ha pronunciato la seguente


                              Ordinanza

nei  giudizi  di  legittimita'  costituzionale  dell'art. 2 del d.-l.
23 gennaio  1993,  n. 16  (Disposizioni  in  materia  di  imposte sui
redditi,  sui  trasferimenti  di  immobili  di  civile abitazione, di
termini  per  la  definizione  agevolata  delle situazioni e pendenze
tributarie, per la soppressione della ritenuta di interessi, premi ed
altri  frutti  derivanti  da  depositi e conti correnti interbancari,
nonche'    altre    disposizioni    tributarie),    convertito,   con
modificazioni,  nella  legge  24 marzo  1993,  n. 75,  promossi con 3
ordinanze  emesse  il  14 maggio  1998  della  Commissione tributaria
provinciale di Imperia rispettivamente iscritte ai nn. 707, 708 e 709
del  registro  ordinanze  1998  e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale
della Repubblica n. 40, prima serie speciale, dell'anno 1998.
    Visti  gli  atti  di  intervento del Presidente del Consiglio dei
Ministri;
    Udito  nella  camera di consiglio del 10 novembre 1999 il giudice
relatore Massimo Vari.
    Ritenuto  che, con tre ordinanze di identico contenuto, emesse in
data  14 maggio 1998 (r.o. nn. 707, 708 e 709 del 1998), nel corso di
giudizi aventi ad oggetto il pagamento di imposte INVIM (r.o. nn. 707
e  709),  successorie  (r.o.  n. 708) e di registro (r.o. n. 709), la
Commissione  tributaria  provinciale  di  Imperia  ha  sollevato,  in
riferimento  agli  artt. 3, 24 e 113 della Costituzione, questione di
legittimita'  costituzionale  dell'art. 2  del d.-l. 23 gennaio 1993,
n. 16   (Disposizioni   in   materia  di  imposte  sui  redditi,  sui
trasferimenti  di  immobili  di  civile abitazione, di termini per la
definizione  agevolata delle situazioni e pendenze tributarie, per la
soppressione  della  ritenuta  di  interessi,  premi  ed altri frutti
derivanti  da  depositi  e conti correnti interbancari, nonche' altre
disposizioni  tributarie), convertito, con modificazioni, nella legge
24 marzo  1993,  n. 75,  "nella parte in cui prevede la permanenza in
vigore  delle  tariffe  d'estimo  e delle rendite gia' determinate in
esecuzione del decreto ministeriale 20 gennaio 1990";
        che,  ad  avviso  del  giudice  rimettente,  la  disposizione
denunciata  si  pone  in  contrasto  con l'art. 3 della Costituzione,
comportando   "l'attribuzione   immediata  e  diretta  delle  rendite
catastali  alle unita' immobiliari e la conseguente appropriazione da
parte  del legislatore di una funzione tipicamente amministrativa che
integra   un   comportamento  viziato  di  eccesso  di  potere  e  di
irragionevolezza";
        che  l'ordinanza  rileva,  altresi',  "la  difformita'  della
citata   disposizione   rispetto   agli   articoli  24  e  113  della
Costituzione  non  avendo il cittadino nessuna possibilita' di difesa
giurisdizionale  di  fronte  ad  una disciplina normativa che assorbe
concretamente la funzione amministrativa";
        che  e'  intervenuto,  per tutti i giudizi, il Presidente del
Consiglio   dei  Ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura
generale  dello Stato, per chiedere che la questione venga dichiarata
non fondata.
    Considerato   che  i  giudizi,  in  quanto  propongono  questioni
identiche, vanno riuniti e congiuntamente decisi;
        che, nei termini in cui risulta qui prospettata, la questione
ha  gia'  formato oggetto di esame da parte di questa Corte, che, con
sentenza   n. 211   del  1998,  ha  escluso,  quanto  alla  lamentata
violazione  degli  artt. 3,  24  e  113  della  Costituzione,  che la
disposizione  denunciata  abbia  inteso ricomprendere nell'effetto di
legificazione, oltre al criterio di revisione delle tariffe d'estimo,
anche  "l'attribuzione  di  fatto  in  via diretta ed immediata della
rendita catastale" ai singoli immobili, cio' significando che, "se si
sono  determinati  altri vizi in sede di rilevazione dei valori degli
immobili  ovvero  di  determinazione  delle rendite diversi da quelli
discendenti  dal  criterio  ora legificato, i vizi stessi non possono
reputarsi sanati";
        che,   pertanto,  non  essendo  stati  addotti  argomenti  di
concludenza  tale  da  indurre  questa Corte a mutare le affermazioni
poste  a  fondamento  della  citata  sentenza  n. 211  del  1998,  la
questione   ora   proposta   deve  essere  dichiarata  manifestamente
infondata.
    Visti  gli  artt. 26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  e  9,  secondo  comma,  delle norme integrative per i giudizi
davanti alla Corte costituzionale.