Ricorso della regione Veneto, in persona del Presidente pro-tempore della Giunta regionale, on. dr. Giancarlo Galan, autorizzato dalla Giunta regionale del Veneto con deliberazione n. 4639 del 28 dicembre 1999 che si allega in copia (all. 1) rappresentata e difesa, in forza di mandato rilasciato dal vicepresidente della Giunta regionale Bruno Canella in assenza del Presidente, dagli avv.ti Alfredo Bianchini e Luigi Manzi, con domicilio eletto presso lo studio del secondo in Roma, via Confalonieri n. 5, come da mandato a margine; Contro la Presidenza del Consiglio dei Ministri, in persona del suo Presidente pro-tempore, nella sua sede in Roma, Palazzo Chigi, nonche' contro il Ministero dei lavori pubblici, in persona del Ministro pro-tempore nella sua sede in Roma, piazzale Porta Pia, 1, notiziandone la regione Trentino-Alto Adige, in persona del presidente pro-tempore della Giunta regionale, nella sua sede in Trento, via Gazzoletti, 2 e la provincia autonoma di Trento, in persona del Presidente pro-tempore della Giunta provinciale, nella sua sede in Trento, via Romagnoli, 9, per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale dell'art. 2, comma 1, lettera d), del d.lgs 11 novembre 1999, n. 463 (recante norme di attuazione dello statuto speciale della regione Trentino-Alto Adige in materia di demanio idrico, di opere idrauliche e di concessioni di grandi derivazioni a scopo idroelettrico, produzione e distribuzione di energia elettrica) pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 289 del 10 dicembre 1999, serie generale. Il d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670 ha delegato il Governo ad emanare uno o piu' decreti legislativi per l'attuazione dello statuto speciale della regione Trentino-Alto Adige, approvato con legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 5. Il Governo ha cosi' emanato il d.lgs dell'11 novembre 1999, n. 463, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 289 del 10 dicembre 1999. La regione Veneto, deducendo l'illegittimita' costituzionale del predetto decreto, lo impugna per i seguenti Motivi di diritto 1. - Violazione dell'art. 76 della Costituzione da parte dell'art 2, comma 1, lettera d) del decreto 11 novembre 1999, n. 463 e dei commi conseguentemente modificati dell'art. 5 del d.P.R. 22 marzo 1974, n. 381: eccesso di delega. L'art. 2 del d.lgs in esame si propone la modificazione dell'art. 5 del d.P.R. 22 marzo 1974, n. 381, recante norme di attuazione dello statuto speciale per la regione Trentino-Alto Adige in materia di urbanistica ed opere pubbliche. In particolare, al comma 1, lett. d) deIl'art. 2 del d.lgs impugnato si prevede che il comma 3 del modificando d.P.R. 381/1974 sia sostituito nel modo che segue: "Il piano generale per l'utilizzazione delle acque pubbliche previsto dall'art. 4 del d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670, vale anche per il rispettivo territorio quale piano di bacino di rilievo nazionale. Il Ministro dei lavori pubblici nella sua qualita' di presidente del comitato istituzionale delle relative autorita' di bacino di rilievo nazionale ed il presidente della provincia interessata assicurano, mediante apposite intese il coordinamento e l'integrazione delle attivita' di pianificazione nell'ambito delle attribuzioni loro conferite dal presente decreto e dalla legge 18 maggio 1989, n. 183. Ai fini della definizione della predetta intesa il Ministro dei lavori pubblici, sentiti i comitati istituzionali delle autorita' di bacino di rilievo nazionale interessati, assicura attraverso opportuni strumenti di raccordo, la compatibilizzazione degli interessi comuni a piu' regioni e provincie autonome il cui territorio ricade in bacini idrografici di rilievo nazionale". L'equivalenza pretesa dalla nuova previsione (piano generale per l'utilizzazione delle acque pubbliche = piano di bacino di rilievo nazionale) impone una rapida analisi dei due distinti istituti previsti dalla normativa fino ad ora vigente. Con riferimento al "piano di bacino di rilievo nazionale", a norma dell'art. 1, comma 3, della citata legge 183/1989 e in relazione alle finalita' espressamente delineate al precedente comma 1 ("assicurare la difesa del suolo, il risanamento delle acque, la fruizione e la gestione del patrimonio idrico per gli usi di razionale sviluppo economico e sociale, la tutela degli aspetti ambientali ad essi connessi"), viene definito bacino idrografico "il territorio dal quale le acque pluviali o di fusione delle nevi e dei ghiacciai, defluendo in superificie, si raccolgono in un determinato corso d'acqua direttamente o a mezzo di affluenti, nonche' il territorio che puo' essere allagato dalle acque del medesimo corso d'acqua ivi compresi i suoi rami terminali con le foci in mare ed il litorale marittimo prospiciente". Il concetto di bacino idrografico come entita' fisico-ambientale unitaria, gia' deducibile agevolmente dalla precedente definizione, e' dichiaratamente confermato all'art. 12, legge citata; in quella sede, anzi, l'unitarieta' del bacino sintetizza una prospettiva di primaria importanza, rivelandosi addirittura il perno finalistico e funzionale dell'intera disciplina di settore: "nei bacini idrografici di rilievo nazionale e' istituita l'autorita' di bacino, che opera in conformita' agli obbiettivi della presente legge considerando i bacini medesimi come ecosistemi unitari". Il bacino idrografico, quindi, rappresenta un'entita' territoriale che costituisce ambito unitario di studio, di programmazione e di intervento e che prescinde completamente dai vigenti confini amministrativi regionali, provinciali o comunali. In sostanza, il bacino idrografico e' considerato quale unita' fisica inscindibile nella quale, con unitarieta' di visione e di criteri con concezioni tecniche uniformi, deve essere inquadrata la pianificazione e la programmazione degli interventi. Espressioni coerenti e conseguenti di quanto illustrato sono la conformazione e la composizione organica dell'autorita' di bacino - soggetto dotato di personalita' giuridica pubblica e di organizzazione propria, al quale sono attribuite funzioni di pianificazione e programmazione in forza di una disciplina normativa nazionale omogenea (commi 2 e ss., stesso art. 12) - e lo strumento di pianificazione disciplinato dall'art. 17 legge citata, a norma del quale "il piano di bacino ha valore di piano territoriale di settore ed e' lo strumento conoscitivo, normativo e tecnico-operativo mediante il quale sono pianificate e programmate le azioni e le norme d'uso finalizzate alla conservazione, alla difesa e alla valorizzazione del suolo e la corretta utilizzazione delle acque, sulla base delle caratteristiche fisiche ed ambientali del territorio interessato". Sotto diverso profilo, del "piano generale per l'utilizzazione delle acque pubbliche" - termine di pretesa "equivalenza" rispetto al "piano di bacino", a norma dell'art. 2, comma 1, lett. d) d.lgs. 463/1999 - e' traccia nel citato art. 14, d.P.R. 670/1972, secondo il cui comma 3 "l'utilizzazione delle acque pubbliche da parte dello Stato e della provincia, nell'ambito della rispettiva competenza, ha luogo in base a un piano generale stabilito d'intesa tra i rappresentanti dello Stato e della provincia in seno a un apposito comitato". L'inconciliabilita' dell'equivalenza pretesa dall'impugnato provvedimento legislativo fra "piano di bacino di rilievo nazionale" ex legge 183/1989, e "piano generale per l'utilizzazione delle acque pubbliche" ex d.P.R. 670/1972 appare, tuttavia, gia' da una prima analisi conducibile sulla gerarchia delle fonti interessate e sulla loro rispettiva efficacia funzionale. L'impugnato d.lgs. 463/1999 e' strumento attuativo di uno statuto speciale, lo Statuto del Trentino-Alto Adige. E' noto che i decreti legislativi attuativi degli statuti speciali hanno lo scopo di consentire l'effettivo trasferimento di funzioni dallo Stato alle Regioni e, in questo senso, essi possono integrare le norme statutarie (disponendo secundum legem e, talvolta, anche praeter legem) ma e' evidente che il loro ambito d'azione e' limitato istituzionalmente alla sfera di efficacia statutaria; il che, poi, corrisponde concretamente al generico asservimento funzionale della norma d'attuazione rispetto alla fonte di riferimento. In altre parole, "le norme di attuazione degli statuti regionali... possono avere un contenuto praeter legem nel senso di integrare le norme statutarie, col limite della corrispondenza delle norme alle finalita' di attuazione dello statuto, nel contesto dell'autonomia regionale" (Corte Cost., 18 luglio 1984, n. 212, in Giur. costit., 1984, I 1442; C. Conti, sez. contr., 15 dicembre 1988, n. 2046, in Cons. Stato, 1989, II, 882). Il decreto legislativo attuativo di uno statuto speciale, quindi, mira (e puo' mirare solo) al soddisfacimento di esigenze amministrative locali, fra cui anche una (ri)organizzazione amministrativa, purche' circoscritta (al piu') al territorio della regione: in subiecta materia poi, va precisato che il campo d'azione della norma attuativa e' ulteriormente circoscritto alla provincia, che e' l'effettivo destinatario della delega di funzioni. In questo senso, la compatibilita' con il sistema normativo accennato e' ancora rinvenibile in relazione a un piano che abbia ad oggetto "l'utilizzazione delle acque pubbliche da parte... della provincia, nell'ambito della rispettiva competenza" (art. 14 d.P.R. 670/1972 perche' il limen di efficacia del piano e' segnato, appunto, dalla competenza della provincia. Ma andare oltre non e' possibile, a pena di distorsioni inammissibili e di gravi illegittimita' istituzionali. E' quanto illegittimamente produrrebbe, appunto, la modificata disciplina di settore, in forza del decreto legislativo impugnato, con la pretesa "equivalenza" di cui si e' detto: se lo strumento di pianificazione provinciale per l'utilizzazione delle acque pubbliche "valesse" quale piano di bacino, cioe' - in ultima analisi - come "piano territoriale di settore... mediante il quale sono pianificate e programmate le azioni e le norme... sulla base delle caratteristiche fisiche ed ambientali del territorio interessato" (art. 17, legge 183/1989), si assisterebbe nella materia de qua ad una forzatura inconciliabile con ripercussioni di carattere generale: l'illegittima quanto inconcepibile compressione del territorio interessato" - disciplinato, omogeneamente, da una normativa di settore nazionale (legge 183/1989) e coincidente, nel caso concreto, con alcuni degli "ecosistemi unitari" di rilievo nazionale ivi previsti - nel riduttivo ambito del territorio" contemplato da una norma dello statuto speciale di una Regione autonoma (l'art. 14 d.P.R. 670/1972), cioe'... la "provincia, nell'ambito della rispettiva competenza"! L'illegittimita' del d.lgs. 463/1999 si manifesta cosi' in tutta la sua evidenza, perche' attribuendo al piano generale per l'utilizzazione delle acque pubbliche di una provincia valore di piano di bacino di rilievo nazionale, eccede dai limiti di delega istituzionalmente determinati, e introduce disposizioni che non hanno affatto natura accessoria e funzionale con riferimento allo statuto speciale di cui costituisce strumento attuativo, ma vere e proprie prescrizioni di carattere generale, operanti ben oltre il limite istituzionale e funzionale della fonte di cui, soltanto, e' legittima attuazione. 2. - Violazione dei principi generali concernenti l'autonomia statutaria, legislativa ed amministrativa delle Regioni da parte dell'art. 2, comma 1, lettera d) del decreto 11 novembre 1999, n. 463 e dei commi conseguentemente modificati dell'art. 5 del d.P.R. 22 marzo 1974, n. 381, con particolare riferimento agli artt. 3, 115, 116, 117, 123 della Costituzione. L'impugnato d.lgs. 463/1999 si manifesta peraltro illegittimo per violazione dell'art. 76 della Costituzione anche in relazione alla grave lesione dei principi di autonomia statutaria nei confronti della Regione Veneto. A norma dell'art. 14, legge 183/1989, i bacini di rilievo nazionale interessanti al contempo la Regione Veneto e la Regione Trentino-Alto Adige sono il bacino del Brenta-Bacchiglione, il bacino dell'Adige e, almeno in parte, il bacino del Po. La summenzionata disciplina di conformazione e composizione organica dell'autorita' competente per ogni bacino idrografico, introdotta dalla stessa legge 183/1989, prevede la partecipazione istituzionale di funzionari designati, in numero complessivamente paritetico, dalle amministrazioni statali e da quelle regionali. Il criterio di composizione dell'autorita' di bacino, al di la' del mero dato letterale, deve comunque assicurare un concreto equilibrio partecipativo delle diverse amministrazioni. Il riconoscimento di "un criterio di composizione non meramente numerico o per quote, ma dipendente dalle competenze e dagli interessi incidenti sull'area considerata", infatti, e' l'impostazione concettuale di fondo posta a fondamento anche della decisione di codesta ecc.ma Corte del 20-26 febbraio 1990, n. 85, ed ivi elevata a presupposto necessario per argomentare la preservata autonomia delle Regioni nella materia de qua. Orbene, la nuova disciplina, cosi' come contemplata dall'impugnato d.lgs. n. 463/1999, scardina radicalmente l'assetto organico-funzionale posto imprescindibilmente a garanzia dell'autonomia regionale e della paritaria partecipazione locale secondo i criteri appena ricordati. In forza delle nuove disposizioni e con riferimento ai bacini idrografici sopra individuati, la composizione organica complessivamente paritetica e la conseguente concreta rappresentativita' delle amministrazioni interessate all'elaborazione e all'adozione dei piani di bacino scomparirebbero completamente. Ad esse subentrerebbero "apposite intese" tra "il Ministro dei lavori pubblici nella sua qualita' di presidente del comitato istituzionale delle relative autorita' di bacino di rilievo nazionale, ed il presidente della provincia interessata", che dovrebbero assicurare "il coordinamento e l'integrazione delle attivita' di pianificazione nell'ambito delle attribuzioni loro conferite dal presente decreto e dalla legge 18 maggio 1989, n. 183". Gia' il testo della modificazione legislativa manifesta il risultato abnorme che deriverebbe dall'applicazione della nuova disciplina, contraddittoria, illogica e gravemente contrastante con la ratio che anima la regolamentazione dell'intera materia. Secondo la lettera della norma ora citata, i soggetti in capo ai quali sono conferite le attribuzioni previste dal d.lgs. impugnato e dalla legge 183/1989 sono - ne' potrebbe essere altrimenti, secondo il senso stesso delle parole (le "attribuzioni loro conferite") - il Ministro dei lavori pubblici e il Presidente della provincia interessata. L'assurdita' - prima ancora dell'illegittimita' - della previsione, di cui si discute appare evidentissima. I soggetti da essa individuati non corrispondono certo a quelli in capo ai quali dovrebbero essere effettivamente conferite le attribuzioni previste dalla legge 183/1989: i Presidenti delle giunte regionali delle Regioni interessate, ivi designati come componenti l'organo piu' autorevole dell'autorita' di bacino, il comitato istituzionale, sarebbero ora sostituiti sic et simpliciter dalla sola figura del Presidente della provincia interessata con uno stravolgimento radicale dell'intero sistema. Ben piu' riduttivamente (e illegittimamente), i Comitati Istituzionali delle autorita' di bacino di rilievo nazionale interessati sarebbero, in forza delle modificazioni introdotte dal d.lgs. 463/1999, "sentiti" per assicurare "attraverso opportuni strumenti di raccordo, la compatibilizzazione degli interessi comuni a piu' regioni e province autonome il cui territorio ricade in bacini idrografici di rilievo nazionale". Niente di piu' vago, equivoco ed insufficiente; o meglio, niente di piu' dichiaratamente illegittimo! Nella sostanza, i pressoche' neutralizzati poteri pianificatori del Comitato Istituzionale interessato toglierebbero qualsiasi motivo di esistere, ad esempio, alla stessa autorita' di bacino dell'Adige come soggetto giuridico autonomo, spossessato, come in realta' questo risulterebbe, di qualsiasi potere concreto di elaborazione e di adozione dello strumento pianificatorio riconosciutogli: il piano di bacino. In questo senso, infatti, il piano provinciale di utilizzazione delle acque sostituirebbe ogni altro strumento di pianificazione e di programmazione inerente le risorse idriche e la difesa del suolo. Altrettanto - e' inutile dirlo - varrebbe per l'autorita' di bacino del Brenta-Bacchiglione, e cosi via. A conferma di quanto illustrato valga l'analisi esegetica volta ad evidenziare, da un lato, l'analogia sostanziale della disposizione ora esaminata, introdotta a modificazione del terzo comma dell'art. 5, d.P.R. 381/1974, con la vigente disposizione dell'art. 14, terzo comma d.P.R. 670/1972 e viceversa, dall'altro lato, la sostanziale diversita' della disposizione introdotta dal d.lgs. 463/1999 a modificazione del successivo quarto comma dell'art. 5 citato con la previgente disposizione ivi contenuta. L'identita' di tendenza nell'esito di ambedue le comparazioni conferma, a titolo esemplificativo, il radicale stravolgimento di un sistema normativo vigente fino ad oggi nella materia in esame, che rispondeva ad una ratio di paritetica partecipazione fra amministrazioni statali e locali, coerente e fortemente voluta dal legislatore, finalizzata ad una forma di cooperazione fra Stato, regioni e province (autonome) che garantisse l'univocita' e l'omogeneita' della pianificazione delle complesse ed articolate discipline che concorrono a formare la difesa del suolo. Uno stravolgimento che non si limita a ledere gravemente l'equilibrio partecipativo dei soggetti interessati, ma giunge ad incidere profondamente nella stessa capacita' organizzativa interna di alcuni di essi, in violazione dei primari principi di autonomia riconosciuti e garantiti dalla Costituzione. Con riferimento alla prima analisi esemplificativa, si e' illustrato supra, in rapporto all'introdotta modificazione del terzo comma dell'art. 5. d.P.R. 381/1974, come la sostituzione dello strumento di pianificazione (piano provinciale di utilizzazione delle acque pubbliche invece di piano di bacino di rilievo nazionale) implichi di fatto un mutamento altrettanto sostanziale nella composizione intersoggettiva dell'organo deputato all'attivita' di pianificazione (Ministro dei lavori pubblici - Presidente della provincia autonoma invece del comitato istituzionale interessato). Singolare, pero', e' che il nuovo organo, in realta', altro non sia che l'"apposito comitato" in seno al quale "i rappresentanti dello Stato e della provincia" stabiliscono "d'intesa" il piano generale" per l'utilizzazione delle acque pubbliche, a norma dell'art. 14, terzo comma d.P.R. 670/1972. Appare cosi' di tutta evidenza come il travasamento in blocco della disciplina di elaborazione del piano provinciale nell'alveo di pertinenza del piano di bacino spodesti - clamorosamente quanto illegittimamente - alcuni dei soggetti individuati dalla normativa di settore (le Regioni) dei poteri ivi riconosciuti loro per la pianificazione e la programmazione in materia. In altre parole, la pretesa equivalenza del piano provinciale per l'utilizzazione delle acque pubbliche con il piano di bacino non ha prodotto altro risultato che lo spostamento di fatto, ad altro livello ma nella stessa direzione, delle competenze soggettive riconosciute nella materia de qua Stato-Provincia autonoma al posto di Stato-Regione-Provincia autonoma. Con riferimento alla seconda analisi esemplificativa, va osservato come il previgente quarto comma dell'art. 5 d.P.R. 381/1974 prevedesse che "in sede di aggiornamento dei piani e programmi provinciali per l'utilizzazione delle acque pubbliche e per gli interventi si tiene conto delle indicazioni contenute nel piano di bacino". In base alla lettera stessa del disposto non si puo' dubitare come, prima dell'innovazione ex d.lgs. 463/1999, piano di bacino e piano per l'utilizzazione delle acque pubbliche fossero istituti non soltanto ben distinti, ma anche legati reciprocamente da un rapporto di gerarchia pianificatoria che vedeva il piano di bacino quale strumento sovraordinato al piano di utilizzazione delle acque pubbliche. Nulla di tutto questo e' piu' presente ormai nel testo modificato dal decreto legislativo impugnato, che al quarto comma dell'articolo in esame introduce una disposizione di tutt'altra natura: una disposizione di carattere finanziario e di sostanziale rinvio a fonti ulteriori. Ancora una volta appare chiaramente come la sostituzione dello strumento di pianificazione (piano provinciale di utilizzazione delle acque pubbliche invece di piano di bacino di rilievo nazionale) con riferimento a determinate zone territoriali (bacini idrografici rientranti nella competenza anche della provincia autonoma del Trentino-Alto Adige interessata) implichi inesorabilmente, l'allargamento dei limiti di competenza soggettiva connessi al nuovo strumento di pianificazione (solo la provincia autonoma interessata) a scapito, evidentemente, dei soggetti in quest'ultimo non contemplati: le Regioni e, in particolare, la Regione Veneto. Il sistema di pianificazione sostanzialmente ridisegnato dall'intervento dell'impugnato d.lgs. 463/1999, si manifesta incongruo e gravemente illegittimo anche con riferimento alle ripercussioni concrete dell'azione di intervento dei soggetti interessati. Invero, nella effettiva gestione delle acque, la nuova disciplina non presta piu' un'idonea garanzia di tutela in relazione a due aspetti fondamentali in materia, l'aspetto quantitativo (sotto il profilo del mantenimento del deflusso minimo vitale nel corso d'acqua e della sicurezza nei confronti dei fenomeni di piena) e l'aspetto qualitativo (sotto il profilo della garanzia sulle condizioni qualitative del corso d'acqua). Viene cosi' impedita - e cio' a scapito, in particolare, delle competenze della Regione Veneto - una seria ed efficace azione svolta nell'ambito del bacino idrografico unitariamente considerato. 3. - Violazione dell'art. 10, primo comma Cost. da parte dell'art. 2, comma 1, lettera d) del decreto 11 novembre 1999, n. 463 e dei commi conseguentemente modificati dell'art. 5 del d.P.R. 22 marzo 1974, n. 381 per contrasto con i principi comunitari. Il d.lgs. 11 maggio 1999, n. 152, recante disposizioni sulla tutela delle acque dall'inquinamento e recepimento della direttiva 91/271/CEE concernente il trattamento delle acque dall'inquinamento, provocato dai nitrati provenienti da fonti agricole, definisce il piano dl tutela delle acque come "piano stralcio" di settore del piano di bacino, ai sensi dell'art. 17, legge 183/1989. A tal riguardo, esso stabilisce altresi' che il piano di tutela delle acque preveda, tra l'altro, le misure di tutela qualitative e quantitative integrate e coordinate per bacino idrografico, le priorita' e i tempi degli interventi nonche' il programma di verifica dell'efficacia degli interventi. A norma del d.lgs. 152/1999 e in relazione a questi obbiettivi, le autorita' di bacino definiscono gli obbiettivi e le priorita' degli interventi su scala di bacino. Anche in questo caso e' evidente l'illegittimita' del decreto legislativo impugnato che, sostanzialmente sostituendo con il piano provinciale di utilizzazione delle acque il piano di bacino, impedisce a quest'ultimo di garantire l'elaborazione e l'adozione di una corretta ed effettiva pianificazione, in base ai criteri illustrati e secondo impostazioni e concezioni unitarie riconducibili all'intero ambito territoriale del bacino idrografico.