LA COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE Ha emesso la seguente ordinanza sull'appello r.g. appelli n. 1616/98 depositato il 9 aprile 1998, avverso la sentenza n. 172/33/97, emessa dalla Commissione tributaria provinciale di Roma da Marziale Michele, residente a Roma in via Tossignano, 8, difeso da Casini Carlo, residente a Roma in viale Europa, 300; Controparti, D.R.E. Lazio (V. Del Clementino); atti impugnati: s/rif. su i.rimb. - Irpef; sull'appello r.g. appelli n. 1617/98 depositato il 9 aprile 1998; avverso la sentenza n. 124/33/97, emessa dalla Commissione tributaria provinciale di Roma da: Di Giulio Enzo, residente a Roma in via A. Ciamarra, 198, difeso da Casini Carlo, residente a Roma in viale Europa, 300. Controparti, atti impugnati: s/rif. su i.rimb. - Irpef; sull'appello r.g. appelli n. 1618/98 depositato il 9 aprile 1998; avverso la sentenza n. 230/33/97 emessa dalla Commissione tributaria provinciale di Roma da: Ugolini Attilio, residente a Roma in via M. Barbi, 162, difeso da Casini Carlo, residente a Roma in viale Europa, 300. Controparti, atti impugnati: s/rif. su i.rimb. - Irpef; sull'appello r.g. appelli n. 1619/98 depositato il 9 aprile 1998; avverso la sentenza n. 267/33/97 emessa dalla Commissione tributaria provinciale di Roma da: Maestrini Gianfranco, residente a Ciampino (Roma) in via Col di Lana, 76, difeso da Casini Carlo, residente a Roma in viale Europa, 300. Controparti, atti impugnati: s/rif. su i.rimb. - Irpef; sull'appello r.g. appelli n. 1620/98 depositato il 9 aprile 1998; avverso la sentenza n. 231/33/97 emessa dalla Commissione tributaria provinciale di Roma da: Vaccaro Giuseppe, residente a Roma in via D. Stiepovich, 13, difeso da Casini Carlo, residente a Roma in viale Europa, 300. Controparti, atti impugnati: s/rif. su i.rimb. - Irpef; sull'appello r.g. appelli n. 1621/98 depositato il 9 aprile 1998; avverso la sentenza n. 117/33/97 emessa dalla Commissione tributaria provinciale di Roma da: Empler Stefano, residente a Roma in Circonvallazione Aurelia, 66, difeso da Casini Carlo, residente a Roma in viale Europa, 300. Controparti, atti impugnati: s/rif. su i.rimb. - Irpef; sull'appello r.g. appelli n. 1622/98 depositato il 9 aprile 1998; avverso la sentenza n. 211/33/97 emessa dalla Commissione tributaria provinciale di Roma da: Valenti Massimo, residente a Roma in via Granito di Belmonte, 9, difeso da Casini Carlo, residente a Roma in viale Europa, 300. Controparti, atti impugnati: s/rif. su i.rimb. - Irpef; sull'appello r.g. appelli n. 1623/98 depositato il 9 aprile 1998; avverso la sentenza n. 169/33/97 emessa dalla Commissione tributaria provinciale di Roma da: Macchi Enrico Alessandro, residente a Morazzone (Varese) in via Roccolo, 2, difeso da Casini Carlo, residente a Roma in viale Europa, 300. Controparti, atti impugnati: s/rif. su i.rimb. - Irpef; sull'appello r.g. appelli n. 1624/98 depositato il 9 aprile 1998; avverso la sentenza n. 186/33/97 emessa dalla Commissione tributaria provinciale di Roma da: Facchin Romeo, residente a Palestrina (Roma) in frazione Colle Del Vescovo, 6, difeso da Casini Carlo, residente a Roma in viale Europa, 300. Controparti, atti impugnati: s/rif. su i.rimb. - Irpef; sull'appello r.g. appelli n. 1625/98 depositato il 9 aprile 1998; avverso la sentenza n. 170/33/97 emessa dalla Commissione tributaria provinciale di Roma da: Chitti Alberto, residente a Roma in viale Desiderato Pietro, 72, difeso da Casini Carlo, residente a Roma in viale Europa, 300. Controparti, atti impugnati: s/rif. su i.rimb. - Irpef; sull'appello r.g. appelli n. 1626/98 depositato il 9 aprile 1998; avverso la sentenza n. 156/33/97 emessa dalla Commissione tributaria provinciale di Roma da: Lulli Massimo, residente Roma in via Di Donna Olimpia, 166, difeso da Casini Carlo, residente a Roma in viale Europa, 300. Controparti, atti impugnati: s/rif. su i.rimb. - Irpef; sull'appello r.g. appelli n. 1627/98 depositato il 9 aprile 1998; avverso la sentenza n. 171/33/97 emessa dalla Commissione tributaria provinciale di Roma da: Colini Maurizio, residente a Ardea (Roma), via Orba, 4, difeso da Casini Carlo, residente a Roma in viale Europa, 300. Controparti, atti impugnati: s/rif. su i.rimb. - Irpef; sull'appello r.g. appelli n. 1628/98 depositato il 9 aprile 1998; avverso la sentenza n. 120/33/97 emessa dalla Commissione tributaria provinciale di Roma da: Fanali Benedetto, residente a Civitavecchia (Roma) in via del Casaletto Rosso, 50, difeso da Casini Carlo, residente a Roma in viale Europa, 300. Controparti, atti impugnati: s/rif. su i.rimb. - Irpef; sull'appello r.g. appelli n. 1629/98 depositato il 9 aprile 1998; avverso la sentenza n. 151/33/97 emessa dalla Commissione tributaria provinciale di Roma da: Lamanna Rino, residente a Ciampino (Roma) in via Mura dei Francesi, 23, difeso da Casini Carlo, residente a Roma in viale Europa, 300. Controparti, atti impugnati: s/rif. su i.rimb. - Irpef; sull'appello r.g. appelli n. 1630/98 depositato il 9 aprile 1998; avverso la sentenza n. 173/33/97 emessa dalla Commissione tributaria provinciale di Roma da: Cristallo Vittorio, residente a Roma in via Feronia, 148, difeso da Casini Carlo, residente a Roma in viale Europa, 300. Controparti, atti impugnati: s/rif. su i.rimb. - Irpef; sull'appello r.g. appelli n. 1631/98 depositato il 9 aprile 1998; avverso la sentenza n. 188/33/97 emessa dalla Commissione tributaria provinciale di Roma da: Fascioli Maurizio, residente a Roma in via Luchino dal Verme, 118, difeso da Casini Carlo, residente a Roma in viale Europa, 300. Controparti, atti impugnati: s/rif. su i.rimb. - Irpef; sull'appello r.g. appelli n. 1632/98 depositato il 9 aprile 1998; avverso la sentenza n. 155/33/97 emessa dalla Commissione tributaria provinciale di Roma da: Ippoliti Delio, residente a Roma in via dei Berio, 61, difeso da Casini Carlo, residente a Roma in viale Europa, 300. Controparti, atti impugnati: s/rif. su i.rimb. - Irpef; sull'appello r.g. appelli n. 1633/98 depositato il 9 aprile 1998; avverso la sentenza n. 184/33/97 emessa dalla Commissione tributaria provinciale di Roma da: D'Orio Gianpiero, residente a Roma in via F. Paolini, 58, difeso da Casini Carlo, residente a Roma in viale Europa, 300. Controparti, atti impugnati: s/rif. su i.rimb. - Irpef; sull'appello r.g. appelli n. 1634/98 depositato il 9 aprile 1998; avverso la sentenza n. 158/33/97 emessa dalla Commissione tributaria provinciale di Roma da: Hiernaux Myriam, residente a Roma in via Manlio Di Verdi, 38, difeso da Casini Carlo, residente a Roma in viale Europa, 300. Controparti, atti impugnati: s/rif. su i.rimb. - Irpef; sull'appello r.g. appelli n. 1635/98 depositato il 9 aprile 1998; avverso la sentenza n. 272/33/97 emessa dalla Commissione tributaria provinciale di Roma da: Marinello Gennaro, residente a Roma in piazza Della Rocca, 2, difeso da Casini Carlo, residente a Roma in viale Europa, 300. Controparti, atti impugnati: s/rif. su i.rimb. - Irpef; sull'appello r.g. appelli n. 1636/98 depositato il 9 aprile 1998; avverso la sentenza n. 266/33/97 emessa dalla Commissione tributaria provinciale di Roma da: Grassi Giovanni Battista, residente a Roma in via C. Casana, 20, difeso da Casini Carlo, residente a Roma in viale Europa, 300. Controparti, atti impugnati: s/rif. su i.rimb. - Irpef; sull'appello r.g. appelli n. 1637/98 depositato il 9 aprile 1998; avverso la sentenza n. 253/33/97 emessa dalla Commissione tributaria provinciale di Roma da: Santucci Stefano, residente a Roma in via F. Sapori, 21, difeso da Casini Carlo, residente a Roma in viale Europa, 300. Controparti, atti impugnati: s/rif. su i.rimb. - Irpef; sull'appello r.g. appelli n. 1638/98 depositato il 9 aprile 1998; avverso la sentenza n. 271/33/97 emessa dalla Commissione tributaria provinciale di Roma da: Manto Vitale, residente a Cerveteri (Roma) in via V. Marini, 10, difeso da Casini Carlo, residente a Roma in viale Europa, 300. Controparti, atti impugnati: s/rif. su i.rimb. - Irpef; sull'appello r.g. appelli n. 1639/98 depositato il 9 aprile 1998; avverso la sentenza n. 161/33/97 emessa dalla Commissione tributaria provinciale di Roma da: Granziol Gianfranco, residente a Roma, in largo Castelbolognese, 10, difeso da Casini Carlo, residente a Roma in viale Europa, 300. Controparti, atti impugnati: s/rif. su i.rimb. - Irpef; sull'appello r.g. appelli n. 1640/98 depositato il 9 aprile 1998; avverso la sentenza n. 175/33/97 emessa dalla Commissione tributaria provinciale di Roma da: Danieli Dario, residente a Roma in via Malosco, 78, difeso da Casini Carlo, residente a Roma in viale Europa, 300. Controparti, atti impugnati: s/rif. su i.rimb. - Irpef.Oggetto della domanda, svolgimento del processo e motivi della decisione Considerato in fatto Con ricorso al pretore del lavoro, proposto nel 1985, alcuni dipendenti dell'Alitalia S.p.a. - personale di volo - convenivano la Societa', perche' fosse dichiarata l'illegittimita' di ritenute Irpef operate sulle indennita' di volo e di trasferta, nonche' per ivi sentirla condannare al risarcimento dei danni consitenti nella maggiore imposta pagata e nelle minori somme percepite, oltre agli interessi. La convenuta eccepiva il difetto di giurisdizione dell'AGO, ma il giudice adito si pronunciava, comunque, nel merito, rigettando la domanda. La societa' proponeva, quindi, appello ed il tribunale dichiarava il difetto di giurisdizione dell'AGO sussistendo nella materia, oggetto del contendere, la giurisdizione delle Commissioni tributarie. La Suprema Corte, successivamente investita della questione, affermava la pregiudilita' del giudizio tributario per l'accertamento della illegittimita' delle ritenute alla fonte, motivando come segue: "sulla base della costante giurisprudenza di questa Corte, come e' noto), ... le commissioni tributarie hanno giurisdizione sulla controversia promossa dal sostituito nei confronti del sostituto per ottenere il rimborso di quanto trattenuto e versato a titolo di acconto Irpef, maggiorato degli interessi (Cass. 29 agosto 1990, n. 8999; Cass. 26 febbraio 1991, n. 2050 e successive conformi). E' certamente un'autonoma domanda risarcitoria, che tende alla tutela d'interessi diversi ed ulteriori rispetto a quelli soddisfatti con il rimborso delle somme che si assumono indebitamente versate a titolo d'imposta, quella per il risarcimento del danno consistente nella maggiore imposta corrisposta anno per anno a causa del maggior imponibile. In relazione a tale domanda sussiste la giurisdizione del giudice ordinario, anche se - stante il carattere di pregiudizialita', che, rispetto a questa richiesta, presenta la controversia sulla legittimita' della ritenuta d'acconto - spettera' a quest'ultimo giudice adottare i provvedimenti conseguenti, in ordine alla sorte del giudizio per danni, in attesa della decisione definitiva sulla controversia tributaria". La Suprema Corte cosi', dunque, pronunciava, accogliendo parzialmente il ricorso e cassando con rinvio al tribunale di Roma, sezione lavoro (sent. n. 1436/1994). Con separate istanze presentate alla DRE per il Lazio, nel 1995, gli stessi dipendenti chiedevano il rimborso delle ritenute versate dalla Societa' e con successivo ricorso impugnavano il silenzio-rifiuto dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Roma, ricostruendo la pregressa vicenda processuale per la verifica della giurisdizione ed affermando l'illegittimita' delle ritenute, operate. Controdeduceva l'ufficio rilevando, preliminarmente, l'intervenuta decadenza di cui all'art. 38, d.P.R. n. 602/1973, in ordine alla presentazione dell'istanza di rimborso e la conseguente mancanza di un provvedimento di implicito diniego suscettibile di impugnazione; nel merito, confutava ogni eccezione e richiesta della ricorrente. Con distinte decisioni del 1997, la Commissione respingeva i ricorsi per intervenuta decadenza ex art. 38, poiche' l'istanza di rimborso era stata presentata nel 1995 per versamenti ralenti al periodo 1974/1990. Propongono appelli i contribuenti Marziale Michele ed altri con atti aventi i n. di r.g. dal 1616/1998 al 1640/1998 rilevando, pregiudizialmente, che il giudice di prime cure ha motivato apoditticamente e mancando di considerare il complesso iter processuale, iniziato nel 1985 e precedente il giudizio tributario, interruttivo del corso della prescrizione, nonche' la necessita' di ritenere che il termine decadenziale di diciotto mesi non poteva che decorrere, nei confronti dell'Amministrazione, dal momento in cui fosse stata affermata la competenza del giudice tributario, non essendo pensabile che egli potesse essere tenuto a presentare l'istanza restitutoria, prima ancora di conoscere chi fosse competente nella dedotta materia. Eccepiscono, inoltre, che, una volta dichiarata, da parte delle sezioni unite, la giunsdizione tributaria, condizione del processo, l'accesso al giudice tributario debba essere diretto e non possa subire ulteriori remore temporali. Ulteriore motivo di doglianza e' l'erronea qualificazione del caso di specie, quale ipotesi di indebito "versamento diretto", con conseguente illegittima applicazione dell'art. 38. d.P.R. n. 602/1973, trattandosi di prelievi alla fonte effettuati con il sistema della "ritenuta diretta" cui andava applicato, pertanto, il precedente art. 37, contenente un termine di prescrizione decennale per la domanda di rimborso. Sottolinea, comunque, che anche nel caso in cui fosse stato adottato il sistema del versamento diretto, comunque, il termine di decadenza di cui all'art. 38, sarebbe stato cogente solo nei confronti dei sostituto, non, invece, per il sostituito, per il quale l'istanza nel termine costituiva solo una facolta'. L'istanza, quindi, sarebbe stata tempestiva ed il ricorso ammissibile e proposto nei termini. L'appellante, inoltre, "in via subordinata", solleva questione di legittimita' costituzionale dell'art. 38. d.P.R. n. 602/1973, nella lettura fatta propria dal giudice di prime cure, in relazione agli artt. 3, 28 e 97, Cost., in quanto: "sarebbero fortemente violati i principi di uguaglianza, di commisurazione alla capacita' contributiva del cittadino rispetto alla imposizione fiscale nonche' di rispetto delle regole di buona amministrazione in quanto crea una situazione di privilegio della Amministrazione fiscale in deroga al regime comune della tutela dei diritti anche nel caso di repetitivo indebiti". Chiede, in via principale ed in integrale riforma della decisione impugnata, l'accoglimento di ogni domanda gia' proposta in primo grado, con la condanna dell'ufficio al rimborso delle somme indebitamente percette, oltre agli interessi al saldo. Controdeducendo all'appello; l'ufficio afferma che, nel caso di specie, il sistema di versamento all'erario delle somme prelevate alla fonte non e' quello della ritenuta diretta bensi' quello dei versamento diretto, dovendosi applicare, quindi, l'art. 38 ed il relativo termine decadenziale per l'istanza restitutoria, presupposto per il ricorso al giudice tributario. Rileva, inoltre, che dalla dichiarazione del difetto giurisdizionale dell'AGO in materia butana e della competenza della Commissione tributaria non puo' scaturire alcuna rimessione in termini per la presentazione dell'istanza di rimborso, il cui termine decadenziale non e', comunque, suscettibile di sospensione. Sottolinea, infine, che competente a decidere della rivalutazione monetaria e' l'AGO e che gli interessi sul credito d'imposta sono da corrispondere secondo la normativa tributaria, contestando, comunque, nel merito, le affermazioni della controparte e chiedendo la conferma della decisione appellata, con conseguente rigetto delle richieste del contribuente. Con successive memorie difensive l'appellante ribadisce quanto gia' affermato circa l'illegittima ed erronea applicazione dell'art. 38, d.P.R. n. 602/1973, richiamando, sul punto, alcuni pronunciati giurisprudenziali. In diritto La Commissione ritiene di dover riunire i procedimenti dal n. di r.g. 1616/1998 al n. 1640/1998 per connessione oggettiva e soggetiva. La pur articolata e complessa vicenda processuale che ha preceduto l'appello dinanzi a questa Commissione tributaria regionale, puo' sostanzialmente essere sintetizzata come segue. Il dipendente dell'Alitalia S.p.a. ha agito dinanzi. all'Ago per ottenere dalla societa', nella qualita' di sostituto d'imposta, il risarcimento dei danni cagionati con l'esecuzione errata ed illegittima di ritenute alla fonte ed i conseguenti versamenti diretti nelle casse dell'Erario. Dopo tre gradi di giudizio, la Suprema Corte di Cassazione ha affermato la giurisdizione tributaria circa la legittimita' delle ritenute alla fonte, pregiudiziale rispetto alla autonoma domanda risarcitoria giustamente avanzata nelle forme del rito civile dinanzi all'autorita' giurisdizionale ordinaria. Le illegittime ritenute sono state operate nel periodo 1974/1990; la Suprema Corte si e' pronunciata in tal senso nel 1994 e il contribuente, o, sostituito, quindi, solo nel 1995 ha inoltrato istanza di rimborso alla competente DRE per il Lazio, impugnandone il diniego implicito' dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Roma. In quest'ultima sede, peraltro, l'ufficio, resistendo al ricorso, ha preliminarmente eccepito la tardivita' dell'istanza di rimborso rispetto al termine perentorio dell'art. 38, n.602/1973, e la mancanza, quindi, di quel diniego implicito che esclusivamente poteva costituire oggetto di impugnazione dinanzi al giudice tributario, ottenendo la declaratoria di inammissibilita' del ricorso per i motivi denunciati. La Commissione, ai fini del decidere, rileva che non possa prescindersi dall'esame della eccepita illegittimita' costituzionale del richiamato art. 38, stante la innegabile sua rilevanza ai fini della soluzione della presente controversia. La Commissione ritiene non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale di detta norma, sollevata dall'appellante, e giudica la questione meritevole di essere sottoposta al vaglio della Corte costituzionale per i motivi di seguito illustrati. La questione e' stata gia' in precedenza portata all'esame del giudice delle leggi, ma cio' non esclude che sulla base di nuovi profili o di una differente e piu' approfondita esposizione dei dubbi di costituzionalita' della norma del decreto sulla riscossione, in relazione agli artt. 3, 24 e 53, della Costituzione possa essere utilmente riproposta, anche in relazione ai nuovi e piu' maturi orientamenti, che stanno progressivamente riconoscendo ai contribuenti ed ai cittadini in genere un differente porsi nei confronti dello Stato. Il favor fisci, che ha dominato per lungo tempo non sembra piu' rispondente alle esigenze di giustizia sostanziale ne' puo' ancora giustificare disparita' di trattamento a favore dell'erario, specie ove vengano ridotti a suo esclusivo vantaggio i termini per l'esercizio del diritto al rimborso di somme di denaro, che non costituiscono tributi e per legge non dovute. Il favor fisci in relazione all'equilibrio dei conti pubblici che negli anni passati poteva costituire una sorta di dogma contro il quale la istanze dei contribuenti risultavano vane, non sembra che possa ancora porsi come baluardo contro i contribuenti che vantano un credito in denaro nei confronti dell'erario. Il difforme trattamento dei crediti, a seconda della tipologia del creditore ed a maggior ragione quando non sussiste alcun fondamento per la ritenzione delle somme come accade proprio nelle ipotesi di sostituzione di imposta con errato versamento di somme a carico del sostituito ignaro, non sembra piu' trovare nel comune sentire i doveri tributari una credibile giustificazione al di fuori del mero potere di imperio del legislatore-amministratore. Le esigenze erariali non sembra che possano essere legittimamente tutelate con la riduzione dei termini della difesa per il contribuente e per questa via consolidare a proprio vantaggio il possesso di somme indebite. E cio' a maggior ragione nelle ipotesi sempre tendenzialmente piu' ampie ove l'errata trattenuta e versamento di somme sia opera di terzi e non del soggetto passivo del tributo, che rimane pertanto estraneo alle operazioni compiute, ma ugualmente sopporta il decorrere del tempo previsto dall'art. 38. La Commissione ritiene che l'art. 38, ove riguardato in relazione agli artt. 43, d.P.R. n. 600/1973, e 57, d.P.R. n. 633/1972, realizzi una irrazionale ed ingiustificata discriminazione della posizione del contribuente, rispetto alla posizione, sostanzialmente analoga, dell'Amministrazione finanziaria, quando debba accertare e riscuotere il tributo. In altri termini, da un lato, l'Amministrazione ha un ampio termine per avanzare la pretesa fiscale nei confronti del contribuente, variabile a seconda del momento e della tipologia dell'accertamento, nonche' del tributo considerato, tra i quattro ed i sei anni decorrenti dalla presentazione della dichiarazione o dal termine ultimo per la sua tempestiva presentazione, nelle ipotesi di omissione; dall'altro, il contribuente e' tenuto ad attivarsi nel breve termine dalla data del versamento eseguito dal sostituto, inoltrando istanza di rimborso al competente ufficio amministrativo e precostituendosi, cosi', la sola possibilita' di portare la questione dinanzi all'autorita' giurisdizionale. I diversi tempi accordati dall'ordinamento giuridico alla tutela delle rispettive posizioni creditorie, d'altra parte, non si giustificano neanche nella piu' attenta lettura pro fisci della formula dell'art. 38, in quanto non si vede quale nocumento avrebbe potuto arrecare all'Amministrazione la equiparazione tra contribuente avente diritto al rimborso ed erario creditore del tributo. Ne' puo' ritenersi che il diverso lasso temporale riconosciuto per azionare le rispettive pretese creditorie possa esser stato necessitato da esigenze quali la stabilita' o prevedibilita' del gettito, poiche': da un lato, l'alternativa non sarebbe stata l'assenza di limiti temporali all'esercizio del diritto di rimborso, ma solo la previsione di un termine piu' congruo e ragionevole, anche comparativamente alla posizione dell'erario accertatore o creditore del tributo dovuto; dall'altro, comunque, un termine cosi' breve per la sola presentazione dell'istanza non puo' avere quelle giustificazioni, quando il successivo iter procedimentale anche per l'accertamento della debenza delle somme rivendicate, dal quale innegabilmente dipenderebbe l'effettiva soddisfazione degli interessi generali ipotizzati, si conclude solo dopo alcuni anni e senza che vi sia na norma che imponga cadenze temporali serrate e perentorie all'Amministrazione. Mancano, in altri termini, le sole garanzie "positive" idonee ad elevare le finalita' di prevedibilita' e stabilita' del gettito alla dignita' di ratio della grave e discriminatoria compressione del diritto di rimborso realizzata dall'art. 38. Peraltro, e' difficile ipotizzare ulteriori e valide finalita' di interesse generale, tali da giustificare la sperequazione denunciata. Per converso, un termine piu' ampio, almeno pari a quello concesso all'Amministrazione quando assume la posizione creditrice, avrebbe costituito, e costituisce, la sola soluzione normativa utile a garantire anche la effettivita' del diritto alla ripetizione di somme non dovute all'erario e della possibilita' una successiva, eventuale e rituale investitura dell'autorita' giurisdizionale competente. Da un lato, quindi, vi e' una limitazione temporale, che, nell'entita', non sembra ave alcuna razionale giustificazione; dall'altro, superiori canoni quali l'eguaglianza e la giustificazione contributiva della prestazione patrimoniale imposta sono inspiegabilmente mortificati dalla soluzione prescelta a o tempo dal legislatore ordinario per la posizione del solo contribuee creditore. D'altra parte, proprio recentissimamente, in seno al collegato fiscale alla finanziaria 1999 (art. 1, quinto comma, l. 13 maggio 1999, n. 133, in Suppl. ord. della Gazzetta Ufficiale del 17 maggio 1999, n. 113), e' stata approvata una modifica del termine indicato al primo comma dell'art. 38, d.P.R. n. 602/1973, elevato da diciotto a quarantotto mesi e non e' certo casuale, o priva di rilievo, la circostanza che detta estensione realizzi l'equiparazione, almeno dal periodo d'imposta 1999, tra la posizione dell'Amministrazione creditrice e quella del contribuente avente diritto al rimborso. Infatti, per effetto dell'art. 15, comma 1, lett. a) d.lgs. 9 luglio 1997, n. 241, a partire dalle dichiarazioni successive al 1o gennaio del 1999, gli avvisi di accertamento devono essere notificati, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del quarto anno successivo a quello di presentazione. La successione logica e temporale dei richiamati interventi normativi e la sostanziale equiparazione del tempo utile ad avanzare le rispettive pretese creditorie, per contribuente e amministrazione, rafforzano, quindi, i dubbi di questa Commissione circa la legittimita' del sistema previgente, vale a dire della disciplina esclusivamente applicabile nel decidere la controversia de quo, in ragione della irretroattivita' della succitata modifica all'art. 38, primo comma. Anche l'evoluzione normativa, in altri termini, sembra chiaramente confermare l'inadeguatezza ed eccessiva brevita' del termine di diciotto mesi sancito dall'art. 38 sulla base del quale i primi giudici hanno dichiarato tardiva l'istanza di rimborso ed inammissibile il conseguente ricorso avverso il silenzio-rifiuto dell'ufficio adito; allo stesso tempo, la maturata consapevolezza del legislatore costituisce un ulteriore elemento di conforto circa la denunciata natura discriminatoria del termine sancito dall'art. 38, nel testo vigente sino al 17 maggio 1999. Va quindi rilevato come il parziale allungamento del termine, se pur denota la consapevolezza del legislatore sulla sostanziale iniquita' dello stesso, tuttavia non sana il vizio denunziato in quanto continua a sussistere il divario con il termine ordinario decennale. Quand'anche, poi, si ritenesse sussistente un interesse pubblico che attenga alla organizzazione dell'attivita' amministrativa, alla stabilita' del gettito, alla certezza dei rapporti giuridici, o, ancora, alla deflazione delle pendenze amministrative e giurisdizionali, che possa conferire una valida giustificazione logica alla discriminazione normativa della posizione creditoria del contribuente, sarebbe possibile e dovuto eguale rigore nel valutare la posizione giuridica e fattuale di quest'ultimo. Il sostituito, infatti, anche nella piu' ottimistica previsione del legislatore, e' nell pratica impossibilita' di monitorare consapevolmente la regolarita delle operazioni demandate al sostituto e la legittimita' ed esattezza del versamenti da questi operati nei confronti dell'erario, come delle previe ritenute alla fonte. E, soprattutto, non e' pensabile che egli possa provvedervi con la solerzia e la costanza imposte da un cosi' breve termine decadenziale per la presentazione dell'istanza. La posizione del sostituito, pertanto, e' chiaramente e pesantemente mortificata, sino alla sostanziale espropriazione delle somme che ha diritto di ripetere, in quanto ritenute e versate in assenza di causa giustificativa. Ne', d'altra parte, e' ipotizzabile, come valido rimedio, la sua soggezione di fatto all'ulteriore onere di avvalersi dell'ausilio di terzi professionalmente idonei all'esegesi dei complicati meccanismi contabili e fiscali dai quali scaturisce la quantificazione del prelievo alla fonte, che pure sarebbe indispensabile per scongiurare il rischio di una conoscenza tardiva dell'erroneo ed illegittimo operato del sostituto ed in conseguenza, del diritto alla ripetizione nei confronti dell'Amministrazione finanziaria. La sostituzione d'imposta, inoltre, nasce legittimamente come istituto strumentale alla certezza, celerita' e semplificazione della riscossione tributaria, mentre non puo' acquisire, per effetto del sistema fattuale e giuridico delineato dall'art. 38, l'ulteriore, sostanziale ed illegittima, quand'anche non voluta, utilita' al reperimento di gettito privo della "causa contributiva". Il breve termine decadenziale per l'esercizio del potere di richiedere il rimborso non ha alcuna potenzialita' strumentale rispetto alla finalita' di garantire il concorso di tutti alle pubbliche spese e di assicurare la rapidita' e certezza di tale contribuzione, realizzando, invece, una irrazionale e discriminatoria disciplina della posizione creditoria del sostituito, sotto tale profilo, evidentemente e gravemente lesiva del principio cardine del nostro ordinamento costituzionale, codificato all'art. 3 della Carta Fondamentale. Infine, quand'anche fosse possibile individuare un'apprezzabile fondamento della discriminazione realizzata dall'art. 38, in relazione ai termini per l'accertamento e la riscossione dei tributi, comunque, il bilanciamento razionale cui il legislatore e' chiamato, tra i molteplici interessi individuali, collettivi e generali coinvolti dalla mediazione normativa, avrebbe dovuto evidenziare come oltremodo penalizzante ed ingiustificata la codificata compressione di interessi di rango superiore, portati dal contribuente creditore, quali il diritto alla tutela giurisdizionale ed alla giustificazione, nella specie "contributiva" della diminuzione patrimoniale subita. In particolare, proprio il principio cardine del sistema tributario sancito dall'art. 53, Cost., esigeva che il legiferante escludesse la soluzione rubricata all'art. 38, per accedere, invece, a quella imperativa di un maggiore ed eguale lasso temporale per la ripetizione di quanto indebitamente percetto dall'erario. La Commissione, inoltre, ritenendola certamente rilevante e non manifemente infondata, solleva d'ufficio questione di legittimita' costituzionale dell'art. 38, d.P.R. n. 602/1973, in combinato disposto con l'art. 2, d.lgs. n. 546/1992, ed in relazione all'art. 24, della Costituzione. Infatti, le norme di legislazione ordinaria richiamate realizzano la sostanziale irresponsabilita' del sostituto d'imposta per le ritenute illegittimamente operate, quando il sostituito non si sia attivato tempestivamente per richiederne il rimborso ed ottenere la restituzione ovvero, quel diniego, esplicito o implicito, essenziale alla possibilita' di tutela giurisdizionale, anche nei confronti del sostituto. Quest'ultimo si inserisce nel rapporto d'imposta, come entita' giuridica ritenuta suscettibile di essere assoggettata agli oneri del prelievo alla fonte e del versamento all'erario ed, in questa veste, ausiliario dell'Amministrazione finanziaria, prezioso ed autoritativamente imposto al contribuente. L'adempimento dell'obbligazione d'imposta del sostituito, infatti, non scaturisce da un suo incarico o atto di autonomia negoziale, bensi' costituisce l'oggetto di una imposizione autoritativa, ope legis, da un lato nei confronti dello stesso sostituto d'imposta, dall'altro nei confronti del sostituito. Il sostituto e', normalmente, il soggetto che eroga l'entita' economica-reddito che esprime la capacita' contributiva del percipiente assoggettata al prelievo in acconto ed e' tenuto, all'atto dell'erogazione, allo stralcio delle somme dovute all'erario. Gestisce quindi, la posizione fiscale del sostituito in virtu' di una normativa che, ad un tempo, lo obbliga e lo autorizza ad adempimenti esclusivamente funzionali a semplificare l'accertamento e la riscossione dei tributi, nonche' a maggiormente garantirli e velocizzarli, secondo cadenze temporali rigide e sanzionate, anche quale soggetto che avra', ragionevolmente, minore interesse ad occultare l'avvenuta realizzazione del presupposto impositivo, rispetto al debitore sostanziale del tributo, ed e' in possesso della struttura organizzativa e tecnico-professionale, all'uopo necessaria. Tuttavia, quando il suo operato lede la posizione sostanziale del sostituito, l'ordinamento non prevede alcuna sanzione capace di prevenirne e reprimere la condotta negligente e dannosa, garantendone, o stimolandone, l'interesse alla tutela dei diritti del sostituito, per una finalita', certo, non in contrasto con il primario interesse erariale perseguito. Irragionevolmente ed illegittimamente, pertanto, le conseguenze patologiche dell'errato operare di questo soggetto fiscale, imposto dal legislatore pro fisci, sono poste a carico esclusivo del contribuente sostituito. L'art. 38, d.P.R. n. 602/1973, disciplinando il procedimento amministrativo di rimborso delle somme non dovute all'erario, ne equipara, infatti, la posizione a quella del sostituto, prevedendo, per entrambi, l'onere della proposizione di una istanza nel breve termine decadenziale, decorrente dal versamento indebito. Secondo il tenore letterale della norma, commi 1 e 2, inoltre, il sostituto d'imposta e' il principale soggetto legittimato a richiedere il rimborso delle somme erroneamente versate, pur non essendovi obbligato, al pari del percipiente le somme assoggettate a ritenuta, solo legittimato concorrente a detta istanza, eppure unico titolare dell'interesse sostanziale alla ripetizione. Orbene, il legislatore, intanto, non prevede alcun obbligo di attivazione per il sostituto d'imposta, ne' tanto meno esige l'iniziativa del sostituito, ma riconosce ad entrambi il potere di richiedere il rimborso ed inoltrare all'uopo con tempestivita' la necessaria istanza. L'opzione normativa, quindi, appare, gia' per questo, illogica e contraria ai generali principi che governano l'autonomia negoziale ed il diritto privato, poiche' e evidente che se essi impongono di riconoscere al sostituito la piu' ampia liberta' di valutare l'opportunita' della rivendicazione delle somme a lui spettanti, ma esigono che non sia riconosciuta eguale liberta', o possibilita' di scelta, al sostituto d'imposta, specie se allo stesso non sia imposta, almeno, una pronta informazione del titolare della posizione sostanziale "gestita" e lesa, o potenzialmente menomata. Ne' e' sostenibile che la formula letterale della norma non precluda di affermare la doverosita' di detti adempimenti', almeno per il sostituto d'imposta, in quanto - per tacere del verbo all'uopo usato, univocamente espressivo del contrario intento legislativo - basterebbe considerare l'assenza di qualsivoglia forma di sanzione, diretta o indiretta, nei confronti del sostituto per l'omessa o tardiva presentazione della istanza di rimborso. Aggravante ulteriore della posizione del sostituito e', poi, la sua soggezione ad un termine decadenziale che ha la medesima decorrenza e la medesima durata del termine posto all'azione del sostituto d'imposta, potendo lamentare l'inadempimento di quest`ultimo, solo quando non ha piu' alcuna possibilita' di azione, anche solo nei suoi confronti. E', pertanto, evidente che il sostituto d'imposta non ha cointeressenza al controllo degli adempimenti assolti, come alla solerte e tempestiva attivazione del procedimento amministrativo necessario a preservare ed azionare il diritto al rimborso del sostituito. Anzi, il diritto vivente, ovvero, il consolidato orientamento della Suprema Corte di Cassazione, sostanzialmente, ne garantisce la irresponsabilita', per il danno consistente nelle illegittime ritenute, quando sia inultilmente decorso il termine concesso al sostituto per proporre l'istanza di rimborso. Detta scadenza, infatti, non solo preclude la via della ripetizione al sostituto d'imposta, ma la ostruisce definitivamente anche al sostituito, privandolo della possibilita' di ottenere un provvedimento implicito o esplicito dell'Amministrazione e, per esso, l'investitura del giudice tributario, esclusivamente competente ad accertare quella illegittimita' delle ritenute e dei versamenti diretti, indispensabile per contestare al sostituto la responsabilita' extracontrattuale. Sostanzialmente, quindi, l'inutile scadenza del termine per l'istanza di rimborso, contemporaneamente, scongiura ogni possibilita' successiva di azionare pretese risarcitorie nei confronti del sostituto, rendendolo, di fatto e definitivamente, irresponsabile per il danno cagionato al sostituito. Tale grave e non scongiurabile conseguenza, scaturisce dalla delimitazione della giurisdizione ordinaria realizzata dalla interpretazione costante della Suprema Corte di Cassazione e precisata, da ultimo, sempre sezioni unite, con sentenza del 9 giugno 1997, n. 5138 (in Bancadati, Ipsoa, I Quattro Codici, n. 1/1999), ribadendo che il difetto di giurisdizione e' nella specie prospettabile, essendo in discussione la legittimita' della ritenuta operata a titolo di acconto per Irpef, cioe' per un'imposta che rientra espressamente tra quelle devolute alle Commissioni tributarie. In proposito, questa Corte ha piu' volte avuto modo di affermare che la controversia tra sostituito e sostituto d'imposta relativa alla legittimita' delle ritenute d'acconto operate dal secondo, e' devoluta alla competenza giurisdizionale delle Commissioni tributarie. Infatti, la legittimita' della ritenuta - nella specie, disposta dall'art. 25 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 e successive modificazioni, relativo ai redditi di lavoro autonomo - non integra una mera questione pregiudiziale, suscettibile di essere delibata incidentalmente, ma comporta una causa di natura tributaria avente carattere pregiudiziale, la quale deve essere definita, con effetti di giudicato sostanziale, dal giudice cui la relativa cognizione spetta per ragioni di materia, in litisconsorzio necessario con l'Amministrazione finanziaria. Tale principio non soffre deroga quando la controversia stessa sia sorta tra sostituto e sostituito, perche' l'originaria incompletezza del contraddittorio non puo' implicare uno spostamento della giurisdizione, mentre e' compito del giudice munito di essa provvedere all'integrazione del contraddittorio stesso (art. 99 - 102 c.p.c., applicabili anche nel processo tributario. Non ricorre alcuna deroga neppure quando siano scaduti i termini di decadenza previsti dalla legge per richiedere la restituzione delle somme versate all'Amministrazione finanziaria, atteso che tale scadenza incide sulla fondatezza e sull'ammissibilita' dell'azione da proporre innanzi al giudice tributario, ma e' priva di effetti sulla giurisdizione dello stesso, non essendo prevista dall'ordinamento alcuna giurisdizione residuale dell'autorita' giudiziaria ordinaria, a seguito dell'improponibilita', inammissibilita' o infondatezza della domanda devoluta alla giurisdizione delle Commissioni tributarie" (cfr., in senso conforme, Cass., sez. un. 7 maggio 1996, n. 4223; 10 ottobre 1994, n. 8277, in Mass. giur 1av., 1994, 625; 17 luglio 1992, n. 8683, in Comm. trib. centr., 1992, II, 2186)". Con la pronuncia n. 4598/1992, inoltre, sempre a Sezioni unite, il giudice di legittimita' aveva gia' precisato che: "tale giurisdizione, che deve essere affermata indipendentemente dal fatto che quell'amministrazione non sia stata citata (spettando al giudice di esso munito disporre l'integrazione del contraddittorio), si estende alla richiesta di riconoscimento degli interessi, in considerazione del loro carattere accessorio, ma non anche alla domanda di risarcimento del danno derivante da svalutazione monetaria, che e' autonoma e resta proponibile davanti al giudice ordinario, fondandosi sulla responsabilita' del debitore per il ritardato adempimento del debito di valuta (Cas. sez. un., 15 aprile 1992, n. 4598, in Mass., 1992; cfr., nello stesso senso, Cass. 8 febbraio 1991, n. 1306, in Mass, 1991; Cass., 11 gennaio 1991, n. 217, in Comm. trib. centr., 1991, II, 690; Cass., 28 giugno 1990, n. 6565, in Comm. trib. centr., 1990, II, 1599; Cass., 10 maggio 1990, 3843, in Comm. trib. centr., 1990, II, 1101. Pertanto, l'affermazione della giurisdizione delle Commissioni tributarie, esclusiva e non derogabile neanche per delibazione incidentale, se riguardata in relazione al regime decadenziale delineato dall'art. 38 per il sostituito, priva quest'ultimo, quando decaduto dal potere di richiedere il rimborso e di adire avverso all'eventuale diniego la Commissione tributaria provinciale, anche della possibilita' di azionare la pretesa risarcitoria nei confronti del sostituto d'imposta. Questi, per converso, e' esente da responsabilita' per l'eventuale duplice inadempimento, consistente nell'illegittima ritenuta operata e nella mancata tempestiva richiesta del rimborso a seguito del controllo successivo al versamento. Il contribuente sostituito, quindi, viene sostanzialmente privato di ogni tutela del diritto alla restituzione delle somme illegittimamente ritenute alla fonte e senza alcuna reale e verosimile possibilita' di controllare efficacemente e costantemente la imposta gestione altrui del proprio rapporto con l'Amministrazione finanziaria. Anche sotto tale profilo, pertanto, e' evidente la irrazionalita' della disciplina contenuta nel decreto sulla riscossione, in quanto l'autore della illegittima ritenuta alla fonte e dell'indebito versamento nelle casse dell'Erario ha certamente la possibilita' di monitorare e verificare gli adempimenti connessi alla sostituzione, con la solerzia e la competenza richieste dall'art. 38, ma, in virtu' della sua sostanziale irresponsabilita' quando il sostituito sia decaduto dall'azione di ripetizione nei confronti dell'Amministrazione, non ha quella cointeressenza che ne garantirebbe, almeno in astratto, la scrupolosita' e solerzia di azione nell'interesse del sostituito. Quest'ultimo, al contrario, ha certamente interesse a subire ritenute alla fonte legittime e correttamente computate; ma non esegue la determinazione dell'imposta ritenuta, ne' i conseguenti versamenti all'Erario, ed, infine, non ha quella competenza, o quell'ausilio professionale, ormai indispensabili per decifrare i meccanismi contabili e giuridici attraverso i quali si quantifica l'onere contributivo ed il prelievo in acconto, di cui, invece, deve essere provvisto in ogni caso il sostituto per gli adempimenti cui e' tenuto. Non a caso la recente evoluzione legislativa realizza, progressivamente e non solo nei proclami, una semplificazione e deflazione degli oneri dichiarativi e di autoliquidazione del soggetto passivo del tributo. Certamente, i piu' significativi interventi normativi in questa direzione sono stati mossi dall'intento di accrescere l'efficienza dell'Amministrazione finanziaria e, con cio', la capacita' di recuperare gettito fiscale. Tuttavia, sembrerebbe altrettanto ragionevole ed opportuno espungere dall'ordinamento meccanismi perversi quale quello contenuto nel richiamato art. 38, anche in relazione alla esclusiva giurisdizione delle Commissioni tributarie sulla legittimita' delle ritenute e, quindi, sulla illegittimita' ed ingiustizia dell'operato del sostituto, il cui accertamento giudiziale ad opera delle Commissioni e' imprescindibile per esperire l'ordinaria azione per danni, e cio', senza possibilita' di pregiudizio alcuno delle ragioni dell'Erario. Ancorche' il sostituito abbia un'astratta possibilita' di azionare e tutelare la propria posizione creditoria nei confronti dell'Amministrazione finanziaria ed, eventualmente, ottenuto l'accertamento della illegittimita' dell'operato del sostituto d'imposta, anche nei confronti di quest'ultimo, tuttavia, il sistema delineato dall'art. 38, nel combinato disposto con l'art. 2 del d.lgs. n. 546/1992, pregiudica l'effettivita' del diritto alla tutela giurisdizionale e la esperibilita' concreta dei rimedi utili a garantire, ragionevolmente, la reazione all'illegittima ritenuta alla fonte. Come piu' volte ha precisato il giudice delle leggi, infatti, l'art. 24 della Costituzione codifica un principio fondamentale ed inderogabile, la cui osservanza da parte del legislatore ordinario deve essere verificata in concreto e non gia' sul piano astratto delle affermazioni di principio. Quel canone, in altri termini, e' tale da colpire non solo l'esclusione della tutela giurisdizionale, soggettiva od oggettiva ma anche qualsiasi limitazione che ne renda impossibile, o solo difficile, l'esercizio. Nella specie, il combinato disposto delle norme richiamate, nella lettura che ne offre costantemente la giurisprudenza di legittimita' e di merito, condiziona la tutela giurisdizionale all'onere del previo esperimento di un rimedio amministrativo, quale la proposizione dell'istanza di rimborso nel termine di diciotto mesi dal versamento delle ritenute, la cui osservanza tempestiva, almeno per il sostituito, e' particolarmente difficile, se non, addirittura, praticamente impossibile, alla luce del reale e concreto atteggiarsi dei suoi rapporti con il sostituto e, piu' in generale, della sua normale estraneita' alla gestione del rapporto obbligatorio di acconto dell'imposta sul reddito. Deve, altresi', precisarsi che, comunque, detto rimedio, o onere, amministrativo e' legittimo solo se giustificato da esigenze di ordine generale o da superiori finalita' di giustizia che, nella specie, non sembra possano sussistere. In ogni caso, poi, pure nell'ipotetico concorso di tali circostanze giustificative, il legislatore deve contenere l'onere nella misura meno gravosa possibile e l'art. 38, d.P.R. n. 602/1973, non sembra realizzare una compressione minima ed essenziale del diritto alla tutela giurisdizionale della posizione creditoria del sostituito. Ancorche' si ritenesse che la norma sia ispirata dalle accennate esigenze di ordine generale e superiore, infatti, il legislatore avrebbe potuto diversamente e piu' equamente contemperarle con il principio codificato dall'art. 24 della Costituzione, che l'orientamento consolidato dei giudici costituzionali riconosce non mortificabile, se non nei limiti in cui una sua compressione sia effettivamente e strettamente necessitata. E di cio' appare chiaramente consapevole il legislatore, solo allorche' recentissimamente, in seno al gia' citato collegato fiscale alla finanziaria 1999, ha ampliato il termine concesso al contribuente per la proposizione della istanza di rimborso, quasi triplicandolo. E' bene ribadire, peraltro, che detta modifica non prevede espressamente una rimessione in termini e deve aggiungersi, invece, che, a parere di questa Commissione, il legislatore non ha colto la propizia occasione per rivedere l'intera disciplina contenuta nell'art. 38 e riequilibrare la posizione del sostituto d'imposta rispetto a quella del percipiente le somme soggette a ritenuta alla fonte. In altri termini, i molteplici profili di incostituzionalita' della norma denunciati non sono comunque stati risolti o superati con la recente e mera modifica della durata del termine decadenziale. Mentre, anche per il futuro restano irrisolte evidenti mortificazioni dei fondamentali principi costituzionali, quali, il diritto alla tutela giurisdizionale, il principio di razionalita' e logicita' delle scelte normative e quello di eguaglianza. Permane, infatti, l'irrazionale disciplina della posizione del sostituto d'imposta e la sostanziale privazione del diritto alla tutela giurisdizionale del sostituito. Pertanto, la novella dell'art. 38, sia pure nella sola durata del termine decadenziale, conferma che non vi poteva essere e non vi e' alcun apprezzabile interesse pubblico alla compressione della azionabilita' del credito per il rimborso di indebiti versamenti all'Erario; mentre alla censura della norma denunciata conseguirebbe il ripristino della legalita' costituzionale, soprattutto, sotto il profilo, sopra specificato, della effettivita' del diritto alla tutela giurisdizionale e della razionalita' e logicita' interna della norma di legislazione ordinaria. Infine, questa Commissione ritiene opportuno portare nuovamnente al vaglio dei giudici costituzionali la questione di legittimita' degli artt. 37 e 38, d.P.R. n. 602/1973, in relazione all'art. 3 della Costituzione, in quanto la recente evoluzione dottrinale e giurisprudenziale circa la portata della seconda norma richiamata esclude quella eterogeneita' tra le due fattispecie normative sulla quale si sono appuntate le reiterate pronunce di manifesta infondatezza emesse dalla Consulta, nel corso degli anni '80, a fronte delle denunce di ingiustificata disparita' di trattamento del dipendente pubblico, rispetto a quello privato. In particolare, con ordinanza del 17 novembre 1985, n. 305 (in Foro it., 1986, I, 330; in senso conforme, cfr. Corte cost, ord., 17 dicembre 1987, n. 545, in Giur cost., 1987, I, 3475), il giudice delle leggi aveva dichiarato "manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 38, d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 (disposizioni sulla riscossione delle imposte sul reddito sollevata con riferimento sia all'art. 3 della Costituzione, in quanto i termini di raffronto posti; a fondamento dal giudice a quo non rivestono idonee caratteristiche di identita' e di omogeneita', avendo la norma impugnata finalita' restitutoria circoscritta agli ambiti connessi all'"obbllgo di versamento", sia all'art. 113, atteso che lo stesso giudice non ha dato contezza alcuna circa quest'ultimo parametro". La Consulta, pertanto, ha ripetutamente giudicato conforme al disposto dell'art. 3 la disciplina degli articoli 37 e 38, d.P.R. n. 602/1973, in quanto fattispecie che non hanno lo stesso ambito applicativo: la seconda, in particolare, viene indicata come riferibile alle sole restituzioni riguardanti le operazioni di versamento e, pertanto, suscettibile di essere disciplinata difformemente rispetto alla diversa ed eterogenea fattispecie delineata dall'art. 37, per la quale l'art. 37, per la quale l'iniziativa restitutoria puo' essere intrapresa nell'ordinario periodo prescrizionale. Quella giurisprudenza costituzionale, peraltro, scaturiva dall'orientamento dei giudici di legittimita', i quali condividevano l'asserito diverso ambito applicativo delle due norme. Successivamente alla piu' recente e succitata pronuncia di infondatezza, peraltro, detto orientamento della Suprema Corte di Cassazione e' radicalmente mutato e si e', fino ad oggi, consolidato nel ritenere che l'art. 38 abbia il medesimo ambito applicativo dell'art. 37. Con sentenza del 9 giugno 1989, n. 2786, (in Boll. Trib., 1989, 1174 ss.), le sezioni unite della Suprema Corte, giudicavano non fondata una tesi analoga a quella sino ad allora condivisa dal giudice delle leggi, affermando che: in realta' gli articoli 37 e 38 sono assolutamente uguali nella definizione del rispettivo ambito di applicazione, in quanto entrambi si riferiscono ai casi di "errore materiale, duplicazione ed inesistenza totale o parziale" dell'obbligazione, con formula che designa, in pratica, la totalita' dei motivi deducibili nei confronti dei prelievi e, rispettivamente, dei versamenti, comprendendo tutte le ragioni relative all'an e al quantum della prestazione oggetto dell'obbligazione tributaria. Cio' posto la diversa dizione "obbligo di versamento" contenuta nell'art. 38 non pare idonea a giustificare una diversita' dell'oggetto elevando a fonte di un'autonoma obbligazione le norme che prevedono il versamento diretto e le relative operazioni, manifestamente dirette a disciplinare modalita' della prestazione oggetto della (stessa) obbligazione tributaria. Nulla autorizza a ritenere, pertanto, che si sia inteso dare rilievo giuridico autonomo, ai fini del rimborso, ad una (imprecisata) obbligazione accessoria di versamento, venendo in considerazione nelle fattispecie previste dall'art. 38 due distinti rapporti obbligatori: quello accessorio relativo al versamento; e quello principale attinente all'obbligazione tributaria. Solo per il primo di essi sarebbe stata dettata una specifica disciplina, sebbene la norma sia assolutamente muta al riguardo e, per converso, la disposizione dell'art. 37 concerna proprio l'obbligazione tributaria, sicche' l'indebito ad essa connesso sarebbe regolato in un caso e non nell'altro. Non potendosi far carico al legislatore fiscale di simili deficienze e incongruenze, l'art. 38 deve essere interpretato nel significato fatto palese dal tenore testuale dell'enunciato, per cui la norma si riferisce a qualsiasi ipotesi di indebito correlato all'adempimento dell'obbligazione tributaria nelle fattispecie che si considerano, qualunque sia la ragione per cui il versamento e' tutto o in parte indebito, a partire, cioe' dal mero errore materiale ai casi di inesistenza dell'obbligazione. L'uso del termine "versamento" risulta pienamente giustificato: sia perche' questo e' il modo di adempimento dell'obbligazione medesima; sia perche' anche nelle operazioni di versamento possono darsi errori che generano un indebito. La diversa dizione cioe', lungi dal restringere la portata della disposizione, la rende piu' ampia, per comprendervi tutte le situazioni di indebito che si possono verificare in conseguenza dell'adempimento dell'obbligazione che resta pur sempre il parametro di riferimento dell'indebito, stante la rilevata identita' dell'enunciato con quello dell'art. 37; l'ampiezza del medesimo ed il riferimento alle duplicazioni, che assumono rilievo giuridico appunto rispetto all'obbligazione tributaria" E, da ultimo, con sentenza del 27 luglio 1998, n. 7360 (in Bancadati Ipsoa I Quattro Codici, n. 1/1999), la prima sezione civile ha confermato l'ormai consolidato orientamento sul punto, secondo il quale: "non puo' dubitarsi che nella locuzione "inesistenza totale o parziale dell'obbligo di versamento" rientri anche il caso di pagamento eseguito erroneamente perche' non dovuto per carenza della supposta obbligazione tributaria, integrandosi cosi' un indebito oggettivo. Il testuale tenore della norma non autorizza una interpretazione diversa e, in particolare, non consente di distinguere tra versamenti diretti in relazione ai quali il contribuente faccia valere l'inesistenza dell'obbligo di versamento e quelli per i quali lo stesso deduca l'inesistenza dell'obbligazione tributaria (cfr., nello stesso senso, Cass., sez. III, 9 aprile/1997, n. 3080, in Corr. trib., 1997, 2005; Cass., sez. I, 10 novembre 1995, n. 11698, in Mass. Foro it., 1995; Cass., sez. I, 1o febbraio 1993, n. 1229, in Mass. Foro it., 1993). Alla luce delle richiamate argomentazioni motive della Suprema Corte, pertanto, la diversita' lessicale tra la formula dell'art. 38 e quella dell'art. 37 trova la propria ragion d'essere esclusiva nella necessita' di evidenziare il modo di adempimento dell'obbligazione tributaria e sottolineare la naturale applicabilita' della prima norma anche nelle ipotesi di indebito scaturite dall'esecuzione dei versamenti. Venuto meno il principale elemento argomentativo indicato dalla Consulta quale fattore discriminante le fattispecie sostanziali disciplinate dagli articoli 37 e 38, appare, dunque, ampiamente giustificata una nuova ed ulteriore investitura della questione di legittimita' in relazione all'art. 3 della Costituzione, anche in considerazione del fatto che questa Commissione ritiene prive di pregio le differenziazioni appuntate al mero meccanismo tecnico-giuridico di adempimento della contribuzione in acconto. Non e', in particolare, condivisibile la tesi secondo la quale il termine prescrizionale ordinario previsto dall'art. 37 sarebbe necessitato, o spiegato, dalla opzione legislativa per la compensazione dare/avere tra le ritenute alla fonte e gli emolumenti lordi spettanti al dipendente di Amministrazioni pubbliche. Sembra maturo il tempo per un nuovo pronunciato del giudice delle leggi, che acclari il superamento, almeno nel diritto vivente e nel richiamato costante orientamento giurisprudenziale, delle precedenti argomentazioni motive tese a salvaguardare il termine decadenziale previsto dall'art. 38, e colga, ad un tempo, la evidente disparita' di trattamento tra il sostituito dipendente dell'Amministrazione ed i dipendenti di altri soggetti giuridico-economici, pubblici e privati. Ambedue le fattispecie normative succitate hanno identico ambito applicativo; il versamento del sostituto d'imposta e' solo un diverso meccanismo tecnico-giuridico, richiesto dalla estraneita' del sostituto all'apparato pubblico cui sia applicabile l'imputazione meramente contabile del debito d'imposta; ma riguardando il solo rapporto tra sostituto e sostituito non v'e' chi possa negare che la posizione di quest'ultimo e' la medesima, a prescindere dallo strumento con il quale le somme ritenute alla fonte affluiscono nelle casse dell'Erario. In particolare, anche il sostituto "privato" esercita la rivalsa trattenendo le somme "contabilmente" e senza che vi sia una materiale consegna della provvista da parte del sostituito. Quest'ultimo riceve mensilmente ed annualmente la medesima documentazione contabile e fiscale degli avvenuti prelievi alla fonte. L'unica distinzione attiene al suo esonero dalla responsabilita' per le ritenute non versate, prodotto dalla consegna del modello nel quale il sostituto attesta di avervi provveduto; ma questo aspetto attiene, semmai, all'eventuale inadempimento agli obblighi di versamento e non certo, invece, ad un adempimento errato, nell'an o nella misura, favorevole all'Amministrazione creditrice ed alla conseguente inversione della posizione creditoria nel rapporto tra quest'ultima ed il sostituito. Gli articoli 37 e 38, d.P.R. n. 602/1973, afferiscono, appunto, al momento successivo all'evento patologico dell'errato adempimento fiscale in sfavore del soggetto passivo del tributo e, pertanto, non puo' giustificarsi alcuna discriminazione nelle modalita' e nei termini di reazione dell'avente diritto al rimborso, per il quale apprendere dell'errore commesso dal sostituto, anche quando questi sia la stessa Amministrazione pubblica, e' parimenti complesso e difficoltoso. Infine, deve controbattersi ad un'ulteriore argomentazione contraria alla illegittimita' delle due richiamate fattispecie normative. La Consulta, infatti, nella succitata ordinanza n. 545/1987, sostiene che il diverso termine dell'art. 38 scaturisce dalla sua applicabilita' anche per i rimborsi derivanti da errati versamenti "eseguiti" dal contribuente. L'osservazione, tuttavia, quand'anche trovasse conforto nella corretta lettura dell'art. 38, non e' risolutiva della denunciata discriminazione normativa, poiche', al piu', doveva indurre a giudicare illegittima detta norma nella sola parte in cui disciplina diversamente le modalita' ed i tempi di rimborso per illegittimi versamenti compiuti dal sostituto d'imposta, intendendosi per essi, naturalmente, anche quelli che siano tali per l'insussistenza dell'obbligazione tributaria. La coincidenza dell'ambito applicativo degli articoli 37 e 38, ancorche' si ritenesse che sia solo parziale, infatti, esigerebbe, in ogni caso, una omogeneita' di disciplina in parte qua, senza alcun pregiudizio, invece, delle diverse soluzioni "positive" per situazioni eterogenee come quelle scaturite da errori di calcolo ed adempimento imputabili esclusivamente al contribuente. Infine, e' doveroso sottolineare che la recente modifica del termine decadenziale sancito dall'art. 38, pur nella direzione della sua espansione, tuttavia, non ne ha ancora realizzato la doverosa equiparazione al lasso temporale concesso al dipendente assoggettato a "ritenuta diretta", ne' l'altrettanto necessaria attrazione alla diversa natura giuridica di quest'ultimo, quale termine prescrizionale. Conclusivamente, pertanto, la Commissione preso atto della sollevata eccezione di incostituzionalita' dell'art. 38 citato nella parte in cui prevede un termine piu' breve rispetto a quello analogo contenuto nell'art. 37 e comunque di dieci anni previsto in generale per i crediti dal codice civile, solleva la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 38, d.P.R. n. 602/1973, in relazione all'art. 3 della Costituzione, ed, in particolare, nella parte in cui dette norme aventi il medesimo ambito applicativo, contengono limiti temporali per la proposizione dell'istanza di rimborso di natura e durata profondamente ed irragionevolmente diverse.