IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE

    Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso n. 4150 del 1999
  proposto  da  Cancemi Gaetano rappresentato e difeso dagli avvocati
  Andrea  Scuderi  ed Edoardo Nigra nel cui studio sono elettivamente
  domiciliati in Catania, via V. Giuffrida n. 37;
    Contro il comune di Avola (Siracusa), non costituito in giudizio;
  l'assessorato  agli enti locali della Regione siciliana, in persona
  dell'assessore   pro-tempore   rappresentato  e  difeso  ope  legis
  dall'Avvocatura    distretturale    dello    Stato    di   Catania,
  domiciliataria,  e nei confronti di Morale Vincenzo, non costituito
  in giudizio, per l'annullamento:
        della  delibera  dell'8  luglio  1999, n. 93, di approvazione
  della mozione di sfiducia;
        dell'atto  di  promozione  della  mozione  di sfiducia del 23
  giugno  1999,  e  del  provvedimento  sconosciuto  dell'assessorato
  regionale  agli  enti  locali  che  ha  disposto l'insediamento del
  commissario straordinario presso il comune di Avola;
    Visto il ricorso introduttivo del giudizio;
    Vista la domanda di sospensione dell'esecuzione del provvedimento
  impugnato;
    Visto  l'atto  di  costituzione  in giudizio dell'amministrazione
  regionale;
    Udito  il  relatore  cons.  Vincenzo  Salamone  e uditi, altresi'
  l'avv.  Edoardo  Nigra  per  la parte ricorrente e l'avvocato dello
  Stato Angela Palazzo per l'amministrazione regionale;
    Vista la documentazione tutta in atti;
    Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue;

                              F a t t o

    Con il gravame introduttivo del giudizio si chiede l'annullamento
  della  delibera  dell'8  luglio  1999, n. 93, di approvazione della
  mozione  di  sfiducia,  dell'atto  di  promozione  della mozione di
  sfiducia  del  23 giugno 1999, e del provvedimento dell'assessorato
  regionale  agli  enti  locali  che  ha  disposto l'insediamento del
  commissario straordinario presso il comune di Avola.
    Con ordinanza collegiale deliberata nella camera di consiglio del
  12  novembre  1999  il  collegio  ha  ritenuto  che non appaiono al
  momento  fondate  le  censure  con  le  quali si lamentano vizi del
  procedimento e della motivazione in quanto:
&lega-fpp;        il  sindaco  con  la  comunicazione dell'ordine del
  giorno   del  consiglio  comunale  e'  posto  nelle  condizioni  di
  partecipare  al  procedimento  di  approvazione  della  mozione  di
  sfiducia  (caratterizzato,  peraltro,  da  principi  di specialita'
  rispetto  a  quanto  previsto dalla legge della reg. sic. n. 10 del
  1991);
        la  mozione  di sfiducia e la delibera di approvazione che la
  fa propria evidenziano le ragioni (anche di natura politica) che la
  supportano;
        sfugge  alla  cognizione  del  giudizio  di  legittimita'  la
  valutazione  di adeguatezza delle ragioni che supportano la mozione
  di sfiducia (Corte costituzionale 18 gennaio 1996, n. 7).
    Con  autonomo motivo di censura si lamenta la incostituzionalita'
  dell'art. 10,  comma  2,  della legge della regione siciliana n. 35
  del  1997,  che  prevede  e  disciplina l'istituto della mozione di
  sfiducia per contrasto con gli artt. 1, 48 e 97 della Costituzione.
    L'assessorato  agli  enti  locali  della  Regione  siciliana, nel
  costituirsi   in   giudizio   con   il  patrocinio  dell'Avvocatura
  distrettuale  dello  Stato  di  Catania  ha  chiesto il rigetto del
  gravame.

                            D i r i t t o

    1.  -  Come gia' rilevato in sede di svolgimento del processo con
  ordinanza  collegiale  deliberata  nella camera di consiglio del 12
  novembre  1999  il collegio ha ritenuto che non appaiono al momento
  fondate  le censure con le quali si lamentano vizi del procedimento
  e della motivazione in quanto:
        il  sindaco  con  la comunicazione dell'ordine del giorno del
  consiglio  comunale  e'  posto  nelle  condizioni di partecipare al
  procedimento    di   approvazione   della   mozione   di   sfiducia
  (caratterizzato,  peraltro,  da  principi di specialita' rispetto a
  quanto  previsto  dalla  legge  della  regione  siciliana n. 10 del
  1991);
        la  mozione  di sfiducia e la delibera di approvazione che la
  fa propria evidenziano le ragioni (anche di natura politica) che la
  supportano;
        sfugge  alla  cognizione  del  giudizio  di  legittimita'  la
  valutazione  di adeguatezza delle ragioni che supportano la mozione
  di sfiducia (Corte costituzionale 18 gennaio 1996, n. 7).
    Con  autonomo motivo di censura si lamenta la incostituzionalita'
  dell'art. 10,  comma  2,  della  legge  regione siciliana n. 35 del
  1997, che prevede e disciplina l'istituto della mozione di sfiducia
  per contrasto con gli artt. 1, 48 e 97 della Costituzione.
    Tale censura e' rilevante ai fini della decisione del gravame.
    Con  la  stesa ordinanza e' stata, infatti, accolta la domanda di
  sospensione  dell'esecuzione  degli atti impugnati sino alla camera
  di  consiglio  successiva  alla  data di restituzione degli atti da
  parte della cancelleria della Corte costituzionale e cio' in quanto
  sussiste   il   danno   grave  ed  irreparabile  determinato  dalla
  circostanza   che   nelle   more   della   decisione   della  Corte
  costituzionale  la  parte  ricorrente  sarebbe  stata privata della
  carica di sindaco.
    2.  -  Osserva  il  collegio,  con  riguardo  al  terzo motivo di
  censura,  che  va  ritenuta  la  non  manifesta  infondatezza della
  questione  di  costituzionalita' dell'art. 10, comma 2, della legge
  regione   siciliana  n. 35  del  1997,  che  prevede  e  disciplina
  l'istituto della mozione di sfiducia per contrasto con gli artt. 1,
  48 e 97 della Costituzione.
    Giova   premettere   che   la  legge  regionale  n. 7  del  1992,
  nell'introdurre  per  la prima volta il sistema di elezione diretta
  dei  sindaci  da  parte  del corpo elettorale (in anticipo rispetto
  alla   legislazione   nazionale)  in  attuazione  della  competenza
  legislativa  esclusiva  prevista  dall'art.  14,  comma 1, lett. o)
  dello   statuto   regionale,   all'art. 18   ha   disciplinato   la
  "Consultazione  del  corpo  elettorale sulla rimozione del sindaco"
  prevedendo che:
        1)  avverso  il  sindaco  e  la giunta dallo stesso nominata,
  secondo  quanto  disposto  dall'art. 12, non puo' essere presentata
  mozione di sfiducia.
        2)   ove  il  consiglio,  a  maggioranza  assoluta  dei  suoi
  componenti,    valuti    l'esistenza    di    gravi    inadempienze
  programmatiche, puo' promuovere, una sola volta nel quadriennio, la
  consultazione del corpo elettorale sulla rimozione del sindaco;
        3)  la  consultazione avviene secondo modalita' stabilite con
  decreto  dell'assessore  regionale  per gli enti locali da emanarsi
  entro  tre mesi dalla data di pubblicazione della presente legge su
  schede  recanti  la seguente dizione: l'elettore intende confermare
  l'attuale sindaco? SI NO;
        4)  la  consultazione  non e' valida se non vi ha preso parte
  almeno la meta' piu' uno degli elettori;
        5)  l'accoglimento  della proposta determina la decadenza del
  sindaco,  che  viene  dichiarata  con  decreto del presidente della
  regione,  su proposta dell'assessore regionale per gli enti locali,
  entro quindici giorni dalla comunicazione;
        6)  con  lo  stesso  decreto  viene  nominato  un commissario
  straordinario,  secondo  il  disposto dell'art. 55 dell'ordinamento
  amministrativo degli enti locali (D.L.P. 6/55), approvato con legge
  regionale  n.  16/1963, e successive modificazioni ed integrazioni,
  per  l'esercizio  delle  funzioni sindacali, fino alla elezione del
  sindaco  da  indirsi  entro  novanta  giorni  dalla  data in cui e'
  dichiarata la decadenza;
        7)  il  sindaco eletto resta in carica sino alla scadenza del
  consiglio comunale;
        8) se la decadenza e' dichiarata a meno di un anno dalla data
  di  scadenza del consiglio, le funzioni del sindaco sono esercitate
  da  un  commissario  straordinario nominato secondo le disposizioni
  dei commi 6 e 7;
        9)  il non accoglimento della proposta determina la decadenza
  del consiglio che viene dichiarata con decreto del presidente della
  regione,  su proposta dell'assessore regionale per gli enti locali,
  entro quindici giorni dalla comunicazione;
        10)  con  lo  stesso  decreto  viene  nominata  una  terna di
  commissari  straordinari  per l'esercizio delle funzioni consiliari
  fino  alla  elezione  del consiglio da indirsi entro novanta giorni
  dalla data in cui e' dichiarata la decadenza;
        11)  il  consiglio  eletto resta in carica sino alla scadenza
  del sindaco;
        12)  se  la  decadenza  e' dichiarata a meno di un anno dalla
  data  di  scadenza  del  sindaco,  le  funzioni  del consiglio sono
  esercitate da una terna di commissari straordinari nominati secondo
  le disposizioni dei commi 6 e 7".

    Il  referendum  popolare  per  la rimozione del sindaco per gravi
  inadempienze  di  quest'ultimo  al programma a suo tempo sottoposto
  agli  elettori,  di  cui all'art. 18 della legge della reg. sic. 26
  agosto  1992,  n.  7,  si  configurava quale strumento previsto dal
  legislatore  per  temperare il principio dell'autonomia del sindaco
  rispetto  al  consiglio (principio del quale costituisce corollario
  il divieto della mozione di sfiducia).
    La  relativa  valutazione  compiuta  dal  consiglio  comunale  si
  sottraeva al sindacato di legittimita', rilevando, in tale ipotesi,
  a  legittimare  la richiesta di consultazione del corpo elettorale,
  l'astratta  idoneita'  della  motivazione  addotta, dato che e' pur
  sempre  l'azione  del  sindaco  e  la  sua  attivita'  di  gestione
  dell'ente  ad essere posta in discussione (Tribunale amministrativo
  regionale  Palermo  19  maggio  1997, n. 866, C.G.A., sez. giur. 21
  novembre   1997,   n.   512,   Tribunale  amministrativo  regionale
  Sicilia-Catania, sez. I, 8 luglio 1996, n. 1262).
    La legge statale 25 marzo 1993, n. 81, nel disciplinare in ambito
  nazionale  la  "Elezione  diretta del sindaco, del presidente della
  provincia,  del  consiglio comunale e del consiglio provinciale" ha
  previsto,  invece,  la  mozione  di  sfiducia,  e  all'art. 18, nel
  sostituire l'art. 37 della legge 8 giugno 1990, n. 142, ha previsto
  che:
        1) il voto del consiglio comunale o del consiglio provinciale
  contrario  ad  una  proposta  dei  sindaco,  del  presidente  della
  provincia  o  delle  rispettive  giunte  non comporta le dimissioni
  degli stessi;
        2)  il sindaco, il presidente della provincia e le rispettive
  giunte  cessano dalla carica in caso di approvazione di una mozione
  di  sfiducia votata per appello nominale dalla maggioranza assoluta
  dei  componenti  il  consiglio.  La mozione di sfiducia deve essere
  motivata  e  sottoscritta  da  almeno  due  quinti  dei consiglieri
  assegnati  e  viene messa in discussione non prima di dieci giomi e
  non  oltre  trenta  giorni  dalla  sua presentazione. Se la mozione
  viene  approvata, si procede allo scioglimento del consiglio e alla
  nomina di un commissario ai sensi delle leggi vigenti".

    La  legge  regionale  siciliana  n. 35  del  1997  all'art. 10 ha
  abbandonato il metodo del referendum introducendo (in analogia alla
  disciplina   statale)   la   mozione  di  sfiducia,  che  e'  cosi'
  disciplinata:
        1) il voto del consiglio comunale o del consiglio provinciale
  contrario  ad  una  proposta  del  sindaco,  del  presidente  della
  provincia  o  delle  rispettive  giunte, non comporta le dimissioni
  degli stessi;
        2)  il sindaco, il presidente della provincia e le rispettive
  giunte  cessano dalla carica in caso di approvazione di una mozione
  di  sfiducia  votata  per  appello  nominale  dal  60 per cento dei
  componenti  il  consiglio;  nei  comuni  aventi  popolazione sino a
  10.000  abitanti,  per tale approvazione occorre la maggioranza dei
  due terzi i componenti il consiglio.
    La  mozione  di  sfiducia  deve essere motivata e sottoscritta da
  almeno  due  quinti  dei  consiglieri  assegnati  e  viene messa in
  discussione  non  prima  di  dieci giorni e non oltre trenta giorni
  dalla  sua presentazione. Se la mozione viene approvata, si procede
  allo scioglimento del consiglio ed alla nomina di un commissario ai
  sensi dell'articolo 11, comma 4".
    Il successivo art. 11 dispone che:
        1)  la  cessazione  dalla  carica  di sindaco o di presidente
  della provincia per decadenza, dimissioni, revoca, rimozione, morte
  o  impedimento  permanente, comporta la cessazione dalla carica dei
  componenti delle rispettive giunte e dei rispettivi consigli;
        2)  la  cessazione  del  consiglio  comunale  o del consiglio
  provinciale  per  dimissioni contestuali della maggioranza assoluta
  dei  componenti  o  per  altra  causa  comporta  la nomina da parte
  dell'asessore   regionale   per   gli   enti   locali,  secondo  le
  disposizioni  di  cui  all'art.  11, comma 4, di un commissario, il
  quale  restera'  in  carica sino al rinnovo degli organi comunali e
  provinciali per scadenza naturale".
    Operata  la  ricostruzione dell'assetto normativa giova ricordare
  che    la    giurisprudenza   con   riferimento   alla   dialettica
  Governo-Parlamento  ritiene  che la mozione di sfiducia - quali che
  ne  possano  essere  le  varianti (atto rivolto contro il governo o
  contro  il  singolo  Ministro)  -  va  annoverata tra gli strumenti
  funzionali   al   ruolo  proprio  delle  camere  di  verificare  la
  consonanza  con  il  governo  rispetto  all'indirizzo  politico  e,
  comportando,  percio',  un  giudizio  soltanto  politico,  non puo'
  essere ammissibilmente sindacata sotto il profilo teleologico delle
  ragioni  e  dei  fini  della  sua adozione (Corte costituzionale 18
  gennaio 1996, n. 7).
    La  Corte  costituzionale  ha,  in  particolare,  ritenuto che la
  mozione  di  sfiducia  individuale  nei  confronti  di  un  singolo
  Ministro,  pur  se non prevista espressamente in Costituzione, puo'
  essere  proposta  ed  approvata  da ciascuna camera, in quanto essa
  rientra nella logica dei sistema di governo parlamentare secondo il
  disegno definito dagli artt. 92, 94 e 95 della Costituzione e dalle
  fonti  integrative  del  testo  costituzionale,  in  relazione alle
  esigenze poste dallo sviluppo storico di tale tipo di governo.
    A  diverse  conclusioni deve invece pervenirsi in relazione ad un
  sistema  (non  previsto  dalla  Costituzione,  ma con la stessa non
  incompatibile)  di  elezione diretta dell'esecutivo delle autonomie
  locali.
    La  Regione  siciliana che, come sopra rilevato, ha per prima nel
  nostro  ordinamento  introdotto  un metodo di elezione diretta alla
  carica  di sindaco (e successivamente di Presidente della Provincia
  regionale  ha  risolto il problema della consonanza tra la volonta'
  del  corpo  elettorale  e  la questione amministrativa espressa dal
  capi  delle  amministrazioni  locali  con il sistema innovativo dei
  referendum  incentrato  sostanzialmente sulla rinnovazione parziale
  della consultazione elettorale.
    In quest'ultima, infatti, viene ad assumere rilievo la sovranita'
  popolare  dalla  quale  ai  sensi  dell'art.  1  della Costituzione
  mutuano le attribuzioni le pubbliche autorita'.
    La  norma  dell'art. 10, comma 2, della legge regionale n. 35 del
  1997,  che  sostituisce  il  referendum  con la mozione di sfiducia
  appare,  sotto  diversi  profili,  in contrasto con alcuni principi
  contenuti  nella Costituzione ed in particolare con gli artt. 1, 48
  e 97.
    L'art. 10   della   legge   regionale   n. 35  del  1997  prevede
  espressamente  la  mozione  di sfiducia nei confronti del sindaco e
  della  giunta.  A tale istituto, nei silenzio della legge, dovrebbe
  essere attribuita quella valenza tipica che essa possiede a livello
  di organi parlamentari.
    All'interno  del  sistema  elettorale  previsto  dalla  normativa
  regionale,  tuttavia,  l'istituto  acquista  delle  caratteristiche
  particolari,  le quali fanno dubitare della corretta applicabilita'
  di  tale  istituto  al  rapporto  che  intercorre  tra  gli  organi
  amniinistrativi  locali.  All'interno del nostro sistema elettorale
  si viene a creare, infatti, un rapporto trilatero tra sindaco (e la
  sua giunta), consiglio comunale e corpo con le modifiche introdotte
  dalla  legge  regionale  n.  35  del  1997  rispetto  al sistema di
  elezione  del sindaco previsto dalla legge regionale n. 7/1992, non
  si puo' affermare che il rapporto fiduciario - il cui venir meno e'
  punito  dall'approvazione  della  mozione  di sfiducia - intercorra
  esclusivamente tra sindaco e consiglio comunale.
    Cio'  in quanto che, se e vero che nel vecchio sistema non vi era
  alcun  collegamento  tra  i  candidati  sindaci  con  le  liste  di
  candidati  al  consiglio  comunale,  mentre  in  quello della legge
  regionale   n.   35   ciascun  candidato  sindaco  deve  presentare
  dichiarazione  di collegamento ad una lista o gruppo di liste, cio'
  non  basta  a far si che il predetto rapporto politico da trilatero
  si trasformi in bilatero.
    Cio',  ad  avviso  del collegio, si evince dal disposto normativo
  dell'art. 3  della legge regionale n. 35 del 1997, laddove al comma
  terzo,  ultima  parte,  si  dispone  che:  "ciascun  elettore  puo'
  altresi'  votare  per un candidato alla carica di sindaco anche non
  collegato  alla  lista  prescelta, tracciando un segno sul relativo
  rettangolo".
    La  presenza  di  quest'ultimo  tipo  di  voto,  cosiddetto  voto
  disgiunto  consente  di  affermare che il sindaco eletto ottiene la
  propria  investitra  direttamente dal corpo elettorale (espressione
  della  sovranita'  ponolare  ai  sensi  degli  artt. 1  e  48 della
  Costituzione)  e  non  e' affatto espressione diretta delle liste a
  cui   egli   e'   collegato.   La   mozione  di  sfiducia  prevista
  dall'ordinamento  regionale  altera, quindi, ingiustificatamente il
  rapporto fiduciario esistente tra cittadini ed esecutivo.
    Ne   consegue   che   per   ridare   legittimita'  costituzionale
  all'istituto della mozione di sfiducia occorrerebbe o modificare la
  lettera  della  legge o disporne una correzione in termini parziale
  declaratoria di illegittimita' costituzionale, ancorando l'istituto
  a  precisi  strumenti  di  verifica dell'attivita' dell'esecutivo e
  cioe' alla contestazione della violazione di norme dell'ordinamento
  (norme primarie, statuti, atti di indirizzo).
    Solo  nel  caso  in  cui,  infatti,  dovessero emergere risultati
  negativi  di  gestione, il consiglio comunale sarebbe legittimato a
  diventare  effettivo  strumento  di  rappresentativita'  del  corpo
  elettorale  che  ha  espresso  la figura del sindaco e solo in tale
  caso,  di  conseguenza,  legittimato ad irrogare l'estrema sanzione
  della decadenza dalla carica.
    Certamente  un  rilievo determinato in ordine alla valutazione di
  negativita'   di  un  istituto  giuridico  assume,  ad  avviso  del
  collegio,  la  sua  utilizzabilita',  senza  reale  possibilita' di
  sindacato  giurisdizionale,  per  finalita'  che contrastano con il
  principio   del   buon  andamento  della  pubblica  amministrazione
  espresso all'art. 97 della Costituzione.
    A  tal proposito giova osservare che il canone costituzionale del
  buon andamento della p.a. riguarda anche gli aspetti attinenti alle
  funzioni  ed  all'esercizio  dei poteri amministrativi, cosicche' i
  relativi   procedimenti  debbono  essere  idonei  a  perseguire  la
  migliore  realizzazione  dell'interesse  pubblico  nel rispetto dei
  diritti   e   degli  interessi  legittimi  dei  soggetti  coinvolti
  nell'attivita' amministrativa; tuttavia, l'obiettivo costituzionale
  puo' essere realizzato con strumenti diversi, egualmente efficienti
  ed   efficaci,   la   cui  scelta  e'  rimessa,  nei  limiti  della
  ragionevolezza,   alla   discrezionalita'  del  legislatore  (Corte
  costituzionale 23 aprile 1998, n. 135).
    Orbene  l'attuale disciplina della mozione di sfiducia, ancorche'
  motivata, e' sempre piu' frequentemente espressione di mutamenti (o
  trasformismi)  all'interno di schieramenti politici, volti spesso a
  condizionare  l'esecutivo  al  di  fuori  di  quella dialettica tra
  organi  dell'ente  locale disegnata dal legislatore che ha separato
  nettamente   le  competenze  degli  organi  assembleari  da  quelle
  dell'esecutivo.
    La possibilita' di presentare mozioni di sfiducia, anche soltanto
  dopo  pochi  mesi dallo svolgimento della consultazione elettorale,
  incide,  inoltre,  sul  valore  della  stabilita' delle istituzioni
  pubbliche,  fortemente  avvertito  dalla  collettivita'  e che, per
  quanto  riguarda  la organizzazione della pubblica amministrazione,
  e'  enunciato  in  termini  di  buon  andamento  nell'art. 97 della
  Costituzione.
    La  stabilita'  delle  istituzioni,  come  valore  costituzionale
  implica  che  il  "patto"  tra  corpo  elettorale ed organi eletti,
  fulcro  del  sistema  democratico,  si  esplichi  nei tempi fissati
  dall'ordinamento senza interruzioni che si ripercuoto in termini di
  inefficienza  e  deresponsabiizzazione  dei  soggetti  investiti da
  cariche pubbliche.
    Il Collegio, pertanto, al sensi dell'art. 23 della legge 11 marzo
  1953,  n. 87, ritiene rilevante e non manifestamente infondata, nei
  termini  di  cui  in motivazione, la questione di costituzionalita'
  dell'art.  10,  comma  2, della legge reg. sic. n. 35 del 1997, per
  contrasto con gli artt. 1, 48 e 97 della Costituzione.