Il  Giudice  per le indagini preliminari all'udienza del 7 luglio
  1999 ha pronunciato la seguente ordinanza.
    In  data  12  ottobre  1995,  il pubblico ministero ha chiesto il
  rinvio  di  Previti  Cesare,  nato  il  21  ottobre  1934  a Reggio
  Calabria,  membro del parlamento, al giudizio del Tribunale di Roma
  per  rispondere  del  delitto p. e p. art. 595, primo e terzo comma
  c.p., art. 21, legge n. 47/1948; per avere, col mezzo della stampa,
  rilasciando,  in  Roma  entro  il  16  giugno  1995,  dichiarazioni
  destinate  ad  essere  pubblicizzate  dai  mezzi  d'informazione ed
  effettivamente  riprodotte  in  comunicato ANSA del 16 giugno 1995,
  offeso la reputazione del giornalista Sassoli David Maria autore di
  un  "servizio" relativo anche alla conoscenza tra il Previti Cesare
  stesso  e  personale  dell'ispettorato  del  Ministero  di grazia e
  giustizia.
    In  particolare,  per aver commesso il fatto indicando il Sassoli
  come    partecipe    di   uno   stile   giornalistico   volutamente
  mistificatorio  e  specificatamente  diretto  ad  annebbiare  anche
  verita'  pacifiche  e  come giornalista capace di mistificare anche
  fatti  notori  per  scarsa  professionalita'  o per opportunita' di
  disinformazione strumentalizzata ad impegno in campagne politiche.
    All'udienza  del  15  maggio  1996, il difensore dell'indagato ha
  eccepito   l'applicabilita'   dell'art.   68,  primo  comma,  della
  Costituzione  azionando  la  procedura prevista dal d.-l. n. 253/96
  all'epoca in vigore.
    Questo  giudice,  non  ritenendo  di  accogliere  l'eccezione, ha
  trasmesso copia degli atti alla Camera di appartenenza.
    Con  nota  del  23  ottobre  1997, il Presidente della Camera dei
  deputati  ha  comunicato  che  "l'Assemblea,  nella  seduta  del 22
  ottobre 1997, ha deliberato nel senso che i fatti per i quali e' in
  corso il procedimento concernono opinioni espresse da un membro del
  Parlamento  nell'esercizio  delle  sue funzioni, ai sensi dell'art.
  68, primo comma, della Costituzione".
    Con  ordinanza emessa il 16 febbraio 1998 il giudice ha sollevato
  conflitto  di  attribuzione tra i poteri dello Stato chiedendo alla
  Corte  costituzionale  di dichiarare che non spetta alla Camera dei
  deputati   deliberare   l'insindacabilita'   dei   fatti   ascritti
  all'imputato poiche' essi non ricadono nell'ipotesi di cui all'art.
  68, primo comma della Costituzione.
    Il conflitto e' stato dichiarato ammissibile con ordinanza n. 261
  del 30 giugno-9 luglio 1998.
    Il  giudice ricorrente ha provveduto alle notifiche il successivo
  15 luglio, ma per una materiale inadempienza della cancelleria, gli
  atti  sono  stati  depositati solo il 16 settembre per cui la Corte
  con  sentenza  11-19  febbraio  1999 ha dichiarato inprocedibile il
  conflitto.
    All'udienza  del  7  luglio  1999 il Publico Ministero e la parte
  civile   hanno  sollecitato  la  riproposizione  del  conflitto  di
  attribuzione.
    La   richiesta   delle  parti  citate  e'  fondata  e  pienamente
  condivisibile.
    La  declaratoria  di  improcedibilita'  conseguente  ad  un vizio
  meramente  formale  non  preclude  la  possibilita' di investire la
  Corte  costituzionale  della  medesima  questione;  d'altra  parte,
  essendo  rimasta  immutata la situazione processuale, ovvie ragioni
  di  coerenza impongono la riproposizione del conflitto per i motivi
  illustrati  nell'ordinanza  16 febbraio 1998 che di seguito vengono
  riportati:  "Sono  note  le  pronunce  della  Corte sulle questioni
  relative  all'applicazione  della prerogativa dell'insindacabilita'
  parlamentare   ai   sensi   dell'art.   68,   primo   comma,  della
  Costituzione.
    In  particolare,  con la sentenza 26 novembre-5 dicembre 1997, n.
  375,   la   Consulta  ha  ribadito  la  giurisprudenza  in  materia
  affermando  che  la  Corte non puo' rivalutare, quale giudice della
  impugnazione,  la  ponderazione  compiuta dalle Camere, ma soltanto
  accertare  se  vi sia stato un uso distorto e arbitrario del potere
  parlamentare  attraverso  la  verifica  della regolarita' dell'iter
  procedurale   e   della   riferibilita'   dell'atto  alle  funzioni
  parlamentari.
    Ha precisato che tale riferibilita' costituisce il discrimine fra
  quell'insieme  di  dichiarazioni,  giudizi  e  critiche  ricorrenti
  nell'attivita'  politica  dei parlamentari e le opinioni che godone
  delle  prerogative  attribuite  dall'art. 68 della Costituzione. Ha
  ancora   aggiunto   che   la  funzione  parlamentare,  per  la  sua
  peculiarita',   puo'   svolgersi   in   forma   libera   (dovendosi
  ricomprendere  oltre  gli  atti  tipici  anche quelli presupposti e
  consequenziali)  ma  che  in  ogni  caso  non  puo'  coincidere con
  l'intera   attivita'   politica   del   parlamentare  poiche'  tale
  interpretazione  finirebbe per vanificare il nesso funzionale posto
  dall'art.68,  primo comma e comporterebbe il rischio di trasformare
  la prerogativa in privilegio personale.
    Se   questi   sono   i   principi   affermati   della  Corte  con
  argomentazioni   riportate  pressocche'  testualmente;  se  a  tali
  principi e' obbligatorio adeguarsi, ne consegue il fatto contestato
  all'imputato  non  puo'  in  alcun  modo  essere  qualificato  come
  opinione espressa nell'esercizio delle funzioni parlamentari.
    Non  si comprende infatti che tipo di connessione vi possa essere
  tra   la   funzione   svolta  dall'On.  Previti  e  la  circostanza
  strettamente  personale  (i  suoi rapporti con il dott. Dinacci) da
  cui sono scaturite le dichiarazioni" all'agenzia ANSA.
    Ne'  maggiori  lumi  provengono dagli atti parlamentari in cui il
  presupposto  della  sussistenza  del  nesso  strumentale condotta -
  funzioni   viene   liquidato   con   l'accenno   ad  una  "polemica
  essenzialmente  e  squisitamente  politica" originata da "una certa
  malizia  del  giornalista  di  RAI3  - (cfr. resoconto stenografico
  seduta  22  ottobre  1997 pagina n. 45). Ma anche ammettendo che il
  contesto  in  cui  si  sono  inserite le dichiarazioni in questione
  avesse  una  certa  valenza  politica  non  si potrebbe pervenire a
  conclusioni diverse poiche' secondo gli insegnamenti della Consulta
  e' vietato assimilare il concetto di funzione parlamentare a quello
  di attivita' politica".
    Pertanto  deve essere sollevato conflitto di attribuzione davanti
  alla  Corte  costituzionale  perche'  dichiari  che non spetta alla
  Camera   dei   deputati  deliberare  l'insindacabilita'  del  fatto
  ascritto  all'On.  Previti  - oggetto dell'imputazione riportata in
  premessa  - poiche' esso non ricade nell'ipotesi prevista dall'art.
  68, primo comma della Costituzione.