ha pronunciato la seguente


                              Ordinanza

nel        giudizio        di       legittimita'       costituzionale
dell'art. 669-quaterdecies  del  codice di procedura civile, promosso
con  ordinanza  emessa  il  16 ottobre 1998 dal Tribunale di Enna nel
procedimento  civile  vertente tra Mirisciotti Maria Concetta e Puzzo
Concetta, iscritta al n. 178 del registro ordinanze 1999 e pubblicata
nella   Gazzetta   Ufficiale  della  Repubblica  n. 13,  prima  serie
speciale, dell'anno 1999.
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del Consiglio dei
Ministri;
    Udito  nella  camera  di consiglio del 9 febbraio 2000 il giudice
relatore Cesare Ruperto.
    Ritenuto  che  il  Tribunale  di Enna, con ordinanza emessa il 16
ottobre   1998,   dubita   della  legittimita'  costituzionale  -  in
riferimento    agli    artt. 3    e    24    della   Costituzione   -
dell'art. 669-quatordecies  cod.  proc.  civ., nella parte in cui non
prevede  che  per  le  azioni  nunciatorie proposte dal possessore il
corpus   normativo   del   rito   cautelare   uniforme  di  cui  agli
artt. 669-bis  e  seguenti  dello  stesso  codice si applichi solo in
quanto compatibile;
        che,  a parere del rimettente, la denunciata norma, imponendo
l'integrale  applicazione  dell'art. 669-septies cod. proc. civ., non
consente al possessore, nel caso di rigetto dell'istanza cautelare da
lui   proposta  con  ricorso  nunciatorio  ai  sensi  del  successivo
art. 688,  ne'  di proseguire automaticamente il giudizio passando ad
una  fase  a  cognizione piena, ne' di iniziare con atto di citazione
un'autonoma   causa   di  merito,  ne'  di  proporre  appello  contro
l'ordinanza  di  rigetto,  potendo  egli proporre soltanto reclamo ai
sensi dell'art. 669-terdecies;
        che,  in  conseguenza,  sarebbe  ravvisabile  una lesione del
diritto  di  difesa  del possessore, al quale, in caso di rigetto del
ricorso nunciatorio, sarebbe appunto inibito l'accesso ad una fase di
giudizio a cognizione piena nel merito;
        che   sarebbe,   altresi',   ravvisabile  una  disparita'  di
trattamento  rispetto  a  tutti  gli  altri  soggetti, i quali invece
possono  sempre ottenere la tutela giudiziale dei propri diritti, sia
in via cautelare (con cognizione sommaria), sia in via ordinaria (con
cognizione  piena),  ed  in  particolare  rispetto  al possessore che
agisca  ai sensi dell'art. 703 cod. proc. civ., il quale - in ragione
del  previsto  limite  della  compatibilita'  nell'applicazione delle
norme  sul  procedimento  cautelare  uniforme  -  puo'  ottenere  una
pronuncia  nel  merito  a  cognizione piena anche nel caso di rigetto
della  richiesta di interdetto, stante la prosecuzione automatica del
giudizio possessorio;
        che,  in ordine alla rilevanza della prospettata questione di
legittimita'  costituzionale,  il Tribunale - dopo aver precisato che
nella  specie  e' stato interposto appello avverso l'ordinanza con la
quale  il  pretore  aveva  rigettato, condannando la parte ricorrente
alle  spese  di  lite,  sia  la  denunzia  di  nuova opera lesiva del
possesso, sia la domanda di reintegrazione nel possesso, proposte con
unico  ricorso  -  osserva  che,  di  conseguenza,  a  stregua  della
censurata norma, l'appello stesso dovrebbe considerarsi inammissibile
in  relazione  alla  denuncia  di  nuova opera, avendo ad oggetto una
pronuncia  emessa  a  cognizione  sommaria  e soggetta solo a reclamo
(questo,  in concreto, neppure proponibile, per decorso dei termini),
mentre certamente ammissibile esso e' in relazione alla pronuncia (da
qualificarsi   come  sentenza)  emessa  in  merito  alla  domanda  di
reintegrazione nel possesso.
    Considerato  che il giudice a quo imposta il proprio ragionamento
sulla  premessa - poco comprensibile se non contraddittoria - secondo
cui   l'impugnata  ordinanza  pretorile  avrebbe  deciso  nel  merito
(possessorio)  in  ordine  all'azione di reintegrazione e non avrebbe
invece  deciso  nel  merito  (parimenti  possessorio)  in ordine alla
denunzia di nuova opera;
        che,  in  realta',  nel  giudizio a quo il merito possessorio
correlato   all'esperita   azione   di   nuova  opera  non  puo'  non
identificarsi  con il merito dell'azione di reintegrazione unitamente
proposta,   atteso   che   la   richiesta  di  provvedimenti  sommari
nunciatori,  nella  specie, non costituisce un'istanza cautelare ante
causam  ma accede alla causa possessoria di merito contemporaneamente
instaurata dinanzi al medesimo pretore con l'azione di reintegrazione
e poi da questo decisa col provvedimento impugnato davanti al giudice
a quo;
        che,  invero,  l'identita'  della  causa  petendi  di  natura
possessoria,   prospettata  dal  ricorrente  tanto  per  l'azione  di
reintegrazione  quanto per quella nunciatoria, comporta l'unicita' di
pronuncia nel merito (a cognizione piena) con riguardo ad entrambe le
azioni;  e, di conseguenza, ove in effetti il provvedimento pretorile
costituisca  -  come  afferma  il  giudice  a quo - una decisione nel
merito   possessorio,  non  puo'  che  essere  appellabile  anche  in
relazione  alla  denunzia  di  nuova opera, venendo cosi' a risultare
irrilevante la questione prospettata;
        che  inoltre  il rimettente, da una parte dichiara di aderire
alla  sentenza delle sezioni unite della Cassazione 24 febbraio 1998,
n. 1984,  e  dall'altra asserisce apoditticamente essere ormai venuta
meno, quale effetto dell'abrogazione degli artt. 689 e 690 cod. proc.
civ.  -  ma  solo  nel caso di provvedimento di rigetto -, la fase di
merito  del  procedimento  nunciatorio  basato sul semplice possesso;
mentre,  viceversa,  un  tale risultato, che di certo rimane estraneo
alla ratio della riforma del 1990, si mostra non in linea con precise
indicazioni  normative  ricavabili  dagli  artt. 669-septies  secondo
comma,  669-quater  688,  secondo comma, 703, primo comma, cod. proc.
civ.,   nonche'   (come  chiarito  appunto  nella  motivazione  della
surrichiamata  sentenza,  e  come  incoerentemente  ammette lo stesso
giudice  a  quo) dagli artt. 1171 e 1172 cod. civ., salva peraltro la
cesura processuale richiesta dal citato art. 669-septies;
        che,  in  definitiva, la sollevata questione appare priva dei
requisiti  di  inequivocita'  e  chiarezza  necessari per un'adeguata
valutazione  in ordine sia alla rilevanza sia alla fondatezza di essa
(v.,  ex  plurimis ordinanze n. 174 del 1999, n. 437 del 1996, n. 337
del 1996), e va dunque dichiarata manifestamente inammissibile.
    Visti  gli  artt. 26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87  e  9,  secondo  comma,  delle  norme integrative per i giudizi
davanti alla Corte costituzionale.