento  (l'addestramento  senza  predazione)
 ritenuto impossibile; per  un  altro  verso,  come  reiterazione  del
 divieto di predazione durante la chiusura della caccia. In ogni caso,
 la  disposizione  impugnata  non sarebbe di ostacolo - in presenza di
 episodi di predazione di esemplari  di  fauna  selvatica  durante  la
 chiusura  della  stagione venatoria - alla doverosa irrogazione delle
 previste misure sanzionatorie; trattandosi di una norma, assistita da
 sanzione, destinata a trovare  applicazione  incondizionata,  poiche'
 vieta  in  termini  assoluti  ogni  attivita'  di  addestramento o di
 allenamento implicante predazione.