LA COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE

    Ha  emesso  la  seguente  ordinanza  sull'appello r.g. appelli n.
  1616/98  depositato  il  9  aprile  1998,  avverso  la  sentenza n.
  172/33/97,  emessa dalla Commissione tributaria provinciale di Roma
  da  Marziale Michele, residente a Roma in via Tossignano, 8, difeso
  da Casini Carlo, residente a Roma in viale Europa, 300;
    Controparti, D.R.E. Lazio (V. Del Clementino); atti impugnati:
        s/rif. su i.rimb. - Irpef;
        sull'appello  r.g.  appelli n. 1617/98 depositato il 9 aprile
  1998;
        avverso  la  sentenza  n. 124/33/97, emessa dalla Commissione
  tributaria provinciale di Roma da: Di Giulio Enzo, residente a Roma
  in  via  A. Ciamarra, 198, difeso da Casini Carlo, residente a Roma
  in viale Europa, 300.
    Controparti, atti impugnati:
        s/rif. su i.rimb. - Irpef;
        sull'appello  r.g.  appelli n. 1618/98 depositato il 9 aprile
  1998;
        avverso  la  sentenza  n.  230/33/97 emessa dalla Commissione
  tributaria  provinciale  di  Roma  da: Ugolini Attilio, residente a
  Roma in via M. Barbi, 162, difeso da Casini Carlo, residente a Roma
  in viale Europa, 300.
    Controparti, atti impugnati:
        s/rif. su i.rimb. - Irpef;
        sull'appello  r.g.  appelli n. 1619/98 depositato il 9 aprile
  1998;
        avverso  la  sentenza  n.  267/33/97 emessa dalla Commissione
  tributaria  provinciale di Roma da: Maestrini Gianfranco, residente
  a  Ciampino  (Roma) in via Col di Lana, 76, difeso da Casini Carlo,
  residente a Roma in viale Europa, 300.
    Controparti, atti impugnati:
        s/rif. su i.rimb. - Irpef;
        sull'appello  r.g.  appelli n. 1620/98 depositato il 9 aprile
  1998;
        avverso  la  sentenza  n.  231/33/97 emessa dalla Commissione
  tributaria  provinciale  di  Roma da: Vaccaro Giuseppe, residente a
  Roma  in via D. Stiepovich, 13, difeso da Casini Carlo, residente a
  Roma in viale Europa, 300.
    Controparti, atti impugnati:
        s/rif. su i.rimb. - Irpef;
        sull'appello  r.g.  appelli n. 1621/98 depositato il 9 aprile
  1998;
        avverso  la  sentenza  n.  117/33/97 emessa dalla Commissione
  tributaria provinciale di Roma da: Empler Stefano, residente a Roma
  in  Circonvallazione Aurelia, 66, difeso da Casini Carlo, residente
  a Roma in viale Europa, 300.
    Controparti, atti impugnati:
        s/rif. su i.rimb. - Irpef;
        sull'appello  r.g.  appelli n. 1622/98 depositato il 9 aprile
  1998;
        avverso  la  sentenza  n.  211/33/97 emessa dalla Commissione
  tributaria  provinciale  di  Roma  da: Valenti Massimo, residente a
  Roma  in  via  Granito  di  Belmonte,  9,  difeso  da Casini Carlo,
  residente a Roma in viale Europa, 300.
    Controparti, atti impugnati:
        s/rif. su i.rimb. - Irpef;
        sull'appello  r.g.  appelli n. 1623/98 depositato il 9 aprile
  1998;
        avverso  la  sentenza  n.  169/33/97 emessa dalla Commissione
  tributaria  provinciale  di  Roma  da:  Macchi  Enrico  Alessandro,
  residente  a Morazzone (Varese) in via Roccolo, 2, difeso da Casini
  Carlo, residente a Roma in viale Europa, 300.
    Controparti, atti impugnati:
        s/rif. su i.rimb. - Irpef;
        sull'appello  r.g.  appelli n. 1624/98 depositato il 9 aprile
  1998;
        avverso  la  sentenza  n.  186/33/97 emessa dalla Commissione
  tributaria  provinciale  di  Roma  da:  Facchin  Romeo, residente a
  Palestrina  (Roma)  in  frazione  Colle  Del  Vescovo, 6, difeso da
  Casini Carlo, residente a Roma in viale Europa, 300.
    Controparti, atti impugnati:
        s/rif. su i.rimb. - Irpef;
        sull'appello  r.g.  appelli n. 1625/98 depositato il 9 aprile
  1998;
        avverso  la  sentenza  n.  170/33/97 emessa dalla Commissione
  tributaria provinciale di Roma da: Chitti Alberto, residente a Roma
  in viale Desiderato Pietro, 72, difeso da Casini Carlo, residente a
  Roma in viale Europa, 300.
    Controparti, atti impugnati:
        s/rif. su i.rimb. - Irpef;
        sull'appello  r.g.  appelli n. 1626/98 depositato il 9 aprile
  1998;
        avverso  la  sentenza  n.  156/33/97 emessa dalla Commissione
  tributaria provinciale di Roma da: Lulli Massimo, residente Roma in
  via Di Donna Olimpia, 166, difeso da Casini Carlo, residente a Roma
  in viale Europa, 300.
    Controparti, atti impugnati:
        s/rif. su i.rimb. - Irpef;
        sull'appello  r.g.  appelli n. 1627/98 depositato il 9 aprile
  1998;
        avverso  la  sentenza  n.  171/33/97 emessa dalla Commissione
  tributaria  provinciale  di  Roma  da: Colini Maurizio, residente a
  Ardea (Roma), via Orba, 4, difeso da Casini Carlo, residente a Roma
  in viale Europa, 300.
    Controparti, atti impugnati:
        s/rif. su i.rimb. - Irpef;
        sull'appello  r.g.  appelli n. 1628/98 depositato il 9 aprile
  1998;
        avverso  la  sentenza  n.  120/33/97 emessa dalla Commissione
  tributaria  provinciale  di  Roma da: Fanali Benedetto, residente a
  Civitavecchia  (Roma)  in  via  del  Casaletto Rosso, 50, difeso da
  Casini Carlo, residente a Roma in viale Europa, 300.
    Controparti, atti impugnati:
        s/rif. su i.rimb. - Irpef;
        sull'appello  r.g.  appelli n. 1629/98 depositato il 9 aprile
  1998;
        avverso  la  sentenza  n.  151/33/97 emessa dalla Commissione
  tributaria  provinciale  di  Roma  da:  Lamanna  Rino,  residente a
  Ciampino  (Roma)  in  via  Mura  dei Francesi, 23, difeso da Casini
  Carlo, residente a Roma in viale Europa, 300.
    Controparti, atti impugnati:
        s/rif. su i.rimb. - Irpef;
        sull'appello  r.g.  appelli n. 1630/98 depositato il 9 aprile
  1998;
        avverso  la  sentenza  n.  173/33/97 emessa dalla Commissione
  tributaria  provinciale di Roma da: Cristallo Vittorio, residente a
  Roma  in via Feronia, 148, difeso da Casini Carlo, residente a Roma
  in viale Europa, 300.
    Controparti, atti impugnati:
        s/rif. su i.rimb. - Irpef;
        sull'appello  r.g.  appelli n. 1631/98 depositato il 9 aprile
  1998;
        avverso  la  sentenza  n.  188/33/97 emessa dalla Commissione
  tributaria  provinciale  di Roma da: Fascioli Maurizio, residente a
  Roma  in  via  Luchino  dal  Verme,  118,  difeso  da Casini Carlo,
  residente a Roma in viale Europa, 300.
    Controparti, atti impugnati:
        s/rif. su i.rimb. - Irpef;
        sull'appello  r.g.  appelli n. 1632/98 depositato il 9 aprile
  1998;
        avverso  la  sentenza  n.  155/33/97 emessa dalla Commissione
  tributaria provinciale di Roma da: Ippoliti Delio, residente a Roma
  in  via  dei Berio, 61, difeso da Casini Carlo, residente a Roma in
  viale Europa, 300.
    Controparti, atti impugnati:
        s/rif. su i.rimb. - Irpef;
        sull'appello  r.g.  appelli n. 1633/98 depositato il 9 aprile
  1998;
        avverso  la  sentenza  n.  184/33/97 emessa dalla Commissione
  tributaria  provinciale  di  Roma da: D'Orio Gianpiero, residente a
  Roma  in  via  F.  Paolini, 58, difeso da Casini Carlo, residente a
  Roma in viale Europa, 300.
    Controparti, atti impugnati:
        s/rif. su i.rimb. - Irpef;
        sull'appello  r.g.  appelli n. 1634/98 depositato il 9 aprile
  1998;
        avverso  la  sentenza  n.  158/33/97 emessa dalla Commissione
  tributaria  provinciale  di  Roma  da: Hiernaux Myriam, residente a
  Roma  in via Manlio Di Verdi, 38, difeso da Casini Carlo, residente
  a Roma in viale Europa, 300.
    Controparti, atti impugnati:
        s/rif. su i.rimb. - Irpef;
        sull'appello  r.g.  appelli n. 1635/98 depositato il 9 aprile
  1998;
        avverso  la  sentenza  n.  272/33/97 emessa dalla Commissione
  tributaria  provinciale  di Roma da: Marinello Gennaro, residente a
  Roma  in piazza Della Rocca, 2, difeso da Casini Carlo, residente a
  Roma in viale Europa, 300.
    Controparti, atti impugnati:
        s/rif. su i.rimb. - Irpef;
        sull'appello  r.g.  appelli n. 1636/98 depositato il 9 aprile
  1998;
        avverso  la  sentenza  n.  266/33/97 emessa dalla Commissione
  tributaria  provinciale  di  Roma  da:  Grassi  Giovanni  Battista,
  residente  a  Roma  in  via  C. Casana, 20, difeso da Casini Carlo,
  residente a Roma in viale Europa, 300.
    Controparti, atti impugnati:
        s/rif. su i.rimb. - Irpef;
        sull'appello  r.g.  appelli n. 1637/98 depositato il 9 aprile
  1998;
        avverso  la  sentenza  n.  253/33/97 emessa dalla Commissione
  tributaria  provinciale  di  Roma da: Santucci Stefano, residente a
  Roma in via F. Sapori, 21, difeso da Casini Carlo, residente a Roma
  in viale Europa, 300.
    Controparti, atti impugnati:
        s/rif. su i.rimb. - Irpef;
        sull'appello  r.g.  appelli n. 1638/98 depositato il 9 aprile
  1998;
        avverso  la  sentenza  n.  271/33/97 emessa dalla Commissione
  tributaria  provinciale  di  Roma  da:  Manto  Vitale,  residente a
  Cerveteri  (Roma)  in  via  V.  Marini, 10, difeso da Casini Carlo,
  residente a Roma in viale Europa, 300.
    Controparti, atti impugnati:
        s/rif. su i.rimb. - Irpef;
        sull'appello  r.g.  appelli n. 1639/98 depositato il 9 aprile
  1998;
        avverso  la  sentenza  n.  161/33/97 emessa dalla Commissione
  tributaria provinciale di Roma da: Granziol Gianfranco, residente a
  Roma,  in  largo  Castelbolognese,  10,  difeso  da  Casini  Carlo,
  residente a Roma in viale Europa, 300.
    Controparti, atti impugnati:
        s/rif. su i.rimb. - Irpef;
        sull'appello  r.g.  appelli n. 1640/98 depositato il 9 aprile
  1998;
        avverso  la  sentenza  n.  175/33/97 emessa dalla Commissione
  tributaria  provinciale di Roma da: Danieli Dario, residente a Roma
  in  via  Malosco,  78,  difeso da Casini Carlo, residente a Roma in
  viale Europa, 300.
    Controparti, atti impugnati:
        s/rif. su i.rimb. - Irpef.
Oggetto della domanda, svolgimento del processo e motivi della
  decisione  Considerato  in  fatto     Con ricorso al pretore
  del  lavoro,  proposto  nel  1985,  alcuni dipendenti dell'Alitalia
  S.p.a. - personale di volo - convenivano la Societa', perche' fosse
  dichiarata   l'illegittimita'   di  ritenute  Irpef  operate  sulle
  indennita'  di  volo  e  di  trasferta,  nonche'  per  ivi sentirla
  condannare  al  risarcimento  dei  danni  consitenti nella maggiore
  imposta   pagata   e  nelle  minori  somme  percepite,  oltre  agli
  interessi.
    La convenuta eccepiva il difetto di giurisdizione dell'AGO, ma il
  giudice  adito  si pronunciava, comunque, nel merito, rigettando la
  domanda.  La  societa'  proponeva,  quindi, appello ed il tribunale
  dichiarava  il  difetto di giurisdizione dell'AGO sussistendo nella
  materia, oggetto del contendere, la giurisdizione delle Commissioni
  tributarie.
    La  Suprema  Corte,  successivamente  investita  della questione,
  affermava    la   pregiudilita'   del   giudizio   tributario   per
  l'accertamento  della  illegittimita'  delle  ritenute  alla fonte,
  motivando  come segue: "sulla base della costante giurisprudenza di
  questa  Corte,  come  e' noto), ... le commissioni tributarie hanno
  giurisdizione   sulla  controversia  promossa  dal  sostituito  nei
  confronti   del  sostituto  per  ottenere  il  rimborso  di  quanto
  trattenuto  e  versato  a titolo di acconto Irpef, maggiorato degli
  interessi  (Cass.  29 agosto 1990, n. 8999; Cass. 26 febbraio 1991,
  n. 2050 e successive conformi).
    E'  certamente  un'autonoma  domanda risarcitoria, che tende alla
  tutela   d'interessi   diversi   ed  ulteriori  rispetto  a  quelli
  soddisfatti   con   il   rimborso   delle  somme  che  si  assumono
  indebitamente   versate   a   titolo   d'imposta,   quella  per  il
  risarcimento   del   danno   consistente   nella  maggiore  imposta
  corrisposta anno per anno a causa del maggior imponibile.
    In relazione a tale domanda sussiste la giurisdizione del giudice
  ordinario, anche se - stante il carattere di pregiudizialita', che,
  rispetto   a  questa  richiesta,  presenta  la  controversia  sulla
  legittimita'  della  ritenuta  d'acconto - spettera' a quest'ultimo
  giudice  adottare i provvedimenti conseguenti, in ordine alla sorte
  del  giudizio per danni, in attesa della decisione definitiva sulla
  controversia tributaria".
    La   Suprema   Corte   cosi',  dunque,  pronunciava,  accogliendo
  parzialmente il ricorso e cassando con rinvio al tribunale di Roma,
  sezione lavoro (sent. n. 1436/1994).
    Con  separate istanze presentate alla DRE per il Lazio, nel 1995,
  gli stessi dipendenti chiedevano il rimborso delle ritenute versate
  dalla   Societa'   e   con   successivo   ricorso   impugnavano  il
  silenzio-rifiuto dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di
  Roma, ricostruendo la pregressa vicenda processuale per la verifica
  della  giurisdizione ed affermando l'illegittimita' delle ritenute,
  operate.
        Controdeduceva    l'ufficio    rilevando,    preliminarmente,
  l'intervenuta  decadenza di cui all'art. 38, d.P.R. n. 602/1973, in
  ordine alla presentazione dell'istanza di rimborso e la conseguente
  mancanza  di  un provvedimento di implicito diniego suscettibile di
  impugnazione;  nel  merito,  confutava  ogni  eccezione e richiesta
  della ricorrente.
      Con  distinte  decisioni  del 1997, la Commissione respingeva i
  ricorsi  per intervenuta decadenza ex art. 38, poiche' l'istanza di
  rimborso  era  stata  presentata nel 1995 per versamenti ralenti al
  periodo 1974/1990.
    Propongono  appelli  i contribuenti Marziale Michele ed altri con
  atti  aventi  i  n.  di  r.g. dal 1616/1998 al 1640/1998 rilevando,
  pregiudizialmente,  che  il  giudice  di  prime  cure  ha  motivato
  apoditticamente   e  mancando  di  considerare  il  complesso  iter
  processuale, iniziato nel 1985 e precedente il giudizio tributario,
  interruttivo del corso della prescrizione, nonche' la necessita' di
  ritenere  che  il  termine decadenziale di diciotto mesi non poteva
  che  decorrere,  nei confronti dell'Amministrazione, dal momento in
  cui fosse stata affermata la competenza del giudice tributario, non
  essendo  pensabile  che  egli  potesse  essere  tenuto a presentare
  l'istanza   restitutoria,  prima  ancora  di  conoscere  chi  fosse
  competente nella dedotta materia.
    Eccepiscono,  inoltre,  che, una volta dichiarata, da parte delle
  sezioni unite, la giunsdizione tributaria, condizione del processo,
  l'accesso  al  giudice  tributario debba essere diretto e non possa
  subire ulteriori remore temporali.
    Ulteriore  motivo  di  doglianza  e' l'erronea qualificazione del
  caso di specie, quale ipotesi di indebito "versamento diretto", con
  conseguente   illegittima   applicazione  dell'art. 38.  d.P.R.  n.
  602/1973,  trattandosi  di  prelievi  alla  fonte effettuati con il
  sistema della "ritenuta diretta" cui andava applicato, pertanto, il
  precedente art. 37, contenente un termine di prescrizione decennale
  per la domanda di rimborso.
    Sottolinea,  comunque,  che  anche  nel  caso  in cui fosse stato
  adottato il sistema del versamento diretto, comunque, il termine di
  decadenza  di  cui  all'art. 38,  sarebbe  stato  cogente  solo nei
  confronti  dei  sostituto,  non,  invece, per il sostituito, per il
  quale   l'istanza   nel   termine  costituiva  solo  una  facolta'.
  L'istanza,   quindi,   sarebbe   stata  tempestiva  ed  il  ricorso
  ammissibile e proposto nei termini.
    L'appellante, inoltre, "in via subordinata", solleva questione di
  legittimita' costituzionale dell'art. 38. d.P.R. n. 602/1973, nella
  lettura  fatta propria dal giudice di prime cure, in relazione agli
  artt. 3, 28 e 97, Cost., in quanto: "sarebbero fortemente violati i
  principi   di   uguaglianza,   di   commisurazione  alla  capacita'
  contributiva   del  cittadino  rispetto  alla  imposizione  fiscale
  nonche' di rispetto delle regole di buona amministrazione in quanto
  crea  una situazione di privilegio della Amministrazione fiscale in
  deroga  al regime comune della tutela dei diritti anche nel caso di
  repetitivo indebiti".
      Chiede,  in  via  principale  ed  in  integrale  riforma  della
  decisione  impugnata,  l'accoglimento di ogni domanda gia' proposta
  in  primo  grado,  con  la  condanna dell'ufficio al rimborso delle
  somme indebitamente percette, oltre agli interessi al saldo.
      Controdeducendo all'appello; l'ufficio afferma che, nel caso di
  specie,  il  sistema di versamento all'erario delle somme prelevate
  alla  fonte  non e' quello della ritenuta diretta bensi' quello dei
  versamento  diretto,  dovendosi  applicare, quindi, l'art. 38 ed il
  relativo   termine   decadenziale   per   l'istanza   restitutoria,
  presupposto per il ricorso al giudice tributario.
    Rileva,    inoltre,   che   dalla   dichiarazione   del   difetto
  giurisdizionale dell'AGO in materia butana e della competenza della
  Commissione  tributaria  non  puo'  scaturire  alcuna rimessione in
  termini  per  la  presentazione  dell'istanza  di  rimborso, il cui
  termine decadenziale non e', comunque, suscettibile di sospensione.
    Sottolinea, infine, che competente a decidere della rivalutazione
  monetaria  e'  l'AGO e che gli interessi sul credito d'imposta sono
  da  corrispondere  secondo  la  normativa  tributaria, contestando,
  comunque, nel merito, le affermazioni della controparte e chiedendo
  la  conferma  della  decisione  appellata,  con conseguente rigetto
  delle richieste del contribuente.
    Con  successive  memorie  difensive l'appellante ribadisce quanto
  gia'   affermato   circa   l'illegittima  ed  erronea  applicazione
  dell'art. 38,  d.P.R.  n.  602/1973, richiamando, sul punto, alcuni
  pronunciati giurisprudenziali.
In  diritto      La  Commissione  ritiene  di  dover riunire i
  procedimenti   dal   n.  di  r.g.  1616/1998  al  n. 1640/1998  per
  connessione oggettiva e soggetiva.
      La  pur  articolata  e  complessa  vicenda  processuale  che ha
  preceduto   l'appello   dinanzi  a  questa  Commissione  tributaria
  regionale,  puo' sostanzialmente essere sintetizzata come segue. Il
  dipendente  dell'Alitalia  S.p.a.  ha  agito  dinanzi.  all'Ago per
  ottenere  dalla societa', nella qualita' di sostituto d'imposta, il
  risarcimento   dei  danni  cagionati  con  l'esecuzione  errata  ed
  illegittima  di  ritenute  alla  fonte  ed i conseguenti versamenti
  diretti nelle casse dell'Erario.
    Dopo  tre  gradi  di  giudizio, la Suprema Corte di Cassazione ha
  affermato  la  giurisdizione tributaria circa la legittimita' delle
  ritenute  alla  fonte, pregiudiziale rispetto alla autonoma domanda
  risarcitoria  giustamente  avanzata  nelle  forme  del  rito civile
  dinanzi all'autorita' giurisdizionale ordinaria.
    Le illegittime ritenute sono state operate nel periodo 1974/1990;
  la  Suprema  Corte  si  e'  pronunciata  in tal senso nel 1994 e il
  contribuente,  o,  sostituito,  quindi,  solo nel 1995 ha inoltrato
  istanza  di rimborso alla competente DRE per il Lazio, impugnandone
  il   diniego   implicito'   dinanzi   alla  Commissione  tributaria
  provinciale di Roma.
    In quest'ultima sede, peraltro, l'ufficio, resistendo al ricorso,
  ha  preliminarmente eccepito la tardivita' dell'istanza di rimborso
  rispetto  al  termine  perentorio  dell'art. 38,  n.602/1973,  e la
  mancanza,  quindi,  di  quel  diniego  implicito che esclusivamente
  poteva  costituire  oggetto  di  impugnazione  dinanzi  al  giudice
  tributario,  ottenendo  la  declaratoria  di  inammissibilita'  del
  ricorso per i motivi denunciati.
    La  Commissione,  ai  fini  del  decidere,  rileva  che non possa
  prescindersi     dall'esame     della    eccepita    illegittimita'
  costituzionale  del  richiamato  art. 38,  stante la innegabile sua
  rilevanza ai fini della soluzione della presente controversia.
    La  Commissione ritiene non manifestamente infondata la questione
  di   legittimita'   costituzionale   di   detta   norma,  sollevata
  dall'appellante,  e  giudica  la  questione  meritevole  di  essere
  sottoposta  al  vaglio  della  Corte costituzionale per i motivi di
  seguito illustrati.
    La  questione  e'  stata gia' in precedenza portata all'esame del
  giudice  delle  leggi,  ma cio' non esclude che sulla base di nuovi
  profili  o  di  una  differente e piu' approfondita esposizione dei
  dubbi   di   costituzionalita'   della   norma  del  decreto  sulla
  riscossione, in relazione agli artt. 3, 24 e 53, della Costituzione
  possa  essere  utilmente  riproposta, anche in relazione ai nuovi e
  piu'  maturi orientamenti, che stanno progressivamente riconoscendo
  ai  contribuenti  ed ai cittadini in genere un differente porsi nei
  confronti dello Stato.
    Il  favor  fisci, che ha dominato per lungo tempo non sembra piu'
  rispondente  alle esigenze di giustizia sostanziale ne' puo' ancora
  giustificare disparita' di trattamento a favore dell'erario, specie
  ove  vengano  ridotti  a  suo  esclusivo  vantaggio  i  termini per
  l'esercizio  del  diritto  al  rimborso di somme di denaro, che non
  costituiscono  tributi  e  per  legge non dovute. Il favor fisci in
  relazione  all'equilibrio dei conti pubblici che negli anni passati
  poteva costituire una sorta di dogma contro il quale la istanze dei
  contribuenti  risultavano  vane,  non sembra che possa ancora porsi
  come  baluardo  contro  i  contribuenti  che  vantano un credito in
  denaro nei confronti dell'erario.
    Il  difforme  trattamento  dei crediti, a seconda della tipologia
  del  creditore  ed  a  maggior  ragione  quando  non sussiste alcun
  fondamento  per la ritenzione delle somme come accade proprio nelle
  ipotesi di sostituzione di imposta con errato versamento di somme a
  carico  del  sostituito  ignaro, non sembra piu' trovare nel comune
  sentire  i  doveri  tributari  una  credibile giustificazione al di
  fuori del mero potere di imperio del legislatore-amministratore.
    Le esigenze erariali non sembra che possano essere legittimamente
  tutelate   con  la  riduzione  dei  termini  della  difesa  per  il
  contribuente  e  per  questa via consolidare a proprio vantaggio il
  possesso  di somme indebite. E cio' a maggior ragione nelle ipotesi
  sempre   tendenzialmente  piu'  ampie  ove  l'errata  trattenuta  e
  versamento  di  somme sia opera di terzi e non del soggetto passivo
  del tributo, che rimane pertanto estraneo alle operazioni compiute,
  ma   ugualmente   sopporta   il   decorrere   del   tempo  previsto
  dall'art. 38.
    La Commissione ritiene che l'art. 38, ove riguardato in relazione
  agli  artt. 43,  d.P.R.  n. 600/1973,  e  57,  d.P.R.  n. 633/1972,
  realizzi  una  irrazionale  ed ingiustificata discriminazione della
  posizione    del    contribuente,    rispetto    alla    posizione,
  sostanzialmente  analoga,  dell'Amministrazione finanziaria, quando
  debba  accertare  e  riscuotere il tributo. In altri termini, da un
  lato, l'Amministrazione ha un ampio termine per avanzare la pretesa
  fiscale  nei  confronti  del  contribuente, variabile a seconda del
  momento  e  della  tipologia dell'accertamento, nonche' del tributo
  considerato,   tra  i  quattro  ed  i  sei  anni  decorrenti  dalla
  presentazione  della  dichiarazione o dal termine ultimo per la sua
  tempestiva  presentazione,  nelle ipotesi di omissione; dall'altro,
  il contribuente e' tenuto ad attivarsi nel breve termine dalla data
  del  versamento  eseguito  dal  sostituto,  inoltrando  istanza  di
  rimborso  al  competente ufficio amministrativo e precostituendosi,
  cosi',  la  sola  possibilita'  di  portare  la  questione  dinanzi
  all'autorita' giurisdizionale.
    I  diversi tempi accordati dall'ordinamento giuridico alla tutela
  delle  rispettive  posizioni  creditorie,  d'altra  parte,  non  si
  giustificano  neanche  nella  piu'  attenta lettura pro fisci della
  formula dell'art. 38, in quanto non si vede quale nocumento avrebbe
  potuto    arrecare   all'Amministrazione   la   equiparazione   tra
  contribuente  avente  diritto  al  rimborso ed erario creditore del
  tributo.
    Ne'  puo'  ritenersi  che il diverso lasso temporale riconosciuto
  per  azionare  le  rispettive  pretese creditorie possa esser stato
  necessitato  da  esigenze  quali la stabilita' o prevedibilita' del
  gettito,  poiche':  da  un  lato,  l'alternativa  non sarebbe stata
  l'assenza   di   limiti  temporali  all'esercizio  del  diritto  di
  rimborso,  ma  solo  la  previsione  di  un  termine piu' congruo e
  ragionevole,  anche  comparativamente  alla  posizione  dell'erario
  accertatore  o  creditore del tributo dovuto; dall'altro, comunque,
  un  termine  cosi' breve per la sola presentazione dell'istanza non
  puo'  avere  quelle  giustificazioni,  quando  il  successivo  iter
  procedimentale  anche  per l'accertamento della debenza delle somme
  rivendicate,  dal  quale  innegabilmente  dipenderebbe  l'effettiva
  soddisfazione degli interessi generali ipotizzati, si conclude solo
  dopo  alcuni  anni  e senza che vi sia na norma che imponga cadenze
  temporali serrate e perentorie all'Amministrazione.
    Mancano,  in altri termini, le sole garanzie "positive" idonee ad
  elevare  le  finalita'  di  prevedibilita' e stabilita' del gettito
  alla  dignita'  di ratio della grave e discriminatoria compressione
  del diritto di rimborso realizzata dall'art. 38.
    Peraltro, e' difficile ipotizzare ulteriori e valide finalita' di
  interesse   generale,   tali   da   giustificare  la  sperequazione
  denunciata.  Per  converso,  un  termine  piu' ampio, almeno pari a
  quello  concesso  all'Amministrazione  quando  assume  la posizione
  creditrice,  avrebbe  costituito,  e costituisce, la sola soluzione
  normativa  utile a garantire anche la effettivita' del diritto alla
  ripetizione di somme non dovute all'erario e della possibilita' una
  successiva,   eventuale   e   rituale   investitura  dell'autorita'
  giurisdizionale competente.
    Da  un  lato,  quindi,  vi  e'  una  limitazione  temporale, che,
  nell'entita',  non  sembra  ave  alcuna  razionale giustificazione;
  dall'altro,    superiori    canoni   quali   l'eguaglianza   e   la
  giustificazione contributiva della prestazione patrimoniale imposta
  sono  inspiegabilmente  mortificati  dalla  soluzione prescelta a o
  tempo   dal   legislatore  ordinario  per  la  posizione  del  solo
  contribuee creditore.
    D'altra  parte,  proprio  recentissimamente, in seno al collegato
  fiscale  alla  finanziaria 1999 (art. 1, quinto comma, l. 13 maggio
  1999, n. 133, in Suppl. ord. della Gazzetta Ufficiale del 17 maggio
  1999, n. 113), e' stata approvata una modifica del termine indicato
  al  primo  comma  dell'art. 38,  d.P.R.  n.  602/1973,  elevato  da
  diciotto  a  quarantotto  mesi  e  non e' certo casuale, o priva di
  rilievo,    la    circostanza   che   detta   estensione   realizzi
  l'equiparazione,   almeno   dal  periodo  d'imposta  1999,  tra  la
  posizione dell'Amministrazione creditrice e quella del contribuente
  avente  diritto  al  rimborso.  Infatti,  per effetto dell'art. 15,
  comma  1,  lett.  a)  d.lgs. 9 luglio 1997, n. 241, a partire dalle
  dichiarazioni  successive  al  1o  gennaio  del 1999, gli avvisi di
  accertamento  devono  essere notificati, a pena di decadenza, entro
  il   31   dicembre   del   quarto   anno  successivo  a  quello  di
  presentazione.
    La  successione  logica  e  temporale  dei  richiamati interventi
  normativi  e  la  sostanziale  equiparazione  del  tempo  utile  ad
  avanzare  le  rispettive  pretese  creditorie,  per  contribuente e
  amministrazione,  rafforzano, quindi, i dubbi di questa Commissione
  circa  la  legittimita'  del  sistema previgente, vale a dire della
  disciplina  esclusivamente applicabile nel decidere la controversia
  de  quo, in ragione della irretroattivita' della succitata modifica
  all'art. 38, primo comma.
    Anche   l'evoluzione   normativa,   in   altri   termini,  sembra
  chiaramente  confermare  l'inadeguatezza  ed eccessiva brevita' del
  termine  di diciotto mesi sancito dall'art. 38 sulla base del quale
  i  primi  giudici hanno dichiarato tardiva l'istanza di rimborso ed
  inammissibile  il  conseguente  ricorso avverso il silenzio-rifiuto
  dell'ufficio  adito;  allo stesso tempo, la maturata consapevolezza
  del legislatore costituisce un ulteriore elemento di conforto circa
  la   denunciata   natura   discriminatoria   del   termine  sancito
  dall'art. 38, nel testo vigente sino al 17 maggio 1999.
    Va  quindi rilevato come il parziale allungamento del termine, se
  pur  denota  la  consapevolezza  del  legislatore sulla sostanziale
  iniquita'  dello  stesso,  tuttavia non sana il vizio denunziato in
  quanto  continua  a  sussistere il divario con il termine ordinario
  decennale.
    Quand'anche,  poi, si ritenesse sussistente un interesse pubblico
  che attenga alla organizzazione dell'attivita' amministrativa, alla
  stabilita'  del  gettito,  alla certezza dei rapporti giuridici, o,
  ancora,   alla   deflazione   delle   pendenze   amministrative   e
  giurisdizionali,  che  possa  conferire  una valida giustificazione
  logica  alla  discriminazione  normativa della posizione creditoria
  del  contribuente,  sarebbe  possibile  e  dovuto eguale rigore nel
  valutare la posizione giuridica e fattuale di quest'ultimo.
    Il  sostituito,  infatti, anche nella piu' ottimistica previsione
  del  legislatore,  e'  nell  pratica  impossibilita'  di monitorare
  consapevolmente   la   regolarita  delle  operazioni  demandate  al
  sostituto  e  la legittimita' ed esattezza del versamenti da questi
  operati  nei confronti dell'erario, come delle previe ritenute alla
  fonte.
    E,  soprattutto,  non e' pensabile che egli possa provvedervi con
  la  solerzia  e  la  costanza  imposte  da  un  cosi' breve termine
  decadenziale  per  la  presentazione dell'istanza. La posizione del
  sostituito,  pertanto,  e'  chiaramente e pesantemente mortificata,
  sino  alla sostanziale espropriazione delle somme che ha diritto di
  ripetere,  in  quanto  ritenute  e  versate  in  assenza  di  causa
  giustificativa.
    Ne',  d'altra parte, e' ipotizzabile, come valido rimedio, la sua
  soggezione  di  fatto all'ulteriore onere di avvalersi dell'ausilio
  di   terzi  professionalmente  idonei  all'esegesi  dei  complicati
  meccanismi   contabili   e   fiscali   dai   quali   scaturisce  la
  quantificazione   del   prelievo   alla  fonte,  che  pure  sarebbe
  indispensabile per scongiurare il rischio di una conoscenza tardiva
  dell'erroneo   ed   illegittimo   operato   del   sostituto  ed  in
  conseguenza,   del   diritto   alla   ripetizione   nei   confronti
  dell'Amministrazione finanziaria.
    La  sostituzione  d'imposta,  inoltre,  nasce legittimamente come
  istituto  strumentale  alla  certezza,  celerita' e semplificazione
  della  riscossione  tributaria,  mentre  non  puo'  acquisire,  per
  effetto  del  sistema  fattuale e giuridico delineato dall'art. 38,
  l'ulteriore,  sostanziale  ed  illegittima, quand'anche non voluta,
  utilita'   al   reperimento   di   gettito   privo   della   "causa
  contributiva".
    Il  breve  termine  decadenziale  per  l'esercizio  del potere di
  richiedere  il  rimborso  non  ha  alcuna potenzialita' strumentale
  rispetto  alla  finalita'  di  garantire  il concorso di tutti alle
  pubbliche  spese  e  di  assicurare la rapidita' e certezza di tale
  contribuzione,    realizzando,    invece,    una    irrazionale   e
  discriminatoria   disciplina   della   posizione   creditoria   del
  sostituito,  sotto  tale profilo, evidentemente e gravemente lesiva
  del   principio  cardine  del  nostro  ordinamento  costituzionale,
  codificato all'art. 3 della Carta Fondamentale.
    Infine,  quand'anche  fosse possibile individuare un'apprezzabile
  fondamento   della   discriminazione  realizzata  dall'art. 38,  in
  relazione  ai  termini  per  l'accertamento  e  la  riscossione dei
  tributi, comunque, il bilanciamento razionale cui il legislatore e'
  chiamato,  tra  i  molteplici  interessi  individuali, collettivi e
  generali  coinvolti  dalla  mediazione  normativa,  avrebbe  dovuto
  evidenziare   come  oltremodo  penalizzante  ed  ingiustificata  la
  codificata  compressione  di  interessi di rango superiore, portati
  dal   contribuente   creditore,   quali   il  diritto  alla  tutela
  giurisdizionale    ed    alla    giustificazione,    nella   specie
  "contributiva"    della   diminuzione   patrimoniale   subita.   In
  particolare,  proprio  il  principio cardine del sistema tributario
  sancito  dall'art. 53, Cost., esigeva che il legiferante escludesse
  la  soluzione rubricata all'art. 38, per accedere, invece, a quella
  imperativa  di  un  maggiore  ed  eguale  lasso  temporale  per  la
  ripetizione di quanto indebitamente percetto dall'erario.
    La  Commissione,  inoltre, ritenendola certamente rilevante e non
  manifemente  infondata, solleva d'ufficio questione di legittimita'
  costituzionale   dell'art. 38,  d.P.R.  n. 602/1973,  in  combinato
  disposto   con   l'art. 2,  d.lgs.  n. 546/1992,  ed  in  relazione
  all'art. 24,  della Costituzione. Infatti, le norme di legislazione
  ordinaria  richiamate  realizzano  la sostanziale irresponsabilita'
  del  sostituto  d'imposta per le ritenute illegittimamente operate,
  quando  il  sostituito  non  si  sia  attivato  tempestivamente per
  richiederne  il  rimborso  ed ottenere la restituzione ovvero, quel
  diniego,  esplicito  o  implicito,  essenziale alla possibilita' di
  tutela giurisdizionale, anche nei confronti del sostituto.
    Quest'ultimo  si  inserisce  nel rapporto d'imposta, come entita'
  giuridica  ritenuta  suscettibile di essere assoggettata agli oneri
  del  prelievo  alla fonte e del versamento all'erario ed, in questa
  veste,  ausiliario  dell'Amministrazione  finanziaria,  prezioso ed
  autoritativamente imposto al contribuente.
    L'adempimento   dell'obbligazione   d'imposta   del   sostituito,
  infatti,  non  scaturisce  da  un  suo incarico o atto di autonomia
  negoziale,   bensi'   costituisce   l'oggetto  di  una  imposizione
  autoritativa,  ope  legis,  da  un  lato nei confronti dello stesso
  sostituto d'imposta, dall'altro nei confronti del sostituito.
    Il  sostituto  e',  normalmente,  il soggetto che eroga l'entita'
  economica-reddito   che   esprime  la  capacita'  contributiva  del
  percipiente  assoggettata  al  prelievo  in  acconto  ed e' tenuto,
  all'atto   dell'erogazione,   allo   stralcio  delle  somme  dovute
  all'erario.
    Gestisce quindi, la posizione fiscale del sostituito in virtu' di
  una  normativa  che,  ad  un  tempo,  lo  obbliga e lo autorizza ad
  adempimenti esclusivamente funzionali a semplificare l'accertamento
  e  la  riscossione dei tributi, nonche' a maggiormente garantirli e
  velocizzarli,  secondo cadenze temporali rigide e sanzionate, anche
  quale  soggetto  che  avra',  ragionevolmente,  minore interesse ad
  occultare  l'avvenuta  realizzazione  del  presupposto  impositivo,
  rispetto  al  debitore  sostanziale  del tributo, ed e' in possesso
  della  struttura  organizzativa  e  tecnico-professionale, all'uopo
  necessaria.
    Tuttavia, quando il suo operato lede la posizione sostanziale del
  sostituito,  l'ordinamento  non  prevede  alcuna sanzione capace di
  prevenirne   e   reprimere   la   condotta  negligente  e  dannosa,
  garantendone,  o  stimolandone, l'interesse alla tutela dei diritti
  del  sostituito,  per una finalita', certo, non in contrasto con il
  primario   interesse   erariale  perseguito.  Irragionevolmente  ed
  illegittimamente,  pertanto, le conseguenze patologiche dell'errato
  operare  di  questo  soggetto  fiscale, imposto dal legislatore pro
  fisci, sono poste a carico esclusivo del contribuente sostituito.
    L'art.  38,  d.P.R.  n.  602/1973,  disciplinando il procedimento
  amministrativo  di  rimborso  delle somme non dovute all'erario, ne
  equipara, infatti, la posizione a quella del sostituto, prevedendo,
  per  entrambi,  l'onere della proposizione di una istanza nel breve
  termine decadenziale, decorrente dal versamento indebito.
    Secondo il tenore letterale della norma, commi 1 e 2, inoltre, il
  sostituto   d'imposta  e'  il  principale  soggetto  legittimato  a
  richiedere  il  rimborso  delle somme erroneamente versate, pur non
  essendovi  obbligato, al pari del percipiente le somme assoggettate
  a  ritenuta,  solo  legittimato concorrente a detta istanza, eppure
  unico titolare dell'interesse sostanziale alla ripetizione.
    Orbene,  il  legislatore, intanto, non prevede alcun obbligo
  di  attivazione  per  il  sostituto d'imposta, ne' tanto meno esige
  l'iniziativa  del sostituito, ma riconosce ad entrambi il potere di
  richiedere  il  rimborso ed inoltrare all'uopo con tempestivita' la
  necessaria  istanza.      L'opzione normativa, quindi, appare, gia'
  per questo, illogica e contraria ai generali principi che governano
  l'autonomia negoziale ed il diritto privato, poiche' e evidente che
  se  essi  impongono  di  riconoscere  al  sostituito  la piu' ampia
  liberta'  di  valutare  l'opportunita'  della  rivendicazione delle
  somme  a  lui spettanti, ma esigono che non sia riconosciuta eguale
  liberta',  o possibilita' di scelta, al sostituto d'imposta, specie
  se allo stesso non sia imposta, almeno, una pronta informazione del
  titolare   della   posizione   sostanziale   "gestita"  e  lesa,  o
  potenzialmente menomata.
    Ne'  e'  sostenibile  che  la  formula  letterale della norma non
  precluda  di affermare la doverosita' di detti adempimenti', almeno
  per  il  sostituto  d'imposta,  in  quanto  -  per tacere del verbo
  all'uopo  usato,  univocamente  espressivo  del  contrario  intento
  legislativo  -  basterebbe  considerare  l'assenza  di qualsivoglia
  forma di sanzione, diretta o indiretta, nei confronti del sostituto
  per l'omessa o tardiva presentazione della istanza di rimborso.
    Aggravante  ulteriore  della posizione del sostituito e', poi, la
  sua  soggezione  ad  un  termine  decadenziale  che  ha la medesima
  decorrenza  e  la  medesima durata del termine posto all'azione del
  sostituto   d'imposta,   potendo   lamentare   l'inadempimento   di
  quest`ultimo,  solo  quando  non  ha  piu'  alcuna  possibilita' di
  azione, anche solo nei suoi confronti.
    E',   pertanto,  evidente  che  il  sostituto  d'imposta  non  ha
  cointeressenza  al  controllo  degli adempimenti assolti, come alla
  solerte  e  tempestiva  attivazione del procedimento amministrativo
  necessario  a  preservare  ed  azionare  il diritto al rimborso del
  sostituito.  Anzi,  il  diritto  vivente,  ovvero,  il  consolidato
  orientamento della Suprema Corte di Cassazione, sostanzialmente, ne
  garantisce  la  irresponsabilita',  per  il danno consistente nelle
  illegittime  ritenute,  quando  sia inultilmente decorso il termine
  concesso al sostituto per proporre l'istanza di rimborso.
    Detta   scadenza,   infatti,  non  solo  preclude  la  via  della
  ripetizione al sostituto d'imposta, ma la ostruisce definitivamente
  anche  al  sostituito, privandolo della possibilita' di ottenere un
  provvedimento  implicito  o  esplicito  dell'Amministrazione e, per
  esso,   l'investitura   del   giudice   tributario,  esclusivamente
  competente  ad accertare quella illegittimita' delle ritenute e dei
  versamenti  diretti,  indispensabile per contestare al sostituto la
  responsabilita' extracontrattuale.
    Sostanzialmente,  quindi,  l'inutile  scadenza  del  termine  per
  l'istanza   di   rimborso,   contemporaneamente,   scongiura   ogni
  possibilita'   successiva  di  azionare  pretese  risarcitorie  nei
  confronti  del  sostituto,  rendendolo, di fatto e definitivamente,
  irresponsabile per il danno cagionato al sostituito.
    Tale  grave  e  non  scongiurabile  conseguenza, scaturisce dalla
  delimitazione   della   giurisdizione  ordinaria  realizzata  dalla
  interpretazione  costante  della  Suprema  Corte  di  Cassazione  e
  precisata,  da  ultimo,  sempre  sezioni  unite, con sentenza del 9
  giugno  1997,  n.  5138  (in Bancadati, Ipsoa, I Quattro Codici, n.
  1/1999),  ribadendo che il difetto di giurisdizione e' nella specie
  prospettabile,   essendo   in  discussione  la  legittimita'  della
  ritenuta   operata  a  titolo  di  acconto  per  Irpef,  cioe'  per
  un'imposta  che  rientra  espressamente  tra  quelle  devolute alle
  Commissioni tributarie.
    In  proposito, questa Corte ha piu' volte avuto modo di affermare
  che  la  controversia tra sostituito e sostituto d'imposta relativa
  alla  legittimita' delle ritenute d'acconto operate dal secondo, e'
  devoluta   alla   competenza   giurisdizionale   delle  Commissioni
  tributarie. Infatti, la legittimita' della ritenuta - nella specie,
  disposta  dall'art.  25  del  d.P.R.  29 settembre  1973,  n. 600 e
  successive  modificazioni, relativo ai redditi di lavoro autonomo -
  non  integra  una  mera  questione  pregiudiziale,  suscettibile di
  essere  delibata  incidentalmente,  ma comporta una causa di natura
  tributaria  avente  carattere  pregiudiziale,  la quale deve essere
  definita,  con effetti di giudicato sostanziale, dal giudice cui la
  relativa   cognizione   spetta   per   ragioni   di   materia,   in
  litisconsorzio necessario con l'Amministrazione finanziaria.
    Tale  principio  non  soffre deroga quando la controversia stessa
  sia   sorta   tra  sostituto  e  sostituito,  perche'  l'originaria
  incompletezza   del   contraddittorio   non   puo'   implicare  uno
  spostamento  della  giurisdizione,  mentre  e'  compito del giudice
  munito  di  essa  provvedere  all'integrazione  del contraddittorio
  stesso  (art.  99  -  102  c.p.c.,  applicabili  anche nel processo
  tributario.
    Non  ricorre alcuna deroga neppure quando siano scaduti i termini
  di  decadenza  previsti  dalla legge per richiedere la restituzione
  delle  somme  versate  all'Amministrazione  finanziaria, atteso che
  tale   scadenza   incide  sulla  fondatezza  e  sull'ammissibilita'
  dell'azione  da proporre innanzi al giudice tributario, ma e' priva
  di  effetti  sulla giurisdizione dello stesso, non essendo prevista
  dall'ordinamento   alcuna  giurisdizione  residuale  dell'autorita'
  giudiziaria    ordinaria,    a    seguito    dell'improponibilita',
  inammissibilita'   o   infondatezza  della  domanda  devoluta  alla
  giurisdizione   delle   Commissioni  tributarie"  (cfr.,  in  senso
  conforme,  Cass., sez. un. 7 maggio 1996, n. 4223; 10 ottobre 1994,
  n. 8277, in Mass. giur 1av., 1994, 625; 17 luglio 1992, n. 8683, in
  Comm. trib. centr., 1992, II, 2186)".
    Con  la  pronuncia n. 4598/1992, inoltre, sempre a Sezioni unite,
  il   giudice  di  legittimita'  aveva  gia'  precisato  che:  "tale
  giurisdizione,  che  deve  essere  affermata  indipendentemente dal
  fatto  che quell'amministrazione non sia stata citata (spettando al
  giudice    di    esso    munito    disporre    l'integrazione   del
  contraddittorio), si estende alla richiesta di riconoscimento degli
  interessi,  in considerazione del loro carattere accessorio, ma non
  anche   alla   domanda  di  risarcimento  del  danno  derivante  da
  svalutazione monetaria, che e' autonoma e resta proponibile davanti
  al giudice ordinario, fondandosi sulla responsabilita' del debitore
  per  il  ritardato adempimento del debito di valuta (Cas. sez. un.,
  15 aprile  1992, n. 4598, in Mass., 1992; cfr., nello stesso senso,
  Cass.  8 febbraio  1991,  n. 1306, in Mass, 1991; Cass., 11 gennaio
  1991,  n.  217,  in  Comm.  trib.  centr.,  1991,  II,  690; Cass.,
  28 giugno  1990,  n.  6565,  in Comm. trib. centr., 1990, II, 1599;
  Cass., 10 maggio 1990, 3843, in Comm. trib. centr., 1990, II, 1101.
    Pertanto,  l'affermazione  della  giurisdizione delle Commissioni
  tributarie,  esclusiva  e  non  derogabile  neanche per delibazione
  incidentale,  se  riguardata  in  relazione  al regime decadenziale
  delineato  dall'art.  38  per  il  sostituito,  priva quest'ultimo,
  quando  decaduto  dal  potere  di richiedere il rimborso e di adire
  avverso    all'eventuale    diniego   la   Commissione   tributaria
  provinciale,  anche  della  possibilita'  di  azionare  la  pretesa
  risarcitoria nei confronti del sostituto d'imposta.
    Questi,   per   converso,   e'   esente  da  responsabilita'  per
  l'eventuale  duplice  inadempimento,  consistente  nell'illegittima
  ritenuta  operata e nella mancata tempestiva richiesta del rimborso
  a seguito del controllo successivo al versamento.
    Il contribuente sostituito, quindi, viene sostanzialmente privato
  di   ogni   tutela   del  diritto  alla  restituzione  delle  somme
  illegittimamente  ritenute  alla  fonte  e  senza  alcuna  reale  e
  verosimile    possibilita'    di    controllare   efficacemente   e
  costantemente  la  imposta gestione altrui del proprio rapporto con
  l'Amministrazione finanziaria.
    Anche sotto tale profilo, pertanto, e' evidente la irrazionalita'
  della disciplina contenuta nel decreto sulla riscossione, in quanto
  l'autore  della  illegittima  ritenuta  alla  fonte e dell'indebito
  versamento nelle casse dell'Erario ha certamente la possibilita' di
  monitorare e verificare gli adempimenti connessi alla sostituzione,
  con  la  solerzia  e  la  competenza richieste dall'art. 38, ma, in
  virtu' della sua sostanziale irresponsabilita' quando il sostituito
  sia    decaduto    dall'azione   di   ripetizione   nei   confronti
  dell'Amministrazione,   non   ha   quella   cointeressenza  che  ne
  garantirebbe,  almeno  in  astratto, la scrupolosita' e solerzia di
  azione nell'interesse del sostituito.
    Quest'ultimo,  al  contrario,  ha  certamente  interesse a subire
  ritenute  alla  fonte  legittime  e correttamente computate; ma non
  esegue  la  determinazione dell'imposta ritenuta, ne' i conseguenti
  versamenti  all'Erario,  ed,  infine,  non  ha quella competenza, o
  quell'ausilio  professionale,  ormai indispensabili per decifrare i
  meccanismi  contabili  e giuridici attraverso i quali si quantifica
  l'onere  contributivo  ed  il  prelievo in acconto, di cui, invece,
  deve essere provvisto in ogni caso il sostituto per gli adempimenti
  cui e' tenuto.
    Non   a   caso   la   recente  evoluzione  legislativa  realizza,
  progressivamente  e  non  solo  nei proclami, una semplificazione e
  deflazione  degli  oneri  dichiarativi  e  di  autoliquidazione del
  soggetto passivo del tributo.
    Certamente,  i  piu' significativi interventi normativi in questa
  direzione  sono stati mossi dall'intento di accrescere l'efficienza
  dell'Amministrazione  finanziaria  e,  con  cio',  la  capacita' di
  recuperare gettito fiscale.
    Tuttavia,   sembrerebbe   altrettanto  ragionevole  ed  opportuno
  espungere   dall'ordinamento   meccanismi   perversi  quale  quello
  contenuto nel richiamato art. 38, anche in relazione alla esclusiva
  giurisdizione delle Commissioni tributarie sulla legittimita' delle
  ritenute   e,   quindi,   sulla   illegittimita'   ed   ingiustizia
  dell'operato del sostituto, il cui accertamento giudiziale ad opera
  delle  Commissioni  e'  imprescindibile  per  esperire  l'ordinaria
  azione  per danni, e cio', senza possibilita' di pregiudizio alcuno
  delle ragioni dell'Erario.
    Ancorche'   il   sostituito  abbia  un'astratta  possibilita'  di
  azionare  e  tutelare la propria posizione creditoria nei confronti
  dell'Amministrazione   finanziaria   ed,   eventualmente,  ottenuto
  l'accertamento  della  illegittimita'  dell'operato  del  sostituto
  d'imposta,  anche  nei  confronti  di  quest'ultimo,  tuttavia,  il
  sistema delineato dall'art. 38, nel combinato disposto con l'art. 2
  del  d.lgs. n. 546/1992, pregiudica l'effettivita' del diritto alla
  tutela giurisdizionale e la esperibilita' concreta dei rimedi utili
  a  garantire, ragionevolmente, la reazione all'illegittima ritenuta
  alla fonte.
    Come  piu'  volte  ha  precisato il giudice delle leggi, infatti,
  l'art.  24 della Costituzione codifica un principio fondamentale ed
  inderogabile,  la cui osservanza da parte del legislatore ordinario
  deve  essere  verificata  in concreto e non gia' sul piano astratto
  delle affermazioni di principio.
    Quel  canone,  in  altri  termini,  e'  tale  da colpire non solo
  l'esclusione  della tutela giurisdizionale, soggettiva od oggettiva
  ma  anche  qualsiasi  limitazione  che ne renda impossibile, o solo
  difficile, l'esercizio.
    Nella specie, il combinato disposto delle norme richiamate, nella
  lettura   che   ne   offre   costantemente   la  giurisprudenza  di
  legittimita'  e  di  merito,  condiziona  la tutela giurisdizionale
  all'onere  del  previo  esperimento  di  un rimedio amministrativo,
  quale  la  proposizione  dell'istanza  di  rimborso  nel termine di
  diciotto  mesi  dal  versamento  delle  ritenute, la cui osservanza
  tempestiva, almeno per il sostituito, e' particolarmente difficile,
  se  non, addirittura, praticamente impossibile, alla luce del reale
  e  concreto  atteggiarsi dei suoi rapporti con il sostituto e, piu'
  in  generale,  della  sua  normale  estraneita'  alla  gestione del
  rapporto obbligatorio di acconto dell'imposta sul reddito.
    Deve, altresi', precisarsi che, comunque, detto rimedio, o onere,
  amministrativo  e'  legittimo  solo  se giustificato da esigenze di
  ordine  generale  o  da superiori finalita' di giustizia che, nella
  specie, non sembra possano sussistere.
    In   ogni   caso,  poi,  pure  nell'ipotetico  concorso  di  tali
  circostanze  giustificative,  il legislatore deve contenere l'onere
  nella  misura  meno  gravosa  possibile  e  l'art.  38,  d.P.R.  n.
  602/1973,   non   sembra  realizzare  una  compressione  minima  ed
  essenziale  del diritto alla tutela giurisdizionale della posizione
  creditoria del sostituito.
    Ancorche'  si ritenesse che la norma sia ispirata dalle accennate
  esigenze  di  ordine  generale e superiore, infatti, il legislatore
  avrebbe  potuto  diversamente e piu' equamente contemperarle con il
  principio   codificato   dall'art.   24   della  Costituzione,  che
  l'orientamento consolidato dei giudici costituzionali riconosce non
  mortificabile,  se  non  nei limiti in cui una sua compressione sia
  effettivamente e strettamente necessitata.
    E  di  cio'  appare  chiaramente consapevole il legislatore, solo
  allorche'  recentissimamente,  in  seno  al  gia'  citato collegato
  fiscale  alla  finanziaria 1999, ha ampliato il termine concesso al
  contribuente  per  la proposizione della istanza di rimborso, quasi
  triplicandolo.
    E'  bene  ribadire,  peraltro,  che  detta  modifica  non prevede
  espressamente una rimessione in termini e deve aggiungersi, invece,
  che, a parere di questa Commissione, il legislatore non ha colto la
  propizia  occasione  per  rivedere  l'intera  disciplina  contenuta
  nell'art.  38  e riequilibrare la posizione del sostituto d'imposta
  rispetto a quella del percipiente le somme soggette a ritenuta alla
  fonte.    In    altri    termini,    i    molteplici   profili   di
  incostituzionalita'  della norma denunciati non sono comunque stati
  risolti  o superati con la recente e mera modifica della durata del
  termine decadenziale.
    Mentre,   anche   per   il   futuro  restano  irrisolte  evidenti
  mortificazioni  dei fondamentali principi costituzionali, quali, il
  diritto alla tutela giurisdizionale, il principio di razionalita' e
  logicita' delle scelte normative e quello di eguaglianza.
    Permane,  infatti,  l'irrazionale  disciplina della posizione del
  sostituto  d'imposta  e  la sostanziale privazione del diritto alla
  tutela giurisdizionale del sostituito.
    Pertanto, la novella dell'art. 38, sia pure nella sola durata del
  termine decadenziale, conferma che non vi poteva essere e non vi e'
  alcun  apprezzabile  interesse  pubblico  alla  compressione  della
  azionabilita'  del  credito  per il rimborso di indebiti versamenti
  all'Erario;    mentre   alla   censura   della   norma   denunciata
  conseguirebbe   il   ripristino   della  legalita'  costituzionale,
  soprattutto,   sotto   il   profilo,   sopra   specificato,   della
  effettivita'  del  diritto  alla  tutela  giurisdizionale  e  della
  razionalita'  e  logicita'  interna  della  norma  di  legislazione
  ordinaria.
    Infine,  questa Commissione ritiene opportuno portare nuovamnente
  al  vaglio  dei giudici costituzionali la questione di legittimita'
  degli  artt.  37  e 38, d.P.R. n. 602/1973, in relazione all'art. 3
  della  Costituzione,  in  quanto la recente evoluzione dottrinale e
  giurisprudenziale  circa  la portata della seconda norma richiamata
  esclude quella eterogeneita' tra le due fattispecie normative sulla
  quale   si  sono  appuntate  le  reiterate  pronunce  di  manifesta
  infondatezza  emesse  dalla  Consulta,  nel corso degli anni '80, a
  fronte  delle  denunce  di ingiustificata disparita' di trattamento
  del dipendente pubblico, rispetto a quello privato. In particolare,
  con  ordinanza  del 17 novembre 1985, n. 305 (in Foro it., 1986, I,
  330;  in  senso  conforme, cfr. Corte cost, ord., 17 dicembre 1987,
  n. 545, in Giur cost., 1987, I, 3475), il giudice delle leggi aveva
  dichiarato  "manifestamente  infondata la questione di legittimita'
  costituzionale  dell'art.  38,  d.P.R.  29 settembre  1973,  n. 602
  (disposizioni sulla riscossione delle imposte sul reddito sollevata
  con  riferimento  sia  all'art.  3  della Costituzione, in quanto i
  termini  di  raffronto  posti;  a  fondamento dal giudice a quo non
  rivestono  idonee  caratteristiche  di  identita' e di omogeneita',
  avendo  la norma impugnata finalita' restitutoria circoscritta agli
  ambiti  connessi  all'"obbllgo  di  versamento",  sia all'art. 113,
  atteso  che  lo  stesso  giudice  non ha dato contezza alcuna circa
  quest'ultimo parametro".
    La  Consulta,  pertanto,  ha  ripetutamente giudicato conforme al
  disposto  dell'art.  3 la disciplina degli articoli 37 e 38, d.P.R.
  n.  602/1973,  in quanto fattispecie che non hanno lo stesso ambito
  applicativo:  la  seconda,  in  particolare,  viene  indicata  come
  riferibile  alle  sole  restituzioni  riguardanti  le operazioni di
  versamento   e,   pertanto,  suscettibile  di  essere  disciplinata
  difformemente  rispetto  alla  diversa  ed  eterogenea  fattispecie
  delineata  dall'art.  37,  per  la  quale  l'art. 37,  per la quale
  l'iniziativa  restitutoria  puo'  essere  intrapresa nell'ordinario
  periodo prescrizionale.
    Quella   giurisprudenza   costituzionale,   peraltro,   scaturiva
  dall'orientamento    dei   giudici   di   legittimita',   i   quali
  condividevano  l'asserito  diverso  ambito  applicativo  delle  due
  norme.
    Successivamente  alla  piu'  recente  e  succitata  pronuncia  di
  infondatezza,  peraltro,  detto orientamento della Suprema Corte di
  Cassazione   e'   radicalmente  mutato  e  si  e',  fino  ad  oggi,
  consolidato  nel  ritenere  che  l'art. 38 abbia il medesimo ambito
  applicativo dell'art. 37.
    Con  sentenza  del 9 giugno 1989, n. 2786, (in Boll. Trib., 1989,
  1174  ss.),  le  sezioni unite della Suprema Corte, giudicavano non
  fondata  una  tesi  analoga  a  quella sino ad allora condivisa dal
  giudice  delle  leggi, affermando che: in realta' gli articoli 37 e
  38  sono  assolutamente  uguali  nella  definizione  del rispettivo
  ambito  di  applicazione, in quanto entrambi si riferiscono ai casi
  di   "errore   materiale,  duplicazione  ed  inesistenza  totale  o
  parziale"  dell'obbligazione,  con formula che designa, in pratica,
  la  totalita'  dei  motivi deducibili nei confronti dei prelievi e,
  rispettivamente,  dei  versamenti,  comprendendo  tutte  le ragioni
  relative   all'an   e   al   quantum   della   prestazione  oggetto
  dell'obbligazione tributaria.
    Cio'  posto  la diversa dizione "obbligo di versamento" contenuta
  nell'art.   38  non  pare  idonea  a  giustificare  una  diversita'
  dell'oggetto  elevando a fonte di un'autonoma obbligazione le norme
  che  prevedono  il  versamento  diretto  e  le relative operazioni,
  manifestamente  dirette  a disciplinare modalita' della prestazione
  oggetto della (stessa) obbligazione tributaria.
    Nulla  autorizza  a  ritenere,  pertanto,  che si sia inteso dare
  rilievo   giuridico   autonomo,   ai  fini  del  rimborso,  ad  una
  (imprecisata)  obbligazione  accessoria  di  versamento, venendo in
  considerazione nelle fattispecie previste dall'art. 38 due distinti
  rapporti  obbligatori:  quello accessorio relativo al versamento; e
  quello principale attinente all'obbligazione tributaria.
    Solo  per  il  primo  di essi sarebbe stata dettata una specifica
  disciplina,  sebbene la norma sia assolutamente muta al riguardo e,
  per   converso,  la  disposizione  dell'art.  37  concerna  proprio
  l'obbligazione  tributaria,  sicche'  l'indebito  ad  essa connesso
  sarebbe regolato in un caso e non nell'altro.
    Non  potendosi  far  carico  al  legislatore  fiscale  di  simili
  deficienze  e  incongruenze, l'art. 38 deve essere interpretato nel
  significato  fatto  palese  dal tenore testuale dell'enunciato, per
  cui la norma si riferisce a qualsiasi ipotesi di indebito correlato
  all'adempimento  dell'obbligazione tributaria nelle fattispecie che
  si  considerano,  qualunque sia la ragione per cui il versamento e'
  tutto  o  in  parte  indebito,  a  partire,  cioe'  dal mero errore
  materiale ai casi di inesistenza dell'obbligazione.
    L'uso  del  termine "versamento" risulta pienamente giustificato:
  sia  perche'  questo  e'  il  modo di adempimento dell'obbligazione
  medesima;  sia perche' anche nelle operazioni di versamento possono
  darsi errori che generano un indebito.
    La  diversa dizione cioe', lungi dal restringere la portata della
  disposizione,  la  rende  piu'  ampia,  per  comprendervi  tutte le
  situazioni  di  indebito  che  si possono verificare in conseguenza
  dell'adempimento   dell'obbligazione   che   resta  pur  sempre  il
  parametro   di   riferimento   dell'indebito,  stante  la  rilevata
  identita'  dell'enunciato  con  quello dell'art. 37; l'ampiezza del
  medesimo  ed il riferimento alle duplicazioni, che assumono rilievo
  giuridico appunto rispetto all'obbligazione tributaria"
    E,  da  ultimo,  con  sentenza  del  27 luglio 1998, n.  7360 (in
  Bancadati  Ipsoa  I  Quattro  Codici,  n. 1/1999), la prima sezione
  civile  ha  confermato  l'ormai consolidato orientamento sul punto,
  secondo   il   quale:  "non  puo'  dubitarsi  che  nella  locuzione
  "inesistenza  totale o parziale dell'obbligo di versamento" rientri
  anche il caso di pagamento eseguito erroneamente perche' non dovuto
  per  carenza  della  supposta obbligazione tributaria, integrandosi
  cosi' un indebito oggettivo.
    Il  testuale tenore della norma non autorizza una interpretazione
  diversa   e,  in  particolare,  non  consente  di  distinguere  tra
  versamenti  diretti  in  relazione  ai quali il contribuente faccia
  valere  l'inesistenza  dell'obbligo  di  versamento  e quelli per i
  quali  lo  stesso deduca l'inesistenza dell'obbligazione tributaria
  (cfr., nello stesso senso, Cass., sez. III, 9 aprile/1997, n. 3080,
  in  Corr.  trib.,  1997,  2005; Cass., sez. I, 10 novembre 1995, n.
  11698, in Mass. Foro it., 1995; Cass., sez. I, 1o febbraio 1993, n.
  1229, in Mass. Foro it., 1993).
    Alla  luce  delle  richiamate argomentazioni motive della Suprema
  Corte,  pertanto,  la diversita' lessicale tra la formula dell'art.
  38 e quella dell'art. 37 trova la propria ragion d'essere esclusiva
  nella   necessita'   di   evidenziare   il   modo   di  adempimento
  dell'obbligazione    tributaria    e   sottolineare   la   naturale
  applicabilita'  della  prima  norma anche nelle ipotesi di indebito
  scaturite dall'esecuzione dei versamenti.
    Venuto  meno  il principale elemento argomentativo indicato dalla
  Consulta  quale  fattore  discriminante  le fattispecie sostanziali
  disciplinate  dagli  articoli  37  e 38, appare, dunque, ampiamente
  giustificata  una nuova ed ulteriore investitura della questione di
  legittimita'  in  relazione all'art. 3 della Costituzione, anche in
  considerazione  del  fatto  che questa Commissione ritiene prive di
  pregio   le   differenziazioni   appuntate   al   mero   meccanismo
  tecnico-giuridico di adempimento della contribuzione in acconto.
    Non e', in particolare, condivisibile la tesi secondo la quale il
  termine  prescrizionale  ordinario  previsto  dall'art.  37 sarebbe
  necessitato,   o   spiegato,   dalla  opzione  legislativa  per  la
  compensazione   dare/avere   tra  le  ritenute  alla  fonte  e  gli
  emolumenti   lordi   spettanti  al  dipendente  di  Amministrazioni
  pubbliche.
    Sembra maturo il tempo per un nuovo pronunciato del giudice delle
  leggi, che acclari il superamento, almeno nel diritto vivente e nel
  richiamato    costante    orientamento   giurisprudenziale,   delle
  precedenti  argomentazioni  motive  tese a salvaguardare il termine
  decadenziale  previsto  dall'art.  38,  e  colga,  ad  un tempo, la
  evidente  disparita'  di  trattamento  tra il sostituito dipendente
  dell'Amministrazione    ed   i   dipendenti   di   altri   soggetti
  giuridico-economici, pubblici e privati.
    Ambedue  le fattispecie normative succitate hanno identico ambito
  applicativo;  il  versamento  del  sostituto  d'imposta  e' solo un
  diverso  meccanismo  tecnico-giuridico, richiesto dalla estraneita'
  del   sostituto   all'apparato   pubblico   cui   sia   applicabile
  l'imputazione   meramente   contabile   del  debito  d'imposta;  ma
  riguardando  il  solo  rapporto tra sostituto e sostituito non v'e'
  chi possa negare che la posizione di quest'ultimo e' la medesima, a
  prescindere  dallo  strumento  con  il quale le somme ritenute alla
  fonte affluiscono nelle casse dell'Erario.
    In  particolare, anche il sostituto "privato" esercita la rivalsa
  trattenendo  le  somme  "contabilmente"  e  senza  che  vi  sia una
  materiale consegna della provvista da parte del sostituito.
    Quest'ultimo   riceve  mensilmente  ed  annualmente  la  medesima
  documentazione  contabile  e  fiscale  degli avvenuti prelievi alla
  fonte.
    L'unica  distinzione attiene al suo esonero dalla responsabilita'
  per  le  ritenute  non versate, prodotto dalla consegna del modello
  nel  quale  il  sostituto  attesta  di avervi provveduto; ma questo
  aspetto  attiene, semmai, all'eventuale inadempimento agli obblighi
  di  versamento  e  non  certo,  invece,  ad  un adempimento errato,
  nell'an  o  nella misura, favorevole all'Amministrazione creditrice
  ed  alla  conseguente  inversione  della  posizione  creditoria nel
  rapporto tra quest'ultima ed il sostituito.
    Gli  articoli  37 e 38, d.P.R. n. 602/1973, afferiscono, appunto,
  al momento successivo all'evento patologico dell'errato adempimento
  fiscale  in  sfavore  del soggetto passivo del tributo e, pertanto,
  non puo' giustificarsi alcuna discriminazione nelle modalita' e nei
  termini  di  reazione dell'avente diritto al rimborso, per il quale
  apprendere  dell'errore commesso dal sostituto, anche quando questi
  sia  la  stessa  Amministrazione pubblica, e' parimenti complesso e
  difficoltoso.
    Infine,   deve   controbattersi  ad  un'ulteriore  argomentazione
  contraria  alla  illegittimita'  delle  due  richiamate fattispecie
  normative.
    La  Consulta,  infatti,  nella  succitata  ordinanza n. 545/1987,
  sostiene  che  il diverso termine dell'art. 38 scaturisce dalla sua
  applicabilita'  anche per i rimborsi derivanti da errati versamenti
  "eseguiti" dal contribuente.
    L'osservazione,  tuttavia,  quand'anche  trovasse  conforto nella
  corretta  lettura  dell'art. 38, non e' risolutiva della denunciata
  discriminazione  normativa,  poiche',  al  piu',  doveva  indurre a
  giudicare   illegittima   detta  norma  nella  sola  parte  in  cui
  disciplina  diversamente  le  modalita'  ed i tempi di rimborso per
  illegittimi    versamenti   compiuti   dal   sostituto   d'imposta,
  intendendosi  per  essi,  naturalmente, anche quelli che siano tali
  per l'insussistenza dell'obbligazione tributaria.
    La  coincidenza  dell'ambito  applicativo degli articoli 37 e 38,
  ancorche'  si ritenesse che sia solo parziale, infatti, esigerebbe,
  in  ogni  caso,  una  omogeneita' di disciplina in parte qua, senza
  alcun  pregiudizio,  invece, delle diverse soluzioni "positive" per
  situazioni eterogenee come quelle scaturite da errori di calcolo ed
  adempimento imputabili esclusivamente al contribuente.
    Infine,  e'  doveroso  sottolineare  che  la recente modifica del
  termine  decadenziale  sancito  dall'art.  38,  pur nella direzione
  della  sua  espansione,  tuttavia,  non  ne ha ancora realizzato la
  doverosa  equiparazione  al  lasso temporale concesso al dipendente
  assoggettato  a  "ritenuta  diretta",  ne' l'altrettanto necessaria
  attrazione  alla  diversa  natura  giuridica di quest'ultimo, quale
  termine prescrizionale.
    Conclusivamente,   pertanto,  la  Commissione  preso  atto  della
  sollevata  eccezione  di  incostituzionalita'  dell'art. 38  citato
  nella  parte in cui prevede un termine piu' breve rispetto a quello
  analogo contenuto nell'art. 37 e comunque di dieci anni previsto in
  generale  per  i crediti dal codice civile, solleva la questione di
  legittimita'  costituzionale  dell'art.  38, d.P.R. n. 602/1973, in
  relazione  all'art. 3 della Costituzione, ed, in particolare, nella
  parte  in  cui  dette  norme aventi il medesimo ambito applicativo,
  contengono  limiti  temporali  per  la proposizione dell'istanza di
  rimborso  di  natura  e  durata  profondamente ed irragionevolmente
  diverse.