Ricorso della regione Veneto, in persona del Presidente della Giunta regionale e legale rappresentante pro-tempore, on. dott. Giancarlo Galan, rappresentata e difesa, come da delega a margine del presente atto, ed in virtu' di deliberazione di Giunta regionale di autorizzazione a stare in giudizio n. 559 del 22 febbraio 2000, dagli avv.ti proff. Giuseppe Franco Ferrari e Massimo Luciani e dall'avv. Romano Morra, ed elettivamente domiciliata presso lo studio del secondo, in Roma, Lungotevere delle Navi, n. 30; Contro il Presidente del Consiglio dei Ministri per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale del decreto-legge 4 febbraio 2000, n. 8, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale - serie generale - n. 30 del 7 febbraio 2000, recante ad oggetto "Disposizioni urgenti per la ripartizione dell'aumento comunitario del quantitativo globale di latte e per la regolazione provvisoria del settore lattiero-caseario", nella sua interezza ed in particolare quanto: all'art. 1, comma 1, in quanto stabilisce le modalita' di ripartizione del quantitativo di latte attribuito dall'Unione europea per mezzo del reg. (CE) 1256/99, con decorrenza dal lo aprile 2000, e prevede a tal fine che tale quantitativo, una volta affluito nella riserva nazionale, venga ripartito tra le regioni e le province autonome sulla base della tabella allegata (30.050 al Piemonte; 1.700 alla Valle D'Aosta; 141.900 alla Lombardia, 13.150 alla provincia di Bolzano; 4.200 alla provincia di Trento; 43.750 al Veneto; 8.650 al Friuli-Venezia Giulia; 400 alla Liguria; 64.500 all'Emilia-Romagna; 3.550 alla Toscana; 2.250 all'Umbria; 1.850 alle Marche; 18.600 al Lazio; 3.650 all'Abruzzo; 3.200 al Molise; 11.750 alla Campania; 10.850 alla Puglia; 3.800 alla Basilicata; 2.400 alla Calabria; 5.750 alla Sicilia; 8.050 alla Sardegna) e rimette poi alle regioni e province autonome la riassegnazione ai produttori operanti nel rispettivo territorio del quantitativo complessivamente assegnato, entro tre mesi dall'entrata in vigore del decreto stesso, secondo criteri oggettivi di priorita' e modalita' preventivamente determinate e, piu' in particolare, stabilisce che tali criteri devono comunque prevedere una riserva pari almeno al 20% in favore dei giovani agricoltori richiedenti (salvo il caso di mancanza di sufficienti richieste) e che, in nessun caso, possono beneficiare delle suddette riassegnazioni i produttori che, nel corso degli ultimi tre periodi, hanno venduto, affittato o comunque ceduto, in tutto o in parte, le quote di cui erano titolari; quanto all'art. 1, comma 2, in quanto dispone che le regioni e le province autonome possono stabilire che le quote di coloro che hanno beneficiato delle assegnazioni di cui allo stesso art. l e di quelle di cui all'art. l2, comma 21, del d.-l. n. 43/1999, convertito in legge n. 118/1999, non possano essere in tutto o in parte vendute, affittate, comodate o costituire oggetto di contratti di soccida per uno o piu' periodi, salvo documentati casi di forza maggiore e dispone che le quote non assegnate dalle regioni o province autonome nel termine di cui al comma l riaffluiscono alla riserva nazionale per essere ripartite tra le regioni in misura proporzionale ai quantitativi fissati nella tabella allegata al decreto; quanto all'art. 1, comma 3, in quanto dispone che le regioni e le province autonome, in applicazione dell'art. 1 del d.-l. n. 11/1997, convertito in legge n. 81/1997, debbono, entro il 15 marzo 2000, provvedere all'aggiornamento dei quantitativi individuali di riferimento dei produttori titolari di quota la cui azienda sia ubicata nel proprio territorio, per il periodo 2000-2001, avvalendosi dei dati risultanti dal sistema informatico di supporto di cui all'art. 5 del decreto del Ministero delle politiche agricole n. 159/1999, e che la comunicazione relativa ai dati citati, da effettuarsi entro il 31 marzo 2000, sara' poi curata dall'organismo nazionale di intervento nel mercato agricolo e dispone, inoltre, che le regioni e le province autonome sono poi tenute a provvedere, entro il 30 giugno 2000, all'eventuale aggiornamento dei suddetti quantitativi individuali e alla relativa comunicazione ai produttori interessati e, tramite il sistema informativo, all'organismo nazionale di intervento nel mercato agricolo e prevede, altresi', che tali comunicazioni costituiscono il titolo da produrre, in copia conforme, all'acquirente per l'applicazione delle disposizioni sul prelievo supplementare e che, per i periodi successivi, le comunicazioni debbono avvenire, a cura delle regioni e province autonome, entro il 28 febbraio di ogni anno; quanto: all'art. 1, comma 4, in quanto dispone che alle dichiarazioni di consegna degli acquirenti e ai relativi modelli L1 continuano ad applicarsi le disposizioni di cui all'art. 4, commi 2 e 3, del d.-l. n. 411/1997, convertito in legge n. 5/1998, e che, in presenza delle anomalie di cui all'art. 1, comma 4, del d.m. n. 159/1999, le regioni e le province autonome debbono provvedere agli occorrenti accertamenti con le modalita' previste dall'art. 3, commi 2 e 3, dello stesso d.m. n. 159/1999, ovvero con quelle dai medesimi enti stabilite; quanto: all'art. 1, comma 5, in quanto prevede che alle operazioni di compensazione nazionale si applicano i criteri di cui all'art. 1, comma 8, del d.-l. n. 43/1999, convertito in legge n. 118/1999, nonche' le disposizioni di cui ai commi 11, 12 e 13 del medesimo art. 1, in quanto compatibili, e che, in caso di mancato pagamento del prelievo supplementare da parte dell'acquirente, le regioni e le province autonome debbono effettuare la riscossione coattiva mediante ruolo anche nei confronti del produttore, salvo il diritto di rivalsa di questi nei confronti dell'acquirente inadempiente o insolvente; quanto all'art. 1, comma 6, in quanto prevede che le regioni e le province autonome possono autorizzare, in deroga a quanto previsto dall'art. 10, comma 2, lettera a), della legge n. 468/1992, trasferimenti di quota tra aziende ubicate in regioni e province autonome diverse, prevedendo le relative modalita' di controllo, e stabilisce poi direttamente che e' consentita la stipulazione di contratti di affitto della parte di quota non utilizzata, separatamente all'azienda, con efficacia limitata al periodo in corso, dandone comunicazione alle regioni e province autonome per le relative verifiche, purche' concorrano almeno le seguenti condizioni: a) il contratto intervenga tra produttori in attivita' che hanno prodotto e commercializzato nel corso del periodo almeno il 50% della loro quota; b) le aziende agricole dei contraenti siano ubicate nella medesima zona omogenea (di montagna, svantaggiata, di pianura); sono comunque esclusi i contratti di soccida e di comodato di stalla, che non possono avere una durata inferiore ad un intero periodo; quanto all'art. 1, comma 7, in quanto dispone che i termini per le compensazioni nazionali relative ai periodi di produzione lattiera 1997-1998 e 1998-1999, di cui all'art. 1, commi 7 e 10, del d.-l. n. 43/1999, convertito in legge n. 118/1999, sono entrambi differiti al 30 aprile 2000; quanto all'art. 1, comma 8, in quanto dispone che, per quanto non abrogato dal decreto stesso, si applicano le disposizioni della legge n. 468/1992 e le altre disposizioni in materia e che, in caso di inadempimento ai compiti ed obblighi spettanti alle regioni e province autonome in materia di quote latte, si applicano le disposizioni dell'art. 5 del d.lgs. n. 112/1998. F a t t o 1. - Il regime delle quote latte, finalizzato al contenimento della produzione nel mercato europeo, e' stato introdotto con il regolamento CEE del Consiglio n. 856 del 31 marzo 1984. In forza del predetto regolamento, la Comunita' europea ha attribuito un quantitativo massimo di produzione lattiera a ciascuno Stato membro - per l'Italia determinato in t. 9.212.000 -, e sottoposto le eventuali eccedenze al pagamento di una penalita' ad esse proporzionale (c.d. prelievo). L'attuazione del predetto regime presupponeva il previo accertamento della produzione effettiva sul territorio nazionale e la successiva proporzionale attribuzione dei quantitativi in capo ai singoli produttori. In Italia, i relativi accertamenti furono inizialmente demandati all'UNALAT e poi, in ragione dei dubbi sorti in ordine alla correttezza di tali rilevazioni, che si discostavano marcatamente dalle indicazioni comunitarie, al C.C.I.A. In conclusione, la produzione complessiva nazionale risultava superiore comunque di circa un milione di tonnellate rispetto al quantitativo attribuito. Nel frattempo veniva approvata la legge 26 novembre 1992, n. 468, recante attuazione del regime delle quote latte istituito a livello comunitario. Sulla base delle rilevazioni effettuate, veniva quindi diramato il bollettino per la campagna 1994/1995 contenente, nel rispetto del quantitativo complessivamente assegnato all'Italia, i limiti individuali di produzione. Ne discendeva un ampio contenzioso sui quantitativi assegnati, che risultavano di gran lunga inferiori allo stesso fabbisogno nazionale complessivo. 2. - Ai fini del contenimento della produzione interna complessiva entro il limite quantitativo imposto a livello comunitario (nel frattempo aumentato a 9.900.000 t.), il Governo per mezzo del d.-l. n. 727 del 1994, convertito in legge n. 46 del 1995, operava un generalizzato taglio della quota B (che, come noto, e' costituita dalla maggior produzione commercializzata dal singolo produttore nel periodo 1991/1992 rispetto al periodo 1988/1989). Gia' tali provvedimenti legislativi introducevano, in totale assenza di intesa o di qualsivoglia altra forma di coordinamento con le regioni, criteri di riduzione delle quote chiaramente penalizzanti nei confronti delle regioni a piu' alta vocazione produttiva. Pertanto, veniva da molte regioni proposto ricorso in via principale per l 'affermazione dell'illegittimita' costituzionale dei provvedimenti legislativi citati, in riferimento alla grave lesione delle prerogative regionali riconosciute dalla Costituzione dagli stessi perpetrata. Codesta ecc.ma Corte si e' sul punto pronunciata con sentenza n. 520 del 1995, dichiarando l'illegittimita' dell'art. 2, comma 1, della legge n. 46 "nella parte in cui non prevede il parere delle regioni interessate nel procedimento di riduzione delle quote individuali spettanti ai produttori di latte bovino". 3. - Il Governo e' poi reiteratamente intervenuto con la decretazione d'urgenza per mezzo dei dd.-ll. nn. 124, 260, 353, 440, 463, 542 e 552 del 1996, nel dichiarato intento di operare un riordino del settore, ma di fatto aggravando la gia' confusa situazione esistente, con disposizioni contraddittorie e comunque sempre lesive delle prerogative regionali. In particolare, il sistema di compensazione a livello nazionale introdotto per mezzo delle citate disposizioni, sempre in assenza di qualsivoglia forma di coordinamento con le regioni, ha moltiplicato gli effetti distorsivi dei tagli di quota (peraltro confermati) a danno delle regioni del nord. I dd.-ll. nn. 542 e 552 del 1996 (reiterativi dei precedenti) sono poi stati rispettivamente convertiti in leggi nn. 642 e 649 del 1996, subito seguite dalla legge n. 662 del 1996, sostanzialmente ripetitiva delle medesime disposizioni in esse contenute. In ordine ai suddetti provvedimenti legislativi, codesta ecc.ma Corte, sul ricorso presentato da numerose regioni - tra le quali il Veneto -, ha pronunciato la sentenza n. 398 del 1998, con la quale ha, da un lato, dichiarato la cessazione della materia del contendere in riferimento ad alcune delle disposizioni impugnate, in quanto sostituite nel contenuto dai successivi provvedimenti legislativi adottati in materia nel corso del 1997 (che piu' oltre ci si riserva di illustrare), e, dall'altro, dichiarato costituzionalmente illegittime quelle tra le disposizioni impugnate ancora in vigore. In particolare, codesta ecc.ma Corte ha riconosciuto la fondatezza delle censure sollevate in riferimento ai criteri di compensazione inizialmente introdotti con il d.-l. n. 124 del 1996 e poi da ultimo recepiti nell'art. 2, comma 168, della legge n. 662 del 1996 - specifico oggetto della pronuncia de qua -, ed ha dunque dichiarato l'illegittimita' costituzionale della predetta disposizione nella parte in cui "stabilisce i criteri in base ai quali deve essere effettuata la compensazione nazionale senza che sia stato preventivamente acquisito il parere delle regioni e delle province autonome". Sono stati, inoltre, dichiarati costituzionalmente illegittimi i commi 4, 5 e 5-bis dell'art. 3 del d.-l. n. 552 del 1996, convertito con modificazioni dalla legge n. 642 del 1996, nella parte in cui prevedono "l'adozione di un piano di abbandono totale o parziale della produzione lattiera senza che su di esso sia stato previamente acquisito il parere delle regioni e delle province autonome", attribuiscono "all'AIMA anziche' alle regioni e alle province autonome il compito di provvedere alla riassegnazione, in ambito regionale e provinciale, delle quote latte abbandonate", stabiliscono "i criteri in base ai quali la riassegnazione di dette quote deve essere effettuata", ed infine prevedono "la riassegnazione su base nazionale delle quote abbandonate e non riassegnate in ambito regionale e provinciale, senza previa consultazione delle regioni e delle province autonome". Infine, del pari illegittima e' stata dichiarata la disposizione di cui all'art. 2, comma 173, della legge n. 662 del 1996, nella parte in cui essa "differisce i termini ivi previsti - ovvero, il termine di efficacia della vendita o dell'affitto di quote, spostato dal 30 novembre al 31 dicembre di ciascun anno - senza la previa acquisizione del parere delle regioni e delle province autonome". La summenzionata pronuncia ha peraltro in linea generale definitivamente chiarito che la produzione lattiera appartiene alla materia dell'agricoltura di competenza delle regioni, e non della regolazione dei mercati, di competenza dello Stato e che "il nesso strumentale tra l'agricoltura, che e' l'oggetto specifico delle misure in questione, e la politica del mercato agricolo non puo' giustificare l'attrazione della prima nell'ambito della seconda, poiche' diversamente la competenza regionale verrebbe integralmente sacrificata in materia di agricoltura, posto che ogni attivita' agricola puo' sempre essere strumentale al mercato" (cfr. Corte costituzionale, sentenza n. 398 del 1998, punto 2 del Considerato in diritto). La regolamentazione della produzione lattiera rientra, dunque, senza dubbio alcuno nel piu' ampio settore dell'agricoltura, di dichiarata competenza regionale ai sensi dell'art. 117 della Costituzione, come del resto e' confermato da ultimo dal d.lgs. n. 143 del 1997, recante "Conferimento alle regioni delle funzioni amministrative in materia di agricoltura e pesca e riorganizzazione dell'Amministrazione centrale". Ne deriva che, nella determinazione degli indirizzi generali di politica agricola - sia pure rimessi all'elaborazione statale per garantirne la coerenza con i principi comunitari -, le regioni debbono essere necessariamente coinvolte, in quanto, appunto, titolari delle relative competenze; tale coinvolgimento richiede - in termini generali, ma ancor prima sulla base dell'espresso disposto dell'art. 2, comma 1, del d.lgs. n. 143 citato - il raggiungimento di una vera e propria intesa tra Stato e regioni in sede di Conferenza permanente ai sensi dell'art. 3 del d.lgs. n. 281 de1 1997 e non certo la mera consultazione, sia essa preventiva o addirittura successiva, delle regioni, che non puo' garantire la reale partecipazione delle stesse al procedimento decisionale. 4. - All'inizio del 1997, il Governo e' nuovamente intervenuto nel settore de quo per mezzo del d.-l. n. 11 del 1997, poi convertito in legge n. 81 del 1997 (entrambi impugnati avanti codesta ecc.ma Corte, tra le altre, dalla regione Veneto con ricorsi rr.gg. nn. 26 e 37 del 1997). In sede di conversione, si riconoscevano finalmente in capo alle regioni competenze attuative della normativa comunitaria in materia di quote latte, ma cio' solo a decorrere dalla campagna 1997/1998, e comunque facendo salve - in attesa di una fantomatica riforma organica del settore - tutte le competenze dell'AIMA. Veniva inoltre istituita una commissione governativa d'indagine, nell'ambito della quale non era peraltro contemplata la partecipazione di rappresentanti regionali, e si prevedeva altresi' un regime di incentivi a fronte dell'abbandono della produzione lattiera. Successivamente, ancora ricorrendo alla decretazione d'urgenza, con d.-l. n. 118 del 1997 (impugnato avanti codesta ecc.ma Corte, tra le altre, dalla regione Veneto con ricorso r.g. n. 41 del 1997), poi convertito in legge n. 204 dello stesso anno, si prevedeva la proroga dei lavori della commissione governativa piu' sopra menzionata, nonche', sulla base delle risultanze dell'indagine condotta dalla commissione stessa, l'aggiornamento da parte dell'AIMA degli elenchi dei produttori sottoposti a prelievo supplementare per il periodo 1995/1996. In sede di conversione si aggiungeva, infine, la sospensione dei programmi di abbandono istituiti con il precedente d.-l. n. 11 dello stesso anno. Nel frattempo, in esito all'indagine effettuata, la commissione governativa, nelle relazioni dell'aprile e dell'agosto dello stesso 1997, evidenziava, tra l'altro, il fenomeno dei cosiddetti "contratti anomali" e rendeva noti i risultati delle simulazioni di compensazione per l'annata 1995/1996 effettuate a livello sia di APL che nazionale. 5. - Malgrado l'invito della commissione governativa a procedere ad una complessiva - nonche' definitiva - riforma del settore lattiero-caseario, il Governo e' poi nuovamente intervenuto con la decretazione d'urgenza per mezzo del decreto-legge n. 411 del 1997 (impugnato avanti codesta ecc.ma Corte, tra le altre, dalla regione Veneto con ricorso r.g. n. 3 del 1998). In sintesi, il decreto, nel testo coordinato con le modificazioni introdotte dalla legge di conversione n. 5 del 1998 (del pari impugnata dalla regione Veneto con ricorso r.g. n. 19 del 1998), quanto al procedimento di accertamento della produzione lattiera, prevedeva: che l'AIMA accertasse la produzione effettiva per i periodi 1995/1996 e 1996/1997, avendo particolare riguardo: a) ai modelli L1 non firmati o con firme apocrife; b) ai modelli L1 privi dell'indicazione dei capi bovini; c) ai modelli L1 con quantita' di latte commercializzata incompatibile con la consistenza numerica del bestiame; d) ai contratti di circolazione di quote latte (quelli ritenuti atipici dalla commissione) con durata inferiore ai sei mesi; e) ai modelli L1 con codici fiscali errati o partite IVA errate o inesistenti, o relativi ad aziende senza bestiame o destinatarie dei premi accordati per vacche nutrici o per abbattimento (art. 2, comma 1); che i contratti di cui al precedente punto d) dovessero essere inviati all'AIMA a cura degli acquirenti entro quindici giorni dall'entrata in vigore del decreto-legge medesimo, pena la revoca del riconoscimento previsto dall'art. 23 del d.P.R. n. 569/1993 (art. 2, comma 2); che l'AIMA aggiornasse i quantitativi di riferimento dei singoli produttori per i periodi 1995/1996, 1996/1997 e 1997/1998 tenendo conto: a) delle istanze di riesame presentate entro il 30 settembre 1997 dalle regioni e dalle province autonome; b) degli azzeramenti di doppie quote, delle revoche e riduzioni operate dalle regioni e province autonome, pervenute all'AIMA entro la data di entrata in vigore del decreto stesso; c) dei trasferimenti di quote e cambi di titolarita' per i periodi considerati, comunicati dalle regioni e province autonome e pervenuti entro il 15 novembre 1997; d) della correzione, in base alle risultanze del censimento 1993/1994, delle assegnazioni di quote a loro tempo effettuate (art. 2, comma 3); che l'AIMA, compiuto l'accertamento de quo nei modi sopradescritti, comunicasse ai produttori, entro sessanta giorni dalla entrata in vigore del decreto medesimo, mediante lettera raccomandata con ricevuta di ritorno, i quantitativi di riferimento individuali assegnati ed i quantitativi di latte commercializzato (art. 2, comma 5, prima parte); che i singoli interessati potessero presentare alla regione, a pena di decadenza, ricorso di riesame entro quindici giorni dalla data di ricezione della summenzionata comunicazione (art. 2, comma 5, seconda parte e comma 6); che le regioni dovessero decidere sui ricorsi de quibus entro sessanta giorni a decorrere dalla scadenza del termine per la presentazione ed entro lo stesso termine comunicare all'AIMA la relativa decisione, a pena di irricevibilita' e salva la responsabilita' civile, penale e disciplinare (art. 2, comma 8). Nelle more della effettiva attuazione di quanto sopra descritto, il Governo disponeva poi in favore dei produttori - limitatamente al periodo 1996/1997 - la restituzione dell'80% degli importi trattenuti dagli acquirenti a titolo di prelievo supplementare e, quanto al periodo 1997/1998, la restituzione dell'intero importo trattenuto a titolo di prelievo supplementare relativo alla parte di quota B ridotta dall'art. 2 del d.-l. n. 727 del 1994, convertito in legge n. 46 del 1995, nonche' dell'importo relativo agli esuberi conseguiti da produttori titolari esclusivamente di quota A nei limiti del 10% della medesima (art. 1). Inoltre, l'art. 3 disponeva che l'AIMA provvedesse alla rettifica della compensazione nazionale per i periodi 1995/1996 e 1996/1997 sulla base dei modelli L1 pervenuti alla data di entrata in vigore del decreto, nonche' degli accertamenti compiuti e delle decisioni dei ricorsi di riesame di cui all'art. 2. Si prevedeva, poi, che, limitatamente al periodo 1995/1996, l'AIMA - previo raffronto tra i dati della compensazione nazionale e quelli derivanti dall'applicazione delle regole di compensazione precedentemente in vigore - applicasse in via perequativa l'importo del prelievo supplementare che risultasse meno oneroso per il produttore. L'art. 4, quanto alla campagna 1997/1998, disponeva che l'AIMA procedesse all'aggiornamento dell'elenco dei produttori titolari di quota e dei quantitativi ad essi spettanti con la comunicazione di cui al comma 5 dell'art. 2. Tali aggiornamenti erano destinati a sostituire ad ogni effetto i bollettini pubblicati precedentemente. Ai fini delle trattenute e del versamento del prelievo supplementare - come espressamente recitava il medesimo articolo 4 - gli acquirenti sarebbero stati tenuti a considerare esclusivamente le quote risultanti dal suddetto elenco. L'art. 4-bis istituiva una commissione di garanzia - nell'ambito della quale non era prevista la partecipazione di alcun membro di provenienza regionale - con il compito di verificare la conformita' alla vigente legislazione delle procedure e delle operazioni effettuate per la determinazione della quantita' di latte prodotta e commercializzata e per l'aggiornamento dei quantitativi di riferimento spettanti ai produttori per i periodi 1995/1996, 1996/1997 e 1997/1998. Quanto alla campagna 1998/1999, l'art. 5, in espressa deroga all'art. 1, del d.-l. n. 11 del 1997, convertito in legge n. 81 del 1997, attribuiva nuovamente all'AIMA la competenza in ordine alla redazione degli elenchi dei produttori titolari di quota e dei quantitativi ad essi spettanti per il periodo 1998/1999. 6. - Il 17 febbraio 1998 il Ministero per le politiche agricole emanava un decreto (impugnato dalla regione Veneto per conflitto di attribuzioni con ricorso pendente avanti a codesta ecc.ma Corte con r.g. n. 12/1998) disciplinante, oltre che le modalita' per l'istruttoria dei ricorsi di riesame, anche le altre modalita' di applicazione del decreto-legge n. 411, cosi' come convertito dalla legge n. 5, in tal modo aggravando ulteriormente, a discapito dell'autonomia organizzativa delle regioni, la gia' manifesta illegittimita' costituzionale delle disposizioni legislative che pretendeva di attuare. Successivamente, con d.-l. n. 187 del 1998, convertito con modificazioni in legge n. 276 del 1998 (impugnata avanti codesta ecc.ma Corte dalla regione Veneto con r.g. n. 38 del 1998), veniva prorogato il termine per la decisione da parte delle regioni dei ricorsi di riesame di cui all'art. 2, comma 5, del d.-l. n. 411 avverso le determinazioni AIMA e si confermavano in capo alla stessa AIMA le attribuzioni in ordine all'aggiornamento degli elenchi dei titolari di quota e dei quantitativi ad essi spettanti per il periodo 1998/1999. 7. - Dopo anni di gestione operata in via straordinaria, e percio' sommaria, la definitiva riorganizzazione del settore lattiero-caseario si rendeva dunque - e si rende tuttora - tanto piu' necessaria in esito alle verifiche compiute dalla commissione governativa di indagine e dalla Corte dei conti. Dalle relazioni redatte sul punto dagli organi citati emergeva, infatti, la necessita' di approntare un valido e definitivo sistema di gestione alternativo a quello che si e' venuto formando sotto l'assillo di fatti contingenti e per cio' stesso privo di qualsiasi disegno programmatico e di adeguata stabilita'. In particolare, si sottolineava come tale sistema alternativo dovesse essere attuato mediante una reale decentralizzazione regionale in materia di agricoltura. Di conseguenza, il Governo, nella consapevolezza dell'inidoneita' dello strumento del decreto-legge ai fini di cui sopra, aveva finalmente predisposto un disegno di legge preordinato alla definitiva regolamentazione del settore. Senonche', di fronte all'opposizione della maggioranza dei rappresentanti regionali in sede di Conferenza permanente del 24 febbraio 1999, ed ancora ignorando totalmente il disposto di cui all'art. 2, comma 1, d.lgs. n. 143 del 1997, che prescrive il raggiungimento di un'intesa, per di piu' necessariamente preventiva, tra Stato e regioni, il Governo ha abbandonato l'iniziale intento, ed ha trasfuso parte del testo originario nel d.-l. n. 43 del 1999 (impugnato avanti codesta ecc.ma Corte, tra le altre, dalla regione Veneto con ricorso r.g. n. 15 del 1999). Il d.-l. n. 43 del 1999 e' stato poi emanato - oltre che in assenza di adeguata intesa con le regioni - in totale assenza di una reale - o plausibile - situazione di straordinaria necessita' od urgenza e dunque in evidente violazione dell'art. 77 della Costituzione. Infatti, rispetto ai fini dichiarati nel preambolo del decreto n. 43 - ovvero, la chiusura dei periodi di produzione lattiera 1995-1999 e l'adeguamento ai dettami di cui alla pronuncia di codesta ecc.ma Corte n. 398 del 1998 - il decreto stesso non presentava affatto caratteri di inevitabilita', poiche' esso si inscriveva in un contesto normativo (quello delineato da ultimo dalla legge n. 5 del 1998 citata) che gia' consentiva la definitiva chiusura dei periodi di produzione lattiera 1995-1999, ed in ogni caso non assicurava l'adeguamento ai principi espressi in materia dalla piu' sopra citata sentenza n. 398. Quanto ai contenuti, il d.-l., nel testo coordinato con le modificazioni introdotte dalla legge di conversione n. 118 del 1999 (del pari impugnata, tra le altre, dalla regione Veneto con ricorso r.g. n. 19 del 1999), in estrema sintesi, prevede: l'obbligo di comunicazione all'AIMA da parte delle regioni e province autonome, entro il brevissimo termine di trenta giorni dalla data di entrata in vigore del decreto, dei "motivati" errori intervenuti nelle operazioni di riesame di cui al d.-l. n. 411 del 1997 e delle relative correzioni, sulla base delle tipologie individuate nella relazione finale della commissione di garanzia quote latte, e la "recezione" di tali correzioni da parte dell'AIMA (art. 1, comma 2), nonche' la definizione, entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del decreto, con uno o piu' decreti del Ministro delle politiche agricole, di ogni ulteriore questione relativa alle stesse operazioni di riesame, non risolta ai sensi del citato comma 2 (art. 1, comma 14); l'aggiornamento, ancora ad opera dell'AIMA (entro trenta giorni dal termine fissato al comma 1 ai fini della effettuazione della compensazione per le annate 1995/1996 e 1996/1997 - ovvero entro novanta giorni dall'entrata in vigore del decreto impugnato) dei quantitativi individuali per il periodo 1997/1998, gia' accertati ai sensi del d.-l. n. 411, sulla base dei mutamenti di titolarita' e delle informazioni relative ai contratti ed alle mobilita' fornite dalle regioni e province autonome (art. 1, comma 3, lettera a), e la comunicazione individuale ai produttori dei quantitativi individuali sopra citati delle produzioni commercializzate per il periodo 1997/1998 risultanti dai modelli L1 pervenuti all'AIMA, e delle anomalie in essi riscontrate, tenuto anche conto delle risultanze dei ricorsi relativamente al numero dei capi accertati (art. 1, comma 3, lettera b), nonche' l'aggiornamento definitivo dei quantitativi individuali per il periodo 1998/1999, che costituiranno anche attribuzione provvisoria per il periodo 1999/2000, per mezzo della stessa comunicazione di cui al predetto comma 3, lettera b) (art. 1, comma 4); la definizione da parte del Ministro per le politiche agricole, con proprio decreto, delle modalita' procedurali per addivenire alle determinazioni definitive dei dati di cui ai commi 3 e 4 sopra citati da parte delle regioni e province autonome (art. 1, comma 5) e per la comunicazione individuale ai produttori dei dati afferenti anche alla campagna 1998/1999 (art. 1, comma 10); il versamento, a seguito delle operazioni di compensazione di cui al comma 10, del prelievo dovuto per il periodo 1998/1999 agli acquirenti, entro il termine di venti giorni dal ricevimento della comunicazione da parte dell'AIMA (art. 1, comma 19); l'attribuzione ancora in capo all'AIMA, delle competenze in ordine all'effettuazione delle operazioni di compensazione - i cui risultati acquistano dichiarato carattere di definitivita' ai sensi del comma 12 - sia in riferimento alle annate 1995/1996 e 1996/1997 (art. 1, comma 1) che con riferimento alle annate 1997/1998 e 1998/1999 (art. 1, commi 7 e 9), e la riproduzione degli stessi criteri di compensazione di cui al d.-l. n. 552 del 1996, e relativa legge di conversione ed alla legge n. 662 del 1996, mantenendo il medesimo ordine di priorita' (art. 1, comma 8) - valevoli, in attesa della riforma del settore, anche in riferimento all'annata 1999-2000 (art. 1, comma 21-ter) - salvo che per le annate 1997/1998 e 1998/1999, per le quali, in deroga ai suaccennati criteri ed al loro ordine, viene istituita una priorita' assoluta in favore delle regioni Marche ed Umbria (art. 1, comma 9) e per l'annata 1995-1996, in riferimento alla quale, l'AIMA, nella esecuzione della rettifica di cui all'art. 3 del d.-l. n. 411 del 1997, convertito in legge n. 5 del 1998, non applica le riduzioni della quota B in ottemperanza alle sentenze concernenti le illegittimita' delle stesse riduzioni (art. 1, comma 1); l'obbligo in capo al produttore, qualora le somme trattenute dall'acquirente a titolo di prelievo per i periodi 1995/1996 e 1996/1997 non siano sufficienti a coprire il prelievo complessivamente dovuto, di corrispondere all'acquirente la differenza entro il quinto giorno antecedente la scadenza del termine per il versamento degli importi trattenuti dall'acquirente stesso (pari a trenta giorni dal ricevimento della comunicazione da parte dell'AIMA dei prelievi dovuti) e, in difetto, su comunicazione dell'acquirente e previa intimazione al pagamento, la riscossione coattiva del debito residuo mediante ruolo ad opera dell'AIMA stessa (art. 1, comma 15); la fissazione, con effetto a decorrere dal periodo 1996/1997, del termine per la stipula dei contratti di affitto e vendita di quota senza trasferimento di azienda, al 31 dicembre di ciascun anno, fatti salvi gli accertamenti eseguiti ai sensi del d.-l. n. 411 del 1997, e la possibilita' che i contratti cosi' stipulati entro il 31 dicembre 1996, su concorde volonta' delle parti comunicata all'AIMA, possano avere effetti in riferimento alla stessa annata 1996/1997 (art. 1, comma 20); la ripartizione, a decorrere dal periodo 1999-2000, delle quote confluite nella riserva nazionale in misura proporzionale ai quantitativi individuali allocati presso ciascuna regione o provincia autonoma accertati per i periodi 1995/1996 e 1996/1997 ai sensi del d.-l. n. 411 del 1997, convertito in legge n. 5 del 1998, e l'assegnazione da parte delle singole regioni ai produttori secondo criteri di priorita' deliberati dagli stessi enti, ma comunque in primis a favore dei produttori che hanno subito le riduzioni di cui alla legge n. 46 del 1995, e comunque, in nessun caso, a favore dei produttori che nel corso dei periodi 1997-1998 e 1998-1999 hanno venduto ovvero affittato, in tutto o in parte, le quote di cui erano titolari (art. 1, commi 21 e 21-bis); la possibilita' in capo all'AIMA, ai fini dello svolgimento delle operazioni di compensazione contemplate dallo stesso decreto, di prendere in considerazione esclusivamente i provvedimenti giurisdizionali, anche cautelari o non definitivi, contenenti dati quantitativi e notificati entro il trentesimo giorno antecedente la scadenza del termine per l'effettuazione delle compensazioni e, in assenza delle predette indicazioni quantitative, l'obbligo in capo all'AIMA di utilizzazione dei dati accertati dalle regioni e province autonome sulla base del d.-l. n. 411 del 1997 ovvero quelli rideterminati dall'AIMA stessa, nel caso in cui siano intervenute ordinanze giurisdizionali anche non definitive che hanno fatto obbligo agli acquirenti di restituire ai produttori gli importi trattenuti a titolo di anticipo per gli eventuali prelievi supplementari dovuti (art. 1, comma 11), nonche' l'improduttivita' di effetti delle decisioni amministrative o giurisdizionali notificate oltre il termine di cui al comma 11 in riferimento ai risultati complessivi delle compensazioni, che restano fermi nei confronti dei produttori estranei ai procedimenti nei quali le decisioni sono state emesse (art. 1, comma 13); la conferma da parte dell'acquirente (che determina la non applicazione a danno dell'acquirente stesso delle sanzioni amministrative di cui all'art. 11 della legge n. 468 del 1992 e all'art. 23 del d.P.R. n. 569 del 1993) dei dati risultanti dagli accertamenti effettuati ai sensi del d.-l. n. 411 a rettifica dei dati dichiarati dai produttori nei modelli L1, in riferimento alle annate 1995/1996, 1996/1997 (comma 17, primo periodo) e 1997/1998 (comma 18) e, in difetto, la rettifica automatica dei dati contenuti nel modello L1 in conformita' a quelli risultanti dalle operazioni di accertamento di cui al d.-l. n. 411 piu' volte citato, ferme le procedure sanzionatorie previste dalla legge (art. 1, comma 17, secondo periodo). 8. - In riferimento a tutti i ricorsi per illegittimita' costituzionale proposti, tra le altre, dalla regione Veneto, contro i sopradescritti provvedimenti legislativi adottati in materia di quote negli anni 1997, 1998 e 1999, codesta ecc.ma Corte, in esito all'udienza di discussione del 26 ottobre 1999, ha, in data 15 dicembre 1999, emesso un'ordinanza istruttoria, per mezzo della quale ha ordinato alla Presidenza del Consiglio il deposito, entro il termine di 180 giorni, della documentazione relativa alle sedute della Conferenza permanente per i rapporti Stato-regione tenutesi con riguardo ai provvedimenti legislativi impugnati; della relazione finale delle commissioni di garanzia quote latte, istituita dall'art. 4-bis del d.-l. n. 411 del 1997, convertito in legge n. 5 del 1998; di un prospetto delle date di emissione dei bollettini AIMA in riferimento alle campagne lattiero-casearie 1995-1996, 1996-1997, 1997-1998; di un quadro del contenzioso civile e amministrativo in corso, in relazione alla determinazione delle quote latte individuali e alle compensazioni effettuate dall'AIMA. In pendenza del termine imposto da codesta ecc.ma Corte, l'ordinanza non risulta essere stata ancora ottemperata. Analoga ordinanza istruttoria (del 15 dicembre 1999) e' stata poi adottata da codesta ecc.ma Corte con riguardo al ricorso per conflitto di attribuzione proposto dalla stessa regione ricorrente in riferimento al d.m. del Ministero delle politiche agricole del 17 febbraio 1998 (rubricato con r.g. n. 12 del 1998); in questo caso, la Presidenza del Consiglio, atteso il piu' breve termine imposto di centoventi giorni, ha gia' provveduto a depositare la documentazione richiesta, che, per quanto qui interessa, non fa che confermare la mancanza di adeguato coinvolgimento delle regioni (coinvolgimento, che, quanto al d.m. in oggetto, sulla base della stessa fonte legislativa - il d.-l. n. 411, convertito in legge n. 5 -, avrebbe dovuto avvenire nelle forme dell'intesa), in ragione della attivazione da parte del Governo di una consultazione delle regioni in sede di Conferenza meramente formale, e comunque tardiva, in quanto disposta in ordine ad un testo gia' predisposto a livello ministeriale. 9. - Sotto stati nel frattempo diramati (precisamente nel mese di luglio del 1999) i provvedimenti AIMA recanti i risultati della compensazione nazionale delle produzioni di latte per i periodi 1995-1996 e 1996-1997 e degli importi di prelievo supplementare conseguentemente addebitati ai produttori per le annate di riferimento. Si e' cosi' aperto un nuovo vastissimo contenzioso avanti ai tribunali amministrativi ad iniziativa, non solo dei singoli produttori, loro associazioni e primi acquirenti, ma da parte delle stesse regioni, tra le quali il Veneto, che hanno chiesto, e molti ottenuto, la sospensione degli elenchi medesimi in ragione delle evidenti illegittimita' riscontrate (tra le altre: retroattivita', incertezza dei dati quantitativi di riferimento, omessa motivazione, omesso riscontro in ordine alla applicazione della compensazione "meno onerosa" in riferimento alla campagna 1995-1996). Il Ministero delle politiche agricole ha poi adottato, dapprima il decreto n. 159 del 21 maggio 1999 (impugnato dalla regione Veneto con ricorso per conflitto di attribuzioni r.g. n. 29/1999), recante attuazione dell'art. 1, comma 5, del d.-l. n. 43 e conseguente determinazione delle modalita' procedurali per addivenire alle determinazioni "definitive" in ordine ai quantitativi individuali per la campagna 1997-1998 ai fini della effettuazione delle operazioni di compensazione in riferimento alla medesima annata, e successivamente i dd.mm. nn. 309 e 310, rispettivamente del 15 luglio 1999 e 10 agosto 1999 (impugnati dalla regione Veneto avanti codesta ecc.ma Corte con separati ricorsi per conflitto di attribuzioni), recanti attuazione dell'art. 1, comma 14, del d.-l. n. 43, a pretesa risoluzione di ogni ulteriore questione afferente i dati quantitativi di riferimento per le annate 1995-1996, 1996-1997 e 1997-1998. Per mezzo dei decreti citati, che nulla risolvono in via definitiva ma tutto rimettono in discussione in ordine al tanto sospirato accertamento definitivo in riferimento a campagne produttive ormai concluse da anni, le regioni sono state ulteriormente relegate ad un ruolo meramente esecutivo delle incoerenti - e non certo risolutive - "direttive" di derivazione statale. Sulla base di tali decreti, l'AIMA ha, nel mese di ottobre del 1999, operato la rettifica degli esiti della compensazione per le annate 1995-1996 e 1996-1997 (in ordine ai quali si e' aperto un nuovo vastissimo contenzioso) e successivamente emesso, nei primi giorni del mese di febbraio del 2000, gli elenchi in riferimento alle successive annate 1997-1998 e 1998-1999 (anch'esse concluse, rispettivamente, da oltre due anni e un anno). In corso di campagna 1999-2000, non solo non sono stati dunque emessi i bollettini relativi alla stessa campagna in corso, ma risultano ancora in corso le operazioni di compensazione, e la determinazione del prelievo conseguentemente dovuto, in riferimento alle annate 1997-1998 e 1998-1999 (senza contare che, anche quanto alle annate 1995-1996 e 1996-1997, i procedimenti giurisdizionali avviati e decisi in fase cautelare rendono quantomeno incerta, non solo la riscossione e versamento del prelievo, ma la stessa consistenza quantitativa dello stesso). Comunque ora non si tratta piu' semplicemente di chiudere "alla meno peggio" annate lattiere ai fini dell'adempimento degli obblighi comunitari in termini di versamento del prelievo supplementare, ma di organizzare un sistema che regga per almeno ulteriori otto anni: infatti, con reg. CE n. 1256/1999 del Consiglio, del 17 maggio scorso, il regime del prelievo supplementare, istituito con reg. CE n. 3950/1992, e' stato prorogato per ulteriori otto anni consecutivi a decorrere dal 1o aprile 2000. Il regolamento citato ha peraltro apportato significative modificazioni al regime previgente (a titolo meramente esemplificativo: in caso di scarsa utilizzazione della quota da parte del produttore, cosi' come per i quantitativi ceduti in affitto, si prevede che essi confluiscano, dopo predeterminato lasso di tempo, nella riserva nazionale; che gli Stati membri possano organizzare la cessione di quantitativi di riferimento in modo diverso dalle transazioni individuali tra i produttori) ed ha peraltro espressamente previsto che le disposizioni comunitarie siano attuate "al livello territoriale appropriato o in zone di raccolta" al fine di "rafforzare la possibilita' di gestione in maniera decentrata ..., ristrutturare la produzione lattiera o migliorare l'ambiente" (cfr., reg. CE 1256/1999, quinto considerando e punto e) dell'articolo 8). Il decreto-legge impugnato con il presente ricorso, nella sua interezza, e con particolare riguardo alle disposizioni specificamente impugnate - il cui contenuto verra' piu' oltre dettagliatamente esposto -, e' dunque costituzionalmente illegittimo per i seguenti motivi di; D i r i t t o 1. - Quanto al decreto nella sua interezza, violazione degli artt. 3, 5, 11, 77, 97, 115, 117 e 118 della Costituzione, anche in riferimento al principio di leale collaborazione tra Stato e regioni e all'art. 2 del d.lgs. n. 143 del 1997. 1.1. - Come e' noto, il ricorso alla decretazione d'urgenza e' ammesso nei soli casi "straordinari di necessita' ed urgenza". Viceversa, nella fattispecie, emerge con tutta evidenza come il decreto impugnato costituisca un semplice espediente, resosi "opportuno" per superare la forte e generalizzata opposizione a piu' riprese mossa dalle regioni nei confronti del sistema di gestione del settore lattiero-caseario ormai delineato a livello statale. Infatti, il decreto qui impugnato si limita, a parte i commi 1, 2 e 6 dell'art. 1 (sui quali si dira' piu' oltre), a richiamare i provvedimenti legislativi gia' vigenti in materia (cosi' peraltro reiterando le medesime illegittimita' che affliggono gli stessi provvedimenti richiamati) in ordine: alla determinazione e successivo aggiornamento dei quantitativi individuali di riferimento per il periodo 2000-2001 (art. 1, comma 3); alla verifica delle dichiarazioni di consegna degli acquirenti e ai relativi modelli L1 in riferimento alla medesima annata (art. 1, comma 4); alle operazioni di compensazione in riferimento alle annate 1997-1998 e 1998-1999 (art. 1, commi 5 e 7); alla generalizzata applicabilita', per quanto non espressamente abrogato, delle disposizioni vigenti in materia (art. 1, comma 7). Nulla di innovativo viene dunque disposto con riguardo alle operazioni descritte, che ben avrebbero potuto essere compiute in forza della normativa gia' vigente. Le disposizioni impugnate non sono dunque ne' necessarie ne' urgenti, bensi' sostanzialmente ripetitive. E' concordemente ritenuto in dottrina che la necessita' contemplata dall'art. 77 della Costituzione non puo' che consistere nella inevitabilita' dell'uso del decreto-legge per il raggiungimento di determinati fini. Viceversa, rispetto a parte dei fini dichiarati nel preambolo - e cioe', la proroga dei termini ai fini della effettuazione delle operazioni di compensazione per i periodi pregressi -, lo stesso decreto impugnato non presenta affatto caratteri di inevitabilita', poiche' esso si iscrive in un contesto normativo (quello delineato da ultimo dalle leggi n. 5 del 1998 e n. 118 del 1999) che, seppure in modo del tutto inadeguato (che il decreto impugnato, peraltro, non fa che confermare), gia' consentiva la definitiva chiusura dei periodi di produzione lattiera pregressi, anche con riguardo alla effettuazione delle operazioni di compensazione. Inoltre, come gia' brevemente esposto, il decreto impugnato detta disposizioni retroattive incompatibili, per la loro stessa struttura normativa, con l'idea dell'urgenza (non autoprocurata) che e' sottesa alla logica dell'art. 77 della Costituzione. Quanto alla parte "innovativa" del decreto, ovvero quella concernente l'attuazione del reg. (CE) n. 1256/1999 e la "regionalizzazione" del settore lattiero-caseario, codesta ecc.ma Corte ha avuto recentemente occasione di chiarire, proprio con riguardo alla valutazione della sussistenza dei requisiti di necessita' ed urgenza in riferimento al settore per cui e' causa, che "I limiti imposti in sede comunitaria ai quantitativi nazionali di produzione lattiera e l'esigenza di introdurre misure intese al contenimento di questa rendono non manifestamente implausibile la valutazione governativa, posta a base degli interventi, in ordine al ricorso alla decretazione d'urgenza" (cfr. Corte costituzionale, sentenza n. 398 del 1998, punto 3 del Considerato in diritto). Dunque, solo le misure intese al contenimento del quantitativo nazionale giustificano, o quantomeno rendono plausibile, l'intervento in via d'urgenza. Ebbene, nella fattispecie, trattasi di provvedimento legislativo che, diversamente dai precedenti, non e' affatto diretto al contenimento della produzione interna (gia' pur illegittimamente effettuato per mezzo del taglio della quota B, operato per mezzo della legge n. 46 del 1995 e confermato con i successivi provvedimenti del 1996) e all'adempimento degli obblighi comunitari con riferimento alla introduzione della compensazione a livello nazionale (gia' assicurata per mezzo degli interventi del 1996), ma finalizzato alla regolazione delle modalita' di ripartizione di un quantitativo ulteriore riconosciuto dalla UE. Non ci troviamo dunque di fronte alla urgente necessita' di evitare o dilazionare eventuali sanzioni comunitarie conseguenti alla violazione della normativa comunitaria di settore, ma alla volonta' di predisporre un sistema decentralizzato ai fini dello sfruttamento della "opportunita'" offerta dall'Unione (opportunita', che rimarra' certo tale se il quantitativo riconosciuto non verra' redistribuito in modo equo e se non si perverra' ad un effettivo ed efficace riordino del settore, che, secondo le stesse prescrizioni comunitarie, deve necessariamente implicare la "regionalizzazione" della materia). E' dunque di tutta evidenza come l'intervento in questione, anche in vista della proroga del sistema operata per mezzo del regolamento CE citato, avrebbe richiesto ben piu' ponderata, e comunque partecipata (dalle regioni), valutazione. Anche a volere ritenere sussistente il requisito dell'urgenza, manca comunque in tutta evidenza il requisito, parimenti essenziale, della straordinarieta': nel settore lattiero-caseario l'eccezione si e' ormai fatta regola, con conseguente incertezza ed instabilita' dei rapporti tra pubblica amministrazione e cittadini e tra Stato e regioni. Va qui precisato che la regione ricorrente non lamenta la pura e semplice violazione dell'art. 77 della Costituzione, bensi' anche e soprattutto la lesione delle competenze costituzionali che ad essa sono riconosciute ai sensi degli artt. 117 e 118 della Costituzione. E' infatti anche attraverso l'illegittimo utilizzo dello strumento del decreto-legge che tale lesione si e' consumata, poiche' il Governo ha cosi' finito per sottrarre alle regioni il potere di regolare un settore, quale quello della produzione lattiera, che la Costituzione, in una con la normativa ordinaria di trasferimento delle funzioni, sine dubio affida loro nell'ambito della materia "agricoltura". 1.2. - Inoltre, ancora con riguardo all'intero decreto impugnato, va altresi' rilevata la violazione del principio di leale collaborazione tra Stato e regioni, anche in riferimento all'art. 2 del d.lgs. n. 143 del 1997. Come e' noto, infatti, la disposizione citata, nel conferire alle regioni tutte le funzioni amministrative in materia di agricoltura - in relazione alla quale materia la competenza delle regioni e' stata nettamente affermata da codesta ecc.ma Corte per mezzo della gia' citata sentenza n. 398 del 1998 -, prescrive che i compiti di elaborazione e coordinamento delle linee di politica agricola in coerenza con la politica comunitaria debbano essere esercitati dal Ministero per le politiche agricole (istituito con il medesimo d.lgs.) d'intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra Stato e regioni. In materia di produzione normativa, il principio costituzionale di leale collaborazione tra Stato e regioni e' stato poi affermato dal d.lgs. n. 281 del 1997, che disciplina le attribuzioni della Conferenza permanente nelle materie di interesse regionale, prevedendo, accanto a forme di collaborazione meno "intense" quali la mera consultazione, l'intesa, che si perfeziona con l'assenso del Governo e di tutti i Presidenti delle regioni e province autonome (cfr. art. 3 del d.lgs. citato). E' indubbio, infatti - come ha statuito di recente anche codesta ecc.ma Corte - che il settore lattiero-caseario rientra nelle materie di competenza regionale, e comunque, in quanto la regolamentazione del sistema delle quote latte necessita di indirizzi generali ed uniformi - nonche' conformi ai principi comunitari - dettati per tutto il territorio nazionale, il principio di leale collaborazione impone il raccordo tra Stato e regioni nelle forme dell'intesa, cosi' da assicurare la maggiore partecipazione possibile di queste ultime nell'elaborazione delle stesse linea guida. Preme altresi' sottolineare che codesta ecc.ma Corte ha di recente - per mezzo della piu' volte citata sentenza n. 398 - stabilito che l'intesa tra Stato e regioni di cui all'art. 3 del d.lgs. n. 281 del 1997 possa essere sostituita dalla mera consultazione solo nel caso in cui non si tratti di elaborare linee generali di politica agricola, bensi' di adeguarsi a precisi obblighi che gli organi comunitari abbiano impartito in ragione della non corretta attuazione di un dettame precedentemente imposto in via generale. In quel caso si trattava, infatti, di decidere in ordine all'eventuale opposizione all'"invito" della comunita' ad adeguarsi al sistema di compensazione previsto dai regolamenti CEE e non certo in ordine all'elaborazione di linee di politica generale. Viceversa, il decreto qui impugnato e' stato adottato, non solo in assenza di preventiva intesa, ma altresi' in assenza di preventiva consultazione delle regioni. La Conferenza permanente Stato-regioni e' stata, infatti, convocata, con riguardo alla questione in esame, solo in data 10 febbraio 2000, ai fini della emissione di un parere successivo, ex art. 2, comma 5, del d.lgs. 281 del 1997 (cfr. all. 2). Come e' noto, tale disposizione consente, in presenza di ragioni d'urgenza (nella specie, peraltro, come detto, insussistenti), l'acquisizione di un parere successivo da parte della Conferenza permanente, che sara' poi tenuto in considerazione in sede di esame parlamentare dei disegni di legge o delle leggi di conversione dei decreti-legge. Cosi' facendo, il Governo ha dunque aggirato il disposto (oltre che dello stesso art. 2, comma 5, del d.lgs. richiamato, in ragione della assoluta insussistenza di ragioni d'urgenza che potessero giustificare il ricorso a tale meccanismo di consultazione straordinario) di cui all'art. 2, comma 1, d.lgs. n. 143 del 1997, che prescrive il raggiungimento di un'intesa, per di piu' necessariamente preventiva, tra Stato e regioni nella materia per cui e' causa. Le regioni non sono state quindi attivamente coinvolte a priori e nelle forme adeguate nel procedimento di elaborazione della nuova disciplina, come richiederebbero i principi costituzionali prima ancora che le disposizioni di legge vigenti, in quanto il Governo si e' preoccupato di sollecitare l'intervento regionale solo in un momento successivo e solo a livello di consultazione (cfr. ancora all. 2). 2. - Quanto all'art. 1, commi 1, 2 e 6, violazione degli artt. 3, 5, 11, 97, 115, 117 e 118 della Costituzione. L'art. 1, comma 1, stabilisce le modalita' di ripartizione del quantitativo di latte attribuito dalla UE per mezzo del reg. (CE) 1256/1999, con decorrenza dal 1o aprile 2000; in particolare, si prevede che tale quantitativo, una volta affluito nella riserva nazionale, venga ripartito tra le regioni e le province autonome sulla base della tabella allegata (30.050 al Piemonte; 1.700 alla Valle D'Aosta; 141.900 alla Lombardia, 13.150 alla provincia di Bolzano; 4.200 alla provincia di Trento; 43.750 al Veneto; 8.650 al Friuli-Venezia Giulia; 400 alla Liguria; 64.500 all'Emilia Romagna; 3.550 alla Toscana; 2.250 all'Umbria; 1.850 alle Marche; 18.600 al Lazio; 3.650 all'Abruzzo; 3.200 al Molise; 11.750 alla Campania; 10.850 alla Puglia; 3.800 alla Basilicata; 2.400 alla Calabria; 5.750 alla Sicilia; 8.050 alla Sardegna). Viene cosi' imposta alle singole regioni una predeterminata quota del quantitativo riconosciuto dalla UE a livello nazionale, non solo in assenza di intesa (che, evidentemente, in tale occasione sarebbe stata piu' che mai necessaria anche alla luce della piu' volte citata sentenza n. 398 del 1998, nella parte in cui ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale delle modalita' di ripartizione delle quote tra regioni e tra i produttori, in quanto autonomamente determinati a livello statale), ma addirittura in assenza di esplicitazione del relativo criterio di distribuzione. Dalla tabella allegata al decreto non e' dato, infatti, capire il criterio utilizzato a livello governativo a tali fini, ed in particolare se sia stato utilizzato l'unico criterio ammissibile, ovvero, quello costituito dal livello di produzione effettiva della regione o provincia autonoma. L'utilizzo di criteri diversi da quello da ultimo esposto, quali la preferenza accordata alle zone cosiddette svantaggiate o la media tra la produzione effettiva e quella risultante dai provvedimenti di assegnazione, sarebbe, oltre che illegittimo in riferimento alla normativa comunitaria (che, come noto, consente aiuti alle aree svantaggiate solo a valle del sistema, ovvero a livello di compensazione), iniquo, e dunque violativo dell'art. 3 della Costituzione, con particolare riferimento alle zone a piu' alta vocazione produttiva. Tali criteri sarebbero inoltre contrari ai principi di efficienza e buon andamento, e dunque all'art. 97 della Costituzione, in quanto, ancora una volta, impedendo l'emersione del dato reale, impedirebbero il riequilibrio del sistema sulla base dei dati produttivi effettivi. Rimane, comunque, il fatto che l'estromissione delle regioni dalla fase di determinazione del criterio di distribuzione del quantitativo nazionale da ultimo accordato dall'Unione costituisce, in tutta evidenza, di per se' grave violazione degli artt. 5, 115, 117 e 118 e del principio costituzionale di leale cooperazione, in quanto impedisce ab origine qualsivoglia potesta' programmatoria in un settore, senza ombra di dubbio, anche alla luce delle recenti pronunce di codesta ecc.ma Corte, di competenza regionale. Lo stesso art. 1, comma 1, rimette poi alle regioni e province autonome la riassegnazione, entro tre mesi dall'entrata in vigore del decreto stesso, ai produttori operanti nel rispettivo territorio del quantitativo complessivamente assegnato, secondo criteri oggettivi di priorita' e modalita' preventivamente determinate. Il rinvio a criteri di determinazione regionale, che lascerebbe prima facie sperare in un effettivo riconoscimento di autonomia in capo alle regioni, e' pero' subito smentito dalla precisazione che tali criteri devono comunque prevedere una riserva pari almeno al 20% in favore dei giovani agricoltori richiedenti (salvo il caso di mancanza di sufficienti richieste) e che, in nessun caso, possono beneficare delle suddette assegnazioni i produttori che, nel corso degli ultimi tre periodi, hanno venduto, affittato o comunque ceduto, in tutto o in parte, le quote di cui erano titolari. La disposizione in esame, dunque, pur rimettendo alle regioni la riassegnazione in favore dei produttori operanti sul proprio territorio del quantitativo cosi' riconosciuto, impone direttamente, in aperta violazione delle competenze regionali in materia di cui agli artt. 117 e 118 e degli stessi principi di logica e buon andamento, alcuni dei criteri di ripartizione che dovranno presiedere alla stessa riassegnazione. Tali criteri sono poi formulati in modo tale da ingenerare non pochi dubbi interpretativi. L'art. 1, comma 1, infatti, nella parte in cui stabilisce che, in nessun caso, possono beneficiare delle assegnazioni "i produttori che nel corso degli ultimi tre periodi hanno venduto, affittato o comunque ceduto, in tutto o in parte, le quote di cui erano titolari" non chiarisce se, ai fini della operativita' del divieto di cui sopra, la vendita, l'affitto, o la cessione totale o parziale di quote debbano essere stati compiuti in ciascuno dei tre anni antecedenti presi a riferimento o se, ad impedire l'assegnazione, sia ritenuta sufficiente la cessione avvenuta in riferimento ad una sola delle annate considerate. Tutto cio' e' tanto piu' grave se si considera che le regioni sono costrette ad attuare prescrizioni, non solo di derivazione statale, ma altresi' di non chiara formulazione, con ovvie conseguenti incertezze interpretative, per la cui risoluzione ancora una volta e' agevole pronosticare l'intervento ministeriale. La disposizione impugnata e' poi viziata da razionalita' interna, in violazione dell'art. 3 della Costituzione, in quanto penalizza i produttori che abbiano nei tre anni precedenti operato trasferimenti di quota in evidente contraddizione con quanto disposto dal successivo comma 2, che attribuisce alle regioni la facolta' di vietare il trasferimento delle quote assegnate ai sensi del comma 1 (cosi' lasciando intendere che, in assenza di divieto, tali trasferimenti sono ammessi), e dal comma 6, che attribuisce alle regioni stesse la facolta' di autorizzare trasferimenti interregionali di sola quota ed ammette in via diretta la possibilita' di stipulare contratti di affitto di quota valevoli per il periodo in corso. Il decreto impugnato, dunque, da un lato ammette (comma 2) ed anzi favorisce la circolazione, anche interregionale, delle quote (comma 6) e dall'altro, incoerentemente penalizza (vietando l'assegnazione di nuovi quantitativi, cfr. comma 1) i produttori che abbiano in passato usufruito delle stesse possibilita' - ed anzi delle piu' limitate - possibilita' di trasferimento delle quote. A quanto rilevato non si puo' certo replicare che il divieto di cui al comma 1 risponda alla necessita' di sanzionare i produttori che si siano resi colpevoli di trasferimenti anomali del quantitativo assegnato, e che dunque abbiano contribuito al dissesto derivato da tali trasferimenti ed accertato dalla Commissione governativa di indagine, in quanto logica imporrebbe di limitare il divieto ai soli produttori in capo ai quali si accerti una effettiva elusione delle regole che allora presiedevano alla circolazione delle quote. Lo stesso art. 1, comma 1, impone poi un termine perentorio (tre mesi dalla conversione in legge del decreto in esame) entro il quale le regioni medesime debbono procedere alle riassegnazioni di cui sopra, pena, a norma del successivo comma 2, la decadenza e la riaffluenza dei quantitativi stessi nella riserva nazionale per la successiva riassegnazione proporzionale alle altre regioni. Tale termine e' in tutta evidenza troppo breve per consentire una equa assegnazione interna (presupponendo questa la definizione dei criteri di riferimento), e risulta dunque in contrasto, trattandosi di operazione di competenza regionale, i cui tempi dovrebbero essere dunque autodeterminati, con gli artt. 5, 115, 117 e 118, oltre che con l'art. 97 della Costituzione. Il comma 2 dello stesso art. 1 dispone poi - come sopra sommariamente rilevato - che le regioni e le province autonome possono stabilire che le quote di coloro che hanno beneficiato delle assegnazioni di cui allo stesso articolo e di quelle di cui all'art. 12, comma 21, del d.-l. n. 43/1999, convertito in legge n. 118/1999, non possano essere in tutto o in parte vendute, affittate, comodate o costituire oggetto di contratti di soccida per uno o piu' periodi, salvo documentati casi di forza maggiore. Al di la' della razionalita' interna e della conformita' alla normativa comunitaria, la disposizione in esame, andando a disciplinare direttamente un aspetto delle competenze regionali in materia di quote latte, e' per cio' stesso illegittima, in quanto, nella parte in cui prefigura "documentati casi di forza maggiore" quale unica ipotesi di deroga al vincolo di trasferibilita' che le regioni avranno facolta' di prevedere, limita ingiustificatamente, in violazione degli artt. 5, 97, 115, 117 e 118, le competenze regionali in materia. Analogo rilievo deve essere eccepito in riferimento all'art. 1, comma 6, nella parte in cui, come gia' brevemente esposto, prevede che le regioni e le province autonome possono autorizzare, in deroga a quanto previsto dall'art. 10, comma 2, lettera a), della legge n. 468/1992, trasferimenti di quota tra aziende ubicate in regioni e province autonome diverse, prevedendo le relative modalita' di controllo, con l'aggravante che, anche in questo caso (cosi' come per l'art. 1, comma 1), la norma e' di non chiara formulazione, in quanto non precisa, in danno della stessa possibilita' in capo alle regioni di attuare adeguato controllo, se la commercializzazione interregionale di quote debba essere necessariamente autorizzata da tutte le regioni interessate ovvero da una sola delle regioni di appartenenza delle parti (presumibilmente quella di appartenenza del produttore acquirente). Lo stesso comma 6, come gia' brevemente esposto, prevede poi direttamente (in questo caso, senza neppure dare parvenza di decentramento di funzioni in favore delle regioni) la possibilita' (dandone mera comunicazione alle regioni e province autonome) di stipulazione di contratti di affitto della parte di quota non utilizzata, separatamente all'azienda, con efficacia limitata al periodo in corso, purche' concorrano almeno le seguenti condizioni: a) il contratto intervenga tra produttori in attivita' che hanno prodotto e commercializzato nel corso del periodo almeno il 50% della loro quota; b) le aziende agricole dei contraenti siano ubicate nella medesima zona omogenea (di montagna, svantaggiata, di pianura); sono comunque esclusi i contratti di soccida e di comodato di stalla, che non possono avere una durata inferiore ad un intero periodo. La disposizione da ultimo descritta relega dunque espressamente le regioni ad un ruolo meramente esecutivo e di controllo in ordine a competenze che dovrebbero integralmente (e non solo formalmente) competere loro, in aperta violazione degli artt. 5, 115, 117 e 118 della Costituzione, oltre che dell'art. 97 della Costituzione, in quanto tale limitazione si inscrive in un contesto che vorrebbe operare, o quantomeno mostrare, l'effettiva "regionalizzazione" della materia. 3. - Quanto all'art. 1, commi 3, 4 e 5, violazione degli artt. 3, 5, 81, 97, 115, 117, 118 e 119 della Costituzione; quanto all'art. 1, comma 7, violazione degli artt. 3, 5, 11, 97, 115, 117 e 118 della Costituzione. 3.1. - A norma dell'art. 1, comma 3, le regioni e le province autonome, in applicazione dell'art. 1 del d.-l. n. 11/1997, convertito in legge n. 81/1997, debbono, entro il 15 marzo 2000, provvedere all'aggiornamento dei quantitativi individuali di riferimento dei produttori titolari di quota la cui azienda sia ubicata nel proprio territorio, per il periodo 2000-2001, avvalendosi dei dati risultanti dal sistema informatico di supporto di cui all'art. 5 del decreto del Ministero delle politiche agricole n. 159/1999. La comunicazione relativa ai dati citati, da effettuarsi entro il 31 marzo 2000, sara' poi curata dall'organismo nazionale di intervento nel mercato agricolo. Sempre a norma dell'art. 1, comma 3, le regioni e le province autonome sono poi tenute a provvedere, entro il 30 giugno 2000, all'eventuale aggiornamento dei suddetti quantitativi individuali e alla relativa comunicazione ai produttori interessati e, tramite il sistema informativo, all'organismo nazionale di intervento nel mercato agricolo. Si prevede, inoltre, che tali comunicazioni costituiscono il titolo da produrre, in copia conforme, all'acquirente per l'applicazione delle disposizioni sul prelievo supplementare e che, per i periodi successivi, le comunicazioni debbono avvenire, a cura delle regioni e province autonome, entro il 28 febbraio di ogni anno. L'attribuzione alle regioni dei compiti di aggiornamento dei quantitativi individuali di riferimento per il periodo 2000-2001 (che, se effettiva, sarebbe certo ben accolta, pur nella consapevolezza della sua tardivita') e' purtroppo meramente fittizia. Il comma 3, infatti, oltre a prevedere a tali fini il brevissimo termine del 15 marzo 2000, impone che l'aggiornamento avvenga sulla base dei dati contenuti del sistema informatico (e dunque di quei dati gia' rilevati dall'AIMA, sulla cui consistenza si nutrono da anni dubbi ed incertezze) e rimette la relativa comunicazione ad altro organo, ovvero, l'organismo nazionale di intervento nel mercato agricolo. Le regioni sono dunque private di poteri di accertamento e di, pur solo formali, poteri di comunicazione (il cui esercizio comunque assicura la corrispondenza tra quanto rilevato e quanto comunicato), in aperto contrasto con i piu' volte citati artt. 117 e 118 della Costituzione e con gli stessi principi di economicita' e buon andamento di cui all'art. 97 della Costituzione (il sopradescritto sdoppiamento di funzioni non puo' infatti che portare alla moltiplicazione degli incombenti e delle relative spese). 3.2. - Ancora in aperto contrasto con il principio di irretroattivita', la medesima disposizione rimette poi a totale carico delle regioni l'aggiornamento (e, questa volta, anche la comunicazione) di tali dati entro il 30 giugno 2000, implicitamente riconoscendo l'inattendibilita' dei dati contenuti nel sistema informatico, che le regioni, in base alla prima parte del comma considerato, sono comunque costrette a fare propri entro il 15 marzo 2000. Se in base alla prima parte del comma in oggetto i dati quantitativi individuali per la campagna 2000-2001 dovrebbero essere dunque finalmente emessi prima dell'inizio della campagna di riferimento (ovvero, il 15 marzo 2000, in riferimento a campagna con inizio il 1o aprile 2000), la seconda parte della disposizione subito smentisce la tempestivita' della comunicazione prima affermata, ammettendo l'aggiornamento posteriore dei dati in diretta violazione della normativa interna e comunitaria di settore e delle stesse potesta' programmatorie e di controllo che dovrebbero competere alle regioni. Quanto alle operazioni di compensazione (da effettuarsi, quanto ai periodi di produzione lattiera 1997-1998 e 1998-1999, in termini dichiaratamente retroattivi, ovvero entro il 30 aprile 2000 - cfr. art. 1, comma 7), il comma 5 dell'art. 1 stabilisce che si applichino i criteri di cui all'art. 1, comma 8, del d.-l. n. 43/1999, convertito in legge n. 118/1999 nonche' le disposizioni di cui ai commi 11, 12 e 13 del medesimo art. 1, in quanto compatibili. Quanto al profilo della retroattivita' delle disposizioni impugnate tanto in riferimento alla divulgazione dei dati quantitativi di riferimento che ai risultati della compensazione nazionale, basti ricordare che, come gia' piu' volte rilevato nei precedenti ricorsi proposti avverso la normativa di settore, la scansione temporale delle campagne di produzione e raccolta del latte, prima ancora che dalle leggi italiane, e' determinata dalle fonti comunitarie. Cosi', il reg. (CEE) n. 804/68 dispone che tutti gli interventi nel settore debbono essere adottati (assai) prima dell'inizio della campagna (cfr. artt. 3, comma 1; 4; 5, comma 1; 10, comma 2). Nello stesso tempo (e nella delicatissima materia dei prelievi) dispone, poi, tra gli altri, il reg. (CEE) n. 856/84, il quale, introducendo nel precitato regolamento del 1968 un art. 5-quater, individua sempre nella campagna con inizio il 1o aprile di ciascun anno il punto di riferimento temporale degli interventi in materia (art. 1). Analogamente, il reg. (CEE) n. 3590/92 istituiva sino al 2000 l'applicazione del regime dei prelievi per sette periodi consecutivi di dodici mesi a decorrere dal 1o aprile 1993 (art. 1), ed ora il reg. 1256/1999 conferma la suddetta scansione temporale con riferimento alla disposta proroga del regime per otto anni consecutivi a partire dal 1o aprile 2000 (art. 1). Il legislatore comunitario ha, dunque, ritenuto necessario ripartire l'attivita' produttiva in gestioni annuali, dal 1o aprile al 31 marzo successivo; tale ultima data costituisce dunque il termine finale, legislativamente fissato, del ciclo produttivo delle aziende che conferiscono il latte, e a questa data deve farsi riferimento per accertare l'eventuale superamento dei quantitativi individuali, per predisporre i meccanismi di compensazione e per determinare, se del caso, l'entita' del prelievo supplementare. Ne discende pertanto che alla data del 31 marzo l'attivita' di produzione del latte si considera compiutamente esercitata in relazione all'annata conclusa e le posizioni soggettive connesse all'esercizio dell'attivita' in questione sono definitivamente esercitate ed assumono il valore di fatti compiuti. Da cio' consegue che i risultati della produzione costituiscono il fondamento di aspettative giuridicamente tutelabili, che, in quanto immediatamente ricollegabili alla normativa comunitaria, diventano intangibili da parte della sottoordinata normativa dello stato membro. Ora, quello che doveva essere strumento di programmazione e' dunque divenuto, per mezzo dei provvedimenti legislativi impugnati, uno strumento di accertamento ai fini dell'irrogazione della sanzione del prelievo. La conseguente violazione delle norme costituzionali in epigrafe e' evidente: le regioni vengono infatti dichiaratamente spossessate della stessa possibilita' di intervento nel governo del settore. La retroattivita' delle disposizioni impugnate, poiche' sconvolge l'ordine temporale fissato dalle fonti vigenti in materia, e' pertanto direttamente violativa della normativa comunitaria e quindi dell'art. 11 della Costituzione. In quanto tale, per le ragioni prospettate in dottrina (F. Sorrentino, Una svolta apparente nel "cammino comunitario" della Corte: l'impugnativa statale delle leggi regionali per contrasto con il diritto comunitario, in Giur. cost. 1994, 3456 sgg.) e definitivamente chiarite dalla giurisprudenza di codesta ecc.ma Corte (sentt. nn. 384 del 1994, 94 e 520 del 1995), e' direttamente sindacabile in sede di giudizio principale di legittimita' costituzionale. Inoltre, la situazione sopra descritta produce una palese illegittimita' costituzionale, nella misura in cui da essa consegue la sottrazione alle regioni di qualunque facolta' di governo e programmazione della produzione lattiera, che viene assunta come un dato, riferito al passato, e non come un obiettivo proiettato (come dovrebbe essere) nel futuro. 3.3. - Quanto ancora in particolare alle operazioni di compensazione, l'art. 1, comma 5, se da un lato richiama espressamente i criteri di compensazione di cui al d.-l. n. 43 del 1999, convertito in legge n. 118 del 1999 (gia' in aperta violazione degli artt. 117 e 118 della Costituzione e della sentenza n. 398 del 1998, nella parte in cui ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale di tali criteri, in quanto determinati autonomamente a livello statale), non chiarisce, tanto piu' se calato nel contesto normativo di settore, caratterizzato dal continuo susseguirsi di disposizioni tra loro contrastanti, se tali operazioni debbano essere effettuate dall'AIMA (ora AGEA) o dalle regioni. E' plausibile ritenere che, nel silenzio, esse debbano intendersi ancora di competenza dell'Azienda statale e deve di conseguenza essere nuovamente eccepita, anche, come detto, in riferimento alla conferma operata dei criteri di compensazione di cui alle disposizioni legislative piu' sopra citate, la violazione degli artt. 117 e 118, nonche' della decisione n. 398 del 1998. Infatti, la piu' volte menzionata sentenza n. 398 ha non solo riconosciuto espressamente le competenze regionali in materia di determinazione dei criteri di compensazione (qui, come per il d.-l. n. 43 del 1999 e per la relativa legge di conversione, in tutta evidenza frustrate dal mancato adeguato coinvolgimento delle regioni in sede di produzione normativa), ma ha altresi' - seppure in via indiretta - riconosciuto che la stessa effettuazione delle procedure di compensazione deve prevedere il necessario coinvolgimento delle regioni. Infatti, nella parte in cui la sentenza statuisce l'illegittimita' costituzionale della normativa riguardante la riassegnazione delle quote confluite nella riserva nazionale, in quanto violativa delle prerogative regionali, indirettamente essa statuisce il necessario coinvolgimento regionale nelle suddette operazioni di compensazione, in quanto rispondenti alla stessa logica sottesa alla riassegnazione, ovvero l'equa distribuzione tra i produttori del sacrificio derivante dall'imposizione di un limite quantitativo nazionale di produzione. 3.4. - Quanto ancora alle operazioni di compensazione, sotto ulteriore profilo, l'art. 1, comma 5, stabilisce che, in caso di mancato pagamento del prelievo supplementare da parte dell'acquirente, le regioni e province autonome sono tenute ad effettuare la riscossione coattiva mediante ruolo anche nei confronti del produttore, salvo il diritto di rivalsa di questi nei confronti dell'acquirente inadempiente o insolvente. L'attribuzione alle regioni di tale competenza confligge, oltre che con i poteri di autoorganizzazione ad esse riconosciuti dall'art. 115 della Costituzione, con il principio di autonomia finanziaria di cui all'art. 119 della Costituzione. Essendo gli introiti de quibus destinati alle casse dello Stato, e' poi evidentemente illogico ed ingiustificato, ed indi contrario ai principi di ragionevolezza e di buon andamento ed economicita' dell'agire amministrativo di cui agli artt. 3 e 97 della Costituzione, anche con riferimento agli artt. 117 e 118 della Costituzione, attribuire l'onere della relativa riscossione ad enti autonomi, quali le regioni. Si configura in tale modo un fenomeno di sostanziale avvalimento di uffici regionali da parte dello Stato, che come e' noto e' legittimo solo nei limiti in cui garantisce il rispetto dell'autonomia delle regioni anche sotto il profilo della provvista dei mezzi finanziari necessari per fronteggiare gli oneri attribuiti (Corte costituzionale, sentenza n. 408 del 1998, punto 10 del Considerato in diritto); viceversa, nel caso di specie l'attribuzione della suddetta "competenza" non si accompagna alla necessaria copertura finanziaria. 3.5. - L'art. 1, comma 4, stabilisce che alle dichiarazioni di consegna degli acquirenti e ai relativi modelli L1 continuano ad applicarsi le disposizioni di cui all'art. 4, commi 2 e 3, del d.-l. n. 411/1997 convertito in legge n. 5/1998. In presenza delle anomalie di cui all'art. 1, comma 4, del d.m. n. 159/1999, si prevede inoltre che le regioni e province autonome provvedano agli occorrenti accertamenti con le modalita' previste dall'art. 3, commi 2 e 3, dello stesso decreto, ovvero con quelle dai medesimi enti stabilite. Sempre il comma 4 stabilisce, inoltre, che i quantitativi di latte risultanti da modelli L1 pervenuti oltre il termine previsto dalla normativa comunitaria sono assoggettati a prelievo definitivo per l'intero ammontare a carico dell'acquirente inadempiente, ferme le sanzioni previste dal reg. (CE) n. 1001/1998. Tale disposizione, nel richiamare, quanto alle dichiarazioni di consegna degli acquirenti e ai relativi modelli L1, le disposizioni di cui al d.-l. n. 411/1997, convertito in legge n. 5/1998 ed al d.m. n. 159/1999, mutuano le illegittimita' costituzionali gia' rilevate in riferimento agli stessi provvedimenti legislativi e regolamentari; illegittimita', aggravate dalla circostanza che ancora si riconosce in capo alle regioni la competenza in ordine agli accertamenti delle anomalie secondo un sistema gia' predefinito a livello centrale (la clausola contenuta nella stessa disposizione in ordine alla possibilita' in capo alle regioni di individuare ulteriori modalita' di accertamento non sembrerebbe bastare ad eliminare le illegittimita' di cui sopra, in quanto tale possibilita' parrebbe comunque vincolata alle disposizioni governative e non pare comunque consentire l'individuazione di anomalie diverse, ma solo ulteriori, rispetto a quelle previste dal d.-l. n. 411/1997, convertito in legge n. 5/1998). Tali procedure, oltre che gravare interamente sulle risorse umane e finanziarie regionali, non assicurano poi alcun accertamento dei dati produttivi, in quanto le verifiche sono limitate a fattispecie tipiche ad esito predeterminato. In altri termini, le anomalie eventualmente riscontrate dalle regioni non potranno che ricevere il "trattamento" riservato dalle disposizioni legislative e regolamentari richiamate, ovvero, a seconda dei casi e a titolo meramente esemplificativo, l'azzeramento della produzione e la determinazione forfettaria della stessa. Manca dunque in capo alle regioni qualsivoglia potesta' di intervento, correzione, o sia pure solo effettivo riesame, in violazione, oltre che dell'art. 97 della Costituzione per i profili sopra evidenziati, delle stesse prerogative regionali in termini di programmazione e controllo nel settore de quo. Tali disposizioni, in tutta evidenza, violano pertanto le norme citate in epigrafe perche' negano in radice i poteri programmatori che dovrebbero competere alle regioni nel settore in oggetto e si risolvono essenzialmente in un anomalo, e comunque gratuito e percio' stesso illegittimo, avvalimento degli uffici regionali. Piu' in particolare, l'attribuzione alle regioni di tali compiti meramente esecutivi confligge con la ripartizione delle competenze tra Stato e regioni di cui agli art. 117 e 118 della Costituzione, oltre che con i poteri di autoorganizzazione ad esse riconosciuti dall'art. 115 della Costituzione e con il principio di autonomia finanziaria di cui all'art. 119 della Costituzione. 4. - Quanto all'art. 1, comma 8, violazione degli artt. 3, 5, 11, 97, 115, 117 e 118 della Costituzione. La prima parte della disposizione citata in epigrafe dispone che, per quanto non abrogato dal decreto impugnato, si applicano le disposizioni della legge n. 468/1992 e le altre disposizioni in materia; la seconda parte dispone, inoltre, che, in caso di inadempimento ai compiti ed obblighi spettanti alle regioni e province autonome in materia di quote latte, si applicano le disposizioni dell'art. 5 del d.lgs. n. 112/1998; si prevede, infine, che le regioni a statuto speciale e le province autonome provvedano agli adempimenti loro attributi nel rispetto degli statuti e delle norme di attuazione. Il richiamato art. 5 del d.lgs. n. 112 del 1998, come e' noto, prevede, con riferimento alle funzioni e ai compiti spettanti alle regioni e agli enti locali, che, "in caso di accertata inattivita' che comporti inadempimento agli obblighi derivanti dall'appartenenza alla Unione europea o pericolo di grave pregiudizio agli interessi nazionali", il Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro competente per materia, assegni all'ente inadempiente un congruo termine per provvedere (comma 1). Decorso inutilmente tale termine, si prevede poi che il Consiglio dei Ministri, sentito lo stesso soggetto inadempiente, nomini un commissario che provveda in via sostitutiva (comma 2). Il comma 3 della disposizione in esame prevede infine un procedimento in via d'urgenza, secondo il quale, appunto, "in casi di assoluta urgenza", il Consiglio dei Ministri, su proposta del Presidente del Consiglio, puo' immediatamente, e dunque in assenza di previo invito a provvedere, procedere alla nomina del commissario di cui al comma 2 con provvedimento poi immediatamente inviato alla Conferenza Stato-regioni, alla quale viene riconosciuta la facolta' di richiederne il riesame. La disposizione impugnata, come detto, dispone l'attivazione dell'intervento sostitutivo piu' sopra descritto in caso di "inadempimento ai compiti ed obblighi spettanti alle regioni e province autonome in materia di quote latte", prefigurando cosi' l'automatico sanzionamento dell'eventuale mancato rispetto delle numerose incombenze imposte dal decreto impugnato nei brevissimi termini ivi previsti. La disposizione in epigrafe e', dunque, in tutta evidenza, gravemente penalizzante delle competenze regionali, ad ulteriore aggravamento delle illegittimita' rilevate, in quanto intende appunto sanzionare l'eventuale mancato rispetto di incombenze, ormai - data la gestione pregressa - di fatto ingestibili, in termini peraltro ristrettissimi e per cio' stesso assolutamente impraticabili.