ha pronunciato la seguente Ordinanza nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 218, comma 5, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), come modificato dal decreto legislativo 10 settembre 1993, n. 360, promosso con Ordinanza emessa l'11 gennaio 1999 dal Pretore di Padova nel procedimento civile vertente tra Olivieri Roberto e il Prefetto di Padova ed altro, iscritta al n. 135 del registro ordinanze 1999 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 11, prima serie speciale, dell'anno 1999. Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri; Udito nella camera di consiglio del 23 febbraio 2000 il giudice relatore Cesare Ruperto. Ritenuto che, nel corso di un procedimento di opposizione ex art. 22 della legge n. 689 del 1981 - promosso da un automobilista avverso un'ordinanza di sospensione della patente di guida adottata dal Prefetto di Padova -, il Pretore di Padova con Ordinanza emessa l'11 gennaio 1999 ha sollevato, in riferimento all'art. 3 Cost., questione di legittimita' costituzionale dell'art. 218, comma 5, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), nel testo introdotto dall'art. 117 del decreto legislativo n. 360 del 1993, "nella parte in cui prevede che "avverso il provvedimento di sospensione della patente e' ammessa opposizione ai sensi dell'art. 205 del Codice della strada in luogo di [disporre che] "l'opposizione di cui all'art. 205 si estende alla sanzione accessoria "; che, rilevata la rituale proposizione del giudizio a quo osserva tuttavia il rimettente (anche con riferimento alla rilevanza della questione) che, ove non fosse prevista dalla norma censurata l'autonoma possibilita' di impugnare tale sanzione accessoria, il ricorso dovrebbe essere dichiarato inammissibile poiche' tardivo, non essendo stato tempestivamente opposto il verbale di accertamento e contestazione, costituente presupposto di applicazione della sanzione stessa, la quale - in quanto tassativamente sancita dalle singole norme che puniscono le singole irregolarita' - non consente al prefetto altra discrezionalita' se non quella relativa alla determinazione della sua durata; che, secondo il rimettente, l'ammissibilita' di un'opposizione autonoma, non limitata alla questione della durata della sanzione, ma estesa anche alla valutazione dei presupposti di fatto e di diritto che sostanzialmente attengono all'accertamento della violazione, si risolve obiettivamente in una sorta di restituzione in termini onde contestare cio' che non e' piu' contestabile; che, dunque, la norma impugnata sarebbe irrazionalmente contraria al principio di uguaglianza, poiche', senza giustificazione, regola la possibilita' di ricorrere in sede giudiziale contro la sospensione della patente in modo diverso - nonostante la stretta analogia fra tali sanzioni accessorie quanto a contenuto e disciplina - rispetto all'ipotesi di sospensione della carta di circolazione, disciplinata dall'art. 217 del codice della strada, il quale piu' coerentemente estende l'opposizione ex art. 205 alla sanzione accessoria, sicche', impugnando l'atto di contestazione ovvero l'ordinanza ingiunzione, in tutti i casi in cui all'accertamento consegue obbligatoriamente l'applicazione della sanzione stessa, si oppone automaticamente anche il provvedimento conseguenziale, che dal primo obiettivamente dipende; che e' intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, concludendo per la declaratoria di inammissibilita' o di infondatezza della sollevata questione. Considerato che il rimettente denuncia una disparita' di trattamento normativo, muovendo dal presupposto che sussista sostanziale identita', quanto a contenuto e disciplina, tra la sospensione della patente di guida e la sospensione della carta di circolazione; che, come questa Corte ha piu' volte posto in evidenza, nel sistema del nuovo codice della strada la natura afflittiva della sospensione della patente di guida - disposta, all'esito del relativo accertamento, dal prefetto o dal giudice penale, a seconda che sia stato commesso un semplice illecito amministrativo ovvero un reato (v. ordinanze n. 170 del 1998 e n. 184 del 1997) - incide sul profilo della legittimazione soggettiva alla conduzione di ogni veicolo, gravando sul relativo atto amministrativo di abilitazione, a seguito dell'accertata trasgressione di regole di comportamento afferenti alla sicurezza della circolazione (sentenza n. 330 del 1998); che, viceversa, la sospensione della carta di circolazione - ordinata dall'ufficio provinciale della Direzione generale della Motorizzazione civile - concerne la legittimazione oggettiva alla circolazione del relativo veicolo, conseguendo alla violazione di norme riguardanti l'idoneita' all'uso ed alla specifica destinazione di un determinato mezzo; che, dunque, l'eterogenea configurazione teleologica e strutturale delle due sanzioni accessorie - tra loro differenziantisi anche, come detto, sotto il profilo degli organi competenti ad adottarle, oltre che per il grado di incidenza sulle facolta' del destinatario, ben piu' gravemente compresse nel caso di sospensione della patente - rende il meccanismo di estensione del giudizio di opposizione ex art. 205 alla sospensione della carta di circolazione, disciplinato dall'art. 217, comma 5, palesemente inidoneo a fungere da tertium comparationis onde verificare la sussistenza del denunciato vulnus al principio di uguaglianza; che, piuttosto, nella denunciata norma - la quale lascia salvo comunque il diritto di impugnare direttamente ed autonomamente il verbale di accertamento dell'infrazione e il contestuale ritiro della patente, chiedendone la sospensione (sentenza n. 330 del 1998) - e' da ravvisare una conferma dell'intrinseca coerenza del complessivo impianto di garanzie offerto al destinatario della sanzione, riconnesso alla generale previsione, contenuta nell'art. 205, comma 3, della possibilita' di ricorrere al rimedio dell'opposizione regolata dagli artt. 22 e 23 della legge n. 689 del 1981 (sentenza n. 31 del 1996); che, dunque, la sollevata questione appare manifestamente infondata. Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.