ha pronunciato la seguente


                              Ordinanza

nel giudizio di legittimita' costituzionale degli artt. 410, comma 3,
del  codice di procedura penale e 31 delle disposizioni di attuazione
del  predetto  codice,  promosso  con ordinanza emessa il 26 novembre
1998 dal giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Bolzano
nel procedimento penale a carico di persona da identificare, iscritta
al  n. 496  del  registro  ordinanze 1999 e pubblicata nella Gazzetta
Ufficiale  della  Repubblica  n. 39,  prima serie speciale, dell'anno
1999.
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del Consiglio dei
Ministri;
    Udito  nella  camera di consiglio del 23 febbraio 2000 il giudice
relatore Guido Neppi Modona.
    Ritenuto che il giudice per le indagini preliminari del Tribunale
di  Bolzano  ha  sollevato,  in riferimento agli artt. 3, 23, 24 e 27
della   Costituzione,   questione   di   legittimita'  costituzionale
dell'art. 410,  comma  3, del codice di procedura penale, nella parte
in  cui,  secondo  l'interpretazione  della  Cassazione,  consente al
privato  che assume di essere persona offesa di un reato di provocare
la fissazione dell'udienza in camera di consiglio per discutere della
richiesta  di  archiviazione  del  pubblico  ministero,  senza che il
giudice  possa  operare  un  "severo  vaglio"  dell'opposizione della
persona  offesa, "cosi' legittimando qualunque cittadino a far subire
ad  altri  spese  legali  ed  a  protrarre  a suo carico nel tempo la
qualita'   di   soggetto   indagato"   nonche'   dell'art. 31   delle
disposizioni  di  attuazione  del  codice  di procedura penale, nella
parte  in  cui  "addossa  obbligatoriamente  al  cittadino l'onere di
pagare   l'onorario   al   difensore   di  ufficio  in  funzione  del
comportamento  di  un  terzo,  sia  esso  un  privato  o  un pubblico
ministero,    indipendentemente    dall'accertamento    di   un   suo
comportamento  doloso o colposo e da un provvedimento che, effettuato
tale accertamento, gli addossi l'onere";
        che  il  rimettente premette in fatto che due sorelle avevano
denunciato per omissione di atti d'ufficio il medico di guardia di un
ospedale  "esponendo  suoi  comportamenti, sfociati nella morte della
loro madre, curata dallo stesso, configurabili come omissione di atti
d'ufficio";
        che  il  pubblico  ministero aveva richiesto l'archiviazione,
avverso   la  quale  le  denuncianti  avevano  proposto  opposizione,
sicuramente  ammissibile in quanto presentata in termini e contenente
la   richiesta  di  nuove  indagini,  che  peraltro,  ad  avviso  del
rimettente,   non   avrebbero   portato   "comunque  ad  una  diversa
valutazione conclusiva";
        che  in  tale  situazione il giudice sarebbe tenuto a fissare
l'udienza  in camera di consiglio a norma degli artt. 410, comma 3, e
409,  comma  2, cod. proc. pen., e ad invitare il medico di guardia a
nominare  un  difensore  di  fiducia  o,  in difetto, a nominargli un
difensore  di  ufficio,  che  dovrebbe  comunque essere retribuito ai
sensi dell'art. 31 disp. att. cod. proc. pen., con la conseguenza che
"anche  l'indagato  per  sbaglio,  anche  l'indagato che senza alcuna
difficolta'  puo'  comprovare  la  sua estraneita' all'indagine... si
trova ad essere obbligato al pagamento di una parcella";
        che   ad   avviso   del   rimettente   le   norme   censurate
contrasterebbero:  con  l'art. 3 Cost., a causa dell'irragionevolezza
di  un  sistema che, a norma dell'art. 410, comma 3, cod. proc. pen.,
preclude  al  giudice,  investito  della richiesta di archiviazione a
seguito  dell'opposizione  della  persona  offesa,  di  effettuare un
controllo  di  garanzia  su una iniziativa sicuramente dannosa per la
persona  sottoposta  alle  indagini,  e impone al giudice stesso, nel
fissare  l'udienza  in  camera di consiglio, di nominare all'indagato
che  sia  privo  di  un difensore di fiducia un difensore, che dovra'
essere  retribuito  a  norma dell'art. 31 disp. att. cod. proc. pen.;
con l'art. 23 Cost., in quanto l'indagato e' costretto a sopportare i
costi  che  discendono  dal  suo  coinvolgimento, anche senza colpa e
responsabilita',     nel     meccanismo     giudiziario     innestato
dall'opposizione  della  persona  offesa, nei cui confronti non vi e'
possibilita' di rivalsa, ne' responsabilita' per danni; con l'art. 24
della  Costituzione  perche',  non essendo previsto che l'indagato ha
l'obbligo  di  retribuire  il  difensore  di  ufficio solo quando sia
accertato un suo comportamento doloso o colposo, il cittadino risulta
del  tutto  privo  di difesa di fronte a comportamenti illegittimi di
terzi;  con l'art. 27 Cost., in quanto il principio della presunzione
di  non  colpevolezza risulta violato ove siano addossati degli oneri
al cittadino non a seguito di condanna, ma solo in relazione al fatto
casuale di essere indagato;
        che  e'  intervenuto  in giudizio il Presidente del Consiglio
dei  Ministri,  rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello
Stato,  deducendo la inammissibilita' della questione e, comunque, la
sua infondatezza.
    Considerato che il rimettente sottopone contestualmente a censura
di  legittimita'  costituzionale,  per  le  medesime  ragioni  e  con
riferimento  ai  medesimi  parametri, l'art. 410, comma 3, cod. proc.
pen.,  nella  parte  in  cui  prevede  che il giudice per le indagini
preliminari,  salvo  che  l'opposizione  della  persona  offesa  alla
richiesta di archiviazione del pubblico ministero sia inammissibile e
la  notizia  di reato infondata, debba fissare l'udienza in camera di
consiglio,  alla  quale  sono  chiamati  a  partecipare  il  pubblico
ministero,  la persona offesa, la persona sottoposta alle indagini ed
i  rispettivi  difensori, e l'art. 31 disp. att. cod. proc. pen., ove
e'  disposto  l'obbligo  di  retribuire  l'attivita' del difensore di
ufficio;
        che  le  due  censure  si  pongono  in  rapporto di reciproca
subordinazione  logica,  in  quanto  l'accoglimento  di una delle due
priverebbe,   alternativamente,  di  rilievo  l'altra:  da  un  lato,
infatti,  le  ragioni  della non manifesta infondatezza della censura
nei  confronti della norma che impone al giudice di fissare l'udienza
in  camera  di  consiglio  vengono  individuate  dal rimettente nella
supposta   ingiustizia  dell'obbligo  posto  a  carico  dell'indagato
"innocente"   di   retribuire   il  difensore  nominato  di  ufficio;
dall'altro  l'illegittimita'  costituzionale  della  norma che impone
alla  persona  sottoposta  alle  indagini  di  retribuire comunque il
difensore  di  ufficio  viene  prospettata come una conseguenza della
fissazione dell'udienza in camera di consiglio;
        che dall'ordinanza di rimessione non e' dato desumere a quale
delle due censure il rimettente attribuisca prevalenza: se, cioe', il
giudice  a  quo  si  proponga in via principale di ottenere da questa
Corte   una   pronuncia   che  gli  consenta  di  decidere  de  plano
sull'opposizione    della    persona   offesa   alla   richiesta   di
archiviazione,  senza  fissare  l'udienza  in camera di consiglio, in
modo  che  all'indagato "incolpevole" non debbano essere accollate le
spese  relative  alla  retribuzione  del difensore di ufficio, ovvero
indichi  come  soluzione  principale  una  decisione volta ad abolire
l'obbligo  dell'indagato  "incolpevole"  di  retribuire  il difensore
chiamato ad assisterlo nell'udienza in camera di consiglio;
        che  l'impossibilita'  di  individuare  quale sia la sentenza
additiva  richiesta  dal  rimettente  dimostra  che  la  questione e'
prospettata in forma ancipite e, in quanto tale, inammissibile;
        che  l'ambiguita'  della questione sottoposta all'esame della
Corte  trova  conferma  nell'impianto argomentativo dell'ordinanza di
rimessione,  da cui emerge che il giudice a quo lamenta in realta' la
mancata  previsione  di  una forma di responsabilita' per soccombenza
della  persona  offesa: aspetto, questo, che potrebbe tuttavia venire
in  rilievo solo all'esito del procedimento attivato dall'opposizione
della  persona  offesa  alla  richiesta di archiviazione del pubblico
ministero, nonostante il giudice a quo anticipi aprioristicamente che
il  contraddittorio  in  camera  di  consiglio  non potrebbe comunque
inficiare   le   proprie  convinzioni  sull'innocenza  della  persona
denunciata;
        che   per   tali   ragioni   la   questione   va   dichiarata
manifestamente inammissibile.
    Visti  gli  artt. 26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  e  9,  secondo  comma,  delle norme integrative per i giudizi
davanti alla Corte costituzionale.