Rilevato che la Camera dei deputati, di cui l'imputato e' membro,
  ha  in  data  24  febbraio  1999, su conforme proposta della Giunta
  delle  autorizzazioni  a  procedere  in  giudizio, deliberato che i
  fatti  per  i  quali  e'  in  corso  il  processo penale concernono
  opinioni  espresse da un membro del Parlamento nell'esercizio delle
  sue   funzioni,   ai   sensi   dell'art. 68,   primo   comma  della
  Costituzione;
    Rilevato  che  la Corte, costituzionale ha piu' volte ritenuto la
  ammissibiita'  di  un  controllo  delle  deliberazioni parlamentari
  affermative   dell'insindacabilita',   le   quali   possono  essere
  censurate  per  vizi  in  procedendo  quando manchino i presupposti
  richiesti  dalla  Costituzione  -  fra  i  quali  e'  essenziale il
  collegamento delle opinioni espresse con la funzione parlamentare -
  o quando vi sia arbitraria valutazione di detti presupposti;
    Ritenuto che:
        alla  luce  della costante giurisprudenza della Suprema Corte
  di  Cassazione  non rientrano nell'ambito coperto dalla prerogativa
  le  manifestazioni  del pensiero che non abbiano alcun collegamento
  funzionale  con  l'attivita'  parlamentare  se non quello meramente
  soggettivo,  in  quanto  poste  in  essere da persona fisica che e'
  anche membro del Parlamento;
        tale principio e' stato piu' volte affermato anche da Codesta
  Corte  -  cfr.  sent. nn. 375/1997 e 289/1998 - secondo la quale la
  prerogativa  della  insindacabilita'  non  si  estende  a  tutti  i
  comportamenti  di  chi  sia  membro  delle Camere, ma solo a quelli
  funzionali  all'esercizio  delle  attribuzioni  proprie  del potere
  legislativo;
    Rilevato  che nel caso sottoposto al giudizio di questo tribunale
  l'imputato  Vittorio Sgarbi - secondo la prospettazione accusatoria
  -  ha  rilasciato  nel  corso delle varie trasmissioni televisive (
  Sgarbi  Quotidiani  del  10,  14, 18 gennaio 1997 e 28 luglio 1997)
  dichiarazioni   diffamatorie  nei  confronti  del  giudice  per  le
  indagini preliminari presso il tribunale di Pordenone dott.ssa Anna
  Fasan - affermando, tra l'altro, "chi era il g.i.p. che convalidava
  gli  arresti  di Raffaele Tito (Sostituto Procuratore della Procura
  della  Repubblica  presso  il Tribunale di Pordenone)? Una donna. E
  quella  donna  chi  era? L'amante di Tito, l'amante di Tito!... Che
  cosa  capitava?  Che  Raffaele  Tito arrestava Agrusti, arrestava i
  politici,  andava  dalla  sua  amante,  giudice come lui, e diceva:
  Arrestate  quello  che  non  mi  piace  . . .  e sono ancora liberi
  questi;  arrestano  della  gente  per  niente,  e un Magistrato che
  violenta  la  legge,  che non rispetta le regole, che abusa del suo
  potere,  -  lui  si'  abusa  - utilizzando un altro Magistrato, sua
  amante,   e'   bello,   tranquillo  e  libero...  E'  molto  meglio
  mettersi..., anzi, addirittura andare a letto insieme la sera, dice
  alla  sera  andiamo a letto, alla mattina scriviamo la sentenza ...
  E'  possibile che due che scopano facciano poi insieme le sentenze,
  e'  possibile?  E possibile immaginare che quella che la sera prima
  ti  ha amato ti dica dino? Dice: "Si', faccio un provino con te, ma
  il  giorno  dopo  ti  dico  di  no  su  Agrusti; che me ne frega di
  Agrusti?  Per il prossimo provino ti arresto quattro Agrusti, o no?
  E,  No,  se  non  mi  arresti  Agrusti  niente provino . Vi rendete
  conto?...  da  li'  si  arriva  anche  ai  rapporti tra un Pubblico
  Ministero  ed  il  suo g.i.p., che che mette le corna al marito per
  andare  a  letto  col  Pubblico Ministero e li' fanno le sentenze a
  letto... il bide' del g.i.p. ve lo immaginate? Scusa cosa... com'e'
  la sentenza? ..., tutto questo pasticcio, questa fecondazione delle
  carte, questa porcheria...";
    Tali  espressioni sono state definite dallo stesso relatore della
  Giunta   per   le   autorizzazioni   a   procedere   "astrattamente
  diffamatorie"   e  "caratterizzate  da  uno  stile  particolarmente
  insinuante" degne di essere "censurate" per gli "eccessi verbali" e
  l'Assemblea  della  Camera dei deputati con la delibera 24 febbraio
  1999  ha  recepito  il  parere  espresso  dalla  Giunta dichiarando
  insindacabili le opinioni espresse dal suo membro;
    Rilevato  che  in  particolare  la Giunta per le autorizzazioni a
  procedere  ha  fondato  il  suo  parere  sulla  circostanza  che le
  dichiarazioni  rese  dallo Sgarbi in sede non istituzionale - quale
  una  trasmissione  televisiva  -  si  ricollegano  ad  una generica
  "funzione  di  informazione" e ad un non meglio precisato esercizio
  del diritto di "satira".
    Ritenuto  che il potere valutativo del Parlamento non puo' essere
  ne'  arbitrario,  ne'  soggetto  soltanto  ad una regola interna di
  autocontrollo,   ma   e'   invece   soggetto  ad  una  verifica  di
  legittimita',   operante   con   lo   strumento  del  conflitto  di
  attribuzione   dinanzi   all'organo   di  garanzia  costituzionale,
  circoscritto  ai  vizi  che incidono, comprimendola, sulla sfera di
  attribuzioni dell'autorita' giudiziaria, nel senso che l'esame puo'
  estendersi  alla sussistenza o meno del collegamento delle opinioni
  espresse  dal Parlamentare con la funzione esercitata, noncha' alla
  arbitrarieta'  o  meno  della  valutazione  dei  presupposti per la
  dichiarazione  di insindacabilita' (cfr. sent. Corte costituzionale
  n. 443/1993 e n. 289/1998).
    Cio' premesso il tribunale ritiene che tali generici richiami non
  appaiono  in  alcun  modo  giustificare il necessario collegamento,
  richiesto  dall'art. 68  Costit.,  tra  le  espressioni  rese dallo
  Sgarbi  e  la funzione parlamentare rivestita dal medesimo in forza
  dei seguenti motivi:
        a)  le  espressioni riferite allo Sgarbi nell'imputazione non
  sono   state   rese   ne'  nella  sede  istituzionale  propria  del
  parlamentare,   ne'   nelle   forme  tipiche  della  funzione  (es.
  interpellanze,   interrogazioni,   proposte   di   legge),   bensi'
  nell'ambito  di  una trasmissione televisiva non qualificabile come
  tipicamente politica (es. tribuna politica) ma ricollegabile ad una
  attivita' professionale di natura giornalistica - Lo Sgarbi infatti
  non  si  e'  qualificato  come  parlamentare  nell'esercizio  delle
  funzioni,  ma  come  conduttore  di  una  trasmissione  a contenuto
  giornalistico nell'ambito di una Tv commerciale;
        b) lo  Sgarbi  non  ha  fatto  alcun riferimento nel contesto
  delle  trasmissioni televisive ad alcun atto parlamentare e neppure
  alla  interpellanza presentata dall'on. Veneto avente ad oggetto le
  vicende   relative   agli   Uffici   Giudiziari  di  Pordenone;  il
  riferimento  a  tale  interrogazione  e' stato operato dalla difesa
  dello Sgarbi solo a seguito delle querele presentate dalla dott.ssa
  Fasan;  peraltro  il raffronto tra la interrogazione parlamentare e
  le  dichiarazioni  televisive  dello  Sgarbi evidenzia il contenuto
  dubitativo   della  prima  in  ordine  alla  realta'  dei  fatti  -
  l'on. Veneto  ne  chiede altresi' un doveroso accertamento in forma
  coerente con l'esercizio della sua funzione -, mentre lo Sgarbi da'
  per  scontati  i  fatti  solo  tratteggiati dall'on. Veneto - senza
  peraltro  citarlo - e su questi innesta una serie di insinuazioni a
  carattere personale e sessuale di contenuto pesantemente ingiurioso
  e lesivo dell'altrui reputazione;
        c) l'aspetto  denigratorio  risulta assolutamente prevalente,
  per  quanto  su  evidenziato,  rispetto  anche  ad  una  ipotizzata
  funzione informativa;
        d) il    giudizio,   espresso   dalla   Giunta   e   recepito
  dall'Assemblea, non tiene assolutamente conto di questi elementi di
  fatto,  riferendosi ad un presunto diritto di critica, di cronaca e
  di satira;
        e) la  Camera,  valurando  l'esistenza  di  tali  diritti  di
  cronaca  e di satira ha arbitrariamente invaso la sfera di giudizio
  riservata  all'Autorita' Giudiziaria, atteso che spetta alla Camera
  solo  valutare  la sussistenza del predetto nesso funzionale tra le
  opinioni espresse e la funzione parlamentare;
        f) le  modalita'  e  le  forme  dell'esercizio della funzione
  parlamentare   sono   espressamente  disciplinate  nei  regolamenti
  parlamentari  e trovano dei limiti che devono ritenersi sussistenti
  non  solo  nello  svolgimento  delle  attivita' istituzionali intra
  moenia  ma  anche  al di fuori di dette sedi; se cosi' non fosse si
  verificherebbe   un'evidente   disparita'   di  trattamento  tra  i
  parlamentari  e  tutti  gli  altri cittadini (con palese violazione
  dell'art. 3  Cost.) - tenuti questi ultimi al rispetto dei principi
  e  dei  limiti  imposti al diritto di manifestazione del pensiero -
  cui sarebbero irragionevolmente al contrario sottratti i membri del
  Parlamento,   venendo   a   godere   di   un  privilegio  personale
  ingiustificato;
        g) la  compressione dei diritti del cittadino persona offesa,
  diritti   lesi  da  una  condotta  riconducibile  all'esercizio  di
  funzioni parlamentari, trova una giustificazione costituzionale nel
  bilanciamento degli interessi in causa qualora l'esercizio di detta
  funzione  rimanga  nell'alveo  di contenuti e di forme strettamente
  correlate    alla   funzione   predetta,   senza   travalicare   in
  comportamenti non necessitati e gratuitamente lesivi: lo Sgarbi ben
  poteva  denunciare  i  fatti  in  oggetto  in  forme  consone  alla
  funzione, senza gratuitamente ledere gli altrui diritti.
    Vanno  pertanto  contestati  i presupposti della deliberazione di
  insindacabilita'  24  febbraio  1999 - nel senso che la prerogativa
  costituzionale  prevista  dall'art. 68  della Costituzione non puo'
  coprire  tutti  i  comportamenti  riconducibili  soggettivamente al
  parlamentare,  vanificando  il requisito del nesso funzionale posto
  dal  citato  articolo  della Carta costituzionale (cfr. sent. Corte
  costituzionale  n. 289/1998)  -;  conseguentemente  va  rilevata la
  mancanza  assoluta di qualsiasi collegamento delle espressioni rese
  dallo Sgarbi alla funzione parlamentare ed appaiono quindi superati
  i    limiti    costituzionalmente   previsti   alla   liberta'   di
  manifestazione  del  pensiero  e  di espletamento delle funzioni di
  parlamentare.
    Ritenuto   che   questo  tribunale  e'  legittimato  a  sollevare
  conflitto  di  attribuzione con il potere del Parlamento, in quanto
  organo  competente  a  dichiarare  definitivamente  la volonta' del
  potere   giudiziario  cui  appartiene  nell'ambito  delle  funzioni
  giurisdizionali  attribuitegli  in  relazione al processo penale in
  oggetto,  in  conformita'  al  principio secondo il quale i singoli
  organi  giurisdizionali, svolgendo le loro funzioni in posizione di
  piena   indipendenza   -   costituzionalmente   garantita  -,  sono
  legittimati  ad  essere  parte nei conflitti di attribuzione (v. da
  ultimo  ordinanze nn. 407, 300, 261, 254 e 250 del 1998 della Corte
  costituzionale);
    Ritenuto pertanto che la decisione assunta dal Parlamento lede la
  sfera   di   attribuzione  costituzionalmente  garantita  a  questo
  giudice,   in   conseguenza  dell'esercizio,  ritenuto  palesemente
  illegittimo  per  erroneita'  dei  presupposti relativi, del potere
  spettante     alla    Camera    dei    deputati    di    dichiarare
  l'insindacabilita',  a norma dell'art. 68, primo comma Cost., delle
  opinioni  espresse  dai  propri  membri  nell'esercizio  delle loro
  funzioni;