ha pronunciato la seguente Ordinanza nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 10, settimo comma, della legge 18 aprile 1962, n. 167 (Disposizioni per favorire l'acquisizione di aree fabbricabili per l'edilizia economica e popolare), nel testo introdotto dall'art. 35 della legge 22 ottobre 1971, n. 865 (Programmi e coordinamento dell'edilizia residenziale pubblica; norme sulla espropriazione per pubblica utilita'; modifiche ed integrazioni alle leggi 17 agosto 1942, n. 1150; 18 aprile 1962, n. 167; 29 settembre 1964, n. 847; ed autorizzazione di spesa per interventi straordinari nel settore dell'edilizia residenziale, agevolata e convenzionata), promosso con ordinanza emessa il 25 febbraio 1998 dalla Corte d'appello di Catania nel procedimento civile vertente tra la Coop. Edilizia "San Cristoforo" a r.l. e il comune di Ragusa, iscritta al n. 618 del registro ordinanze 1998 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 37, prima serie speciale, dell'anno 1998; Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri; Udito nella camera di consiglio del 10 novembre 1999 il giudice relatore Riccardo Chieppa; Ritenuto che nel corso di un giudizio promosso in primo grado dal comune di Ragusa contro una societa' cooperativa, e proseguito in secondo grado da quest'ultima, avente ad oggetto la condanna al pagamento del corrispettivo del diritto di superficie ceduto su aree comprese nei piani di edilizia economica e popolare, la Corte d'appello di Catania, con ordinanza del 25 febbraio-14 maggio 1998 (r.o. n. 618 del 1998), ha sollevato questione di legittimita' costituzionale, per violazione dell'art. 3 della Costituzione, dell'art. 10, settimo comma, della legge 18 aprile 1962, n. 167 (Disposizioni per favorire l'acquisizione di aree fabbricabili per l'edilizia economica e popolare), nel testo introdotto dall'art. 35 della legge 22 ottobre 1971, n. 865; che la denunciata violazione del precetto costituzionale riguarda, in particolare, la disposizione dell'art. 35, che commisura il corrispettivo della concessione del diritto di superficie sulle predette aree al costo sostenuto dal comune per la loro acquisizione, con particolare riferimento al caso in cui tale costo e' stato, a sua volta, corrispondente all'indennita' di esproprio calcolata sulla base del valore di mercato del bene, ai sensi dell'art. 39 della legge 25 giugno 1865, n. 2359; che la controversia posta all'attenzione del giudice remittente concerne il pagamento del corrispettivo dovuto proprio per la concessione del diritto di superficie sulle aree comprese in un piano di zona; che nella convenzione stipulata tra la societa' cooperativa ed il comune di Ragusa, ad integrazione ed "in sanatoria" dell'anticipato affidamento del terreno, si era previsto, tra l'altro, l'obbligo della societa' di corrispondere una somma pari al costo di acquisizione sostenuto dal comune "nelle misure previste dalle vigenti disposizioni in materia di espropriazione o in quelle altre che saranno emanate in ossequio alla sentenza della Corte costituzionale n. 5 del 1980"; che il giudice a quo ha osservato, in specie, che il comune espropriante, in esito a separato giudizio, aveva corrisposto ai proprietari espropriati la relativa indennita' per un importo pari al valore di mercato delle aree, per effetto del regime instauratosi a seguito della declaratoria di illegittimita' costituzionale, pronunciata dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 5 del 1980, delle norme della stessa legge n. 865 del 1971, che avevano ancorato la misura dell'indennizzo al parametro del valore agricolo medio; che la conseguenza di tale presupposto, ha proseguito la Corte d'appello, in virtu' del dettato dell'art. 35, che collega l'importo del corrispettivo di cessione al costo di acquisizione delle aree, e' quella di obbligare la societa' assegnataria a pagare, a fronte della cessione di un diritto reale limitato (quale il diritto di superficie), la maggior somma corrispondente al valore di mercato della piena proprieta' del bene; che la diversita' tra il diritto di superficie a termine (sia pure eventualmente fissato nel limite massimo di novantanove anni) e la piena proprieta' del bene confermerebbe, secondo il giudice a quo l'esistenza di un'ingiustificata disparita' di trattamento tra le seguenti categorie di soggetti: da una parte, le persone e gli enti che, per acquistare il diritto di superficie, ai sensi dell'art. 35 della legge n. 865 del 1971, hanno dovuto e devono ancor oggi pagare un corrispettivo pari ad un'indennita' di esproprio non inferiore al valore di mercato (pieno) del bene (nel regime anteriore all'art. 5-bis del d.-l. 11 luglio 1992, n. 333, convertito nella legge 8 agosto 1992, n. 359); dall'altra parte, tutti coloro che, operando in regime di libero mercato, mediante pagamento della medesima somma e senza aggravio sostanziale degli oneri economici, sono invece in condizione di acquistare la piena proprieta' dei terreni; che questa disparita' di trattamento, ha precisato la Corte d'appello, concernerebbe solo quelle concessioni di superficie che hanno assunto come parametro l'indennita' di esproprio calcolata col criterio del valore venale del terreno, di cui all'art. 39 della legge 25 giugno 1865, n. 2359, poiche', a seguito dell'entrata in vigore del nuovo criterio di cui all'art. 5-bis del d.-l. n. 333 del 1992, l'equilibrio tra commisurazione dell'indennizzo espropriativo e corrispettivo della concessione superficiaria sarebbe nuovamente garantito; che un secondo profilo applicativo, che implicherebbe disparita' di trattamento rilevante ai fini dell'art. 3 della Costituzione, e' stato riscontrato dal giudice remittente con riferimento alle situazioni disciplinate dal settimo comma e dodicesimo comma dello stesso art. 35, i quali prevedono, oltre all'ipotesi della concessione del diritto di superficie a termine, quella della cessione in proprieta' delle medesime aree; che anche nel caso della cessione in proprieta' la legge prevede la commisurazione del corrispettivo ai costi di acquisizione delle aree sostenuti dal comune, sicche' ne risulterebbe un sistema normativo di dubbia ragionevolezza, nel quale la somma dovuta per la cessione delle aree e' la medesima, sebbene diversi siano i diritti reali (proprieta' e superficie) ceduti su immobili compresi nello stesso piano di zona; che e' intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, che ha prospettato l'opportunita' di restituire gli atti al giudice a quo per rinnovare il giudizio sulla rilevanza della questione, ed, inoltre, ne ha eccepito l'inammissibilita', in quanto sollevata con riferimento ad una norma da ritenere ormai (implicitamente) abrogata, per effetto delle disposizioni dettate dall'art. 3 della legge 28 dicembre 1995, n. 549 e dall'art. 3 della legge 23 dicembre 1996, n. 662, norme non oggetto di adeguata valutazione nell'ordinanza di rimessione; che, secondo la Presidenza del Consiglio, il combinato disposto dell'ottavo comma, lettera a), e dodicesimo comma, dell'art. 35 della predetta legge n. 865 del 1971, cosi' come modificato dall'art. 3, comma 63, della legge n. 662 del 1996, individuerebbe il corrispettivo della concessione in diritto di superficie mediante riferimento al "metro cubo edificabile", fissandone la misura massima al 60% del prezzo di cessione dello stesso volume; che - sempre secondo la Presidenza del Consiglio - l'art. 3, comma 61, della legge n. 662 del 1996, provvedendo all'interpretazione autentica dell'art. 3, settantasettesimo comma, della legge n. 549 del 1995 stabilirebbe che tale ultima disposizione debba intendersi nel senso che il prezzo delle aree (gia' concesse in diritto di superficie ed ora trasferibili in proprieta' ai sensi dell'art. 3, settantacinquesimo comma, della legge n. 549 del 1995) viene determinato dall'UTE in conformita' all'art. 5-bis comma 1, del d.-l. n. 333 del 1992, convertito in legge n. 359 del 1992, con la conseguenza di una significativa modificazione (anteriore alla stessa ordinanza di rimessione) della norma che il giudice a quo ha sottoposto allo scrutinio di costituzionalita'. Considerato che l'ordinanza di rimessione omette del tutto di valutare gli effetti delle disposizioni contenute nell'art. 3 della legge 28 dicembre 1995, n. 549 e nell'art. 3 della legge 23 dicembre 1996, n. 662 (in particolare nei comma 61 e 63) - come sottolineato dalla difesa del Presidente del Consiglio dei Ministri -, con la conseguenza della mancanza di completa motivazione sulla rilevanza della questione prospettata; che, inoltre, l'ordinanza che ha sollevato la questione non compie alcuna valutazione sulla portata della clausola della convenzione stipulata tra la societa' cooperativa ed il comune in ordine all'obbligazione assunta dalla societa' circa le somme da corrispondere al comune per le spese di acquisizione dell'area sostenute dallo stesso comune; che pertanto e' preliminare la dichiarazione di manifesta inammissibilita' della questione per omessa motivazione sulla rilevanza in relazione alla normativa vigente alla data dell'ordinanza di rimessione, a prescindere dalla considerazione che le predette disposizioni hanno subito - con la sopravvenuta legge 23 dicembre 1998, n. 448, art. 31, comma 45-50 - una integrazione delle facolta' di chi aveva ottenuto la concessione del diritto di superficie, accompagnata da abrogazione di alcune delle disposizioni soprarichiamate; Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.