LA CORTE DI APPELLO

    Ha  pronunciato  la  seguente ordinanza nel p.p. nei confronti di
  Cusimano Gaspare, nato a Palermo il 12 novembre 1946, elettivamente
  domiciliato  presso  l'avv. Mirko Palumbo con studio in via Fontana
  n.  5, Milano, imputato del delitto di cui agli artt. 61, n. 2, 81,
  110, 319 e 321 c.p., commesso in Milano tra marzo ed ottobre 1988.
    Rilevato:
        che  l'art 157 del c.p. rapporta i termini di prescrizione al
  massimo della pena astrattamente prevista per ciascun reato, che il
  delitto  per  cui si procede e' punito nel massimo con la pena di 5
  anni  di  reclusione, cui corrisponde il termine di prescrizione di
  10 anni, destinati a diventare 15 per effetto dell'interruzione;
        che per i reati puniti con pena inferiore ai 5 anni e' invece
  previsto  un  termine  di  prescrizione  di  5  anni,  destinati  a
  diventare 7 anni e 6 mesi per effetto dell'interruzione;
        che  l'art. 157,  comma  2, del c.p. prevede un meccanismo di
  riduzione  convenzionale  di  un  giorno in caso di applicazione di
  circostanze  attenuanti,  che  talune  circostanze  sono  del tutto
  generiche  o facoltative e non possono comunque essere fatte valere
  nella fase delle indagini sino alla celebrazione del giudizio;
        che, in caso di conferma della condanna, l'eventuale giudizio
  di  prevalenza  ex  art. 69  del  c.p.  delle attenuanti generiche,
  desumibili  dalla  valutazione  complessiva  della condotta e della
  personalita'  dell'imputato  che  compete  a  questa  Corte in base
  all'art. 597, comma 5, del c.p.p., puo' comportare la riduzione dei
  termini  prescrizionali  da  15  anni  a  7  anni  e  6  mesi, gia'
  interamente decorsi;
        che, a fronte di una fattispcie di reato rimasta immutata nei
  suoi  elementi  oggettivi,  il termine di prescrizione del reato de
  quo  nella fase iniziale del processo era fissato in 10 anni, senza
  alcuna  possibilita'  di  variazione  se non in aumento per effetto
  dell'interruzione, mentre rischia di ridursi nella fase terminale;
        che   questa   situazione   contrasta  con  il  principio  di
  ragionevolezza  secondo  cui  le  valutazioni di merito del giudice
  presuppongono   la  procedibilita'  e  non  possono  costituire  il
  presupposto   per   negare   la   stessa  legittimita'  della  loro
  espressione;
        che  non  risulta  che  la  Corte  costituzionale  abbia  mai
  esaminato  in  passato  la  presente questione sotto il profilo che
  viene  evidenziato,  avendo  esaminato con la sentenza n. 431/1990,
  con riferimento all'art. 425 del c.p.p., solo le questioni relative
  alla  non  valutabilita'  all'udienza  preliminare  ai  fini  della
  prescrizione  delle  questioni  di merito sottese alla applicazione
  degli  artt. 62-bis e 69 c.p., sentenza nella quale ha riconosciuto
  che  l'intento  di  semplificazione  presente  nel  nuovo codice e'
  disatteso   dalle   esigenze   di   accertamento   nel  merito  che
  accompagnano  la valutazione delle circostanze attenuanti generiche
  e quella di cui all'art. 69 c.p.;
        che  con  le  sentenze  nn.  175/1971  e  202/1971  la  Corte
  costituzionale   affrontando  la  questione  della  rinunziabilita'
  dell'amnistia  e della prescrizione aveva riconosciuto la rilevanza
  dell'arbitarieta' delle cause estintive escludendo in quel caso per
  la prescrizione la rinunziabilita' nella considerazione che essa e'
  legata  ad  un  evento,  il  decorso  del  tempo, sottratto ad ogni
  discrezionalita' (sent. 202/1971);
        che  con  la  sentenza  n  275/1990  la Corte costituzionale,
  introducendo il principio della rinunziabilita' della prescrizione,
  ha affermato che essa si identifica "nella valutazione astratta del
  tempo  necessario a prescrivere a seconda del tipo di reato" e, sia
  pure  al  diverso  fine  di consentirne la rinunciabilita', che "e'
  privo  di  ragionevolezza,  rispetto  a  una situazione processuale
  improntata  a  discrezionalita'  che  quell`interesse  a  non  piu'
  perseguire  (sorto a causa di circostanze eterogenee e comunque non
  dominabili  dalle  parti)  debba prevalere su quello dell'imputato,
  con la conseguenza di privarlo di un diritto fondamentale";
        che  e',  dunque,  necessario sottoporre all'attenzione della
  Corte se i principi incidentalmente affermati nelle citate sentenze
  rendano  l'art. 157, comma 2, c.p. compatibile con l'art. 112 della
  Costituzione al diverso fine di assicurare che la potesta' punitiva
  dello  stato,  dopo  che  si  sia legittimamente esplicata, non sia
  vanificata   con   riferimento   a  quelle  situazioni  in  cui  si
  manifestano    margini    di   discrezionalita'   influenti   sulla
  determinazione del termine di prescrizione;

                            O s s e r v a

    L'istituto  della  prescrizione, che determina l'estinzione di un
  reato  per  effetto del decorso del tempo, e' ispirato al principio
  di  civilta'  giuridica secondo il quale non e' tollerabile che una
  accusa  rimanga  in piedi a lungo senza che si pervenga in un tempo
  ragionevole alla verifica della sua sussistenza.
    Essa  e'  improntata al massimo di automaticita' e si impernia su
  dati  essenzialmente  obiettivi per cui non dovrebbe esservi spazio
  per  un  esame  caso  per  caso  della  personalita' del reo ne' di
  aspetti che attengono ad esigenze rieducative, alla cui valutazione
  sono   destinati   istituti   diversi   ed  in  particolare  quelli
  disciplinati dal nuovo ordinamento penitenziario.
    La   prescrizione   e'   destinata   ad   incidere  su  posizioni
  precostituite  ed  astrattamente  disciplinate  dal  diritto penale
  sostanziale  e  ad  essere  regolata  dai principi propri di questa
  branca  del diritto, compreso quello relativo alla irretroattivita'
  della legge penale piu' sfavorevole.
    Allorche' invece si esamini la fattispecie penale con riferimento
  al caso concreto la questione sostanziale si trasforma in questione
  processuale  e  coinvolge  il  diverso  principio  del tempus regit
  actum,  in  quanto  la  norma  processuale  si distingue rispetto a
  quella  penale  perche' e' norma strumentale diretta ad ottenere la
  pronunzia  nel merito, con la possibilita' di introduzione di tutta
  una  serie di valutazioni che, per quanto sottoposte all'obbligo di
  motivazione,  sono pur sempre discrezionali. E' in questa sede che,
  oltre  all'accertamento  del fatto, vengono compiute le valutazioni
  sulla  personalita'  dell'imputato  ex  art.  62-bis  e 69 c.p. che
  costituiscono   valutazioni  discrezionali  integrative  di  quelle
  dirette alla determinazione della pena.
    L'ordinamento  processuale penale prevede la estinzione del reato
  per   prescrizione   tra  le  cause  di  improcedibilita',  la  cui
  declaratoria  e'  obbligatoria  in ogni stato o grado del processo,
  non  appena ne vengano riconosciuti i presupposti di applicabilita'
  (art. 129 c.p.p.).
    Tale  obbligo  puo' essere vinto solo dalla esigenza di esame nel
  merito  in  contraddittorio  tra  le  parti  al fine del prevalente
  interesse  al  riconoscimento di una formula assolutoria nel merito
  con   riguardo  alla  insussistenza  del  fatto,  alla  estraneita'
  dell'imputato,   alla  non  previsione  dello  stesso  come  reato,
  all'esistenza  di  una causa di giustificazione (diritto alla prova
  sul merito della regiudicanda).
    Non  sussiste sul piano processuale altra possibilita' di entrare
  nel  merito del processo in presenza di una causa di estinzione del
  reato.  Dunque, salvo possibilita' di un giudizio di merito diretto
  solo  alla  applicazione  di  una formula piu' favorevole ovvero di
  diversa   qualificazione   giuridica  del  fatto,  i  requisiti  di
  applicabilita'  della  prescrizione devono essere identificabili in
  tutti  i loro estremi nella fase predibattimentale ed a prescindere
  dell'esame del merito del processo.
    E,  difatti,  in  armonia  con  queso  principio - ritenuto nella
  sentenza della Corte n. 431/1990 costituzionalmente legittimo - che
  nel  momento  in cui in sede di rinvio a giudizio vengono fissati i
  termini  della  regiudicanda,  non  e'  prevista la possibilita' di
  compiere valutazioni in ordine alla concedibilita' delle attenuanti
  generiche ed al giudizio di valenza di cui all'art. 69 c.p. al fine
  di applicare la prescrizione (art. 425 c.p.p.).
    Cio'  nonostante l'art. 157, comma 2, c.p. prevede che il giudice
  possa tener conto delle attenuanti generiche e compiere un giudizio
  di   comparazione  tra  attenuanti  ed  aggravanti  ai  fini  della
  determinazione   del   termine   di   prescrizione  e  le  relative
  valutazioni presuppongono un esame del merito del processo.
    Sussiste,  dunque,  una contraddizione nel sistema nella parte in
  cui  attraverso  il meccanismo di cui all'art. 157, comma 2, c.p.p.
  si  preveda  la  possibilita' della applicazione della prescrizione
  non  gia' a posizioni sostanziali astrattamente prefigurate, bensi'
  al giudizio che viene dato nei confronti del loro autore.
    I  parametri  costituzionali  entro  i  quali  dal punto di vista
  processuale   l'istituto  puo'  trovare  applicazione  sono  quello
  dell'obbligatorieta' dell'azione penale sancito dall'art. 112 della
  Costituzione   e   quello  previsto  dall'art. 6,  comma  1,  della
  convenzione   per   la  salvaguardia  dei  diritti  dell'uomo,  che
  subordina  i  tempi  di  celebrazione  dei processi al principio di
  ragionevolezza,   mitigando   in   tal   modo   il   principio   di
  obbligatorieta' dell'azione penale.
    Il  principio sancito dal citato art. 6 afferma che la durata del
  processo  deve  essere rapportata alla convocazione in giudizio, il
  che  rende  chiaro  che  i  termini  di  prescrizione devono essere
  indipendenti  dalla  soluzione  del  merito  del  processo e devono
  essere   valutati   in  base  alla  sua  complessita'  da  definire
  preventivamente ed oggettivamente al momento del rinvio a giudizio
    Nell'attuale   sistema   processuale   le  norme  concernenti  la
  prescrizione  dei  reati vanno applicate - come si e' gia' posto in
  evidenza  -  non  al reato come fattispecie criminosa astrattamente
  prevista  dalla norma, ma al reato nella sua configurazione finale,
  come  delineato  ed  accertato  dai  giudici di merito e cosi' come
  risultante   a   seguito   della   applicazione  delle  circostanze
  aggravanti  ed  attenuanti  e del relativo giudizio di comparazione
  (Cass.,  sez.  6,  sent. 15463 del 10 novembre 1989 - ud. 29 aprile
  1989).
    L'interpretazione      giurisprudenziale     consolidatasi     e'
  probabilmente  andata  al di la' della volonta' del legislatore che
  introducendo  le  attenuanti  generiche con l'art. 2 del d.-l.l. 14
  settembre 1944, n. 288, non aveva considerato tutte le implicazioni
  sistematiche  che  ne  sarebbero  potute conseguire, tant'e' che in
  alcuni   primitivi   commenti   e  originarie  applicazioni  ne  fu
  categoricamente   esclusa   la   rilevanza   agli   effetti   della
  prescrizione. (1).
    L'applicazione  della  prescrizione  secondo i citati principi di
  rilievo  costituzionale  deve  invece  avere  riguardo agli estremi
  oggettivi  di  configurazione  dell'imputazione  (anche  se messa a
  fuoco  nei  suoi  termini reali al termine del processo) e non alla
  valutazione  che  sulla  figura  dell'imputato  si  fa  nella  sede
  cognitiva del processo.
    A tale principio e' ispirata la restante disciplina dell'istituto
  della prescrizione, tant'e' che essa e' tendenzialmente destinata a
  regolare  in modo conforme tutti i rapporti processuali relativi al
  medesimo  reato (art 161 c.p.). Ne consegue che per essere conformi
  ai  principi richiamati i parametri temporali di applicazione della
  prescrizione  devono  essere necessariamente predeterminati, devono
  cioe'  precedere  e  prescindere dalla valutazione delle condizioni
  personali  dell'autore cui il reato sia stato addebitato, ed a tale
  fine devono essere predefiniti nel loro contenuto.
    Non risulta essere conforme a tali principi il disposto dell'art.
  157,  comma  2,  c.p. nella parte in cui prevede che abbiano invece
  effetto ai fini della determinazione del termine della prescrizione
  circostanze soggettive assolutamente indeterminate e circostanze la
  cui  applicazione  sia facoltativa come la recidiva, non valutabili
  preventivamente ma solo all'esito del complessivo esame di tutto il
  merito  del  processo (in particolare quelle di cui all'art. 62-bis
  c.p.  che  con  riguardo  all'art. 133 c.p. possono far riferimento
  alla personalita' dell'imputato, al suo carattere, alla condotta di
  vita  successiva  al  reato ed alle condizioni di vita individuale,
  familiare  e  sociale  e  quelle  ex  art. 69  che presuppongono un
  giudizio  comparativo  di  valenza  tra  aggravanti  ed  attenuanti
  riferito alla loro concreta esplicazione).
    Questi   elementi,   che   rappresentano   esercizio  del  potere
  discrezionale  del  giudice  intimamente connesso a quello relativo
  alla  determinazione  della  pena, sono estranei alla struttura del
  reato  e,  dunque,  l'estensione ad essi operata surrettiziamente a
  mezzo  dell'art. 62-bis  e 69 c.p. del metodo di determinazione del
  termine   prescrizionale   presenta   aspetti   che  collidono  con
  l'interesse  punitivo  dello  stato  che e' stabilito dall'art. 112
  della  Costituzione  e  con  il  principio  di ragionevolezza nella
  misura in cui incidono sul termine di prescrizione.
    Gli stessi argomenti valgono anche in relazione a qualsiasi altra
  circostanza  non oggettiva, non preventivamente definibile nei suoi
  contenuti,  facoltativa  e  solo eventualmente ritenuta dal giudice
  all'esito dell'esame del merito del processo.
    Per  effetto  del  meccanismo  consentito dall'art. l57, comma 2,
  c.p. la riconoscibilita' di fattori che incidono sulla prescrizione
  e'   possibile   solo  al  termine  del  processo  nel  momento  di
  valutazione  complessiva  della  condotta  dell'autore  del  reato,
  sicche'  ne  consegue l'effetto perverso per cui, anche in presenza
  di accertata sussistenza del rato, l'attivita' giurisdizionale, pur
  correttamente  esercitata in relazione ad un termine prescrizionale
  che  si  prefigurava oggettivamente di una determinata durata, puo'
  essere dichiarata a posteriori priva di effetto per il rilievo dato
  in   una  successiva  fase  di  giudizio  ad  una  circostanza  che
  originariamente   non   sarebbe   stato   possibile   prendere   in
  considerazione o fu addirittura esclusa.
    (1)  Vannini  Ottorino, "In materia di circostanza attenuanti" in
  Rivista  Penale, 1945, pag. 481, tribunale di Roma sent. 8 febbraio
  1958, in Riv. it. dir. proc.pen. 1958, 824 ss.
    Questa  situazione  contrasta  con il principio di ragionevolezza
  secondo  cui  le valutazioni di merito del giudice presuppongono la
  procedibilita'  e  non possono costituire il presupposto per negare
  la stessa legittimita' della loro espressione.
    II. - L'art. 157, comma 2, c.p. stabilisce che la prescrizione va
  applicata  al  reato  nella sua configurazione finale tenendo conto
  delle  attenuanti  generiche nella misura della riduzione minima di
  un  giorno.  Da tale meccanismo deriva una ulteriore valutazione di
  irragionevolezza,  dal  momento  che  per definizione le attenuanti
  generiche  sono  riferibili  ad  una  prospettazione  di assenza di
  gravita'  concreta  del  reato  e dunque alla esigenza di riduzione
  della soglia minima e non di quella massima della pena.
    Dunque  il meccanismo previsto non risponde alla realta' pratica,
  rimanendo  per  definizione il termine di riferimento della entita'
  della  pena  nel  massimo,  previsto  come parametro di riferimento
  dall'art.  157  c.p., sempre identico a se stesso e non destinata a
  mutare pur nel caso di concessione di attenuanti.
    III.   -   I   meccanismi  regolatori  della  applicazione  della
  prescrizione devono essere ispirati alla ragionevolezza anche sotto
  il  profilo  che  essi  non  devono  essere  strutturati in modo da
  influire  negativamente  sul  mantenimento  di un livello minimo di
  efficienza dell'amministrazione della giustizia.
    L'art.  6,  comma  1  della  convenzione  impone  di modellare il
  sistema  processuale  alla esigenza di celebrazione dei processi in
  tempi   ragionevoli.   Ne  consegue  l'esigenza  di  una  strategia
  organizzativa  complessiva intesa a ridurre i tempi di celebrazione
  dei  processi  mediante  la  eliminazione  di tutti gli adempimenti
  processuali  non  assolutamente  necessari per la preservazione dei
  principi   di   correttezza   costituzionale   del   processo,   la
  eliminazione  di  occasioni  di spreco di attivita' giurisdizionale
  vanificabile   a  posteriori  e  la  concentrazione  delle  energie
  complessive  dell'organizzazione  giudiziaria  alla celebrazione di
  processi  destinati  a  sfociare  in  un provvedimento che abbia la
  possibilita' di dare una soluzione, quale esso sia, alla situazione
  sostanziale esaminata.
    Il  meccanismo  previsto  dall'art. 157, comma 2, nella misura in
  cui  e'  riferibile  alle  attenuanti  generiche  ed al giudizio di
  valenza  di  cui  all'art.  69,  consente di vanificare l'attivita'
  giudiziaria  precedentemente  svolta  e,  quindi, di accumulare uno
  spreco  di  impegno  giudiziario che e' destinato a diventare tanto
  maggiore quanto piu' si manifesti l'opportunita' di applicazione di
  meccanismi  di  mitigazione  della  asprezza della pena riferita al
  caso  concreto,  obiettivo  che, se ritenuto rilevante, deve essere
  perseguito secondo meccanismi piu' ragionevoli.
    In  un sistema giudiziario gia' gravato da notevoli ritardi nella
  celebrazione  dei  processi  - evidenziati dai numerosi richiami da
  parte  delle  istituzioni  comunitarie europee - tutti i meccanismi
  destinati ad incidere negativamente sulla celebrazione dei processi
  in  tempi  rapidi  devono  essere  necessariamente  eliminati,  per
  restituire   possibilita'   di   impiego   proficuo  delle  risorse
  giudiziarie.
    Il  solo  fatto  che  gli organismi europei abbiano ripetutamente
  richiamato  il  nostro paese al rispetto di tempi ragionevoli nella
  celebrazione   dei  processi  costituisce  la  dimostrazione  della
  irragionevolezza   e,   dunque,   della   incostituzionalita'   del
  meccanismo che si intende censurare.
    Tale   censura   coinvolge  indirettamente  la  struttura  stessa
  dell'art.   157   c.p.,   non   piu'   adeguata   alla  esigenza  -
  irrinunciabile  in  una  societa'  profondamente diversa rispetto a
  quella  del  legislatore del 1930 - di accertamento in tempi rapidi
  delle  situazioni  giuridiche,  dal  momento che, per effetto dello
  sbarramento  della  prescrizione  complessivmente  calcolata,  sono
  molteplici le possibilita' di attivita' giudiziaria a posteriori ad
  essere  dichiarata  improduttiva,  mentre  sarebbe piu' proficuo un
  sistema  che  prevedesse  degli  sbarramenti  temporali  adeguati a
  ciascuna  fase  di  giudizio,  in modo analogo alla disciplina gia'
  positivamente sperimentata in materia di carcerazione preventiva.