ha pronunciato la seguente


                              Ordinanza

nel  giudizio  di ammissibilita' del conflitto tra poteri dello Stato
sorto  a  seguito  delle  delibere del 16 marzo 1999 della Camera dei
deputati  relative  alla insindacabilita' dei fatti per i quali e' in
corso   il  procedimento  penale  n. 4771/1998  nei  confronti  degli
onorevoli Roberto Maroni ed altri, promosso dalla Corte di appello di
Milano, sezione IV penale, con ricorso depositato il 5 agosto 1999 ed
iscritto al n. 127 del registro ammissibilita' conflitti.
    Udito  nella  camera di consiglio del 24 novembre 1999 il giudice
relatore Guido Neppi Modona.
    Ritenuto  che la Corte di appello di Milano procede nei confronti
dei  deputati  Roberto Maroni, Umberto Bossi, Mario Borghezio, Davide
Carlo   Caparini,   Piergiorgio   Martinelli   e  Roberto  Calderoli,
appellanti  avverso  la  sentenza del pretore di Milano, che li aveva
condannati  per  i  reati di cui agli artt. 110, 337, 339 e 110, 341,
quarto  comma,  del  codice penale, in relazione ai fatti commessi in
Milano  durante  una  perquisizione  disposta  dal  Procuratore della
Repubblica  di  Verona  nei confronti di tale Marchini Corinto, e poi
estesa ad un locale ritenuto nella disponibilita' del predetto presso
la sede di Milano del Partito Lega Nord;
        che  la  Camera  dei  deputati, con deliberazioni adottate in
assemblea il 16 marzo 1999, discostandosi parzialmente dalle proposte
della   Giunta   per  le  autorizzazioni  a  procedere,  ha  ritenuto
l'insindacabilita',   ai   sensi  dell'art. 68,  primo  comma,  della
Costituzione,  dei  fatti  oggetto  di  entrambe  le  imputazioni  di
resistenza  e  di  oltraggio  contestate  ai  deputati Maroni, Bossi,
Caparini,  Martinelli  e Calderoli, mentre nei confronti del deputato
Borghezio,  anch'egli  imputato di entrambi i reati, la deliberazione
di  insindacabilita'  ha  avuto  per  oggetto  solo  i fatti relativi
all'imputazione di oltraggio;
        che la Corte di appello di Milano ha sollevato, con ordinanza
in  data  8 giugno  1999,  conflitto di attribuzione tra poteri dello
Stato  nei confronti della Camera dei deputati, contestando l'uso non
corretto  "del potere di decidere con riferimento alla ricorrenza dei
presupposti   di  applicabilita'  dell'art. 68,  primo  comma,  della
Costituzione,  come esercitato dalla Camera dei deputati con delibere
del 16 marzo 1999";
        che  la  ricorrente,  richiamando le sentenze di questa Corte
n. 289  del  1998  e  n. 375  del  1997,  rileva  che  la prerogativa
costituzionale  riguarda i soli comportamenti dei membri delle Camere
funzionali  all'esercizio  del  mandato parlamentare e non si estende
all'intera   attivita'   politica   del  deputato,  in  quanto  "tale
interpretazione  finirebbe  per  vanificare il nesso funzionale posto
dall'art. 68,  primo comma, e comporterebbe il rischio di trasformare
la prerogativa in un privilegio personale";
        che,   in   particolare,   la  Corte  ricorrente  dubita  che
nell'azione  di  difesa  di una posizione programmatica e politica si
possa  configurare,  "solo  perche'  non  estranea  a  rivendicazioni
avanzate  anche  nell'ambito parlamentare, quel nesso con le funzioni
proprie  dei  deputati  ...  che e' presupposto essenziale del potere
valutativo attribuito alle Camere";
        che  il  nesso  funzionale sarebbe ancor meno ravvisabile con
riferimento  a  comportamenti  di  violenza  e minaccia per opporsi a
pubblici  ufficiali, come d'altronde ritenuto dalla stessa Giunta per
le  autorizzazioni a procedere, che aveva escluso qualsiasi possibile
collegamento tra le funzioni parlamentari e le condotte riconducibili
al  reato  di  resistenza  a pubblico ufficiale, "ancorche' lette nel
contesto  di  protesta  ideologica  da cui si muove l'azione politica
della Lega Nord";
        che  le  delibere  parlamentari di insindacabilita' avrebbero
quindi   compresso  la  sfera  di  attribuzioni  proprie  del  potere
giudiziario,  precludendo alla Corte ricorrente "la cognizione ... in
ordine  alla  rilevanza  penale  dei  fatti  contestati  e  alla loro
riferibilita' agli imputati".
    Considerato   che   in   questa   fase   la   Corte  e'  chiamata
preliminarmente   a   decidere,   senza   contraddittorio,   a  norma
dell'art. 37, terzo e quarto comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87,
se  il  ricorso  sia  ammissibile,  in  quanto  esista  materia di un
conflitto   la   cui  risoluzione  spetti  alla  sua  competenza,  in
riferimento  ai requisiti soggettivi e oggettivi richiamati dal primo
comma dello stesso articolo, impregiudicata ogni definitiva decisione
anche sull'ammissibilita';
        che  la Corte di appello di Milano e' legittimata a sollevare
il    conflitto,   in   quanto   organo   competente   a   dichiarare
definitivamente  la  volonta'  del  potere cui appartiene nell'ambito
delle  funzioni  giurisdizionali  ad  essa attribuite in relazione al
giudizio  penale  pendente  per  i reati di resistenza ed oltraggio a
pubblico   ufficiale,  in  conformita'  al  principio,  ripetutamente
affermato  da  questa  Corte,  secondo  il  quale  i  singoli  organi
giurisdizionali,  svolgendo  le  loro  funzioni in posizione di piena
indipendenza,   costituzionalmente  garantita,  sono  legittimati  ad
essere parte nei conflitti di attribuzione;
        che,  parimenti,  la  Camera  dei  deputati e' legittimata ad
essere  parte  del  presente conflitto, in quanto organo competente a
dichiarare  definitivamente la volonta' del potere che rappresenta in
ordine    all'applicabilita'   dell'art. 68,   primo   comma,   della
Costituzione (v., da ultimo, ordinanze nn. 363, 362, 319 del 1999);
        che,  per  quanto attiene al profilo oggettivo del conflitto,
la  Corte di appello di Milano lamenta la lesione della propria sfera
di   attribuzione   costituzionalmente   garantita,   in  conseguenza
dell'esercizio,  ritenuto  illegittimo  per  erroneita'  dei relativi
presupposti,  del  potere,  spettante  alla  Camera  dei deputati, di
dichiarare  l'insindacabilita',  a  norma  dell'art. 68, primo comma,
Cost., delle opinioni espresse dai propri membri nell'esercizio delle
loro funzioni (v., da ultimo, ordinanze nn. 363,362 e 319 del 1999);
        che   dall'ordinanza   possono   ricavarsi  le  "ragioni  del
conflitto"  e "le norme costituzionali che regolano la materia", come
richiesto  dall'art. 26 delle norme integrative per i giudizi davanti
alla Corte costituzionale.