Ricorso  della  regione  Veneto,  in persona del Presidente della
  Giunta  regionale  e  legale  rappresentante pro-tempore, on. dott.
  Giancarlo  Galan,  rappresentata e difesa, come da delega a margine
  del  presente  atto,  ed  in  virtu'  di  deliberazione  di  Giunta
  regionale  di  autorizzazione  a  stare  in  giudizio n. 559 del 22
  febbraio  2000,  dagli  avv.ti  proff.  Giuseppe  Franco  Ferrari e
  Massimo   Luciani   e  dall'avv.  Romano  Morra,  ed  elettivamente
  domiciliata  presso  lo  studio  del  secondo, in Roma, Lungotevere
  delle Navi, n. 30;
    Contro   il   Presidente   del  Consiglio  dei  Ministri  per  la
  dichiarazione  di illegittimita' costituzionale del decreto-legge 4
  febbraio  2000,  n. 8,  pubblicata nella Gazzetta Ufficiale - serie
  generale   -   n. 30  del  7  febbraio  2000,  recante  ad  oggetto
  "Disposizioni  urgenti per la ripartizione dell'aumento comunitario
  del  quantitativo globale di latte e per la regolazione provvisoria
  del   settore   lattiero-caseario",   nella  sua  interezza  ed  in
  particolare  quanto:  all'art. 1,  comma 1, in quanto stabilisce le
  modalita'  di  ripartizione  del  quantitativo  di latte attribuito
  dall'Unione europea per mezzo del reg. (CE) 1256/99, con decorrenza
  dal lo aprile 2000, e prevede a tal fine che tale quantitativo, una
  volta  affluito  nella  riserva  nazionale,  venga ripartito tra le
  regioni  e  le  province autonome sulla base della tabella allegata
  (30.050  al  Piemonte;  1.700  alla  Valle  D'Aosta;  141.900  alla
  Lombardia,  13.150  alla provincia di Bolzano; 4.200 alla provincia
  di  Trento;  43.750  al Veneto; 8.650 al Friuli-Venezia Giulia; 400
  alla  Liguria; 64.500 all'Emilia-Romagna; 3.550 alla Toscana; 2.250
  all'Umbria;  1.850 alle Marche; 18.600 al Lazio; 3.650 all'Abruzzo;
  3.200  al  Molise;  11.750 alla Campania; 10.850 alla Puglia; 3.800
  alla  Basilicata;  2.400  alla  Calabria; 5.750 alla Sicilia; 8.050
  alla  Sardegna)  e  rimette poi alle regioni e province autonome la
  riassegnazione ai produttori operanti nel rispettivo territorio del
  quantitativo    complessivamente    assegnato,   entro   tre   mesi
  dall'entrata   in   vigore  del  decreto  stesso,  secondo  criteri
  oggettivi  di  priorita' e modalita' preventivamente determinate e,
  piu'  in  particolare,  stabilisce che tali criteri devono comunque
  prevedere  una  riserva  pari  almeno  al 20% in favore dei giovani
  agricoltori  richiedenti  (salvo il caso di mancanza di sufficienti
  richieste)  e  che,  in  nessun  caso,  possono  beneficiare  delle
  suddette  riassegnazioni  i  produttori che, nel corso degli ultimi
  tre periodi, hanno venduto, affittato o comunque ceduto, in tutto o
  in parte, le quote di cui erano titolari;
        quanto  all'art. 1, comma 2, in quanto dispone che le regioni
  e le province autonome possono stabilire che le quote di coloro che
  hanno beneficiato delle assegnazioni di cui allo stesso art. l e di
  quelle   di  cui  all'art.  l2,  comma 21,  del  d.-l.  n. 43/1999,
  convertito  in  legge n. 118/1999, non possano essere in tutto o in
  parte   vendute,   affittate,  comodate  o  costituire  oggetto  di
  contratti di soccida per uno o piu' periodi, salvo documentati casi
  di  forza  maggiore  e  dispone  che  le  quote non assegnate dalle
  regioni  o  province  autonome  nel  termine  di  cui  al  comma  l
  riaffluiscono  alla  riserva  nazionale per essere ripartite tra le
  regioni  in  misura  proporzionale  ai  quantitativi  fissati nella
  tabella allegata al decreto;
        quanto  all'art. 1, comma 3, in quanto dispone che le regioni
  e  le  province  autonome,  in  applicazione  dell'art. 1 del d.-l.
  n. 11/1997,  convertito  in  legge n. 81/1997, debbono, entro il 15
  marzo   2000,   provvedere   all'aggiornamento   dei   quantitativi
  individuali  di riferimento dei produttori titolari di quota la cui
  azienda   sia  ubicata  nel  proprio  territorio,  per  il  periodo
  2000-2001,  avvalendosi dei dati risultanti dal sistema informatico
  di  supporto  di  cui  all'art. 5  del  decreto del Ministero delle
  politiche  agricole n. 159/1999, e che la comunicazione relativa ai
  dati  citati,  da  effettuarsi  entro  il  31 marzo 2000, sara' poi
  curata  dall'organismo nazionale di intervento nel mercato agricolo
  e  dispone, inoltre, che le regioni e le province autonome sono poi
  tenute  a  provvedere,  entro  il  30  giugno  2000,  all'eventuale
  aggiornamento dei suddetti quantitativi individuali e alla relativa
  comunicazione  ai  produttori  interessati  e,  tramite  il sistema
  informativo,  all'organismo  nazionale  di  intervento  nel mercato
  agricolo  e prevede, altresi', che tali comunicazioni costituiscono
  il  titolo  da  produrre,  in  copia  conforme,  all'acquirente per
  l'applicazione delle disposizioni sul prelievo supplementare e che,
  per i periodi successivi, le comunicazioni debbono avvenire, a cura
  delle  regioni  e  province  autonome, entro il 28 febbraio di ogni
  anno;
        quanto:  all'art.  1,  comma  4,  in  quanto dispone che alle
  dichiarazioni di consegna degli acquirenti e ai relativi modelli L1
  continuano ad applicarsi le disposizioni di cui all'art. 4, commi 2
  e  3,  del d.-l. n. 411/1997, convertito in legge n. 5/1998, e che,
  in  presenza  delle  anomalie  di cui all'art. 1, comma 4, del d.m.
  n. 159/1999,  le  regioni e le province autonome debbono provvedere
  agli occorrenti accertamenti con le modalita' previste dall'art. 3,
  commi  2  e 3, dello stesso d.m. n. 159/1999, ovvero con quelle dai
  medesimi enti stabilite; quanto:
        all'art. 1, comma 5, in quanto prevede che alle operazioni di
  compensazione  nazionale  si applicano i criteri di cui all'art. 1,
  comma  8,  del  d.-l.  n. 43/1999, convertito in legge n. 118/1999,
  nonche'  le  disposizioni  di cui ai commi 11, 12 e 13 del medesimo
  art. 1,  in quanto compatibili, e che, in caso di mancato pagamento
  del  prelievo  supplementare da parte dell'acquirente, le regioni e
  le  province  autonome  debbono  effettuare la riscossione coattiva
  mediante ruolo anche nei confronti del produttore, salvo il diritto
  di  rivalsa  di questi nei confronti dell'acquirente inadempiente o
  insolvente;          quanto  all'art. 1, comma 6, in quanto prevede
  che  le  regioni  e  le  province  autonome possono autorizzare, in
  deroga  a  quanto previsto dall'art. 10, comma 2, lettera a), della
  legge  n. 468/1992,  trasferimenti  di quota tra aziende ubicate in
  regioni   e  province  autonome  diverse,  prevedendo  le  relative
  modalita'  di  controllo,  e  stabilisce  poi  direttamente  che e'
  consentita  la  stipulazione di contratti di affitto della parte di
  quota  non  utilizzata,  separatamente  all'azienda,  con efficacia
  limitata  al periodo in corso, dandone comunicazione alle regioni e
  province  autonome  per  le  relative verifiche, purche' concorrano
  almeno  le  seguenti  condizioni:  a)  il  contratto intervenga tra
  produttori  in  attivita' che hanno prodotto e commercializzato nel
  corso  del  periodo  almeno  il 50% della loro quota; b) le aziende
  agricole  dei contraenti siano ubicate nella medesima zona omogenea
  (di  montagna,  svantaggiata,  di pianura); sono comunque esclusi i
  contratti di soccida e di comodato di stalla, che non possono avere
  una durata inferiore ad un intero periodo;
        quanto  all'art.  1, comma 7, in quanto dispone che i termini
  per  le  compensazioni  nazionali relative ai periodi di produzione
  lattiera  1997-1998  e  1998-1999, di cui all'art. 1, commi 7 e 10,
  del   d.-l.  n. 43/1999,  convertito  in  legge  n. 118/1999,  sono
  entrambi differiti al 30 aprile 2000;
        quanto all'art. 1, comma 8, in quanto dispone che, per quanto
  non abrogato dal decreto stesso, si applicano le disposizioni della
  legge n. 468/1992 e le altre disposizioni in materia e che, in caso
  di  inadempimento  ai  compiti ed obblighi spettanti alle regioni e
  province  autonome  in  materia  di  quote  latte,  si applicano le
  disposizioni dell'art. 5 del d.lgs. n. 112/1998.

                              F a t t o

    1. - Il  regime  delle  quote  latte, finalizzato al contenimento
  della  produzione  nel  mercato europeo, e' stato introdotto con il
  regolamento CEE del Consiglio n. 856 del 31 marzo 1984.
    In  forza  del  predetto  regolamento,  la  Comunita'  europea ha
  attribuito   un  quantitativo  massimo  di  produzione  lattiera  a
  ciascuno Stato membro - per l'Italia determinato in t. 9.212.000 -,
  e  sottoposto  le eventuali eccedenze al pagamento di una penalita'
  ad esse proporzionale (c.d. prelievo).
    L'attuazione   del   predetto   regime   presupponeva  il  previo
  accertamento  della produzione effettiva sul territorio nazionale e
  la  successiva  proporzionale attribuzione dei quantitativi in capo
  ai singoli produttori.
    In  Italia, i relativi accertamenti furono inizialmente demandati
  all'UNALAT  e  poi,  in  ragione  dei  dubbi  sorti  in ordine alla
  correttezza  di  tali rilevazioni, che si discostavano marcatamente
  dalle  indicazioni  comunitarie,  al  C.C.I.A.  In  conclusione, la
  produzione  complessiva  nazionale  risultava superiore comunque di
  circa un milione di tonnellate rispetto al quantitativo attribuito.
  Nel  frattempo  veniva approvata la legge 26 novembre 1992, n. 468,
  recante attuazione del regime delle quote latte istituito a livello
  comunitario.
    Sulla  base  delle rilevazioni effettuate, veniva quindi diramato
  il  bollettino  per  la campagna 1994/1995 contenente, nel rispetto
  del  quantitativo  complessivamente  assegnato all'Italia, i limiti
  individuali di produzione.
    Ne  discendeva  un  ampio contenzioso sui quantitativi assegnati,
  che  risultavano  di  gran  lunga  inferiori allo stesso fabbisogno
  nazionale complessivo.

    2. - Ai   fini   del   contenimento   della   produzione  interna
  complessiva   entro   il  limite  quantitativo  imposto  a  livello
  comunitario  (nel  frattempo  aumentato a 9.900.000 t.), il Governo
  per  mezzo del d.-l. n. 727 del 1994, convertito in legge n. 46 del
  1995,  operava  un  generalizzato  taglio  della quota B (che, come
  noto,  e'  costituita dalla maggior produzione commercializzata dal
  singolo  produttore  nel  periodo  1991/1992  rispetto  al  periodo
  1988/1989).
    Gia'  tali  provvedimenti  legislativi  introducevano,  in totale
  assenza  di  intesa  o di qualsivoglia altra forma di coordinamento
  con  le  regioni,  criteri  di  riduzione  delle  quote chiaramente
  penalizzanti  nei  confronti  delle  regioni  a piu' alta vocazione
  produttiva.  Pertanto,  veniva da molte regioni proposto ricorso in
  via    principale    per    l   'affermazione   dell'illegittimita'
  costituzionale dei provvedimenti legislativi citati, in riferimento
  alla  grave  lesione delle prerogative regionali riconosciute dalla
  Costituzione  dagli  stessi  perpetrata. Codesta ecc.ma Corte si e'
  sul  punto  pronunciata  con  sentenza n. 520 del 1995, dichiarando
  l'illegittimita'  dell'art.  2,  comma  1, della legge n. 46 "nella
  parte  in  cui  non prevede il parere delle regioni interessate nel
  procedimento  di  riduzione  delle  quote  individuali spettanti ai
  produttori di latte bovino".

    3.  -  Il  Governo  e'  poi  reiteratamente  intervenuto  con  la
  decretazione  d'urgenza  per  mezzo  dei dd.-ll. nn. 124, 260, 353,
  440,  463, 542 e 552 del 1996, nel dichiarato intento di operare un
  riordino  del  settore,  ma  di  fatto  aggravando  la gia' confusa
  situazione  esistente,  con disposizioni contraddittorie e comunque
  sempre lesive delle prerogative regionali.
    In  particolare,  il sistema di compensazione a livello nazionale
  introdotto  per  mezzo delle citate disposizioni, sempre in assenza
  di   qualsivoglia   forma  di  coordinamento  con  le  regioni,  ha
  moltiplicato  gli  effetti  distorsivi dei tagli di quota (peraltro
  confermati) a danno delle regioni del nord.
    I  dd.-ll.  nn.  542  e 552 del 1996 (reiterativi dei precedenti)
  sono  poi  stati  rispettivamente convertiti in leggi nn. 642 e 649
  del   1996,   subito   seguite   dalla   legge   n. 662  del  1996,
  sostanzialmente  ripetitiva  delle  medesime  disposizioni  in esse
  contenute.
    In  ordine  ai suddetti provvedimenti legislativi, codesta ecc.ma
  Corte, sul ricorso presentato da numerose regioni - tra le quali il
  Veneto  -, ha pronunciato la sentenza n. 398 del 1998, con la quale
  ha,  da  un  lato,  dichiarato  la  cessazione  della  materia  del
  contendere  in  riferimento ad alcune delle disposizioni impugnate,
  in  quanto  sostituite  nel  contenuto dai successivi provvedimenti
  legislativi  adottati in materia nel corso del 1997 (che piu' oltre
  ci   si   riserva   di   illustrare),   e,  dall'altro,  dichiarato
  costituzionalmente illegittime quelle tra le disposizioni impugnate
  ancora in vigore.
    In   particolare,   codesta   ecc.ma  Corte  ha  riconosciuto  la
  fondatezza  delle  censure  sollevate  in riferimento ai criteri di
  compensazione  inizialmente introdotti con il d.-l. n. 124 del 1996
  e poi da ultimo recepiti nell'art. 2, comma 168, della legge n. 662
  del 1996 - specifico oggetto della pronuncia de qua -, ed ha dunque
  dichiarato    l'illegittimita'    costituzionale   della   predetta
  disposizione  nella  parte  in cui "stabilisce i criteri in base ai
  quali  deve  essere effettuata la compensazione nazionale senza che
  sia stato preventivamente acquisito il parere delle regioni e delle
  province autonome".
    Sono  stati, inoltre, dichiarati costituzionalmente illegittimi i
  commi  4,  5  e  5-bis  dell'art. 3  del  d.-l.  n. 552  del  1996,
  convertito  con  modificazioni  dalla  legge n. 642 del 1996, nella
  parte  in cui prevedono "l'adozione di un piano di abbandono totale
  o parziale della produzione lattiera senza che su di esso sia stato
  previamente  acquisito  il  parere  delle  regioni e delle province
  autonome",  attribuiscono  "all'AIMA  anziche'  alle regioni e alle
  province  autonome il compito di provvedere alla riassegnazione, in
  ambito  regionale  e  provinciale,  delle quote latte abbandonate",
  stabiliscono "i criteri in base ai quali la riassegnazione di dette
  quote   deve   essere   effettuata",   ed   infine   prevedono  "la
  riassegnazione  su  base  nazionale  delle  quote abbandonate e non
  riassegnate   in  ambito  regionale  e  provinciale,  senza  previa
  consultazione delle regioni e delle province autonome". Infine, del
  pari  illegittima  e'  stata  dichiarata  la  disposizione  di  cui
  all'art. 2,  comma 173, della legge n. 662 del 1996, nella parte in
  cui essa "differisce i termini ivi previsti - ovvero, il termine di
  efficacia  della  vendita  o dell'affitto di quote, spostato dal 30
  novembre  al  31  dicembre  di  ciascun  anno  -  senza  la  previa
  acquisizione del parere delle regioni e delle province autonome".
    La   summenzionata   pronuncia  ha  peraltro  in  linea  generale
  definitivamente chiarito che la produzione lattiera appartiene alla
  materia  dell'agricoltura  di competenza delle regioni, e non della
  regolazione  dei mercati, di competenza dello Stato e che "il nesso
  strumentale  tra  l'agricoltura,  che  e' l'oggetto specifico delle
  misure  in  questione,  e la politica del mercato agricolo non puo'
  giustificare  l'attrazione  della  prima nell'ambito della seconda,
  poiche' diversamente la competenza regionale verrebbe integralmente
  sacrificata  in  materia  di  agricoltura, posto che ogni attivita'
  agricola  puo'  sempre  essere  strumentale al mercato" (cfr. Corte
  costituzionale,  sentenza  n. 398 del 1998, punto 2 del Considerato
  in diritto).
    La  regolamentazione  della  produzione lattiera rientra, dunque,
  senza  dubbio  alcuno  nel  piu' ampio settore dell'agricoltura, di
  dichiarata   competenza  regionale  ai  sensi  dell'art. 117  della
  Costituzione,  come  del  resto  e' confermato da ultimo dal d.lgs.
  n. 143  del 1997, recante "Conferimento alle regioni delle funzioni
  amministrative in materia di agricoltura e pesca e riorganizzazione
  dell'Amministrazione centrale".
    Ne  deriva  che, nella determinazione degli indirizzi generali di
  politica  agricola  - sia pure rimessi all'elaborazione statale per
  garantirne  la  coerenza  con  i  principi comunitari -, le regioni
  debbono  essere  necessariamente  coinvolte,  in  quanto,  appunto,
  titolari  delle relative competenze; tale coinvolgimento richiede -
  in  termini  generali,  ma  ancor  prima  sulla  base dell'espresso
  disposto  dell'art. 2,  comma  1,  del  d.lgs.  n. 143  citato - il
  raggiungimento  di una vera e propria intesa tra Stato e regioni in
  sede  di  Conferenza  permanente  ai  sensi  dell'art. 3 del d.lgs.
  n. 281  de1  1997  e  non  certo  la  mera  consultazione, sia essa
  preventiva  o  addirittura  successiva, delle regioni, che non puo'
  garantire  la  reale  partecipazione  delle  stesse al procedimento
  decisionale.

    4.  -  All'inizio  del 1997, il Governo e' nuovamente intervenuto
  nel  settore  de  quo  per  mezzo  del  d.-l.  n. 11  del 1997, poi
  convertito  in  legge  n. 81  del  1997  (entrambi impugnati avanti
  codesta  ecc.ma  Corte,  tra  le  altre,  dalla  regione Veneto con
  ricorsi  rr.gg.  nn.  26 e 37 del 1997). In sede di conversione, si
  riconoscevano  finalmente in capo alle regioni competenze attuative
  della normativa comunitaria in materia di quote latte, ma cio' solo
  a decorrere dalla campagna 1997/1998, e comunque facendo salve - in
  attesa  di  una fantomatica riforma organica del settore - tutte le
  competenze dell'AIMA.
    Veniva  inoltre istituita una commissione governativa d'indagine,
  nell'ambito   della   quale   non   era   peraltro  contemplata  la
  partecipazione di rappresentanti regionali, e si prevedeva altresi'
  un  regime  di  incentivi  a fronte dell'abbandono della produzione
  lattiera.
    Successivamente,  ancora  ricorrendo alla decretazione d'urgenza,
  con  d.-l.  n. 118 del 1997 (impugnato avanti codesta ecc.ma Corte,
  tra  le  altre,  dalla  regione  Veneto  con ricorso r.g. n. 41 del
  1997),  poi  convertito  in  legge  n. 204  dello  stesso  anno, si
  prevedeva  la proroga dei lavori della commissione governativa piu'
  sopra    menzionata,   nonche',   sulla   base   delle   risultanze
  dell'indagine condotta dalla commissione stessa, l'aggiornamento da
  parte  dell'AIMA degli elenchi dei produttori sottoposti a prelievo
  supplementare per il periodo 1995/1996.
    In  sede di conversione si aggiungeva, infine, la sospensione dei
  programmi  di  abbandono  istituiti  con  il precedente d.-l. n. 11
  dello stesso anno.
    Nel  frattempo,  in esito all'indagine effettuata, la commissione
  governativa, nelle relazioni dell'aprile e dell'agosto dello stesso
  1997,   evidenziava,   tra  l'altro,  il  fenomeno  dei  cosiddetti
  "contratti anomali" e rendeva noti i risultati delle simulazioni di
  compensazione  per  l'annata  1995/1996 effettuate a livello sia di
  APL che nazionale.
    5.  - Malgrado l'invito della commissione governativa a procedere
  ad  una  complessiva  -  nonche'  definitiva -  riforma del settore
  lattiero-caseario,  il Governo e' poi nuovamente intervenuto con la
  decretazione  d'urgenza per mezzo del decreto-legge n. 411 del 1997
  (impugnato avanti codesta ecc.ma Corte, tra le altre, dalla regione
  Veneto con ricorso r.g. n. 3 del 1998).
    In sintesi, il decreto, nel testo coordinato con le modificazioni
  introdotte  dalla  legge  di  conversione  n. 5  del 1998 (del pari
  impugnata  dalla  regione  Veneto con ricorso r.g. n. 19 del 1998),
  quanto  al  procedimento di accertamento della produzione lattiera,
  prevedeva:
        che  l'AIMA  accertasse la produzione effettiva per i periodi
  1995/1996  e  1996/1997, avendo particolare riguardo: a) ai modelli
  L1  non  firmati  o  con  firme  apocrife;  b)  ai modelli L1 privi
  dell'indicazione dei capi bovini; c) ai modelli L1 con quantita' di
  latte  commercializzata  incompatibile  con la consistenza numerica
  del  bestiame;  d)  ai  contratti  di  circolazione  di quote latte
  (quelli ritenuti atipici dalla commissione) con durata inferiore ai
  sei  mesi; e) ai modelli L1 con codici fiscali errati o partite IVA
  errate  o  inesistenti,  o  relativi  ad  aziende  senza bestiame o
  destinatarie   dei   premi  accordati  per  vacche  nutrici  o  per
  abbattimento (art. 2, comma 1);
        che  i  contratti  di  cui  al  precedente punto d) dovessero
  essere  inviati  all'AIMA  a  cura  degli acquirenti entro quindici
  giorni  dall'entrata  in vigore del decreto-legge medesimo, pena la
  revoca   del   riconoscimento   previsto  dall'art. 23  del  d.P.R.
  n. 569/1993 (art. 2, comma 2);
        che  l'AIMA  aggiornasse  i  quantitativi  di riferimento dei
  singoli  produttori  per i periodi 1995/1996, 1996/1997 e 1997/1998
  tenendo  conto:  a) delle istanze di riesame presentate entro il 30
  settembre  1997  dalle  regioni e dalle province autonome; b) degli
  azzeramenti  di  doppie  quote,  delle  revoche e riduzioni operate
  dalle regioni e province autonome, pervenute all'AIMA entro la data
  di  entrata  in  vigore del decreto stesso; c) dei trasferimenti di
  quote  e cambi di titolarita' per i periodi considerati, comunicati
  dalle  regioni e province autonome e pervenuti entro il 15 novembre
  1997;  d)  della correzione, in base alle risultanze del censimento
  1993/1994,  delle  assegnazioni  di  quote  a loro tempo effettuate
  (art. 2, comma 3);
        che   l'AIMA,   compiuto   l'accertamento  de  quo  nei  modi
  sopradescritti,  comunicasse  ai  produttori, entro sessanta giorni
  dalla  entrata  in  vigore  del  decreto medesimo, mediante lettera
  raccomandata con ricevuta di ritorno, i quantitativi di riferimento
  individuali  assegnati  ed i quantitativi di latte commercializzato
  (art. 2, comma 5, prima parte);
        che  i singoli interessati potessero presentare alla regione,
  a pena di decadenza, ricorso di riesame entro quindici giorni dalla
  data  di ricezione della summenzionata comunicazione (art. 2, comma
  5, seconda parte e comma 6);
        che le regioni dovessero decidere sui ricorsi de quibus entro
  sessanta  giorni  a  decorrere  dalla  scadenza  del termine per la
  presentazione  ed  entro  lo  stesso termine comunicare all'AIMA la
  relativa   decisione,   a   pena  di  irricevibilita'  e  salva  la
  responsabilita' civile, penale e disciplinare (art. 2, comma 8).
    Nelle  more della effettiva attuazione di quanto sopra descritto,
  il  Governo  disponeva poi in favore dei produttori - limitatamente
  al  periodo  1996/1997  -  la  restituzione  dell'80% degli importi
  trattenuti  dagli  acquirenti a titolo di prelievo supplementare e,
  quanto  al  periodo  1997/1998, la restituzione dell'intero importo
  trattenuto  a  titolo di prelievo supplementare relativo alla parte
  di   quota  B  ridotta  dall'art. 2  del  d.-l.  n. 727  del  1994,
  convertito  in  legge n. 46 del 1995, nonche' dell'importo relativo
  agli  esuberi  conseguiti  da produttori titolari esclusivamente di
  quota A nei limiti del 10% della medesima (art. 1).
    Inoltre, l'art. 3 disponeva che l'AIMA provvedesse alla rettifica
  della  compensazione  nazionale per i periodi 1995/1996 e 1996/1997
  sulla  base dei modelli L1 pervenuti alla data di entrata in vigore
  del  decreto, nonche' degli accertamenti compiuti e delle decisioni
  dei  ricorsi  di riesame di cui all'art. 2. Si prevedeva, poi, che,
  limitatamente al periodo 1995/1996, l'AIMA - previo raffronto tra i
  dati    della    compensazione   nazionale   e   quelli   derivanti
  dall'applicazione  delle regole di compensazione precedentemente in
  vigore  -  applicasse  in  via  perequativa  l'importo del prelievo
  supplementare che risultasse meno oneroso per il produttore.
    L'art. 4,  quanto  alla  campagna 1997/1998, disponeva che l'AIMA
  procedesse all'aggiornamento dell'elenco dei produttori titolari di
  quota  e dei quantitativi ad essi spettanti con la comunicazione di
  cui  al  comma  5 dell'art. 2. Tali aggiornamenti erano destinati a
  sostituire ad ogni effetto i bollettini pubblicati precedentemente.
  Ai   fini   delle   trattenute   e   del  versamento  del  prelievo
  supplementare  - come espressamente recitava il medesimo articolo 4
  -   gli   acquirenti   sarebbero   stati   tenuti   a   considerare
  esclusivamente le quote risultanti dal suddetto elenco.
    L'art. 4-bis  istituiva una commissione di garanzia - nell'ambito
  della  quale  non era prevista la partecipazione di alcun membro di
  provenienza regionale - con il compito di verificare la conformita'
  alla  vigente  legislazione  delle  procedure  e  delle  operazioni
  effettuate  per la determinazione della quantita' di latte prodotta
  e  commercializzata  e  per  l'aggiornamento  dei  quantitativi  di
  riferimento  spettanti  ai  produttori  per  i  periodi  1995/1996,
  1996/1997 e 1997/1998.
    Quanto  alla  campagna  1998/1999,  l'art. 5,  in espressa deroga
  all'art. 1, del d.-l. n. 11 del 1997, convertito in legge n. 81 del
  1997,  attribuiva  nuovamente all'AIMA la competenza in ordine alla
  redazione  degli  elenchi  dei  produttori  titolari di quota e dei
  quantitativi ad essi spettanti per il periodo 1998/1999.
    6.  -  Il 17 febbraio 1998 il Ministero per le politiche agricole
  emanava un decreto (impugnato dalla regione Veneto per conflitto di
  attribuzioni con ricorso pendente avanti a codesta ecc.ma Corte con
  r.g.   n. 12/1998)   disciplinante,  oltre  che  le  modalita'  per
  l'istruttoria  dei  ricorsi di riesame, anche le altre modalita' di
  applicazione  del decreto-legge n. 411, cosi' come convertito dalla
  legge  n. 5,  in  tal  modo  aggravando  ulteriormente, a discapito
  dell'autonomia  organizzativa  delle  regioni,  la  gia'  manifesta
  illegittimita'  costituzionale  delle  disposizioni legislative che
  pretendeva di attuare.
    Successivamente,  con  d.-l.  n. 187  del  1998,  convertito  con
  modificazioni  in  legge  n. 276 del 1998 (impugnata avanti codesta
  ecc.ma  Corte dalla regione Veneto con r.g. n. 38 del 1998), veniva
  prorogato  il  termine  per la decisione da parte delle regioni dei
  ricorsi  di  riesame  di  cui all'art. 2, comma 5, del d.-l. n. 411
  avverso  le  determinazioni  AIMA  e  si  confermavano in capo alla
  stessa  AIMA  le  attribuzioni  in  ordine  all'aggiornamento degli
  elenchi  dei titolari di quota e dei quantitativi ad essi spettanti
  per il periodo 1998/1999.
    7. - Dopo  anni  di  gestione  operata  in  via  straordinaria, e
  percio'   sommaria,  la  definitiva  riorganizzazione  del  settore
  lattiero-caseario  si  rendeva  dunque - e si rende tuttora - tanto
  piu'  necessaria in esito alle verifiche compiute dalla commissione
  governativa  di  indagine  e dalla Corte dei conti. Dalle relazioni
  redatte  sul  punto  dagli  organi  citati  emergeva,  infatti,  la
  necessita' di approntare un valido e definitivo sistema di gestione
  alternativo  a  quello che si e' venuto formando sotto l'assillo di
  fatti  contingenti  e  per  cio'  stesso privo di qualsiasi disegno
  programmatico   e   di  adeguata  stabilita'.  In  particolare,  si
  sottolineava  come  tale sistema alternativo dovesse essere attuato
  mediante  una  reale  decentralizzazione  regionale  in  materia di
  agricoltura.
    Di conseguenza, il Governo, nella consapevolezza dell'inidoneita'
  dello  strumento  del  decreto-legge  ai  fini  di cui sopra, aveva
  finalmente   predisposto  un  disegno  di  legge  preordinato  alla
  definitiva  regolamentazione  del  settore.  Senonche',  di  fronte
  all'opposizione  della  maggioranza dei rappresentanti regionali in
  sede  di  Conferenza  permanente  del  24  febbraio 1999, ed ancora
  ignorando totalmente il disposto di cui all'art. 2, comma 1, d.lgs.
  n. 143  del 1997, che prescrive il raggiungimento di un'intesa, per
  di piu' necessariamente preventiva, tra Stato e regioni, il Governo
  ha  abbandonato  l'iniziale intento, ed ha trasfuso parte del testo
  originario  nel  d.-l.  n. 43  del  1999  (impugnato avanti codesta
  ecc.ma  Corte,  tra le altre, dalla regione Veneto con ricorso r.g.
  n. 15 del 1999).
    Il  d.-l.  n. 43  del  1999  e'  stato poi emanato - oltre che in
  assenza  di  adeguata  intesa con le regioni - in totale assenza di
  una  reale  - o plausibile - situazione di straordinaria necessita'
  od  urgenza  e  dunque  in  evidente  violazione dell'art. 77 della
  Costituzione.  Infatti,  rispetto  ai fini dichiarati nel preambolo
  del  decreto  n. 43 - ovvero, la chiusura dei periodi di produzione
  lattiera 1995-1999 e l'adeguamento ai dettami di cui alla pronuncia
  di  codesta  ecc.ma  Corte  n. 398 del 1998 - il decreto stesso non
  presentava  affatto  caratteri  di  inevitabilita', poiche' esso si
  inscriveva  in  un  contesto  normativo (quello delineato da ultimo
  dalla legge n. 5 del 1998 citata) che gia' consentiva la definitiva
  chiusura  dei  periodi di produzione lattiera 1995-1999, ed in ogni
  caso  non  assicurava l'adeguamento ai principi espressi in materia
  dalla piu' sopra citata sentenza n. 398.
    Quanto  ai  contenuti,  il  d.-l.,  nel  testo  coordinato con le
  modificazioni introdotte dalla legge di conversione n. 118 del 1999
  (del pari impugnata, tra le altre, dalla regione Veneto con ricorso
  r.g. n. 19 del 1999), in estrema sintesi, prevede:
        l'obbligo  di comunicazione all'AIMA da parte delle regioni e
  province  autonome,  entro  il  brevissimo termine di trenta giorni
  dalla  data di entrata in vigore del decreto, dei "motivati" errori
  intervenuti  nelle operazioni di riesame di cui al d.-l. n. 411 del
  1997  e  delle  relative  correzioni,  sulla  base  delle tipologie
  individuate  nella  relazione  finale della commissione di garanzia
  quote latte, e la "recezione" di tali correzioni da parte dell'AIMA
  (art. 1,  comma  2),  nonche' la definizione, entro sessanta giorni
  dalla data di entrata in vigore del decreto, con uno o piu' decreti
  del  Ministro delle politiche agricole, di ogni ulteriore questione
  relativa  alle  stesse  operazioni di riesame, non risolta ai sensi
  del citato comma 2 (art. 1, comma 14);
        l'aggiornamento,  ancora  ad  opera  dell'AIMA  (entro trenta
  giorni  dal  termine fissato al comma 1 ai fini della effettuazione
  della  compensazione  per  le annate 1995/1996 e 1996/1997 - ovvero
  entro  novanta giorni dall'entrata in vigore del decreto impugnato)
  dei   quantitativi  individuali  per  il  periodo  1997/1998,  gia'
  accertati  ai  sensi  del d.-l. n. 411, sulla base dei mutamenti di
  titolarita'  e  delle  informazioni  relative  ai contratti ed alle
  mobilita'  fornite dalle regioni e province autonome (art. 1, comma
  3,  lettera  a),  e  la comunicazione individuale ai produttori dei
  quantitativi    individuali    sopra    citati   delle   produzioni
  commercializzate per il periodo 1997/1998 risultanti dai modelli L1
  pervenuti  all'AIMA,  e  delle anomalie in essi riscontrate, tenuto
  anche  conto  delle  risultanze dei ricorsi relativamente al numero
  dei   capi   accertati   (art. 1,  comma  3,  lettera  b),  nonche'
  l'aggiornamento  definitivo  dei  quantitativi  individuali  per il
  periodo 1998/1999, che costituiranno anche attribuzione provvisoria
  per  il  periodo 1999/2000, per mezzo della stessa comunicazione di
  cui al predetto comma 3, lettera b) (art. 1, comma 4);
        la  definizione  da  parte  del  Ministro  per  le  politiche
  agricole,  con  proprio  decreto,  delle  modalita' procedurali per
  addivenire  alle determinazioni definitive dei dati di cui ai commi
  3  e  4  sopra  citati  da  parte delle regioni e province autonome
  (art. 1,  comma 5) e per la comunicazione individuale ai produttori
  dei  dati  afferenti  anche  alla campagna 1998/1999 (art. 1, comma
  10);
        il versamento, a seguito delle operazioni di compensazione di
  cui  al comma 10, del prelievo dovuto per il periodo 1998/1999 agli
  acquirenti,  entro il termine di venti giorni dal ricevimento della
  comunicazione da parte dell'AIMA (art. 1, comma 19);
        l'attribuzione  ancora  in capo all'AIMA, delle competenze in
  ordine  all'effettuazione delle operazioni di compensazione - i cui
  risultati acquistano dichiarato carattere di definitivita' ai sensi
  del comma 12 - sia in riferimento alle annate 1995/1996 e 1996/1997
  (art. 1,  comma  1)  che  con  riferimento  alle annate 1997/1998 e
  1998/1999  (art. 1,  commi  7  e 9), e la riproduzione degli stessi
  criteri  di  compensazione  di  cui  al  d.-l.  n. 552  del 1996, e
  relativa  legge  di  conversione  ed  alla  legge  n. 662 del 1996,
  mantenendo  il  medesimo  ordine  di  priorita' (art. 1, comma 8) -
  valevoli, in attesa della riforma del settore, anche in riferimento
  all'annata  1999-2000  (art. 1,  comma  21-ter)  - salvo che per le
  annate   1997/1998   e  1998/1999,  per  le  quali,  in  deroga  ai
  suaccennati   criteri  ed  al  loro  ordine,  viene  istituita  una
  priorita'  assoluta  in  favore  delle  regioni  Marche  ed  Umbria
  (art. 1,  comma  9)  e  per l'annata 1995-1996, in riferimento alla
  quale,  l'AIMA,  nella esecuzione della rettifica di cui all'art. 3
  del  d.-l.  n. 411 del 1997, convertito in legge n. 5 del 1998, non
  applica  le  riduzioni  della quota B in ottemperanza alle sentenze
  concernenti le illegittimita' delle stesse riduzioni (art. 1, comma
  1);
        l'obbligo  in capo al produttore, qualora le somme trattenute
  dall'acquirente  a  titolo  di  prelievo  per i periodi 1995/1996 e
  1996/1997   non   siano   sufficienti   a   coprire   il   prelievo
  complessivamente   dovuto,   di   corrispondere  all'acquirente  la
  differenza  entro  il  quinto  giorno  antecedente  la scadenza del
  termine  per il versamento degli importi trattenuti dall'acquirente
  stesso (pari a trenta giorni dal ricevimento della comunicazione da
  parte   dell'AIMA   dei   prelievi   dovuti)   e,  in  difetto,  su
  comunicazione dell'acquirente e previa intimazione al pagamento, la
  riscossione  coattiva  del  debito  residuo mediante ruolo ad opera
  dell'AIMA stessa (art. 1, comma 15);
        la fissazione, con effetto a decorrere dal periodo 1996/1997,
  del  termine  per  la stipula dei contratti di affitto e vendita di
  quota  senza  trasferimento  di  azienda, al 31 dicembre di ciascun
  anno,  fatti  salvi  gli  accertamenti  eseguiti ai sensi del d.-l.
  n. 411  del 1997, e la possibilita' che i contratti cosi' stipulati
  entro  il  31  dicembre  1996,  su  concorde  volonta'  delle parti
  comunicata  all'AIMA,  possano  avere  effetti  in riferimento alla
  stessa annata 1996/1997 (art. 1, comma 20);
        la  ripartizione,  a  decorrere  dal periodo 1999-2000, delle
  quote  confluite nella riserva nazionale in misura proporzionale ai
  quantitativi   individuali   allocati  presso  ciascuna  regione  o
  provincia autonoma accertati per i periodi 1995/1996 e 1996/1997 ai
  sensi del d.-l. n. 411 del 1997, convertito in legge n. 5 del 1998,
  e  l'assegnazione  da  parte  delle  singole  regioni ai produttori
  secondo  criteri  di  priorita'  deliberati  dagli  stessi enti, ma
  comunque  in  primis  a  favore  dei produttori che hanno subito le
  riduzioni  di  cui alla legge n. 46 del 1995, e comunque, in nessun
  caso, a favore dei produttori che nel corso dei periodi 1997-1998 e
  1998-1999  hanno  venduto ovvero affittato, in tutto o in parte, le
  quote di cui erano titolari (art. 1, commi 21 e 21-bis);
        la  possibilita'  in capo all'AIMA, ai fini dello svolgimento
  delle operazioni di compensazione contemplate dallo stesso decreto,
  di   prendere  in  considerazione  esclusivamente  i  provvedimenti
  giurisdizionali,  anche cautelari o non definitivi, contenenti dati
  quantitativi e notificati entro il trentesimo giorno antecedente la
  scadenza  del termine per l'effettuazione delle compensazioni e, in
  assenza  delle predette indicazioni quantitative, l'obbligo in capo
  all'AIMA  di  utilizzazione  dei  dati  accertati  dalle  regioni e
  province  autonome  sulla  base  del  d.-l.  n. 411 del 1997 ovvero
  quelli  rideterminati  dall'AIMA  stessa,  nel  caso  in  cui siano
  intervenute  ordinanze  giurisdizionali  anche  non  definitive che
  hanno fatto obbligo agli acquirenti di restituire ai produttori gli
  importi  trattenuti a titolo di anticipo per gli eventuali prelievi
  supplementari  dovuti (art. 1, comma 11), nonche' l'improduttivita'
  di   effetti   delle  decisioni  amministrative  o  giurisdizionali
  notificate  oltre  il  termine di cui al comma 11 in riferimento ai
  risultati  complessivi  delle  compensazioni, che restano fermi nei
  confronti  dei  produttori  estranei  ai  procedimenti nei quali le
  decisioni sono state emesse (art. 1, comma 13);
        la  conferma  da  parte dell'acquirente (che determina la non
  applicazione   a   danno   dell'acquirente  stesso  delle  sanzioni
  amministrative  di  cui  all'art. 11  della legge n. 468 del 1992 e
  all'art. 23  del  d.P.R. n. 569 del 1993) dei dati risultanti dagli
  accertamenti  effettuati  ai sensi del d.-l. n. 411 a rettifica dei
  dati  dichiarati dai produttori nei modelli L1, in riferimento alle
  annate  1995/1996,  1996/1997 (comma 17, primo periodo) e 1997/1998
  (comma 18)   e,  in  difetto,  la  rettifica  automatica  dei  dati
  contenuti  nel  modello L1 in conformita' a quelli risultanti dalle
  operazioni  di  accertamento  di  cui  al  d.-l.  n. 411 piu' volte
  citato,  ferme  le  procedure  sanzionatorie  previste  dalla legge
  (art. 1, comma 17, secondo periodo).
    8.  -  In  riferimento  a  tutti  i  ricorsi  per  illegittimita'
  costituzionale proposti, tra le altre, dalla regione Veneto, contro
  i  sopradescritti  provvedimenti legislativi adottati in materia di
  quote  negli anni 1997, 1998 e 1999, codesta ecc.ma Corte, in esito
  all'udienza  di  discussione  del  26  ottobre 1999, ha, in data 15
  dicembre  1999,  emesso  un'ordinanza  istruttoria, per mezzo della
  quale  ha ordinato alla Presidenza del Consiglio il deposito, entro
  il termine di 180 giorni, della documentazione relativa alle sedute
  della  Conferenza  permanente per i rapporti Stato-regione tenutesi
  con   riguardo   ai   provvedimenti  legislativi  impugnati;  della
  relazione   finale  delle  commissioni  di  garanzia  quote  latte,
  istituita  dall'art. 4-bis del d.-l. n. 411 del 1997, convertito in
  legge  n. 5  del  1998; di un prospetto delle date di emissione dei
  bollettini  AIMA  in  riferimento  alle  campagne lattiero-casearie
  1995-1996,  1996-1997,  1997-1998;  di  un  quadro  del contenzioso
  civile  e amministrativo in corso, in relazione alla determinazione
  delle  quote  latte  individuali  e  alle  compensazioni effettuate
  dall'AIMA. In pendenza del termine imposto da codesta ecc.ma Corte,
  l'ordinanza non risulta essere stata ancora ottemperata.
    Analoga ordinanza istruttoria (del 15 dicembre 1999) e' stata poi
  adottata  da  codesta  ecc.ma  Corte  con  riguardo  al ricorso per
  conflitto  di attribuzione proposto dalla stessa regione ricorrente
  in  riferimento  al d.m. del Ministero delle politiche agricole del
  17  febbraio  1998  (rubricato  con r.g. n. 12 del 1998); in questo
  caso,  la  Presidenza  del  Consiglio, atteso il piu' breve termine
  imposto  di  centoventi  giorni, ha gia' provveduto a depositare la
  documentazione richiesta, che, per quanto qui interessa, non fa che
  confermare  la  mancanza  di  adeguato coinvolgimento delle regioni
  (coinvolgimento,  che,  quanto al d.m. in oggetto, sulla base della
  stessa  fonte  legislativa  -  il d.-l. n. 411, convertito in legge
  n. 5  -,  avrebbe  dovuto  avvenire  nelle  forme  dell'intesa), in
  ragione della attivazione da parte del Governo di una consultazione
  delle  regioni  in sede di Conferenza meramente formale, e comunque
  tardiva,  in quanto disposta in ordine ad un testo gia' predisposto
  a livello ministeriale.
    9. - Sotto stati nel frattempo diramati (precisamente nel mese di
  luglio  del  1999)  i  provvedimenti AIMA recanti i risultati della
  compensazione  nazionale  delle  produzioni  di latte per i periodi
  1995-1996  e  1996-1997  e  degli importi di prelievo supplementare
  conseguentemente   addebitati   ai  produttori  per  le  annate  di
  riferimento.
    Si  e'  cosi'  aperto  un  nuovo vastissimo contenzioso avanti ai
  tribunali  amministrativi  ad  iniziativa,  non  solo  dei  singoli
  produttori, loro associazioni e primi acquirenti, ma da parte delle
  stesse  regioni, tra le quali il Veneto, che hanno chiesto, e molti
  ottenuto,  la  sospensione  degli elenchi medesimi in ragione delle
  evidenti  illegittimita' riscontrate (tra le altre: retroattivita',
  incertezza   dei   dati   quantitativi   di   riferimento,   omessa
  motivazione,  omesso  riscontro  in  ordine alla applicazione della
  compensazione   "meno   onerosa"   in   riferimento  alla  campagna
  1995-1996).
    Il  Ministero  delle politiche agricole ha poi adottato, dapprima
  il  decreto  n. 159  del  21  maggio  1999 (impugnato dalla regione
  Veneto  con ricorso per conflitto di attribuzioni r.g. n. 29/1999),
  recante   attuazione  dell'art. 1,  comma  5,  del  d.-l.  n. 43  e
  conseguente   determinazione   delle   modalita'   procedurali  per
  addivenire   alle   determinazioni   "definitive"   in   ordine  ai
  quantitativi  individuali  per  la campagna 1997-1998 ai fini della
  effettuazione delle operazioni di compensazione in riferimento alla
  medesima   annata,  e  successivamente  i  dd.mm.  nn. 309  e  310,
  rispettivamente  del  15  luglio  1999  e 10 agosto 1999 (impugnati
  dalla  regione  Veneto  avanti  codesta  ecc.ma  Corte con separati
  ricorsi   per   conflitto   di  attribuzioni),  recanti  attuazione
  dell'art. 1,  comma  14,  del d.-l. n. 43, a pretesa risoluzione di
  ogni   ulteriore   questione   afferente  i  dati  quantitativi  di
  riferimento per le annate 1995-1996, 1996-1997 e 1997-1998.
    Per  mezzo  dei  decreti  citati,  che  nulla  risolvono  in  via
  definitiva  ma  tutto  rimettono  in discussione in ordine al tanto
  sospirato   accertamento   definitivo  in  riferimento  a  campagne
  produttive   ormai   concluse   da  anni,  le  regioni  sono  state
  ulteriormente  relegate  ad  un  ruolo  meramente  esecutivo  delle
  incoerenti  -  e  non certo risolutive - "direttive" di derivazione
  statale.
    Sulla  base  di  tali decreti, l'AIMA ha, nel mese di ottobre del
  1999,  operato  la rettifica degli esiti della compensazione per le
  annate  1995-1996  e  1996-1997 (in ordine ai quali si e' aperto un
  nuovo  vastissimo  contenzioso) e successivamente emesso, nei primi
  giorni  del  mese  di febbraio del 2000, gli elenchi in riferimento
  alle  successive  annate 1997-1998 e 1998-1999 (anch'esse concluse,
  rispettivamente, da oltre due anni e un anno).
    In  corso  di  campagna 1999-2000, non solo non sono stati dunque
  emessi  i  bollettini  relativi  alla  stessa campagna in corso, ma
  risultano  ancora  in  corso  le  operazioni di compensazione, e la
  determinazione del prelievo conseguentemente dovuto, in riferimento
  alle  annate 1997-1998 e 1998-1999 (senza contare che, anche quanto
  alle  annate  1995-1996 e 1996-1997, i procedimenti giurisdizionali
  avviati  e decisi in fase cautelare rendono quantomeno incerta, non
  solo  la  riscossione  e  versamento  del  prelievo,  ma  la stessa
  consistenza quantitativa dello stesso).
    Comunque  ora  non si tratta piu' semplicemente di chiudere "alla
  meno   peggio"  annate  lattiere  ai  fini  dell'adempimento  degli
  obblighi   comunitari   in   termini  di  versamento  del  prelievo
  supplementare,  ma  di  organizzare un sistema che regga per almeno
  ulteriori   otto  anni:  infatti,  con  reg.  CE  n. 1256/1999  del
  Consiglio,   del   17   maggio   scorso,  il  regime  del  prelievo
  supplementare,   istituito  con  reg.  CE  n. 3950/1992,  e'  stato
  prorogato  per  ulteriori  otto anni consecutivi a decorrere dal 1o
  aprile 2000.
    Il   regolamento   citato  ha  peraltro  apportato  significative
  modificazioni    al   regime   previgente   (a   titolo   meramente
  esemplificativo:  in  caso  di  scarsa utilizzazione della quota da
  parte  del  produttore,  cosi'  come  per  i quantitativi ceduti in
  affitto,  si  prevede  che  essi  confluiscano, dopo predeterminato
  lasso  di  tempo,  nella  riserva  nazionale;  che gli Stati membri
  possano  organizzare  la cessione di quantitativi di riferimento in
  modo  diverso dalle transazioni individuali tra i produttori) ed ha
  peraltro  espressamente  previsto  che  le disposizioni comunitarie
  siano  attuate  "al  livello  territoriale appropriato o in zone di
  raccolta"  al  fine  di  "rafforzare la possibilita' di gestione in
  maniera  decentrata ...,  ristrutturare  la  produzione  lattiera o
  migliorare   l'ambiente"   (cfr.,   reg.   CE   1256/1999,   quinto
  considerando e punto e) dell'articolo 8).
    Il  decreto-legge  impugnato  con  il presente ricorso, nella sua
  interezza,   e   con   particolare   riguardo   alle   disposizioni
  specificamente  impugnate  -  il  cui  contenuto  verra' piu' oltre
  dettagliatamente    esposto   -,   e'   dunque   costituzionalmente
  illegittimo per i seguenti motivi di;

                            D i r i t t o

    1. - Quanto  al  decreto  nella  sua  interezza, violazione degli
  artt. 3, 5, 11, 77, 97, 115, 117 e 118 della Costituzione, anche in
  riferimento  al  principio  di  leale  collaborazione  tra  Stato e
  regioni e all'art. 2 del d.lgs. n. 143 del 1997.
    1.1. - Come  e'  noto,  il ricorso alla decretazione d'urgenza e'
  ammesso nei soli casi "straordinari di necessita' ed urgenza".
    Viceversa,  nella  fattispecie, emerge con tutta evidenza come il
  decreto   impugnato  costituisca  un  semplice  espediente,  resosi
  "opportuno"  per  superare  la  forte e generalizzata opposizione a
  piu'  riprese  mossa  dalle  regioni  nei  confronti del sistema di
  gestione  del  settore  lattiero-caseario ormai delineato a livello
  statale.
    Infatti, il decreto qui impugnato si limita, a parte i commi 1, 2
  e  6  dell'art. 1  (sui  quali si dira' piu' oltre), a richiamare i
  provvedimenti  legislativi  gia' vigenti in materia (cosi' peraltro
  reiterando  le  medesime  illegittimita'  che affliggono gli stessi
  provvedimenti   richiamati)   in   ordine:  alla  determinazione  e
  successivo    aggiornamento   dei   quantitativi   individuali   di
  riferimento  per  il  periodo  2000-2001  (art. 1,  comma  3); alla
  verifica  delle  dichiarazioni  di  consegna  degli acquirenti e ai
  relativi  modelli  L1  in riferimento alla medesima annata (art. 1,
  comma  4);  alle  operazioni  di  compensazione in riferimento alle
  annate   1997-1998   e  1998-1999  (art. 1,  commi  5  e  7);  alla
  generalizzata   applicabilita',   per   quanto   non  espressamente
  abrogato, delle disposizioni vigenti in materia (art. 1, comma 7).
    Nulla  di  innovativo  viene  dunque  disposto  con riguardo alle
  operazioni  descritte,  che ben avrebbero potuto essere compiute in
  forza  della  normativa gia' vigente. Le disposizioni impugnate non
  sono  dunque  ne'  necessarie  ne'  urgenti, bensi' sostanzialmente
  ripetitive.
    E'   concordemente   ritenuto   in  dottrina  che  la  necessita'
  contemplata dall'art. 77 della Costituzione non puo' che consistere
  nella    inevitabilita'   dell'uso   del   decreto-legge   per   il
  raggiungimento di determinati fini. Viceversa, rispetto a parte dei
  fini  dichiarati nel preambolo - e cioe', la proroga dei termini ai
  fini  della  effettuazione  delle operazioni di compensazione per i
  periodi  pregressi  -,  lo  stesso  decreto  impugnato non presenta
  affatto  caratteri di inevitabilita', poiche' esso si iscrive in un
  contesto normativo (quello delineato da ultimo dalle leggi n. 5 del
  1998  e  n. 118 del 1999) che, seppure in modo del tutto inadeguato
  (che  il  decreto impugnato, peraltro, non fa che confermare), gia'
  consentiva   la  definitiva  chiusura  dei  periodi  di  produzione
  lattiera  pregressi,  anche  con  riguardo alla effettuazione delle
  operazioni di compensazione.
    Inoltre, come gia' brevemente esposto, il decreto impugnato detta
  disposizioni   retroattive   incompatibili,   per  la  loro  stessa
  struttura  normativa,  con  l'idea dell'urgenza (non autoprocurata)
  che e' sottesa alla logica dell'art. 77 della Costituzione.
    Quanto   alla  parte  "innovativa"  del  decreto,  ovvero  quella
  concernente   l'attuazione   del   reg.   (CE)  n. 1256/1999  e  la
  "regionalizzazione"  del  settore lattiero-caseario, codesta ecc.ma
  Corte  ha  avuto  recentemente  occasione  di chiarire, proprio con
  riguardo  alla  valutazione  della  sussistenza  dei  requisiti  di
  necessita'  ed  urgenza in riferimento al settore per cui e' causa,
  che "I limiti imposti in sede comunitaria ai quantitativi nazionali
  di  produzione lattiera e l'esigenza di introdurre misure intese al
  contenimento  di  questa rendono non manifestamente implausibile la
  valutazione  governativa,  posta a base degli interventi, in ordine
  al ricorso alla decretazione d'urgenza" (cfr. Corte costituzionale,
  sentenza n. 398 del 1998, punto 3 del Considerato in diritto).
    Dunque,  solo  le  misure intese al contenimento del quantitativo
  nazionale    giustificano,   o   quantomeno   rendono   plausibile,
  l'intervento  in via d'urgenza. Ebbene, nella fattispecie, trattasi
  di  provvedimento legislativo che, diversamente dai precedenti, non
  e'  affatto  diretto al contenimento della produzione interna (gia'
  pur illegittimamente effettuato per mezzo del taglio della quota B,
  operato  per  mezzo  della  legge n. 46 del 1995 e confermato con i
  successivi provvedimenti del 1996) e all'adempimento degli obblighi
  comunitari  con riferimento alla introduzione della compensazione a
  livello  nazionale  (gia' assicurata per mezzo degli interventi del
  1996),   ma   finalizzato   alla  regolazione  delle  modalita'  di
  ripartizione di un quantitativo ulteriore riconosciuto dalla UE.
    Non  ci  troviamo  dunque  di  fronte  alla urgente necessita' di
  evitare  o  dilazionare  eventuali sanzioni comunitarie conseguenti
  alla  violazione  della  normativa  comunitaria di settore, ma alla
  volonta'  di  predisporre  un sistema decentralizzato ai fini dello
  sfruttamento     della     "opportunita'"    offerta    dall'Unione
  (opportunita',   che   rimarra'   certo  tale  se  il  quantitativo
  riconosciuto  non  verra'  redistribuito  in  modo equo e se non si
  perverra'  ad  un  effettivo ed efficace riordino del settore, che,
  secondo  le  stesse  prescrizioni comunitarie, deve necessariamente
  implicare la "regionalizzazione" della materia).
    E' dunque di tutta evidenza come l'intervento in questione, anche
  in   vista   della  proroga  del  sistema  operata  per  mezzo  del
  regolamento  CE  citato,  avrebbe  richiesto  ben piu' ponderata, e
  comunque partecipata (dalle regioni), valutazione.
    Anche  a  volere  ritenere sussistente il requisito dell'urgenza,
  manca   comunque   in   tutta   evidenza  il  requisito,  parimenti
  essenziale,  della  straordinarieta': nel settore lattiero-caseario
  l'eccezione si e' ormai fatta regola, con conseguente incertezza ed
  instabilita'  dei rapporti tra pubblica amministrazione e cittadini
  e tra Stato e regioni.
    Va  qui precisato che la regione ricorrente non lamenta la pura e
  semplice violazione dell'art. 77 della Costituzione, bensi' anche e
  soprattutto  la lesione delle competenze costituzionali che ad essa
  sono   riconosciute   ai   sensi   degli   artt. 117  e  118  della
  Costituzione.  E'  infatti  anche attraverso l'illegittimo utilizzo
  dello strumento del decreto-legge che tale lesione si e' consumata,
  poiche'  il  Governo  ha cosi' finito per sottrarre alle regioni il
  potere  di  regolare  un  settore,  quale  quello  della produzione
  lattiera, che la Costituzione, in una con la normativa ordinaria di
  trasferimento  delle  funzioni,  sine dubio affida loro nell'ambito
  della materia "agricoltura".
    1.2. - Inoltre, ancora con riguardo all'intero decreto impugnato,
  va   altresi'   rilevata  la  violazione  del  principio  di  leale
  collaborazione tra Stato e regioni, anche in riferimento all'art. 2
  del d.lgs. n. 143 del 1997.
    Come e' noto, infatti, la disposizione citata, nel conferire alle
  regioni  tutte le funzioni amministrative in materia di agricoltura
  -  in  relazione  alla quale materia la competenza delle regioni e'
  stata  nettamente affermata da codesta ecc.ma Corte per mezzo della
  gia'  citata sentenza n. 398 del 1998 -, prescrive che i compiti di
  elaborazione  e  coordinamento  delle linee di politica agricola in
  coerenza  con la politica comunitaria debbano essere esercitati dal
  Ministero  per  le  politiche  agricole  (istituito con il medesimo
  d.lgs.)  d'intesa  con  la Conferenza permanente per i rapporti tra
  Stato e regioni.
    In  materia  di produzione normativa, il principio costituzionale
  di  leale collaborazione tra Stato e regioni e' stato poi affermato
  dal  d.lgs.  n. 281  del 1997, che disciplina le attribuzioni della
  Conferenza   permanente   nelle  materie  di  interesse  regionale,
  prevedendo,  accanto a forme di collaborazione meno "intense" quali
  la  mera  consultazione,  l'intesa, che si perfeziona con l'assenso
  del  Governo  e  di  tutti  i  Presidenti  delle regioni e province
  autonome (cfr. art. 3 del d.lgs. citato).
    E'  indubbio, infatti - come ha statuito di recente anche codesta
  ecc.ma  Corte  -  che  il  settore  lattiero-caseario rientra nelle
  materie   di   competenza  regionale,  e  comunque,  in  quanto  la
  regolamentazione   del  sistema  delle  quote  latte  necessita  di
  indirizzi  generali  ed  uniformi  -  nonche'  conformi ai principi
  comunitari   -  dettati  per  tutto  il  territorio  nazionale,  il
  principio  di  leale  collaborazione impone il raccordo tra Stato e
  regioni  nelle  forme  dell'intesa, cosi' da assicurare la maggiore
  partecipazione  possibile  di queste ultime nell'elaborazione delle
  stesse linea guida.
    Preme  altresi'  sottolineare  che  codesta  ecc.ma  Corte  ha di
  recente  -  per  mezzo  della  piu'  volte citata sentenza n. 398 -
  stabilito  che  l'intesa  tra Stato e regioni di cui all'art. 3 del
  d.lgs.   n. 281   del  1997  possa  essere  sostituita  dalla  mera
  consultazione solo nel caso in cui non si tratti di elaborare linee
  generali  di  politica  agricola,  bensi'  di  adeguarsi  a precisi
  obblighi  che  gli  organi  comunitari abbiano impartito in ragione
  della non corretta attuazione di un dettame precedentemente imposto
  in  via generale. In quel caso si trattava, infatti, di decidere in
  ordine  all'eventuale  opposizione  all'"invito" della comunita' ad
  adeguarsi  al sistema di compensazione previsto dai regolamenti CEE
  e  non  certo  in  ordine  all'elaborazione  di  linee  di politica
  generale.
    Viceversa,  il  decreto qui impugnato e' stato adottato, non solo
  in  assenza  di  preventiva  intesa,  ma  altresi'  in  assenza  di
  preventiva  consultazione  delle  regioni. La Conferenza permanente
  Stato-regioni  e'  stata,  infatti,  convocata,  con  riguardo alla
  questione  in  esame,  solo in data 10 febbraio 2000, ai fini della
  emissione  di  un parere successivo, ex art. 2, comma 5, del d.lgs.
  281 del 1997 (cfr. all. 2).
    Come  e' noto, tale disposizione consente, in presenza di ragioni
  d'urgenza  (nella  specie,  peraltro,  come  detto, insussistenti),
  l'acquisizione  di  un  parere successivo da parte della Conferenza
  permanente, che sara' poi tenuto in considerazione in sede di esame
  parlamentare  dei disegni di legge o delle leggi di conversione dei
  decreti-legge.  Cosi'  facendo,  il  Governo  ha dunque aggirato il
  disposto  (oltre  che  dello  stesso  art. 2,  comma  5, del d.lgs.
  richiamato,  in  ragione  della  assoluta  insussistenza di ragioni
  d'urgenza  che  potessero giustificare il ricorso a tale meccanismo
  di  consultazione straordinario) di cui all'art. 2, comma 1, d.lgs.
  n. 143  del 1997, che prescrive il raggiungimento di un'intesa, per
  di  piu'  necessariamente  preventiva,  tra  Stato  e regioni nella
  materia per cui e' causa.
    Le regioni non sono state quindi attivamente coinvolte a priori e
  nelle  forme  adeguate nel procedimento di elaborazione della nuova
  disciplina,  come  richiederebbero  i principi costituzionali prima
  ancora  che  le disposizioni di legge vigenti, in quanto il Governo
  si  e' preoccupato di sollecitare l'intervento regionale solo in un
  momento  successivo  e solo a livello di consultazione (cfr. ancora
  all. 2).
    2. - Quanto all'art. 1, commi 1, 2 e 6, violazione degli artt. 3,
  5, 11, 97, 115, 117 e 118 della Costituzione.
    L'art. 1,  comma  1,  stabilisce le modalita' di ripartizione del
  quantitativo  di  latte attribuito dalla UE per mezzo del reg. (CE)
  1256/1999,  con  decorrenza  dal 1o aprile 2000; in particolare, si
  prevede  che  tale  quantitativo,  una volta affluito nella riserva
  nazionale,  venga  ripartito  tra le regioni e le province autonome
  sulla  base  della tabella allegata (30.050 al Piemonte; 1.700 alla
  Valle  D'Aosta;  141.900  alla  Lombardia, 13.150 alla provincia di
  Bolzano; 4.200 alla provincia di Trento; 43.750 al Veneto; 8.650 al
  Friuli-Venezia Giulia; 400 alla Liguria; 64.500 all'Emilia Romagna;
  3.550  alla Toscana; 2.250 all'Umbria; 1.850 alle Marche; 18.600 al
  Lazio;  3.650  all'Abruzzo;  3.200 al Molise; 11.750 alla Campania;
  10.850  alla  Puglia;  3.800  alla Basilicata; 2.400 alla Calabria;
  5.750 alla Sicilia; 8.050 alla Sardegna).
    Viene cosi' imposta alle singole regioni una predeterminata quota
  del  quantitativo  riconosciuto  dalla  UE a livello nazionale, non
  solo  in  assenza  di intesa (che, evidentemente, in tale occasione
  sarebbe  stata  piu'  che mai necessaria anche alla luce della piu'
  volte  citata  sentenza  n. 398  del  1998,  nella  parte in cui ha
  dichiarato   l'illegittimita'  costituzionale  delle  modalita'  di
  ripartizione  delle quote tra regioni e tra i produttori, in quanto
  autonomamente  determinati  a  livello  statale), ma addirittura in
  assenza di esplicitazione del relativo criterio di distribuzione.
    Dalla tabella allegata al decreto non e' dato, infatti, capire il
  criterio  utilizzato  a  livello  governativo  a  tali  fini, ed in
  particolare  se  sia stato utilizzato l'unico criterio ammissibile,
  ovvero, quello costituito dal livello di produzione effettiva della
  regione  o  provincia  autonoma.  L'utilizzo  di criteri diversi da
  quello  da  ultimo esposto, quali la preferenza accordata alle zone
  cosiddette  svantaggiate  o  la media tra la produzione effettiva e
  quella risultante dai provvedimenti di assegnazione, sarebbe, oltre
  che  illegittimo  in  riferimento  alla normativa comunitaria (che,
  come  noto,  consente aiuti alle aree svantaggiate solo a valle del
  sistema,  ovvero  a  livello  di  compensazione),  iniquo, e dunque
  violativo   dell'art. 3   della   Costituzione,   con   particolare
  riferimento  alle  zone  a  piu'  alta  vocazione  produttiva. Tali
  criteri sarebbero inoltre contrari ai principi di efficienza e buon
  andamento,  e  dunque  all'art. 97  della  Costituzione, in quanto,
  ancora   una   volta,   impedendo   l'emersione   del  dato  reale,
  impedirebbero  il  riequilibrio  del  sistema  sulla  base dei dati
  produttivi effettivi.
    Rimane,  comunque,  il  fatto  che  l'estromissione delle regioni
  dalla  fase  di  determinazione  del  criterio di distribuzione del
  quantitativo nazionale da ultimo accordato dall'Unione costituisce,
  in  tutta evidenza, di per se' grave violazione degli artt. 5, 115,
  117  e 118 e del principio costituzionale di leale cooperazione, in
  quanto impedisce ab origine qualsivoglia potesta' programmatoria in
  un  settore,  senza  ombra di dubbio, anche alla luce delle recenti
  pronunce di codesta ecc.ma Corte, di competenza regionale.
    Lo  stesso  art. 1,  comma 1, rimette poi alle regioni e province
  autonome  la  riassegnazione, entro tre mesi dall'entrata in vigore
  del   decreto   stesso,   ai  produttori  operanti  nel  rispettivo
  territorio  del  quantitativo  complessivamente  assegnato, secondo
  criteri   oggettivi   di   priorita'  e  modalita'  preventivamente
  determinate.
    Il  rinvio  a criteri di determinazione regionale, che lascerebbe
  prima  facie sperare in un effettivo riconoscimento di autonomia in
  capo  alle regioni, e' pero' subito smentito dalla precisazione che
  tali  criteri  devono comunque prevedere una riserva pari almeno al
  20% in favore dei giovani agricoltori richiedenti (salvo il caso di
  mancanza  di  sufficienti richieste) e che, in nessun caso, possono
  beneficare  delle suddette assegnazioni i produttori che, nel corso
  degli  ultimi  tre  periodi,  hanno  venduto,  affittato o comunque
  ceduto, in tutto o in parte, le quote di cui erano titolari.
    La  disposizione in esame, dunque, pur rimettendo alle regioni la
  riassegnazione  in  favore  dei  produttori  operanti  sul  proprio
  territorio    del    quantitativo    cosi'   riconosciuto,   impone
  direttamente,  in  aperta  violazione delle competenze regionali in
  materia  di  cui  agli  artt. 117  e 118 e degli stessi principi di
  logica  e  buon  andamento,  alcuni dei criteri di ripartizione che
  dovranno presiedere alla stessa riassegnazione.
    Tali  criteri  sono  poi formulati in modo tale da ingenerare non
  pochi dubbi interpretativi. L'art. 1, comma 1, infatti, nella parte
  in  cui  stabilisce  che, in nessun caso, possono beneficiare delle
  assegnazioni  "i  produttori che nel corso degli ultimi tre periodi
  hanno venduto, affittato o comunque ceduto, in tutto o in parte, le
  quote  di  cui  erano  titolari"  non  chiarisce  se, ai fini della
  operativita'  del divieto di cui sopra, la vendita, l'affitto, o la
  cessione  totale  o parziale di quote debbano essere stati compiuti
  in  ciascuno  dei tre anni antecedenti presi a riferimento o se, ad
  impedire  l'assegnazione,  sia  ritenuta  sufficiente  la  cessione
  avvenuta in riferimento ad una sola delle annate considerate. Tutto
  cio'  e'  tanto  piu'  grave  se  si  considera che le regioni sono
  costrette ad attuare prescrizioni, non solo di derivazione statale,
  ma  altresi'  di  non  chiara  formulazione,  con ovvie conseguenti
  incertezze  interpretative, per la cui risoluzione ancora una volta
  e' agevole pronosticare l'intervento ministeriale.
    La disposizione impugnata e' poi viziata da razionalita' interna,
  in violazione dell'art. 3 della Costituzione, in quanto penalizza i
  produttori   che   abbiano   nei   tre   anni   precedenti  operato
  trasferimenti  di  quota  in  evidente  contraddizione  con  quanto
  disposto  dal  successivo  comma 2, che attribuisce alle regioni la
  facolta' di vietare il trasferimento delle quote assegnate ai sensi
  del  comma 1 (cosi' lasciando intendere che, in assenza di divieto,
  tali  trasferimenti  sono  ammessi), e dal comma 6, che attribuisce
  alle  regioni  stesse  la  facolta'  di  autorizzare  trasferimenti
  interregionali   di  sola  quota  ed  ammette  in  via  diretta  la
  possibilita'  di  stipulare  contratti di affitto di quota valevoli
  per il periodo in corso.
    Il  decreto  impugnato,  dunque,  da un lato ammette (comma 2) ed
  anzi  favorisce  la circolazione, anche interregionale, delle quote
  (comma   6)   e  dall'altro,  incoerentemente  penalizza  (vietando
  l'assegnazione  di  nuovi  quantitativi, cfr. comma 1) i produttori
  che  abbiano  in  passato  usufruito delle stesse possibilita' - ed
  anzi  delle  piu'  limitate  -  possibilita' di trasferimento delle
  quote.
    A  quanto  rilevato non si puo' certo replicare che il divieto di
  cui  al comma 1 risponda alla necessita' di sanzionare i produttori
  che   si   siano   resi  colpevoli  di  trasferimenti  anomali  del
  quantitativo   assegnato,  e  che  dunque  abbiano  contribuito  al
  dissesto   derivato   da  tali  trasferimenti  ed  accertato  dalla
  Commissione governativa di indagine, in quanto logica imporrebbe di
  limitare  il divieto ai soli produttori in capo ai quali si accerti
  una  effettiva  elusione  delle regole che allora presiedevano alla
  circolazione delle quote.
    Lo  stesso art. 1, comma 1, impone poi un termine perentorio (tre
  mesi  dalla  conversione  in  legge  del decreto in esame) entro il
  quale  le regioni medesime debbono procedere alle riassegnazioni di
  cui  sopra, pena, a norma del successivo comma 2, la decadenza e la
  riaffluenza  dei quantitativi stessi nella riserva nazionale per la
  successiva  riassegnazione  proporzionale  alle altre regioni. Tale
  termine  e'  in tutta evidenza troppo breve per consentire una equa
  assegnazione  interna  (presupponendo  questa  la  definizione  dei
  criteri di riferimento), e risulta dunque in contrasto, trattandosi
  di  operazione  di  competenza  regionale,  i  cui tempi dovrebbero
  essere  dunque  autodeterminati,  con  gli artt. 5, 115, 117 e 118,
  oltre che con l'art. 97 della Costituzione.
    Il  comma  2  dello  stesso  art. 1  dispone  poi  -  come  sopra
  sommariamente  rilevato  -  che  le  regioni e le province autonome
  possono  stabilire  che  le  quote  di coloro che hanno beneficiato
  delle  assegnazioni  di cui allo stesso articolo e di quelle di cui
  all'art.  12,  comma  21, del d.-l. n. 43/1999, convertito in legge
  n. 118/1999,  non  possano  essere  in  tutto  o  in parte vendute,
  affittate,  comodate  o  costituire oggetto di contratti di soccida
  per uno o piu' periodi, salvo documentati casi di forza maggiore.
    Al  di  la'  della  razionalita' interna e della conformita' alla
  normativa   comunitaria,   la  disposizione  in  esame,  andando  a
  disciplinare  direttamente un aspetto delle competenze regionali in
  materia  di quote latte, e' per cio' stesso illegittima, in quanto,
  nella  parte  in cui prefigura "documentati casi di forza maggiore"
  quale  unica ipotesi di deroga al vincolo di trasferibilita' che le
  regioni  avranno facolta' di prevedere, limita ingiustificatamente,
  in  violazione  degli  artt. 5,  97,  115, 117 e 118, le competenze
  regionali in materia.
    Analogo  rilievo  deve essere eccepito in riferimento all'art. 1,
  comma  6, nella parte in cui, come gia' brevemente esposto, prevede
  che  le  regioni  e  le  province  autonome possono autorizzare, in
  deroga  a  quanto previsto dall'art. 10, comma 2, lettera a), della
  legge  n. 468/1992,  trasferimenti  di quota tra aziende ubicate in
  regioni   e  province  autonome  diverse,  prevedendo  le  relative
  modalita'  di controllo, con l'aggravante che, anche in questo caso
  (cosi'  come  per  l'art. 1,  comma  1),  la norma e' di non chiara
  formulazione,   in  quanto  non  precisa,  in  danno  della  stessa
  possibilita' in capo alle regioni di attuare adeguato controllo, se
  la   commercializzazione   interregionale  di  quote  debba  essere
  necessariamente  autorizzata da tutte le regioni interessate ovvero
  da   una   sola   delle   regioni   di   appartenenza  delle  parti
  (presumibilmente quella di appartenenza del produttore acquirente).
    Lo  stesso  comma  6,  come  gia' brevemente esposto, prevede poi
  direttamente  (in  questo  caso,  senza  neppure  dare  parvenza di
  decentramento  di funzioni in favore delle regioni) la possibilita'
  (dandone  mera  comunicazione  alle regioni e province autonome) di
  stipulazione  di  contratti  di  affitto  della  parte di quota non
  utilizzata,  separatamente  all'azienda,  con efficacia limitata al
  periodo in corso, purche' concorrano almeno le seguenti condizioni:
        a)  il  contratto  intervenga tra produttori in attivita' che
  hanno  prodotto  e commercializzato nel corso del periodo almeno il
  50% della loro quota;
        b)  le  aziende  agricole  dei contraenti siano ubicate nella
  medesima  zona  omogenea  (di  montagna, svantaggiata, di pianura);
  sono  comunque  esclusi  i  contratti  di  soccida e di comodato di
  stalla,  che  non  possono  avere una durata inferiore ad un intero
  periodo.
    La  disposizione  da ultimo descritta relega dunque espressamente
  le regioni ad un ruolo meramente esecutivo e di controllo in ordine
  a  competenze che dovrebbero integralmente (e non solo formalmente)
  competere  loro, in aperta violazione degli artt. 5, 115, 117 e 118
  della  Costituzione,  oltre che dell'art. 97 della Costituzione, in
  quanto  tale  limitazione  si  inscrive in un contesto che vorrebbe
  operare,  o  quantomeno  mostrare,  l'effettiva "regionalizzazione"
  della materia.
    3. - Quanto all'art. 1, commi 3, 4 e 5, violazione degli artt. 3,
  5,  81, 97, 115, 117, 118 e 119 della Costituzione; quanto all'art.
  1,  comma  7,  violazione  degli artt. 3, 5, 11, 97, 115, 117 e 118
  della Costituzione.
    3.1.  -  A  norma  dell'art. 1, comma 3, le regioni e le province
  autonome,   in  applicazione  dell'art.  1  del  d.-l.  n. 11/1997,
  convertito  in  legge  n. 81/1997, debbono, entro il 15 marzo 2000,
  provvedere   all'aggiornamento   dei  quantitativi  individuali  di
  riferimento  dei  produttori  titolari  di quota la cui azienda sia
  ubicata   nel   proprio   territorio,  per  il  periodo  2000-2001,
  avvalendosi dei dati risultanti dal sistema informatico di supporto
  di  cui  all'art. 5  del  decreto  del  Ministero  delle  politiche
  agricole  n. 159/1999. La comunicazione relativa ai dati citati, da
  effettuarsi entro il 31 marzo 2000, sara' poi curata dall'organismo
  nazionale di intervento nel mercato agricolo.
    Sempre  a  norma  dell'art.  1, comma 3, le regioni e le province
  autonome  sono  poi  tenute  a provvedere, entro il 30 giugno 2000,
  all'eventuale aggiornamento dei suddetti quantitativi individuali e
  alla relativa comunicazione ai produttori interessati e, tramite il
  sistema  informativo,  all'organismo  nazionale  di  intervento nel
  mercato  agricolo.  Si  prevede,  inoltre,  che  tali comunicazioni
  costituiscono   il   titolo   da   produrre,   in  copia  conforme,
  all'acquirente  per  l'applicazione delle disposizioni sul prelievo
  supplementare  e  che,  per  i periodi successivi, le comunicazioni
  debbono  avvenire,  a cura delle regioni e province autonome, entro
  il 28 febbraio di ogni anno.
    L'attribuzione  alle  regioni  dei  compiti  di aggiornamento dei
  quantitativi  individuali  di  riferimento per il periodo 2000-2001
  (che,   se   effettiva,   sarebbe  certo  ben  accolta,  pur  nella
  consapevolezza   della   sua  tardivita')  e'  purtroppo  meramente
  fittizia.  Il  comma  3,  infatti, oltre a prevedere a tali fini il
  brevissimo  termine  del  15 marzo 2000, impone che l'aggiornamento
  avvenga  sulla  base  dei dati contenuti del sistema informatico (e
  dunque  di quei dati gia' rilevati dall'AIMA, sulla cui consistenza
  si  nutrono  da  anni  dubbi  ed  incertezze) e rimette la relativa
  comunicazione  ad  altro  organo,  ovvero, l'organismo nazionale di
  intervento nel mercato agricolo.
    Le  regioni  sono  dunque private di poteri di accertamento e di,
  pur  solo  formali,  poteri  di  comunicazione  (il  cui  esercizio
  comunque  assicura  la  corrispondenza tra quanto rilevato e quanto
  comunicato),  in aperto contrasto con i piu' volte citati artt. 117
  e  118 della Costituzione e con gli stessi principi di economicita'
  e   buon  andamento  di  cui  all'art. 97  della  Costituzione  (il
  sopradescritto  sdoppiamento  di  funzioni  non  puo'  infatti  che
  portare  alla  moltiplicazione  degli  incombenti  e delle relative
  spese).
    3.2.   -   Ancora   in  aperto  contrasto  con  il  principio  di
  irretroattivita',  la  medesima  disposizione  rimette poi a totale
  carico  delle  regioni  l'aggiornamento  (e, questa volta, anche la
  comunicazione) di tali dati entro il 30 giugno 2000, implicitamente
  riconoscendo  l'inattendibilita'  dei  dati  contenuti  nel sistema
  informatico,  che  le  regioni,  in base alla prima parte del comma
  considerato,  sono  comunque  costrette  a  fare propri entro il 15
  marzo 2000.
    Se  in  base  alla  prima  parte  del  comma  in  oggetto  i dati
  quantitativi  individuali  per  la  campagna  2000-2001  dovrebbero
  essere dunque finalmente emessi prima dell'inizio della campagna di
  riferimento  (ovvero,  il  15 marzo 2000, in riferimento a campagna
  con  inizio il 1o aprile 2000), la seconda parte della disposizione
  subito   smentisce   la  tempestivita'  della  comunicazione  prima
  affermata,   ammettendo  l'aggiornamento  posteriore  dei  dati  in
  diretta violazione della normativa interna e comunitaria di settore
  e   delle   stesse  potesta'  programmatorie  e  di  controllo  che
  dovrebbero competere alle regioni.
    Quanto  alle  operazioni di compensazione (da effettuarsi, quanto
  ai periodi di produzione lattiera 1997-1998 e 1998-1999, in termini
  dichiaratamente  retroattivi, ovvero entro il 30 aprile 2000 - cfr.
  art. 1,  comma  7),  il  comma  5  dell'art. 1  stabilisce  che  si
  applichino  i  criteri  di  cui  all'art. 1,  comma  8,  del  d.-l.
  n. 43/1999, convertito in legge n. 118/1999 nonche' le disposizioni
  di  cui  ai  commi  11,  12  e  13  del  medesimo art. 1, in quanto
  compatibili.
    Quanto   al   profilo  della  retroattivita'  delle  disposizioni
  impugnate   tanto   in   riferimento  alla  divulgazione  dei  dati
  quantitativi  di  riferimento  che ai risultati della compensazione
  nazionale,  basti  ricordare che, come gia' piu' volte rilevato nei
  precedenti  ricorsi  proposti  avverso  la normativa di settore, la
  scansione  temporale  delle  campagne  di produzione e raccolta del
  latte,  prima ancora che dalle leggi italiane, e' determinata dalle
  fonti comunitarie.
    Cosi',  il  reg. (CEE) n. 804/68 dispone che tutti gli interventi
  nel settore debbono essere adottati (assai) prima dell'inizio della
  campagna (cfr. artt. 3, comma 1; 4; 5, comma 1; 10, comma 2). Nello
  stesso  tempo (e nella delicatissima materia dei prelievi) dispone,
  poi, tra gli altri, il reg. (CEE) n. 856/84, il quale, introducendo
  nel  precitato  regolamento  del  1968  un art. 5-quater, individua
  sempre  nella  campagna  con inizio il 1o aprile di ciascun anno il
  punto  di  riferimento  temporale degli interventi in materia (art.
  1).  Analogamente,  il reg. (CEE) n. 3590/92 istituiva sino al 2000
  l'applicazione   del   regime   dei   prelievi  per  sette  periodi
  consecutivi di dodici mesi a decorrere dal 1o aprile 1993 (art. 1),
  ed  ora  il reg. 1256/1999 conferma la suddetta scansione temporale
  con  riferimento  alla  disposta  proroga  del regime per otto anni
  consecutivi a partire dal 1o aprile 2000 (art. 1).
    Il   legislatore  comunitario  ha,  dunque,  ritenuto  necessario
  ripartire  l'attivita'  produttiva  in  gestioni  annuali,  dal 1o
  aprile  al 31 marzo successivo; tale ultima data costituisce dunque
  il  termine  finale, legislativamente fissato, del ciclo produttivo
  delle aziende che conferiscono il latte, e a questa data deve farsi
  riferimento  per accertare l'eventuale superamento dei quantitativi
  individuali,  per  predisporre  i meccanismi di compensazione e per
  determinare,  se del caso, l'entita' del prelievo supplementare. Ne
  discende  pertanto  che  alla  data  del  31  marzo  l'attivita' di
  produzione  del  latte  si  considera  compiutamente  esercitata in
  relazione  all'annata  conclusa  e le posizioni soggettive connesse
  all'esercizio  dell'attivita'  in  questione  sono  definitivamente
  esercitate ed assumono il valore di fatti compiuti.
    Da  cio'  consegue che i risultati della produzione costituiscono
  il  fondamento  di  aspettative  giuridicamente tutelabili, che, in
  quanto  immediatamente  ricollegabili  alla  normativa comunitaria,
  diventano  intangibili da parte della sottoordinata normativa dello
  stato membro.
    Ora,  quello  che  doveva  essere  strumento di programmazione e'
  dunque divenuto, per mezzo dei provvedimenti legislativi impugnati,
  uno  strumento  di  accertamento  ai  fini  dell'irrogazione  della
  sanzione del prelievo.
    La  conseguente violazione delle norme costituzionali in epigrafe
  e' evidente: le regioni vengono infatti dichiaratamente spossessate
  della stessa possibilita' di intervento nel governo del settore.
    La retroattivita' delle disposizioni impugnate, poiche' sconvolge
  l'ordine  temporale  fissato  dalle  fonti  vigenti  in materia, e'
  pertanto  direttamente  violativa  della  normativa  comunitaria  e
  quindi  dell'art.  11  della  Costituzione.  In quanto tale, per le
  ragioni   prospettate   in  dottrina  (F.  Sorrentino,  Una  svolta
  apparente  nel  "cammino  comunitario"  della  Corte: l'impugnativa
  statale   delle  leggi  regionali  per  contrasto  con  il  diritto
  comunitario,  in  Giur.  cost.  1994,  3456 sgg.) e definitivamente
  chiarite  dalla  giurisprudenza  di  codesta  ecc.ma  Corte (sentt.
  nn. 384  del  1994, 94 e 520 del 1995), e' direttamente sindacabile
  in sede di giudizio principale di legittimita' costituzionale.
    Inoltre,   la  situazione  sopra  descritta  produce  una  palese
  illegittimita' costituzionale, nella misura in cui da essa consegue
  la  sottrazione  alle  regioni  di  qualunque facolta' di governo e
  programmazione della produzione lattiera, che viene assunta come un
  dato, riferito al passato, e non come un obiettivo proiettato (come
  dovrebbe essere) nel futuro.
    3.3.   -   Quanto   ancora  in  particolare  alle  operazioni  di
  compensazione,   l'art. 1,   comma   5,  se  da  un  lato  richiama
  espressamente  i criteri di compensazione di cui al d.-l. n. 43 del
  1999,   convertito  in  legge  n. 118  del  1999  (gia'  in  aperta
  violazione  degli  artt. 117  e  118  della  Costituzione  e  della
  sentenza  n. 398  del  1998,  nella  parte  in  cui  ha  dichiarato
  l'illegittimita'   costituzionale   di   tali  criteri,  in  quanto
  determinati  autonomamente a livello statale), non chiarisce, tanto
  piu'  se  calato  nel contesto normativo di settore, caratterizzato
  dal  continuo susseguirsi di disposizioni tra loro contrastanti, se
  tali  operazioni  debbano  essere effettuate dall'AIMA (ora AGEA) o
  dalle regioni.
    E' plausibile ritenere che, nel silenzio, esse debbano intendersi
  ancora  di  competenza  dell'Azienda  statale e deve di conseguenza
  essere  nuovamente eccepita, anche, come detto, in riferimento alla
  conferma   operata   dei  criteri  di  compensazione  di  cui  alle
  disposizioni  legislative  piu'  sopra  citate, la violazione degli
  artt.  117 e 118, nonche' della decisione n. 398 del 1998. Infatti,
  la  piu'  volte menzionata sentenza n. 398 ha non solo riconosciuto
  espressamente  le competenze regionali in materia di determinazione
  dei criteri di compensazione (qui, come per il d.-l. n. 43 del 1999
  e per la relativa legge di conversione, in tutta evidenza frustrate
  dal  mancato  adeguato  coinvolgimento  delle  regioni  in  sede di
  produzione  normativa), ma ha altresi' - seppure in via indiretta -
  riconosciuto   che  la  stessa  effettuazione  delle  procedure  di
  compensazione  deve  prevedere  il  necessario coinvolgimento delle
  regioni.
    Infatti,    nella    parte   in   cui   la   sentenza   statuisce
  l'illegittimita'  costituzionale  della  normativa  riguardante  la
  riassegnazione  delle  quote  confluite nella riserva nazionale, in
  quanto  violativa  delle prerogative regionali, indirettamente essa
  statuisce  il  necessario  coinvolgimento  regionale nelle suddette
  operazioni  di  compensazione,  in  quanto  rispondenti alla stessa
  logica sottesa alla riassegnazione, ovvero l'equa distribuzione tra
  i produttori del sacrificio derivante dall'imposizione di un limite
  quantitativo nazionale di produzione.
    3.4.  -  Quanto  ancora  alle  operazioni di compensazione, sotto
  ulteriore  profilo,  l'art. 1,  comma 5, stabilisce che, in caso di
  mancato    pagamento    del   prelievo   supplementare   da   parte
  dell'acquirente,  le  regioni  e  province  autonome sono tenute ad
  effettuare   la  riscossione  coattiva  mediante  ruolo  anche  nei
  confronti del produttore, salvo il diritto di rivalsa di questi nei
  confronti dell'acquirente inadempiente o insolvente.
    L'attribuzione  alle  regioni di tale competenza confligge, oltre
  che  con  i  poteri  di  autoorganizzazione  ad  esse  riconosciuti
  dall'art. 115  della  Costituzione,  con  il principio di autonomia
  finanziaria di cui all'art. 119 della Costituzione.
    Essendo  gli introiti de quibus destinati alle casse dello Stato,
  e'  poi evidentemente illogico ed ingiustificato, ed indi contrario
  ai  principi  di ragionevolezza e di buon andamento ed economicita'
  dell'agire   amministrativo   di   cui  agli  artt. 3  e  97  della
  Costituzione,  anche  con  riferimento  agli  artt. 117 e 118 della
  Costituzione, attribuire l'onere della relativa riscossione ad enti
  autonomi, quali le regioni.
    Si  configura in tale modo un fenomeno di sostanziale avvalimento
  di  uffici  regionali  da  parte  dello  Stato, che come e' noto e'
  legittimo   solo   nei   limiti   in  cui  garantisce  il  rispetto
  dell'autonomia delle regioni anche sotto il profilo della provvista
  dei   mezzi   finanziari   necessari  per  fronteggiare  gli  oneri
  attribuiti  (Corte  costituzionale, sentenza n. 408 del 1998, punto
  10  del  Considerato  in  diritto);  viceversa,  nel caso di specie
  l'attribuzione  della  suddetta "competenza" non si accompagna alla
  necessaria copertura finanziaria.
    3.5. - L'art.  1,  comma  4, stabilisce che alle dichiarazioni di
  consegna  degli  acquirenti  e ai relativi modelli L1 continuano ad
  applicarsi  le  disposizioni  di  cui  all'art. 4, commi 2 e 3, del
  d.-l.  n. 411/1997 convertito in legge n. 5/1998. In presenza delle
  anomalie  di  cui  all'art.  1,  comma  4, del d.m. n. 159/1999, si
  prevede  inoltre che le regioni e province autonome provvedano agli
  occorrenti  accertamenti  con  le  modalita'  previste dall'art. 3,
  commi 2  e  3, dello stesso decreto, ovvero con quelle dai medesimi
  enti  stabilite.  Sempre  il  comma  4  stabilisce,  inoltre, che i
  quantitativi  di  latte risultanti da modelli L1 pervenuti oltre il
  termine  previsto  dalla  normativa comunitaria sono assoggettati a
  prelievo definitivo per l'intero ammontare a carico dell'acquirente
  inadempiente,   ferme   le   sanzioni   previste   dal   reg.  (CE)
  n. 1001/1998.
    Tale  disposizione,  nel richiamare, quanto alle dichiarazioni di
  consegna degli acquirenti e ai relativi modelli L1, le disposizioni
  di  cui  al  d.-l. n. 411/1997, convertito in legge n. 5/1998 ed al
  d.m.  n. 159/1999,  mutuano  le  illegittimita' costituzionali gia'
  rilevate  in  riferimento  agli  stessi provvedimenti legislativi e
  regolamentari;  illegittimita',  aggravate  dalla  circostanza  che
  ancora  si  riconosce  in capo alle regioni la competenza in ordine
  agli   accertamenti   delle   anomalie   secondo  un  sistema  gia'
  predefinito  a livello centrale (la clausola contenuta nella stessa
  disposizione  in  ordine  alla possibilita' in capo alle regioni di
  individuare  ulteriori  modalita'  di  accertamento non sembrerebbe
  bastare ad eliminare le illegittimita' di cui sopra, in quanto tale
  possibilita'   parrebbe   comunque   vincolata   alle  disposizioni
  governative  e  non  pare  comunque  consentire l'individuazione di
  anomalie diverse, ma solo ulteriori, rispetto a quelle previste dal
  d.-l. n. 411/1997, convertito in legge n. 5/1998).
    Tali procedure, oltre che gravare interamente sulle risorse umane
  e  finanziarie regionali, non assicurano poi alcun accertamento dei
  dati produttivi, in quanto le verifiche sono limitate a fattispecie
  tipiche  ad  esito  predeterminato.  In  altri termini, le anomalie
  eventualmente  riscontrate  dalle regioni non potranno che ricevere
  il   "trattamento"   riservato  dalle  disposizioni  legislative  e
  regolamentari  richiamate,  ovvero,  a  seconda dei casi e a titolo
  meramente  esemplificativo,  l'azzeramento  della  produzione  e la
  determinazione  forfettaria della stessa. Manca dunque in capo alle
  regioni qualsivoglia potesta' di intervento, correzione, o sia pure
  solo effettivo riesame, in violazione, oltre che dell'art. 97 della
  Costituzione   per   i  profili  sopra  evidenziati,  delle  stesse
  prerogative  regionali in termini di programmazione e controllo nel
  settore de quo.
    Tali  disposizioni,  in tutta evidenza, violano pertanto le norme
  citate  in epigrafe perche' negano in radice i poteri programmatori
  che  dovrebbero  competere alle regioni nel settore in oggetto e si
  risolvono  essenzialmente  in  un  anomalo,  e  comunque gratuito e
  percio' stesso illegittimo, avvalimento degli uffici regionali.
    Piu'  in particolare, l'attribuzione alle regioni di tali compiti
  meramente  esecutivi confligge con la ripartizione delle competenze
  tra  Stato e regioni di cui agli art. 117 e 118 della Costituzione,
  oltre  che  con i poteri di autoorganizzazione ad esse riconosciuti
  dall'art. 115  della  Costituzione  e con il principio di autonomia
  finanziaria di cui all'art. 119 della Costituzione.

    4. - Quanto all'art. 1, comma 8, violazione degli artt. 3, 5, 11,
  97, 115, 117 e 118 della Costituzione.
    La prima parte della disposizione citata in epigrafe dispone che,
  per  quanto  non  abrogato  dal  decreto impugnato, si applicano le
  disposizioni  della  legge  n. 468/1992  e le altre disposizioni in
  materia;  la  seconda  parte  dispone,  inoltre,  che,  in  caso di
  inadempimento  ai  compiti  ed  obblighi  spettanti  alle regioni e
  province  autonome  in  materia  di  quote  latte,  si applicano le
  disposizioni   dell'art. 5  del  d.lgs.  n. 112/1998;  si  prevede,
  infine,  che  le  regioni a statuto speciale e le province autonome
  provvedano  agli  adempimenti  loro  attributi  nel  rispetto degli
  statuti e delle norme di attuazione.
    Il  richiamato  art. 5  del d.lgs. n. 112 del 1998, come e' noto,
  prevede,  con riferimento alle funzioni e ai compiti spettanti alle
  regioni  e agli enti locali, che, "in caso di accertata inattivita'
  che     comporti     inadempimento    agli    obblighi    derivanti
  dall'appartenenza   alla   Unione   europea  o  pericolo  di  grave
  pregiudizio  agli interessi nazionali", il Presidente del Consiglio
  dei  Ministri,  su  proposta  del  Ministro competente per materia,
  assegni  all'ente  inadempiente  un  congruo termine per provvedere
  (comma 1).
    Decorso inutilmente tale termine, si prevede poi che il Consiglio
  dei  Ministri,  sentito  lo stesso soggetto inadempiente, nomini un
  commissario  che  provveda in via sostitutiva (comma 2). Il comma 3
  della  disposizione  in esame prevede infine un procedimento in via
  d'urgenza,   secondo  il  quale,  appunto,  "in  casi  di  assoluta
  urgenza", il Consiglio dei Ministri, su proposta del Presidente del
  Consiglio,  puo'  immediatamente,  e  dunque  in  assenza di previo
  invito  a  provvedere, procedere alla nomina del commissario di cui
  al  comma  2  con  provvedimento  poi  immediatamente  inviato alla
  Conferenza Stato-regioni, alla quale viene riconosciuta la facolta'
  di richiederne il riesame.
    La  disposizione  impugnata,  come  detto,  dispone l'attivazione
  dell'intervento   sostitutivo  piu'  sopra  descritto  in  caso  di
  "inadempimento  ai  compiti  ed  obblighi  spettanti alle regioni e
  province  autonome  in  materia di quote latte", prefigurando cosi'
  l'automatico  sanzionamento  dell'eventuale  mancato rispetto delle
  numerose  incombenze  imposte  dal decreto impugnato nei brevissimi
  termini ivi previsti.
    La  disposizione  in  epigrafe  e',  dunque,  in  tutta evidenza,
  gravemente  penalizzante  delle  competenze regionali, ad ulteriore
  aggravamento  delle  illegittimita'  rilevate,  in  quanto  intende
  appunto  sanzionare  l'eventuale  mancato  rispetto  di incombenze,
  ormai  -  data  la  gestione  pregressa  - di fatto ingestibili, in
  termini  peraltro  ristrettissimi  e  per cio' stesso assolutamente
  impraticabili.