ha pronunciato la seguente


                              Ordinanza

nei  giudizi  di legittimita' costituzionale dell'art. 309, commi 5 e
10, del codice di procedura penale, promossi con due ordinanze emesse
il 24 novembre e il 15 dicembre 1998 dal Tribunale di Napoli, sezione
per  il  riesame  delle  misure cautelari coercitive, rispettivamente
iscritte  ai  nn. 552  e 586 del registro ordinanze 1999 e pubblicate
nella  Gazzetta  Ufficiale  della Repubblica nn. 41 e 43, prima serie
speciale, dell'anno 1999.
    Visti  gli  atti  di  intervento del Presidente del Consiglio dei
Ministri;
    Udito  nella  camera  di consiglio del 9 febbraio 2000 il giudice
relatore Valerio Onida.
    Ritenuto che, con ordinanza emessa il 24 novembre 1998, pervenuta
a  questa  Corte  il  17  settembre  1999  (R.O. n. 552 del 1999), il
Tribunale  di  Napoli,  sezione per il riesame delle misure cautelari
coercitive, ha sollevato questione di legittimita' costituzionale, in
riferimento   agli   articoli  3,  13  e  24,  secondo  comma,  della
Costituzione,  dell'art. 309,  commi  5 e 10, del codice di procedura
penale,   "nella   parte   in   cui  non  prevede  con  carattere  di
perentorieta'  il  termine  entro  il  quale  deve  essere rivolta la
richiesta  degli  atti  ex  art. 291 c.p.p. all'autorita' giudiziaria
procedente  e  nella  parte in cui, all'inosservanza di tale termine,
non ricollega esplicitamente alcuna sanzione";
        che  il  remittente  dissente  dalla soluzione interpretativa
adottata da questa Corte con la sentenza n. 232 del 1998, secondo cui
il termine perentorio di cinque giorni per la trasmissione degli atti
al  tribunale  del  riesame  decorre dal momento in cui perviene alla
cancelleria  del medesimo la richiesta di riesame, e che dunque entro
tale  termine  si  deve collocare anche l'"immediato avviso" che deve
esserne   dato   all'autorita'  procedente  affinche'  provveda  alla
tempestiva  trasmissione  degli  atti:  interpretazione  giudicata in
contrasto  con il tenore letterale dell'art. 309, comma 5, cod. proc.
pen.;
        che  peraltro il giudice a quo ritiene che il disposto di cui
all'art. 309,  commi 5 e 10, come dal medesimo interpretato, presenti
profili   di   illegittimita'  costituzionale  per  violazione  degli
artt. 3,   13   e  24  della  Costituzione,  rispettivamente  per  la
irragionevole  disparita'  di trattamento di situazioni analoghe, per
il  pregiudizio  che  ne  deriverebbe  ad  una tutela effettiva della
liberta'  personale,  e  per  il pregiudizio al diritto di difesa, in
quanto  non  sarebbe  stabilito un termine perentorio per l'avviso da
dare   all'autorita'  procedente  dell'avvenuta  presentazione  della
richiesta  di  riesame,  e in quanto all'inosservanza di tale termine
non sarebbe, conseguentemente, collegata alcuna sanzione;
        che   analoga   questione   di   legittimita'  costituzionale
dell'art. 309,  commi  5  e  10, cod. proc. pen., in riferimento agli
artt. 3, 13 e 24 della Costituzione, ha sollevato lo stesso Tribunale
di  Napoli, sezione per il riesame delle misure cautelari coercitive,
con ordinanza emessa il 15 dicembre 1998, pervenuta a questa Corte il
24 settembre 1999 (R.O. n. 586 del 1999);
        che  anche  in tale ordinanza il remittente prende atto della
soluzione  interpretativa  adottata  da  questa Corte con la sentenza
n. 232  del 1998, ma ritiene di doversene discostare, giudicandola in
contrasto con il tenore dell'art. 309, comma 5, cod. proc. pen.;
        che,  sulla base di questa premessa, il giudice a quo ritiene
di  non avere altra alternativa che quella di sollevare nuovamente la
questione   di   legittimita'   costituzionale   delle   disposizioni
denunciate,   "non   potendo  assegnare  alla  formula  normativa  un
significato  ritenuto  incompatibile con la Costituzione"; e pertanto
promuove l'incidente per le medesime ragioni gia' disattese da questa
Corte,   all'uopo   richiamando  e  facendo  proprie  le  motivazioni
dell'ordinanza  di  rimessione della Corte di cassazione del 9 giugno
1997  (R.O.  n. 674  del  1997),  che  diede  luogo  al  giudizio  di
legittimita' costituzionale definito con la sentenza n. 232 del 1998;
        che  in  entrambi  i giudizi e' intervenuto il Presidente del
Consiglio dei Ministri, chiedendo che la questione sia dichiarata non
fondata,  e  aderendo  -  nel  solo  atto  di  intervento relativo al
giudizio  introdotto  con  l'ordinanza  R.O.  n. 586  del 1999 - alla
soluzione interpretativa accolta da questa Corte.

    Considerato  che  le due ordinanze sollevano la stessa questione,
sicche'  puo' disporsi la riunione dei giudizi affinche' siano decisi
con un'unica pronunzia;
        che,  come  ricorda  il  giudice  a quo, questa Corte ha gia'
deciso  in  altra  occasione  identica  questione,  dichiarandola non
fondata  sulla  base  di  una  ricostruzione  del sistema normativo -
effettuata  alla  luce  dei  principi  costituzionali  relativi  alla
garanzia  giurisdizionale  in materia di liberta' personale - in base
alla quale il termine di cinque giorni per la trasmissione degli atti
al  tribunale  del  riesame, dalla cui inosservanza l'art. 309, comma
10,   cod.   proc.  pen. fa  discendere  la  decadenza  della  misura
coercitiva,  decorre  dal  momento  in  cui  la  richiesta di riesame
perviene  alla cancelleria del tribunale del riesame (sentenza n. 232
del 1998);
        che  successivamente  questa  Corte,  con  ordinanze n. 269 e
n. 445  del  1999, ha dichiarato la medesima questione manifestamente
infondata, dando atto che la Corte di cassazione a sezioni unite, con
sentenza 18 gennaio 1999, n. 25, ha accolto e a sua volta argomentato
la  soluzione  interpretativa adottata da questa Corte nella predetta
sentenza  n. 232  del 1998, onde, dopo la detta pronuncia del giudice
di legittimita', la controversia interpretativa sul dies a quo da cui
decorre  il  termine  per la trasmissione degli atti al tribunale del
riesame   puo',   allo  stato,  ritenersi  risolta  nel  senso  della
richiamata interpretazione ancorata ai principi costituzionali;
        che  la medesima questione viene ora nuovamente sollevata dal
Tribunale   di   Napoli,   il  quale  non  condivide  tale  soluzione
interpretativa;
        che  le due ordinanze di rimessione sono pero' anteriori alla
pronuncia  delle  sezioni  unite  della Corte di cassazione n. 25 del
1999, sopra ricordata, e dunque non hanno potuto tenerne conto;
        che la interpretazione accolta da questa Corte nella sentenza
n. 232  del  1998,  e  condivisa  dalle  sezioni unite della Corte di
cassazione,  deve  essere  qui  confermata; onde alla luce di essa la
questione  ora  nuovamente  proposta risulta manifestamente infondata
(cfr. ordinanze n. 269 e n. 445 del 1999).

    Visti  gli  artt. 26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  e  9,  secondo  comma,  delle norme integrative per i giudizi
davanti alla Corte costituzionale.