IL TRIBUNALE
   Con decreto di citazione  emesso  dalla  procura  della  Repubblica
 presso  questa  pretura  in  data  12  maggio  1995 veniva esercitata
 l'azione penale nei confronti di Libera Mirco Antonio per il reato di
 cui all'art. 71-ter,  lettere b) e c), legge n. 633/1941,  per  avere
 il  medesimo  detenuto  per  la  vendita,  il  9  febbraio  1995,  30
 musicassette e  39  compact-disks  sprovvisti  del  timbro  S.I.A.E.,
 nonche'  per  il  reato  di  cui  all'art. 648, c.p., per la ritenuta
 conseguente ricettazione dei  supporti  in  argomento  in  quanto  si
 legge,    testualmente   nell'impiato   accusatorio,   "illecitamente
 riprodotti e realizzati da master di provenienza  delittuosa  perche'
 oggetto  di  delitti di cui agli art.  1, legge n. 400/1985, legge n.
 406/1981,  171-ter,  lettera  A,  legge  n.  633/1941, introdotto con
 d.lgs. n. 685/1994 commessi in data e luogo indeterminati".
   Celebrata la fase dibattimentale, va innanzitutto  premesso,  quale
 elemento  rilevante  in  relazione  a  quanto si dira', come il fatto
 materiale della disponibilita' dei supporti sopra menzionati in  capo
 al  Libera,  nonche'  la  circostanza  della  loro esposizione per la
 vendita il  9  febbraio  1995  in  piazza  Duomo,  in  Milano,  siano
 ragionevolmente  certi,  alla  luce della testimonianza dell'operante
 Baldari, oltre che alla luce del verbale di sequestro in atti.
   Questo  detto,  ritiene  pero'  necessario  lo  scrivente  svolgere
 preliminarmente  alcune  considerazioni  in  ordine al divenire della
 realta' normativa in  materia,  e  nello  specifico  svolgere  alcune
 considerazioni  in merito all'impianto normativo esistente fino al 31
 dicembre 1994 relativamente alla tutela penale di opere  coperte  dal
 diritto   d'autore,   ed   in   particolare   alla  tutela  di  opere
 cinematografiche, di dischi e supporti analoghi, di  videocassette  e
 di musicassette.  Detta tutela penale veniva offerta in realta' dalla
 legge  n.  406/1981,  dalla legge n. 400/1985, architetture normative
 queste cui ha fatto riferimento l'organo titolare dell'azione  penale
 nel  decreto di citazione, nonche' dalla legge n. 121/1987, strumento
 normativo di conversione del d.-l.  n.  9/1987.    Con  la  prima  si
 sanzionavano  penalmente  condotte  di abusiva riproduzione a fini di
 lucro, di dischi, nastri o  supporti  analoghi,  o  comportamenti  di
 introduzione  in  commercio,  di  detenzione  per  la  vendita  o  di
 importazione nel territorio dello Stato dei beni in parola.   Con  la
 seconda  si  assoggettano  a  reazione  penale  condotte  di  abusiva
 duplicazione o  riproduzione,  sempre  a  fini  di  lucro,  di  opere
 cinematografiche  destinate al circuito cinematografico o televisivo,
 oppure comportamenti di introduzione in commercio, detenzione per  la
 vendita  o  importazione  nel  territorio  dello Stato delle opere in
 questione.   Con la terza  di  contemplava  una  reazione  penale  in
 ipotesi  di  vendita  o  noleggio di videocassette riproducenti opere
 cinematografiche e non contrassegnate dalla Societa' degli autori  ed
 editori  (S.I.A.E.)    ai  sensi  della legge 22 aprile 1941, n. 633,
 sulla protezione del diritto d'autore e di altri diritti connessi  al
 suo esercizio, e del relativo regolamento di esecuzione approvato con
 r.d.  18  maggio  1942,  n. 1369.   Tale impianto normativo prevedeva
 anche sanzioni penali per i comportamenti di vendita di  musicassette
 non  contrassegnate  dalla  Societa' italiana degli autori ed editori
 (S.I.A.E.) ai sensi delle disposizioni  sul  diritto  d'autore  e  su
 altri  diritti connessi al suo esercizio richiamate al comma 1 teste'
 riportato.  Va pertanto subito rilevato come  le  disposizioni  della
 menzionata  legge n. 121/1987 no abbiano tout court assoggettato alla
 reazione penale contemplata dalla  legge  n.  400/1985  comportamenti
 coincidenti  con  quelli in quest'ultima previsti aventi ad oggetto i
 supporti  (videocassette  e  musicassette)  nella  stessa  legge   n.
 121/1987  indicati, ma abbiano specificamente assoggettato a sanzione
 penale le sole condotte di vendita o noleggio per le videocassette, e
 di sola vendita per le musicassette,  ove  non  contrassegnate  dalla
 S.I.A.E.  - si legge testualmente - "ai sensi della legge n. 633/1941
 e relativo regolamento di esecuzione approvato  con  r.d.  18  maggio
 1942,  n.  1369".    Fatta  questa  premessa,  appare  indispensabile
 chiedersi quali fossero - precedentemente all'entrata in  vigore  del
 d.lgs.  n.  785/1994, architettura che ha inteso risistemare l'intera
 materia della tutela penale di opere "coperte" dal diritto d'autore -
 e per quanto qui specificamente interessa, i comportamenti penalmente
 rilevanti  in  relazione  ai  supporti  di cui si discute: ci di deve
 chiedere cioe' che tipo di rapporto esistesse tra  i  vari  strumenti
 normativi sinora menzionati, con specifico riguardo alla tutela delle
 musicassette.   Sotto questo profilo deve sottolinearsi come la ratio
 di   ciascuna   delle   norme    penali    sopra    citate    appaia,
 inequivocabilmente,  fosse  rappresentata  dalla  volonta' di opporsi
 allo sfruttamento economico di opere dell'ingegno da parte di  coloro
 che  non fossero a tale sfruttamento legittimati, per non annoverarsi
 tra i soggetti previsti dalla suindicata legge sul diritto  d'autore,
 legge  che  specificamente  appunto  contempla i titolari della detta
 posizione giuridica attiva di profilo economico e che  principalmente
 si  identificano  nei  "creatori" delle opere stesse.  Non e' un caso
 innanzitutto, a tale proposito, che l'art. 1 della  menzionata  legge
 n.  400/1985  esplicitamente  contemplasse  la  rilevanza  penale dei
 comportamenti cui si e' fatto sopra  riferimento  esclusivamente  ove
 gli   stessi  "cadessero"  su  opere  cinematografiche  o  televisive
 destinate al circuito cinematografico, e non gia' su qualsiasi  opera
 di  tale  natura:  il  fatto  che  fossero  tutelate  solo produzioni
 finalizzate ad entrare nel  circuito  commerciale  evidenzia  proprio
 come  il  bene  giuridico  protetto  fosse  costituito (e per il vero
 risulta esserlo ancora, con la  vigente  normativa)  dal  diritto  di
 sfruttamento  economico  delle  opere  e  non gia', ad esempio, da un
 generico diritto al riconoscimento della paternita'  sulle  medesime.
 Ma  non  e' un caso anche che sia nell'art. 1 della legge n. 406/1981
 che nell'art. 1 della legge  n.  400/1985  non  ci  si  limitasse  ad
 assoggettare   a  sanzione  penale  le  condotte  di  duplicazione  o
 riproduzione, ma si  aggiungesse  l'avverbio  "abusivamente".    Tale
 termine non poteva e non puo' che ricollegarsi al concetto di assenza
 di  titolo  giuridico  per  la  duplicazione  e  la  riproduzione,  e
 pertanto, posto che le condizioni perche' si possa reputare munito di
 detto titolo  erano  e  sono  individuate  nella  legge  sul  diritto
 d'autore  (legge  n.  633/1941), poteva e doveva considerarsi abusivo
 duplicatore  o  riproduttore  colui  che   avesse   realizzato   tali
 comportamenti  in  violazione  della  normativa da ultimo menzionata.
 Riprodurre un'opera prodotta da altri non era, pertanto, in se',  una
 condotta  illecita,  ma  lo  era,  alla  luce dell'impianto normativo
 all'epoca esistente, in tanto in  quanto  detta  riproduzione  avesse
 come  oggetto  opere  destinate  ad  essere  sfruttate economicamente
 mediante  immissione  sul  mercato  con  qualunque  modalita'.     Se
 l'intento  del  legislatore  fosse invece stato quello di impedire la
 riproduzione tout court di opere prodotte da altri,  sarebbe  bastato
 assoggettare  a  sanzione  penale il solo comportamento appunto della
 riproduzione,   indipendentemente   dalla   finalizzazione   o   meno
 dell'opera   alla   commercializzazione.      Il  fatto  poi  che  la
 consumazione dei reati in materia di videocassette e musicassette sia
 stata  ancorata  all'elemento  formale  dell'esistenza   del   timbro
 S.I.A.E.,  lungi dal voler significare, come da taluni a parere dello
 scrivente  infondatamente  ritenuto,  che  il  bene  tutelato   fosse
 costituito   dal  diritto,  di  natura  fiscale,  dell'ente  pubblico
 summenzionato alla percezione del quantum economico dovutogli,  trova
 la sua ragione nell'intendimento di individuazione dell'ente pubblico
 in  argomento quale soggetto istituzionalmente deputato alla verifica
 circa  l'esitenza di un diritto esclusivo allo sfruttamento economico
 in capo a chi volesse commercializzare una determinata opera.   Detto
 questo,  non  puo'  notarsi  come, costituendo le condotte di abusiva
 riproduzione e di detenzione per la vendita,  contemplate  sia  nella
 legge  n.  406/1981  sia  nella  legge n. 400/1985 (leggi concernenti
 rispettivamente  i  dischi  ed  i  supporti  analoghi  e   le   opere
 cinematografiche  od  opere  analoghe) condotte connotate da maggiore
 ampiezza rispetto alla vendita ed al noleggio previste dalla legge n.
 121/1987 - vendita  e  noleggio,  quindi,  se  cosi'  puo'  dirsi,  a
 "consumazione  piu'  ristretta"  rispetto  ai citati comportamenti di
 riproduzione e detenzione per la    vendita  -,  si  prospetti  arduo
 comprendere  per quale ragione, se le videocassette e le musicassette
 fossero in realta' gia' rientrate nel novero  dei  supporti  tutelati
 dalle  prime  due  leggi  in questione, il legislatore avrebbe dovuto
 avvertire l'esigenza di  introdurre  la  citata  legge  n.  121/1987,
 anch'essa  finalizzata  alla  tutela  dei medesimi beni giuridici cui
 pacificamente pare fossero teleologicamente  dirette  le  altre  due.
 Riesce  assai difficile, insomma, comprendere per quale morivo, se la
 "pirateria" avente ad oggetto videocassette e musicassette fosse gia'
 stata,  prima  del  1987,  con  tranquillante   certezza   penalmente
 reprimibile  merce'  l'assoggettamento a reazione sanzionatoria anche
 solo dell'abusiva riproduzione - vale a dire la riproduzione di  tali
 supporti  da  parte  di persone non legittimate alla violazione della
 legge n. 633/1941 -,  condotta  questa  gia'  idonea  a  fronteggiare
 all'origine   fenomeni  di  abusivismo,  avrebbe  dovuto  esservi  la
 necessita' di individuare aggiuntivamente, con la legge n.  121/1987,
 comportamenti  contraddistinti  da  una  punibilita'  piu' ristretta,
 sostanziantisi non gia' nella  mera  riproduzione  ma  (nel  naturale
 succedersi  nel  tempo delle possibili condotte) posteriori, quali la
 vendita e/o il noleggio di supporti privi del  contrassegno  S.I.A.E.
 (contrassegno da apporsi proprio
  all'esito  di  una  verifica  circa  il  rispetto  di  quella stessa
 normativa gia'  violata  in  ipotesi  del  comportamento  di  abusiva
 riproduzione).    V'e' da ritenere quindi che nel 1987, avvertendo il
 bisogno di dare una risposta ad un fenomeno di abusivismo sempre piu'
 preoccupante - deve considerarsi a tale proposito da una parte che le
 videocassette  e  le  musicassette  costituiscono  prodotti  comparsi
 massicciamente sul mercato non prima degli anni '70, e dall'altra che
 il  nostro  legislatore non ha dato prova in passato, solitamente, di
 particolare tempismo nel fornire risposte a  fenomeni  nuovi  (e  per
 questo  si  pensi al tempo trascorso tra l'ingenerarsi di fenomeni di
 abusivismo nell'ambito dei programmi per elaboratori ed il momento di
 adozione di una disciplina in merito, cioe'  il  dicembre  1992,  con
 l'art.   171-bis,   legge   n.  633/1941)  -  il  Parlamento  si  sia
 determinato, in una situazione di ritenuto "vuoto  normativo"  per  i
 supporti  in  questione,  o  comunque  di dubbio in merito ai precisi
 confini  -  stando  all'assetto  normativo  esistente   all'epoca   -
 dell'area   di   applicabilita'   a   questi   ultimi  di  discipline
 specificamente riferentesi a dischi  ed  opere  cinematografiche,  ad
 adottare   una   disciplina   "particolare"   per   videocassette   e
 musicassette.   D'altro canto, il fatto che  il  legislatore  per  le
 videocassette  e  per  le  musicassette  abbia individuato il momento
 della  consumazione  dell'illecito  nella  vendita  e  nel   noleggio
 anziche'  nella  mera  riproduzione,  non sembra irragionevole, se si
 considera  che  la  riproduzione a fine di lucro di tali supporti - a
 differenza che per le vere  e  proprie  opere  cinematografiche  (le,
 all'origine,   cosiddette   "pizze"),   beni  cui  si  e'  ricondotto
 principalmente  il  legislatore  nell'emanare  il  d.-l.  n.  9/1987,
 riproducibili  lucrosamente  anche  in  un  solo  esemplare in quanto
 proiettabile in locali pubblici ed a beneficio di un numero rilevante
 di  persone  -  diventa  ragionevolmente  degna  di  reazione  penale
 allorquando  il prodotto dell'abusivismo (per sua natura destinato ad
 essere su larga scala  posto  che  in  linea  generale  per  ciascuna
 videocassetta  o  musicassetta  esiste  un  solo  fruitore)  viene in
 concreto immesso nel circuito di mercato senza  subire  il  controllo
 dell'ente  che  si  intendeva  deputato  alla  previa verifica (prima
 dell'esanzione del diritto anch'esso economico spettantegli) circa la
 legittimazione allo sfruttamento commerciale dell'opera da  parte  di
 colui  che  intenda diffonderla.  E che tale approdo ermeneutico paia
 costituire esito corretto  di  una  complessiva  rivisitazione  circa
 l'assetto  normativo esistente fino all'epoca dell'introduzione della
 normativa  ora  vigente  sembra  al  giudice  dimostrato  dai  valori
 parlamentari  svoltisi nell'ambito dell'iter di conversione del d.-l.
 n. 9 del 26 gennaio 1987, e nello  specifico  della  discussione  del
 disegno  di  legge  attinente  appunto  a  tale legge di conversione.
 Negli atti parlamentari  in  parola,  ed  in  particolare  in  quello
 relativo  alla seduta del 25 marzo 1987 della Camera dei deputati, il
 relatore dell'impianto normativo in argomento, on.le  Giovanni  Carlo
 Bianchini,  nel  fare  riferimento  all'art.  2  -  il  quale  e' poi
 risultato contenere le disposizioni attinenti alle  videocassette  ed
 alle musicassette che qui ci interessano - affermava testualmente che
 "l'art.  2, al comma 1, chiarisce in via di interpretazione autentica
 che la disciplina sanzionatoria prevista dalla legge n. 400 del  1985
 (reclusione  da tre mesi a tre anni e multa da lire 500 mila a lire 6
 milioni)  si  applica  alla  vendita  o  noleggio  di   videocassette
 riproducenti opere cinematografiche e prive del contrassegno S.I.A.E.
 La  stessa  disciplina, con il secondo comma, viene estesa al mercato
 abusivo delle musicassette.
   Tale severa disciplina  sanzionatoria  si  rende  indispensabile  a
 causa  del  diffuso  abusivismo  riscontrato  in modo particolare nel
 noleggio delle videocassette  e  nella  vendita  delle  musicassette:
 sembra  che  il  fatturato di tali operazioni si avvicini ai 4-5 mila
 miliardi di lire. Si tratta di un mercato abusivo  da  reprimere  con
 decisione  e a tale fine si e' gia' ricorso a talune norme repressive
 della riproduzione abusiva  di  opere  cinematografiche  in  generale
 (legge  20  luglio  1985, n. 400)".  Appare evidente, leggendo quanto
 teste'  riportato,  come  il  legislatore,  non  reputando   adeguate
 disposizioni  dettate  per le vere e proprie opere cinematografiche a
 fungere da strumenti anti-abusivismo anche, specificamente, per opere
 di tipo diverso, quali videocassette e musicassette -  le  prime,  in
 relata',  riproduzioni,  destinate  al  singolo fruitore, delle opere
 cinematografiche vere e proprie -, abbia reputato opportuno  chiarire
 quali condotte fossero da ricondursi a penale rilevanza, focalizzando
 quindi  come  comportamenti punibili esclusivamente quelli di vendita
 di musicassette, e di vendita e noleggio di  videocassette,  ove  non
 munite  di  timbro S.I.A.E.   Laddove una disposizione viene emanata,
 come nel caso di specie, in chiave di interpretazione  autentica,  la
 ragione  e'  da  individuarsi nella volonta' di determinare una volta
 per tutte, superando ogni dubbio interpretativo in merito, i contorni
 della  disciplina  vigente  in  una certa materia, e l'effetto e' che
 tale momento l'unico assetto normativo esistente e' quello  -  e  non
 quello  piu'  altri,  senno'  non  di  interpretazione  autentica  si
 tratterebbe  -  risultante   dall'introduzione   della   disposizione
 medesima.   Accertato sulla base del percorso logico sin qui dipanato
 come perlomeno successivamente all'entrata in  vigore  del  d.-l.  n.
 9/1987,  convertito  nella  legge  n.  121/1987 ripetutamente citata,
 quella contenuta in tale strumento normativo fosse l'unica disciplina
 applicabile   all'abusivismo   in   materia   di   videocassette    e
 musicassette, e come pertanto per le videocassette le uniche condotte
 aventi  penale rilevanza fossero la vendita ed il noleggio mentre per
 le musicassette l'unico comportamento avente penale  rilevanza  fosse
 la vendita, deve a questo punto passarsi a valutare se effettivamente
 le  condotte  specificamente addebitate agli odierni giudicandi siano
 contraddistinte da penale  rilevanza.    La  Suprema  Corte,  a  tale
 proposito,  con  pronunce  della  II sezione penale (4 marzo 1997, n.
 1626) e della  III sezione penale (16 maggio 1997,  n.  2090),  aveva
 sostenuto l'irrilevanza penale delle condotte di vendita e/o noleggio
 di  videocassette  e  musicassette  prive  del  timbro  S.I.A.E., con
 specifico riguardo all'asserita assenza del regolamento di esecuzione
 la cui emanazione invece la legge n. 633/1941,  quale  oggi  vigente,
 contemplerebbe.    Questo  poiche'  da  una  parte  vuoi la normativa
 vigente  fino  al  31  dicembre  1994,   vuoi   l'attuale   normativa
 assoggettavano  ed  assoggettano  a  reazione  penale  le condotte di
 vendita e/o noleggio di videocassette e musicassette ove  i  supporti
 in  parola  non  siano  "contrassegnati dalla S.I.A.E. ai sensi della
 legge 22 aprile 1941, n. 633, sulla protezione del diritto d'autore e
 di  altri  diritti  connessi  al  suo  esercizio,  e   del   relativo
 regolamento  di    esecuzione"  (regolamento  che  sempre  secondo le
 suenunciate  sentenze,  pur  essendo  previsto,  non  sarebbe   stato
 emanato).      E   questo   poiche'  dall'altra  meta',  mancando  il
 regolamento, la legge  in  questione  nulla  stabilirebbe  in  ordine
 all'apposizione   del   contrassegno   stesso   per  videocassette  e
 musicassette (e questo anche comprensibilmente quanto  a  quello  del
 1942,  atteso  che fino a tale epoca non esistevano ne' le une ne' le
 altre).  Atteso che sia le disposizioni vigenti fino  all'entrata  in
 vigore  dell'attuale  normativa,  sia  la  normativa quale risultante
 dall'attuale, complessiva impalcatura,  prevedevano  e  prevedono  la
 punibilita'  della vendita dei supporti fonografici e cinematografici
 in questione solo in quanto  mancanti  del  contrassegno  apposto  ai
 sensi  della  legge  sul  diritto d'autore e del relativo regolamento
 (l'espressione "ai sensi" non puo', ad opinione di  chi  scrive,  che
 interpretarsi   come   "secondo   quanto   stabilito"),  e  dato  che
 all'interno dell'impianto normativo che e' da reputarsi esistente non
 e' data rinvenirsi disciplina alcuna  in  ordine  alle  modalita'  di
 apposizione dei contrassegni, sarebbe assente, in definitiva, secondo
 i  detti  Supremi  giudici, la disciplina sulla materiale apposizione
 del marchio S.I.A.E., e pertanto assenti sarebbero tutti gli elementi
 sui quali fondare il disvalore del fatto e  caratterizzarlo  rispetto
 ad  altre  ipotesi  di  mero inadempimento.   Parte della condotta da
 ritenersi conforme alla legge, e qualunque  distoni'a  rispetto  alla
 quale  si  tradurrebbe  in  un comportamento di rilevanza penale, non
 risulterebbe in concreto descritta dall'assetto normativo stesso:  il
 legislatore avrebbe previsto la punibilita' della vendita di supporti
 non  portanti  il  marchio  S.I.A.E. senza prevedere come il medesimo
 dovesse essere dalla stessa S.I.A.E.  apposto,  sicche'  la  condotta
 tipizzata  verserebbe  tuttora in una situazione di incompletezza dal
 punto di vista descrittivo.  E cio' e' tanto vero, secondo la Suprema
 Corte, che di fatto il marchio su videocassette e musicassette  viene
 apposto  dall'ente  pubblico  in  discorso secondo le modalita' a suo
 tempo concordate con l'A.F.I.   (Associazione  fonografici  italiani)
 attraverso  il  perfezionamento  di  una pattuizione avente valore di
 natura privatistica e che conseguentemente, poiche'  non  autorizzata
 dalla legge, non puo' reputarsi corredata da tutela penale.  Non puo'
 non  notarsi,  a  tale  riguardo,  come  quindi  gli  stessi soggetti
 interessati all'applicazione  della  normativa,  resisi  conto  della
 lacuna   legislativa   sullo   specifico  punto  dell'indicazione  di
 modalita' di apposizione   del timbro  S.I.A.E.  su  videocassette  e
 musicassette,  abbiano pensato di trovarvi rimedio attraverso una via
 contrattuale.   Va a  questo  punto,  parere  dello  scrivente  -  ed
 incidenter  tantum -, precisato che la Suprema Corte ha inquadrato il
 problema della lacuna normativa di cui  si  parla,  ed  arguibilmente
 riferendosi  in  primo  luogo  alla  attuale  disciplina, nell'ambito
 dell'istituto della cosiddetta "norma penale in bianco".  Nella norma
 penale in bianco,  pero',  la  disposizione  di  legge  introduce  la
 sanzione, demandando il proprio completamento, a livello di precetto,
 ad  altre  e  successive  fonti normative.   Originariamente, invece,
 l'art 2,  legge  n.  21/1987  non  demandava  (ed  egualmente  l'art.
 171-ter)  ad  una  successiva  norma  la  delineazione del precetto -
 consistente nella determinazione delle modalita' di  apposizione  del
 timbro  S.I.A.E. -, ma richiamava gia' le disposizioni della legge n.
 633/1941 e del relativo regolamento, in realta', a differenza di cio'
 che la  Suprema  Corte  nelle  due  decisioni  teste'  rammentate  ha
 asserito,  gia' esistente   (r.d. 18 maggio 1942, n.  1369) dando per
 scontato, come visto erroneamente secondo cio' che hanno sostenuto  i
 giudici  di  legittimita', che le stesse disposizioni disciplinassero
 la materia.  Essendovi, in concreto, nella situazione  normativa  qui
 presa  in  esame, ad avviso della Corte di cassazione, un richiamo ad
 una disciplina  in  realta'  inesistente,  non  pare  ci  si  dovesse
 riferire  alla  nozione  di  norma penale in bianco, ma, bensi', alla
 fattispecie del rinvio errato ad una  fonte  normativa  preesistente.
 Questo  precisato,  ricondotta l'anomalia di cui si e' ora parlato al
 profilo del richiamo errato a normativa in effetti inesistente e  non
 al problema della cosiddetta "norma penale in bianco", e riportandoci
 al   "problemacardine"   del  presente  procedimento,  lo  scrivente,
 all'esito di una lettura  vuoi  della  legge  n.  633/1941  vuoi  del
 connesso  regolamento  di  esecuzione,  in  effetti esistente fin dal
 1942, reputa di dover aderire,  seppur  per  la  ragione  che  subito
 verra'  esposta, alla conclusione abbracciata dalla Suprema Corte con
 le  sentenze  teste'  compendiate:      e   l'impalcatura   normativa
 complessiva  esistente  fino  al 31 dicembre 1994, e quella esistente
 all'epoca dei fatti di cui qui si discute  non  contemplavano  e  non
 paiono  contemplare,  infatti, modalita' alcuna per l'apposizione del
 contrassegno S.I.A.E. su videocassette e musicassette, o comunque  su
 prodotti fonografici, e pertanto si deve all'imperfezione legislativa
 il fatto che si sia prevista la punibilita' della mancata apposizione
 di  un  contrassegno  le  cui  modalita' di applicazione non sono mai
 state specificamente dettate.  Anche per cio' che riguarda il profilo
 in  questione  si  palesa  di  importante aiuto la lettura dei lavori
 parlamentari di discussione della legge di conversione del  d.-l.  n.
 9/1987.  Infatti, sempre nel corso della seduta del 25 marzo 1987 cui
 si   e'   gia'  fatto  riferimento,  l'onorevole  Andrea  Manna,  nel
 dichiararsi contrario  alla  conversione  del  decreto,  testualmente
 dichiarava:    "Innanzi  tutto  l'art. 2 prevede l'applicazione delle
 sanzioni penali considerate nelle richiamate leggi nn. 400 e 406  nei
 confronti  di  chiunque  commerci  videocassettte  e musicassette non
 contrassegnate dalla S.I.A.E., quasi  che  esista  gia'  nell'attuale
 normativa  una  disposizione che attribuisca alla S.I.A.E. il compito
 ed il potere  di  apporre  contrassegni  su  dischi,  musicassette  e
 videocassette.    Per  contro, la legge 22 aprile 1941, n. 633 (sulla
 protezione del  diritto  d'autore)  ed  il  relativo  regolamento  di
 esecuzione  nulla dispongono in merito. La facolta' della S.I.A.E. di
 apporre contrassegni e' prevista soltanto per gli esemplari di  opere
 letterarie,  scientifiche, didattiche e musicali "di pubblico dominio
 in volumi" (artt. 177 e 178 della legge e  52  del  regolamento).  Il
 riferimento al contrassegno, al sensi della legge n. 633, e' pertanto
 erroneo  per  le  musicassette e videocassette".   Ed ancora: "Non si
 puo' affermare, insomma, che sono  assoggettabili  alle  sanzioni  di
 legge  coloro  che  commerciano  video  o  fonocassette, per il resto
 assolutamente  conformi  alle  leggi,  solo  perche'   non   portanti
 contrassegni  istituiti  con il semplice riferimento ad una norma che
 tali contrassegni non prevede.  La legge che convertisse il  presente
 decreto,  con  l'art. 2 in esso contenuto, (innanzitutto) verrebbe ad
 applicare una sanzione prima ancora che esista il relativo  precetto,
 solo  individuabile  in  norme - quelle sul diritto d'autore e quelle
 sulla  S.I.A.E.  -  che  precisino  e,  se  necessario,   modifichino
 l'attuale  previsione  sulle  modalita'  di tutela".   Va preso atto,
 inoltre, che,  lungi  dal  ritenere  peregrine  tali  osservazioni  -
 analoghe,  in  buona  sostanzaa,  a  quanto sostenuto dieci anni dopo
 dalla Suprema Corte con le pronunce cui si e' fatto sopra riferimento
 -  l'allora Sottosegretario di Stato per l'industria, il commercio  e
 dell'artigianato, Nicola Maria Sanese, rappresentante del Governo che
 il  decreto  in  discussione  aveva  emanato,  testualmente anch'esso
 dichiarava, riferendosi all'intervento  dell'onorevole  Manna:    "Mi
 rendo  conto  che  egli ha inteso porre un problema piu' generale che
 presuppone un intervento volto a perseguire  le  azioni  illecite  in
 questo  campo.  Il decreto-legge, pero', non si pone questa finalita'
 in quanto vuole porre in essere soltanto un primo  intervento  mirato
 ed  urgente  in  un  settore in cui l'abusivismo e' molto diffuso. In
 ogni caso, il contributo offerto dal collega Manna nella  discussione
 generale   sara'   tenuto   presente  dal  Governo,  in  parte  anche
 nell'emanazione dei decreti attuativi del  provvedimento  nonche'  in
 quello  piu'  organico che dovra' certamente essere emanato".  Nessun
 decreto attuativo in  realta'  risulta  essere  stato  emanato  e  la
 successiva  normativa, intervenuta a decorrere dal 1 gennaio 1995 non
 ha neppur'essa, come arguibilmente sostenuto dalla Suprema Corte  con
 le   pronunce   di  cui  si  e'  detto,  risolto  i  problemi  finora
 considerati.  Il complesso di osservazioini sin qui esposte non  puo'
 che  condurre a concludere che il legislatore, nell'emanare il d.lgs.
 n. 9/1987, come visto adottato sulla base di  un  ritenuto  carattere
 d'urgenza  e nel tentativo di realizzare un "primo intervento" atto a
 fronteggiare   il   fenomeno   della   pirateria  avente  ad  oggetto
 videocassette e musicassette,  non  abbia  valutato  con  sufficiente
 attenzione  il panorama normativo sul quale il medesimo era destinato
 ad innestarsi, dando luogo quindi alla determinante inesattezza,  che
 non    poteva   non   influire   negativamente   sulla   sua   stessa
 applicabilita', cui si e' riferita la Cassazione penale, seppure  per
 ragioni  diverse  da  quella che qui si ritengono fondate, nelle gia'
 piu' volte menzionate sentenze.   Giova inoltre,  ad  avviso  di  chi
 scrive,  svolgere  un'ultima osservazione:  il fatto che per un certo
 numero di  anni  la  giurisprudenza  abbia  ritenuto  applicabile  la
 normativa  contenuta nella legge n. 121/1987 non costituisce elemento
 di  per  se'  univocamente  indicativo  della  bonta'   della   linea
 interpretativa  abbracciata,  come  invece sostenuto da taluno.  Cio'
 soprattutto in una situazione nella quale i profili di  anomalia  qui
 discussi  non risulta siano mai stati oggetto di valutazione da parte
 della giurisprudenza, ed in una situazione nella quale,  come  accade
 spesso   nella   pratica   del   diritto   e  come  ognuno  coinvolto
 quotidianamente  in  tale  pratica  sa,  una  volta  assestatasi  una
 determinata  pratica  giurisprudenziale  e'  talvolta  assai  arduo -
 soprattutto in materie ritenute di non particolare importanza poiche'
 non   tangenti   interessi   considerati   di   primaria    rilevanza
 costituzionale  -  introdurre  elementi  dialettici  in grado vuoi di
 metterla in discussione, vuoi, ed ancor piu', di  sostituirla.    Qui
 giunti,  potrebbe  sembrare essere stato inutile avere dato conto del
 divenire, nel tempo, della  disciplina  riguardante  i  supporti  nel
 presente procedimento trattati, dato che i fatti per i quali e' stata
 esercitata  l'azione  penale  nel presente procedimento con specifico
 riguardo al capo a), sono stati, come visto, inquadrati dal  pubblico
 ministero  nell'alveo  della  "nuova  normativa" di cui al suindicato
 d.lgs. n. 685/1994,  e  precisamente  dell'art.  171-ter,  d.lgs.  16
 novembre 1994, n. 685.  Va invece sottolineato che la disponibilita',
 anche  in  chiave dinamica, di un quadro avente ad oggetto la realta'
 normativa precedente  si  prospetta,  ad  opinione  del  giudice,  di
 determinante  ausilio  per  l'interpretazione pure delle disposizioni
 attualmente vigenti e che si reputano applicabili nel caso di specie.
 Va a detto riguardo osservato  come  il  testo  normativo  da  ultimo
 citato  si  sia sostanzialmente limitato a riprodurre, inserendole in
 un unico testo, le disposizioni precedentemente vigenti,  concernenti
 le  opere  cinematografiche  e discografiche, disseminate fino a quel
 momento nell'ordinamento, ed in particolare  nelle  leggi  all'inizio
 della  presente  motivazione  menzionate.    La  Suprema  Corte - nel
 premettere come il coacervo delle disposizioni prima  in  vigore  non
 soltanto   si   presentasse   palesemente  disorganico  ma  incidesse
 negativamente, per difetti di coordinamento, sulla stessa unitarieta'
 della disciplina fondamentale del diritto d'autore -  ha  gia'  avuto
 modo  di  affermare  questo (Cass. pen., sez. III, 28 aprile 1998, n.
 1511), asserendo testualmente che  "e'  stato  trastuso  nella  legge
 fondamentale  n.  633/1941  il  contenuto  di  tali  norme abrogate".
 Senonche',  l'inserimento  dell'art.  171-ter  nell'originario  corpo
 della legge n. 633/1941 non e' stato accompagnato da modifica alcuna,
 nello  specifico, quanto al problema della previsione delle modalita'
 di  apposizione  del  timbro  S.I.A.E.  tali  modalita'  -   si   da'
 evidentemente per scontato da tale norma - sono quelle indicate dalla
 legge medesima e dal relativo regolamento piu' volte menzionato nella
 presente  ordinanza, modalita' che, come osservato da chi scrive, non
 sembrano dettate per le opere cinematografiche  e  fonografiche.    A
 questo  riguardo,  si  e'  sostenuto  da parte della Suprema Corte in
 altre pronunce successive alle due succitate, ed  evidentemente  allo
 scopo  di  trovare un ancoramento normativo per non lasciare prive di
 sanzione condotte obbiettivamente pregiudizievoli per interessi degni
 di essere tutelati dall'ordinamento  giuridico,  che  l'art.  12  del
 Regolamento  n. 1369 del 18 maggio 1942, di esecuzione della legge n.
 33/1941, conterrebbe la descrizione delle  modalita'  di  apposizione
 del  timbro  sui  supporti  di  cui  trattasi, o meglio opererebbe un
 rinvio, per la specifica disciplina avente ad oggetto le modalita' di
 detta apposizione, alla  pattuizione  perfezionata  tra  associazioni
 sindacali  interessate  e  S.I.A.E.  (nel  1942  denominato  E.D.A.).
 L'art. 12 del regolamento di cui si e' teste' detto fa  espressamente
 riferimento,  pero',  quale  norma  della  quale  esso  si  pone come
 strumento esecutivo, all'art. 123 della legge.   Quest'ultimo non  e'
 inserito  in  una parte del testo di legge che abbia genericamente ad
 oggetto qualunque opera coperta dal diritto d'autore, ma e' collocato
 nel titolo III, capo II,sezione III  della  legge,  che  concerne  il
 contratto  di  edizione,  e  quindi  le  opere  letterarie.   Secondo
 l'avviso della Suprema Corte quale espresso con la sentenza  n.  1511
 del  28  aprile  1998  nonche'  con la sentenza n. 2217 del 16 giugno
 1998, posto che  il  comma  3  del  detto  art.  12  del  Regolamento
 stabilisce  che le categorie di opere che devono essere fatte oggetto
 del contrassegno in applicazione delle disposizioni  di  legge  e  in
 ispecie  degli artt. 122 e 130, nonche' le modalita' del contrassegno
 medesimo e l'indicazione di chi debba sopportare la  relativa  spesa,
 possono essere stabilite anche da accordi economici collettivi tra le
 associazioni  sindacali  interessate,  salvo  in ogni caso il diritto
 dell'autore di contrassegnare con la propria firma autografa  ciascun
 esemplare  dell'opera  ai  sensi  del  comma  precedente, nel termine
 "categorie"   dovrebbero   ricomprendersi    anche    le    categorie
 "videocassette  e  musicassette".    Ma  che  l'art. 12 si riferisca,
 invero, esclusivamente  alle  opere  contemplate  nella  sezione  III
 suindicata,  e  quindi  a  quelle letterarie - a differenza di quanto
 sostenuto dalla Suprema Corte con ambedue le sentenze di cui  qui  da
 ultimo  si  e'  fatto  cenno  -  appare  dimostrato proprio da quanto
 previsto ai commi 2  e  3,  laddove  viene  fatto  salvo  il  diritto
 dell'autore  di contrassegnare con la propria firma autografa ciascun
 esemplare dell'opera, modalita' per  il  vero  dalla  stessa  Suprema
 Corte  esplicitamente  reputata  -  con  la  preindicata  sentenza n.
 1511/1998 - attuabile  solo  per  le  opere  letterarie  su  supporto
 cartaceo.    Proprio  quindi  la parte dei commi 2 e 3 che la Suprema
 Corte legge in chiave di  disposizione  derogatrice  rispetto  ad  un
 regime che si applicherebbe a qualunque opera tutelata dalla legge n.
 633/1941,  costituisce, ad  opinione del giudicante, la dimostrazione
 piu' evidente che l'intera impalcatura della norma in parola  attiene
 alle  opere  letterarie: se veramente la disciplina in argomento, del
 comma 3, riguardasse  tutte  le  opere  tutelate,  mal  si  comprende
 perche'  venga  fatto  comunque formalmente ed inderogabilmente salvo
 sia nel comma 2  che  nel  comma  3  medesimo  un  diritto,  in  capo
 all'autore, che la stessa Cassazione penale ritiene esercitabile solo
 per  le  opere letterarie.   Inoltre, se il legislatore avesse inteso
 riferirsi a qualsiasi tipo di opera, non e' dato  dedursi  per  quale
 motivo  si  sia determinato ad inserire una clausola di tipo generale
 all'interno di  una  disposizione  esplicitamente  richiamante,  come
 norma  cui  dare  esecuzione,  un  articolo  della  legge n. 633/1941
 pacificamente concernente le opere letterarie.  Ne' puo' ad  opinione
 di  chi  scrive  fondatamente sostenersi che avendo il comma 3 di cui
 trattasi parlato di categorie di opere al plurale e non di  una  sola
 categoria,  il tenore della norma vedrebbe come proprio oggetto anche
 opere diverse da quelle letterarie: infatti basta dare  lettura  agli
 artt.  122  e  130  della  legge,  richiamati  dal  gia'  piu'  volte
 menzionato comma 3 dell'art. 12 del Regolamento, per  rendersi  conto
 che le stesse opere letterarie sono ivi divise in svariate categorie,
 di  tal  che  le  categorie  cui  ha  riguardo non possono che essere
 quelle, appunto  svariate,  comunque  sempre  di  genere  letterario.
 Nemmeno,  poi,  all'interno  vuoi  del  comma  2  vuoi  del  3,  sono
 ravvisabili espressioni di carattere, sotto  un  profilo  sintattico,
 avversativo,  di tal che si possa evincere che tali parti della norma
 siano rivolte a fattispecie diverse da  quelle  prese  in  esame  dal
 comma 1: al contrario, il tenore dei commi successivi al primo appare
 del  tutto coerente con la fattispecie contemplata dal comma iniziale
 che li precede.  Tra l'altro, tutto cio' si dice  in  una  situazione
 nella  quale la legge n. 633/1941 gia' originariamente non si e', per
 cosi' dire, dimenticata di occuparsi delle opere cinematografiche, ma
 le ha contemplate, agli artt. 44-50, 61 della legge n. 633/1941 e 32,
 34, 39, e 52 del Regolamento n. 1369/1942, senza peraltro nulla  dire
 in  merito  all'apposizione  di  timbro  S.I.A.E.  sulle  stesse:  e'
 difficile capire, come suaccennato,  perche'  per  l'apposizione  del
 timbro S.I.A.E. sulle opere in parola il legislatore dovrebbe essersi
 determinato a non fare cenno alcuno nella parte normativa nella quale
 di  dette  opere  trattava,  per  poi  fare riferimento invece a tali
 modalita'  di  apposizione  in  un  settore  dell'impianto  normativo
 principalmente  concernente  opere di natura del tutto diversa.  Pure
 quindi la rivisitazione della diagnosi realizzata nella  prima  parte
 della  presente  ordinanza alla luce delle osservazioni esposte dalla
 Cassazione penale con le sentenze del 28 aprile 1998 e del 16  giugno
 1998  non  riesce  a  condurre  lo  scrivente a traguardi ermeneutici
 diversi da quelli cui si e' precedentemente  addivenuti.    Anzi,  il
 fatto  che  vi  sia arguibile contraddizione addirittura tra pronunce
 della Cassazione che ritengono   l'idoneita' della  legge  attuale  a
 dare  indicazioni  in merito alle modalita' di apposizione del timbro
 S.I.A.E.  (la  n.  1511/1998  afferma   che   il   diritto   comunque
 riconosciuto   dai   commi   2   e  3  dell'art.  12  di  apporre  la
 sottoscrizione sull'esemplare dell'opera  da  parte  dell'autore  non
 puo'  che  riguardare le opere letterarie, mentre la n. 2217/1998 non
 ha ritenuto di operare la medesima affermazione) consente di avere il
 "polso" della situazione e dei consistenti sforzi, che forse  non  e'
 temerario ipotizzare eccessivi, che i massimi giudici si sono sin qui
 imposti  per  salvare l'applicabilita' di disposizioni (quelle di cui
 all'art. 2, legge n. 121/1987 e  la  lettera  c)  dell'art.  171-ter,
 d.lgs.  n.  685/1994) che non sembra inesatto definire mal concepite.
 Una volta preso atto che in materia  penale  l'attivita'  ermeneutica
 deve   essere   contraddistinta   come   in   nessun   altro  settore
 dell'ordinamento da caratteri di cautela, e che il giudice,  data  la
 delicatezza  del  principale  interesse in giuoco in tale settore (la
 liberta' dei consociati), non possa essere tenuto a  compiere  sforzi
 logici eccessivi per dare applicabilita' a norme cromosomicamente mal
 congegnate,  qualora  l'anomalia  rilevata  si  palesi  importante ed
 obbiettivamente, seguendo il teste' menzionato criterio  di  cautela,
 incolmabile,   il   giudice  deve  prendere  atto,  ad  avviso  dello
 scrivente, dell'inapplicabilita' delle norme.  Questo tanto piu'  ove
 ci  si  trovi  in  una situazione, come quella di cui trattasi, nella
 quale basterebbe un intervento legislativo agevolmente realizzabile e
 di grande semplicita', avente ad oggetto le modalita' di  apposizione
 di un timbro.  Svolte tutte tali osservazioni, pare logico ribadire -
 e non sembra inutile ripetere anche che attualmente nulla e' cambiato
 rispetto  alla  situazione normativa preesistente - che l'espressione
 "vende musicassette non contrassegnate dalla Societa' italiana  degli
 autori  ed  editori  (S.I.A.E.)  ai sensi della legge 22 aprile 1941,
 sulla protezione del diritto d'autore e di altri diritti connessi  al
 suo  esercizio,  e  del  relativo  regolamento  approvato con r.d. 18
 maggio   1942,    n.    1369"    sia    univocamente    significativa
 dell'indispensabilita'    di   una   delineazione   normativa,   pure
 specificamente per videocassette e musicassette, delle  modalita'  di
 apposizione  del  timbro  S.I.A.E., e che pertanto tali modalita' non
 possano che venire ad assumere la  dignita'  di  elemento  essenziale
 della  fattispecie  e  quindi  di elemento costitutivo del reato.  Ad
 analogo traguardo ermeneutico si  deve  pervenire,  ad  avviso  dello
 scrivente,  in  relazione anche ai compact-disks, atteso che trattasi
 di supporti riconducibili alla categoria di quelli  menzionati  nella
 lettera c) dell'art. l71-ter quale oggi vigente, in ordine alle quali
 il legislatore si e determinato ad usare l'espressione ora riportata.
 Ma  se questo elemento e' assente nell'impianto normativo applicabile
 al caso di  specie,  allora  -  e  l'approdo  e'  ancora  una  volta,
 inevitabilmente,  quello  cui  si  e prima giunti - manca un elemento
 costitutivo del reato ed il comportamento menzionato al capo  a)  non
 puo'  reputarsi  rientrare in un'area di penale rilevanza.  L'insieme
 degli  elementi  valutati  nel  presente  provvedimento   induce   il
 giudicante,  in  definitiva,  a  ritenere  che  la  carenza normativa
 relativa alla  individuazione  delle  modalita'  di  apposizione  del
 timbro S.I.A.E., a fronte dell'esistenza della disposizione contenuta
 nell'art.    171-ter,  lettera  c) - norma da reputarsi erede in toto
 dell'art.  2, d.-l. n. 9/1987, convertito  nella  legge  121/1987  -,
 disposizione  che  contempla la sanzionabilita' penale di condotte di
 cessione di videocassette e musicassette laddove  non  contrassegnate
 dalla  S.I.A.E.    ai  sensi della legge sulla protezione del diritto
 d'autore e del relativo regolamento  di  esecuzione,  si  traduca  in
 un'essenziale   carenza   di   focalizzazione   dei   contorni  della
 fattispecie punibile.  Va a questo punto precisato, sulla scorta  del
 complesso  di  considerazioni sin qui stese, che l'unica disposizione
 teoricamente attagliantesi al caso di specie  e  quella  della  detta
 lettera  c)  dell'art.  171-ter,  e  non  la  precedente  lettera b),
 attinente, ad opinione del giudicante, e sempre  in  forza  dell'iter
 logico  sin  qui dispiegatosi, a supporti diversi da quelli dei quali
 qui trattasi.  Tra l'altro, ad abundantiam  quanto  al  complesso  di
 elementi  di suffragio rispetto alla fondatezza del convincimento cui
 si e qui reputato di pervenire, va sottolineato come gia'  con  legge
 22  maggio  1993,  n.  159,  siano stati abrogati gli artt. 178 della
 legge n. 633/1941 e 52, 53, 54, 55 e 56 del Regolamento n. 1369/1942,
 disposizioni uniche, tra le quali (e peraltro, come sopra visto,  qui
 considerate  disciplinare solo la fattispecie delle opere letterarie,
 scientifiche,  didattiche  e  di  pubblico  dominio)  era   possibile
 rinvenire  una  regolamentazione  nell'originario  impianto normativo
 (senza rinviare a pattuizioni tra S.I.A.E. ed altri  soggetti)  delle
 modalita'  di  apposizione del timbro S.I.A.E.  Anche le disposizioni
 di  legge,  quindi,  che,  uniche,  originariamente   si   occupavano
 dell'apposizione   del   timbro   non   fanno   neppure   piu'  parte
 dell'ordinamento giuridico, sicche' si dovrebbe rivolgere lo sguardo,
 per desumere  come  apporre  i  timbri  S.I.A.E.  su  musicassette  e
 videocassette,  su  norme  ormai giuridicamente non piu' esistenti, e
 pertanto pure sotto questo  profilo  appare  palese  la  determinante
 carenza  normativa  precedentemente  individuata.    Ma se non esiste
 esatta  delineazione  del  comportamento  realizzando  il  quale   si
 perpetra  l'illecito  penale di cui qui si tratta, la conclusione non
 puo' che essere la  riconducibilita'  della  condotta  addebitata  al
 Libera  all'area  dell'irrilevanza  penale,  di  talche'  il medesimo
 dovrebbe essere mandato assolto dall'illecito ascrittogli al capo  a)
 perche'  il  fatto  non  e' preveduto dalla legge come reato.  Questa
 conclusione non  potrebbe  poi  non  avere  effetti  pure  sull'altra
 ipotesi  accusatoria,  atteso che in essa si menzionano, in relazione
 alla delineazione degli illeciti presupposti, proprio  le  norme  sin
 qui  esaminate.    Giunto a questo punto, il giudice non puo', pero',
 non  tenere  primariamente   presente   il   fatto   che   ormai   la
 giurisprudenza  assolutamente  dominante  intervenuta successivamente
 alle due pronunce della Suprema Corte del 1997 inizialmente citate si
 e' posta nella scia delle due pronunce invece di  tenore  esattamente
 contrario  intervenute  nel 1998 e cui si e' fatto sopra riferimento,
 con le quali e' stata reiteratamente affermata  la  rilevanza  penale
 della  fattispecie  di  cui  al  capo  a)  dell'attuale  architettura
 accusatoria,  considerandosi  l'art.  12  del  Regolamento  succitato
 disposizione  idonea  all'indicazione  dei  modi  di  apposizione del
 timbro S.I.A.E. su videocassette e musicassette.  La norma "vivente",
 quindi, e' quella concepita dalla Suprema  Corte  nelle  sue  ultime,
 ripetute  sentenze, e pertanto quella che vede come norma integrativa
 della  fattispecie  penale  proprio  l'art.  12  teste'   menzionato,
 integrazione idonea a disegnare compiutamente gli elementi essenziali
 del reato.  Se e' pur vero, pertanto, che la Corte costituzionale non
 puo'   essere   chiamata   ad  esprimersi  su  questioni  di  profilo
 esclusivamente  ermeneutico,  di   sola   competenza   dell'autorita'
 giudiziaria  ordinaria, e' pero' altrettanto vero che allorquando il,
 per cosi' dire, "combinato disposto" di  lettera  della  legge  e  di
 applicazione giurisprudenziale della stessa viene a creare una certa,
 ormai cementata realta' normativa, non pare piu' corretto parlarsi di
 problematica  di  carattere meramente interpretativo ma sembra giusto
 parlarsi di esistenza di un'ormai consolidata  norma  di  legge,  per
 tale  ragione  assoggettabile, ove si ritenga ve ne siano le ragioni,
 al vaglio  di  legittimita'  costituzionale  della  Consulta.    Cio'
 annotato   deve  darsi  atto  di  come  lo    scrivente  -  in  forza
 dell'insieme di considerazioni sin qui   esposte  -,  dovendo  a  suo
 avviso essere esclusivamente uno strumento normativo a determinare le
 modalita'  di  apposizione  del  timbro S.I.A.E., non potendosi pero'
 leggere l'art. 12 del Regolamento quale disposizione applicabile pure
 alle videocassette  ed  alle  musicassette,  e  non  esistendo  altra
 disposizione  che si occupi di tali modalita' di apposizione, ritenga
 che  l'attuale  realta'  normativa  rappresentata  dall'art. 171-ter,
 lettera c) della legge  n. 633/1941 non obbedisca, per assenza  della
 indispensabile descrizione delle modalita' del timbro S.I.A.E. -
  timbro la cui assenza comporterebbe, in ipotesi di vendita, od anche
 solo  di  tentata  vendita,  la  reazione  penale - al costituzionale
 principio di tassativita' della fattispecie penale.  In definitiva e'
 opinione del giudice  si  debba  denunciare  alla  Consulta,  poiche'
 costituzionalmente  illegittimo,  l'art.  171-ter,  lettera c), della
 legge n. 633/1941, quale  attualmente  vigente,  per  violazione  del
 principio di tassativita' delle fattispecie penali previsto dall'art.
 25,  comma  2  della Carta costituzionale, mancando la determinazione
 normativa, cui fa riferimento la  disposizione  in  questione,  delle
 modalita'  di apposizione del timbro S.I.A.E. in quest'ultima citato.
 Allo scopo di portare all'attenzione della Consulta la questione  qui
 sollevata  deve sottolinearsi, come d'altra parte gia' accennato, che
 non fa difetto il requisito della rilevanza della questione medesima,
 dato  che  un  suo  accoglimento  condurrebbe  all'emissione  di  una
 pronuncia  assolutoria,  soluzione  non  adottabile seguendo la linea
 interpretativa assolutamente univoca allo stato esistente  a  livello
 giurisprudenziale.