IL TRIBUNALE MILITARE
   Nel  procedimento  penale  a  carico di Acciarino Alessandro nato a
 Napoli il 15 marzo 1978, residente a Massa  di  Somma  (Napoli),  via
 Veseri  n.  4, soldato presso 1 Rgt art. da mont. in Fossano (Cuneo),
 imputato del reato di diserzione (art. 148, comma 2, c.p.m.p.);
   Ha  pronunciato  la   seguente   ordinanza   sulla   questione   di
 legittimita'  costituzionale dell'art. 1 della legge 30 dicembre 1988
 n. 561 (Istituzione del  Consiglio  della  magistratura  militare)  e
 dell'art.  7,  secondo  comma,  del  r.d.  19  ottobre  1923 n. 2316,
 dell'art. 2, legge 7 maggio 1981 n.  180  (Modifiche  all'ordinamento
 giudiziario  militare  di  pace)  in  relazione agli artt. 103, terzo
 comma, 101, secondo comma, 104,  primo  comma,  107  e  108,  secondo
 comma, della Costituzione;
                             O s s e r v a
   In  data  9 novembre 1999 il pubblico ministero esercitava l'azione
 penale nei confronti dell'imputato  in  rubrica  per  il  delitto  di
 diserzione  impropria  contestatogli  e  chiedeva  emettersi da parte
 questo giudice decreto penale di condanna alla multa di L. 4.500.000,
 rateizzata in 10 rate mensili da L. 450.000.
   Questo giudice all'atto di decidere in merito alla richiesta dubita
 pero'  della  propria  legittimazione  giurisdizionale  cioe',  della
 propria  potesta'  di  decidere  con  provvedimento  di  esercizio di
 giurisdizione.
   E,  cio'  perche',  dall'esame  delle  norme  costituzionali  sopra
 citate,  in  particolare  dagli artt. 103, terzo comma e 108, secondo
 comma, si evincerebbe la propria attuale illegittima costituzione ed,
 anche, la carenza di adeguate garanzie in ordine all'esercizio  della
 potesta'  giurisdizionale;  stante  la  attuale  vigenza  delle norme
 ordinarie impugnate che prevedono sia un magistrato militare  (e  non
 ordinario)  a  prestare  servizio  presso  gli organi della giustizia
 militare perdipiu', sottoposto  al  possibile  esercizio  dell'azione
 disciplinare  da parte del Ministro della difesa (esecutivo su cui si
 esercita esclusivamente la giurisdizione).
   In modo tale da trovarsi in difetto di reale indipendenza che se e'
 vero che "nella materia in esame e' forma mentale, costume, coscienza
 di una entita' professionale, non e' men vero  che,  in  mancanza  di
 adeguate, sostanziali garanzie, esse, come e' stato rilevato, degrada
 a  velleitaria  aspirazione"  (ved.  sentenza Corte costituzionale n.
 266 dell'8 marzo 1988).
   Le norme impugnate prevedono infatti, che sia  il  Consiglio  della
 magistratura militare ad avere le stesse attribuzioni previste per il
 Consiglio  superiore  della  magistratura,  fra cui quelle in tema di
 assunzioni,  assegnazione  di  sedi  e  di  funzioni,  trasferimenti,
 promozioni  e  su  ogni  altro  provvedimento  di Stato riguardante i
 magistrati militari.
   Ed, e' altresi' prevista una dipendenza per l'organizzazione  degli
 affari  giudiziari  dal Ministero della difesa anziche', da quello di
 grazia e giustizia. E, per quello che piu' conta, e' previsto che sia
 il Ministro della difesa, e non quello di grazia  e  giustizia.    ad
 esercitare l'azione disciplinare.
   L'art.  1  della legge n. 561/1988 (Istituzione del Consiglio della
 magistratura militare) ai commi 3 e 7 prevede: "Il Consiglio ha,  per
 i  magistrati  militari,  le  stesse  attribuzioni  previste  per  il
 Consiglio  superiore  della   magistratura,   ivi   comprese   quelle
 concernenti  i  procedimenti  disciplinari, sostituiti al Ministro di
 grazia  e  giustizia  e  al  procuratore  generale presso la Corte di
 cassazione,  rispettivamente,  il  Ministro  della   difesa   ed   il
 procuratore  generale  militare  presso  la  Corte  di cassazione ...
 L'azione  disciplinare  nei  confronti  dei   giudici   militari   e'
 esercitata  dal  Ministro  della  difesa  o  dal procuratore generale
 militare presso la Corte di cassazione ...".
   Il d.P.R. 24 marzo 1989 n. 158 disciplina poi, specificatamente, in
 sede di attuazione della  legge  di  cui  sopra,  le  attribuzioni  e
 funzioni del Consiglio della magistratura militare.
   L'art. 7, secondo comma, del r.d. 19 ottobre 1923, n. 2316 (decreto
 legislativo  emanato  a  seguito della delega contenuta nella legge 3
 dicembre 1922 n. 1601), ancora vigente (come del resto  la  normativa
 circa   il   reclutamento  dei  magistrati  militari),  dispone:  "Il
 personale della giustizia militare e' costituito di magistrati  e  di
 cancellieri.  Esso dipende dal Ministro della difesa".
   E  questo  giudice  e' stato per l'appunto nominato quale g.i.p., e
 assegnato di sede a Torino con  decreto  del  Ministro  della  difesa
 previa delibera del Consiglio della magistratura militare. La propria
 costituzione  e la ritenuta legittimita' di esercizio giurisdizionale
 e', pertanto, derivata dalla applicazione delle norme impugnate.
   La norma di cui all'art. 2 della legge n. 180/1981 prevede poi  che
 i tribunali militari siano composti da magistrati militari.
   Detto  cio',  con riferimento al primo dei parametri costituzionali
 invocati e, cioe', alla norma di cui all'art. 103, ultimo comma della
 Costituzione che prevede che "I tribunali militari in tempo di guerra
 hanno la giurisdizione stabilita della legge. In tempo di pace  hanno
 giurisdizione  soltanto per i reati militari commessi da appartenenti
 alle Forze armate";
   La posposizione logica della regolamentazione per il tempo di pace,
 che avrebbe dovuto precedere quella prevista per il tempo di  guerra,
 e'  dovuta  senz'altro  al  fatto  che  nel  progetto  originario  di
 Costituzione approvato dalla cd. Commissione dei  75  presieduta  dal
 Sen.  Ruini  il  sesto  comma  dell'art.  95  disponeva  "I tribunali
 militari possono essere istituiti solo in tempo di guerra" mentre, la
 VII disposizione transitoria del progetto di  Costituzione  affermava
 che  "Entro  cinque anni dall'entrata in vigore della Costituzione si
 procede  alla  revisione  degli  organi  speciali  di   giurisdizione
 attualmente  esistenti, salvo le giurisdizioni del Consiglio di Stato
 e della Corte dei conti.
   Tale termine e' ridotto a tre anni per i tribunali militari.  Entro
 sei  mesi  dall'entrata  in  vigore  della  presente  Costituzione si
 provvede con legge alla soppressione del tribunale supremo militare e
 alla devoluzione della sua competenza alla Cassazione".
   Quindi,  nel  progetto  originario  di  Costituzione  i   tribunali
 militari  in tempo di pace erano stati aboliti ed erano previsti solo
 per il tempo di guerra.
   In assemblea costituente poi, la struttura della Carta fondamentale
 non fu rivista e l'emendamento all'art. 95  dell'originario  progetto
 che  porto'  alla  attuale  formulazione  dell'art. 103, ultimo comma
 della Costituzione  non  implica,  e  non  puo'  implicare,  che  con
 l'introduzione    della    eccezionalissima   (cosi'   la   Consulta)
 giurisdizione dei tribunali militari, in tempo di pace, si sia  anche
 mantenuta la struttura della magistratura militare.
   Dai lavori preparatori della Costituente si evince solo la volonta'
 univoca  di  limitare  (chiarificatore  e'  l'avverbio "soltanto") al
 massimo la giurisdizione  penale  militare,  sia  soggettivamente  (i
 militari  in  servizio  attivo), sia oggettivamente (i reati militari
 formalisticamente intesi); nessuna volonta' e' rinvenibile in  merito
 al  mantenimento  di  una  magistratura  militare  separata da quella
 ordinaria.
   L'impianto della Costituzione era completo per quanto  concerne  le
 magistrature:  erano  previste  la  magistratura  ordinaria  e quelle
 speciali del Consiglio di Stato e della Corte dei conti.
   L'emendamento aveva solo lo scopo di consentire  la  sopravvivenza,
 in  tempo  di  pace,  dei  tribunali  militari  soltanto  per i reati
 militari commessi dagli appartenenti alle forze armate e, non  poteva
 voler  dire,  per  la  natura  stessa  di  un  emendamento, revisione
 dell'impianto della magistratura ordinaria prevista nel  progetto  di
 Costituzione  e  introduzione  di un magistratura militare dipendente
 sia per i giudicanti, sia per i requirenti dal Ministro della  difesa
 e  dal  Procuratore  generale  militare  presso  il tribunale supremo
 militare.
   Il Costituente mai ha inteso  che  i  tribunali  militari,  giudici
 eccezionali,   andassero  ad  essere  formati  da  magistrati  togati
 militari anziche' ordinari.
   Vi e'  stato  insomma  con  l'emendamento  in  questione  solo  una
 previsione  di  giurisdizione  speciale  (assai  limitata)  e  non di
 magistratura.
   Ne' si puo' sostenere che il processo  di  smilitarizzazione  della
 magistratura militare e l'equiparazione  alla magistratura ordinaria,
 di cui alla legge di riforma dell'ordinamento giudiziario militare di
 pace  (legge  n.  180/1981),  possa  permettere  l'esistenza  di  una
 magistratura abolita dal Costituente.
    Se l'introduzione di una equiparazione per status  dei  magistrati
 militari agli ordinari (art. 1 predetta legge) fosse avvenuta con una
 legge  di rango costituzionale, solo allora sarebbe stato ammissibile
 l'introduzione nel nostro ordinamento  di  una  magistratura  abolita
 nella Carta fondamentale.
   Nulla  vuol  dire che sia sopravvissuta fino ad oggi poiche', anche
 per  abolire  il  tribunale  supremo  militare,  che   era   previsto
 tassativamente  nella  VI  disposizione  transitoria fosse riordinato
 perentoriamente  entro  un  anno  in  relazione  all'art.  111  della
 Costituzione, ci sono voluti 33 anni.
   Il  legislatore  ordinario  si  e'  sempre  disinteressato a questo
 settore di giurisdizione speciale e solo con la legge n. 180/1981  ha
 fatto  denotare  un  primo  tentativo  graduale  di adeguamento della
 giustizia militare al dettato   costituzionale. Fermandosi  pero'  su
 questo  argomento  e,  riconoscendo  parita'  di status giuridico fra
 magistrati militari e ordinari.
   E lasciando irrisolti altri problemi quali quello sopra  denunciato
 e  la  dipendenza  disciplinare  dei magistrati militari dal Ministro
 della difesa cioe', dal Ministro responsabile del  dicastero  su  cui
 esclusivamente  si esercita la giurisdizione, cosi' permettendo, cosa
 che avviene, la insorgenza di conflittualita'  che  non  troverebbero
 ragione  d'essere  se  fosse stata posta una dipendenza organizzativa
 (per gli affari giudiziari) e disciplinare dal Ministro di  grazia  e
 giustizia,   che   solo  puo'  conoscere  le  esigenze  degli  uffici
 giudiziari, anche  i  militari,  e  solo  puo',  tramite  le  proprie
 articolazioni,  conoscere  e valutare la giurisdizione nel suo stesso
 esercizio.
   Non  deve  percio',  meravigliare  che  quanto  sopra   esposto   e
 denunciato  sia  posto  oggi  a  distanza  di 50 anni dall'entrata in
 vigore della Carta costituzionale.
   Devesi altresi', dire che  solo  l'intervento,  anche  additivo,  o
 interpretativo,  della  Corte  costituzionale,  ha permesso in questi
 ultimi dieci anni, nella latitanza del legislatore, l'adeguamento del
 codice penale militare di pace al codice di procedura penale  entrato
 in vigore il 24 ottobre 1989.
   Non  e'  una novita' poi, che piu' volte la Consulta abbia invitato
 il Parlamento a riformare la legislazione penale militare  asserendo,
 fra  l'altro,  che  la  riforma dei codici militari in conformita' ai
 principi della Costituzione e' un  impegno  che  troppo  tempo  ormai
 grava insoddisfatto sugli organi legislativi.
   In  sintesi,  si  ritiene che nella Carta costituzionale non vi sia
 alcun elemento per ritenere radicato il convincimento che i tribunali
 militari debbano essere composti  da  magistrati  militari,  anziche'
 ordinari.
   L'attuale  e  vigente  legislazione  che  si impugna appare violare
 anche le norme costituzionali di cui agli artt. 101,  secondo  comma,
 104, primo comma e 107.
   La  norma  di cui all'art. 7, secondo comma del r.d. 9 ottobre 1923
 n. 2316 e' quantomeno esemplificativa: "Il personale della  giustizia
 militare  e'  costituito di magistrati e di cancellieri. Esso dipende
 dal Ministero della difesa".
   La dipendenza, anche disciplinare, dal  Ministro  della  difesa  e'
 evincibile anche dall'art. 1 della legge  n. 561/1988.
   Tutto cio' non puo' che comportare una reale caduta di indipendenza
 e   un'elisione  delle  garanzie,  anche  normative,  che  dovrebbero
 tutelarla  ai   fini   dell'imparziale   esercizio   della   speciale
 giurisdizione.
   Non  e'  piu'  tollerabile  che  a  distanza di 50 anni dalla Carta
 costituzionale venga ancora permesso  al  Ministro  responsabile  del
 Dicastero su cui esclusivamente si esercita la giurisdizione, e privo
 anche  dalle  articolazioni  necessarie  per  conoscere  negli esatti
 contenuti le effettive modalita' di  esercizio  della  stessa,  possa
 esercitare  l'azione disciplinare sui magistrati militari, azione che
 giurisprudenza fra l'altro ha definito come esemplificazione di  alta
 discrezionalita' nemmeno da motivare.
   Cio'  permette  ancora,  parafrasando un concetto rinvenibile nella
 sentenza della Corte costituzionale n. 266 del 1988,  una  dipendenza
 (almeno   in  ordine  ai  provvedimenti  stessi)  della  magistratura
 militare dall'esecutivo.
   Ma  la  dipendenza  dall'esecutivo  dei  magistrati   militari   e'
 rinvenibile  anche  in  situazioni  anche all'apparenza minimali che,
 pero',  nuocciono  quanto  meno  all'immagine  di   indipendenza   ed
 imparzialita'  di cui deve godere una magistratura, soggetta soltanto
 alla legge e autonoma ed indipendente da ogni altro potere.
   Infatti stante il r.d.l. 28 novembre  1935  n.  2397  i  magistrati
 militari  rivestono  i  gradi  militari corrispondenti a quelli delle
 forze armate su cui esclusivamente esercitano la  giurisdizione.  Non
 e'  raro  che  magistrati militari si qualifichino con relativo grado
 anche per beneficiare dei servizi erogati  dagli  enti  extrabilancio
 del Ministero della difesa.
   L'attuale  inquadramento  dei magistrati militari fra il "personale
 civile della difesa" (non esiste presso il Dicastero in questione una
 articolazione relativa alla magistratura militare e/o alla  giustizia
 militare)  porta  alla  conseguenza  dell'inesistenza di un qualsiasi
 controllo sull'attivita' e sull'attribuzione di competenze  da  parte
 del  Consiglio  della  magistratura militare ed anche all'incredibile
 lesione di fondamentali principi costituzionali  laddove  per  es.  i
 provvedimenti  di  nomina  e  assegnazione di sedi e funzioni vengono
 richiesti al Ministro della difesa anziche', a  quello  di  grazia  e
 giustizia   come   discenderebbe  dall'equiparazione  dei  magistrati
 militari ai magistrati ordinari (art. 1, cpv legge 7 maggio  1981  n.
 180).
   Il  legislatore ordinario poi, non puo' derogare alla normativa che
 attribuisce al Consiglio superiore  della  magistratura  le  garanzie
 circa  l'assegnazione,  la  norma  e  l'inamovibilita' dei magistrati
 (ved. art. 107 Cost.).
   Sembrerebbe illegittima costituzionalmente la norma di cui all'art.
 1 della legge n. 561/1988 allorche' il  legislatore  ordinario,  come
 gia'  detto,  ha  equiparato  i magistrati militari a quelli ordinari
 stabilendo: "Lo  stato  giuridico,  le  garanzie  di  indipendenza  e
 l'avanzamento   dei   magistrati   militari   sono   regolati   dalle
 disposizioni  in  vigore  per  i  magistrati  ordinari,   in   quanto
 applicabili, ferme le equiparazioni di cui al comma precedente".
   Effettuata  questa  equiparazione il legislatore ordinario non puo'
 avere  scelta  sul  piano  costituzionale  laddove  la  garanzia   di
 indipendenza   dei   magistrati   ordinari   e'   disciplinata  dalla
 Costituzione. Non e' data possibilita' a deroghe.
   Un analogo problema  non  sorge  per  i  magistrati  dei  tribunali
 amministrativi  regionali,  della  Corte dei conti e del Consiglio di
 Stato che, non essendo equiparati ai magistrati ordinari, anzi avendo
 una disciplina legislativa che sancisce e  sottolinea  la  diversita'
 dai   magistrati   ordinari,  possono  essere  garantiti  nella  loro
 indipendenza dall'art.  108, secondo comma della Costituzione.
   Detta disposizione,  avendo  il  legislatore  ordinario  scelto  di
 equiparare i magistrati militari agli ordinari per quanto concerne lo
 stato  giuridico, le garanzie di indipendenza e l'avanzamento non puo
 piu' riferirisi anche ai magistrati militari.
   La stessa Corte costituzionale con la sentenza gia'  richiamata  n.
 266  del  1988  sembra  alludere  cio' fra le righe quando asserisce:
 "ne'  e'  dato  qui  esaminare  questioni,  peraltro  non  sollevate,
 relative  all'eventuale  devoluzione delle materie di cui al comma 1,
 art. 15 della legge  in  discussione  al  Consiglio  superiore  della
 magistratura".
   Si  ritiene  che  nel  1988  fosse  gia' un passo traumatico per le
 Istituzioni militari la introduzione  di  un  organo  di  autogoverno
 della  magistratura  militare; ecco perche' all'epoca era impensabile
 la soluzione piu'  drastica,  ma  piu'  razionale,  che  la  Consulta
 sembrava volere timidamente sollevare d'ufficio.
   Qualora  le  questioni  di  costituzionalita' sopra evidenziate non
 fossero ritenute fondate emergerebbe, si  ritiene,  rilevante  e  non
 manifestamente  infondata  una censura delle norme impugnate rispetto
 all'art. 108, secondo comma della Costituzione.
   E'  ovvio  che tutte le considerazioni gia' esposte sotto gli altri
 profili  di  costituzionalita'  dovrebbero   richiamarsi   dato   che
 normativamente  risulta che il legislatore ordinario ha introdotto un
 sistema di provvedimenti inerenti lo status dei magistrati  militari,
 compresi  quelli  disciplinari,  facenti capo all'Esecutivo, cioe' al
 Ministro della  difesa,  responsabile  del  Dicastero  oggetto  degli
 accertamenti penali.
   Trattasi  di situazioni che elidono le garanzie di indipendenza dei
 magistrati militari poiche', aldila'  di  ogni  considerazione  della
 loro valenza nel foro interno del giudicante, quali "garanzie valgono
 a  prevenire  attacchi  all'autonomia  ed indipendenza dell'esercizio
 delle funzioni giudiziarie e comunque, non sono  condizionate,  nella
 loro  attuazione,  alla  concreta esistenza di specifiche aggressioni
 alle predette autonomia e indipendenza"   (ved. Corte  costituzionale
 n. 266/1988).