IL TRIBUNALE Ha pronunciato la seguente ordinanza nella causa civile in grado d'appello iscritta al n. 40966 del ruolo generale civile dell'anno 1994, cui e' stata riunita quella n. 90809/94, tra S.p.a. Ferrovie dello Stato in persona del legale rapp. pro tempore, elettivamente domiciliato in Roma, via Monteverdi n. 16, presso l'avv. Consolo, che lo rappresenta e difende giusta procura in atti appellante; e Pucci Giovanni, elettivamente domiciliato in Roma, Viale Giulio Cesare n. 95, presso l'avv. Palumbo, che lo rappresenta e difende come da procura in atti appellato; Oggetto: appello contro la sentenza emessa inter partes dal Pretore di Roma il 17 luglio 1995; Premesso che: Pucci Giovanni conveniva in giudizio le Ferrovie dello Stato S.p.a. per sentir riconoscere il diritto alla corresponsione dell'indennita' di buonuscita dovuta alla sorella Pucci Amedea, dipendente della societa', deceduta nell'aprile 1992. La societa' datrice di lavoro contestava il ricorso, deducendo, da un lato, che l'art. 16 della legge 14 dicembre 1973, n. 829, sull'opera di previdenza a favore del personale dipendente, nel disciplinare la corresponsione dell'indennita' di buonuscita ai superstiti, presupponeva, al comma 6, per i fratelli la vivenza a carico ed il requisito dell'eta' (21 anni, o senza limiti d'eta' per l'ipotesi di esistenza di inabilita' permanente a proficuo lavoro), requisiti entrambi pacificamente insussistenti; dall'altro, che l'art. 96 del C.C.N.L. prevedeva che "per l'iscrizione del personale all'Opera di previdenza e assistenza per i ferrovieri dello Stato e per le prestazioni a carico della stessa opera continuano ad applicarsi le disposizioni di cui alla legge 14 dicembre 1973, n. 829 e successive modifiche o integrazioni". Con la sentenza in oggetto, il pretore accoglieva la domanda. Riteneva, infatti, che il diritto fosse garantito dall'art. 2122, comma 3, c.c., norma imperativa non derogabile pattiziamente. Contro la decisione ha presentato appello la societa', evidenziandone l'erroneita'. Ha resistito la controparte. Rilevato che: con unico motivo, l'appellante ha censurato la decisione, per aver ritenuto che l'art. 2122 c.c. sia una norma inderogabile; ha evidenziato che le parti collettive, in forza della norma pattizia (piu' sopra descritta), avevano ritenuto opportuno applicare al rapporto la diversa normativa posta dalla legge del 1973, anche perche', diversamente al T.F.R., l'indennita' di buonuscita e' una prestazione a carattere previdenziale e non retributivo; ha dedotto che, per effetto della previsione dell'art. 21 della legge 210/1985 (secondo cui sino a quando non sara' disciplinato l'assetto generale del trattamente previdenziale e pensionistico dei dipendenti, rimane fermo il trattamento in atto) la norma codicistica non puo' trovare applicazione; ha escluso profili di incostituzionalita', non essendo la prestazione assimilabile al T.F.R.; Rilevato in diritto che: l'art. 2122 c.c., stabilisce che in caso di morte del prestatore il T.F.R. spetta al coniuge ed ai figli, nonche', se conviventi, ai parenti entro il terzo grado e agli affini entro il secondo, secondo il bisogno di ciascuno (secondo comma); il terzo comma stabilisce che, in mancanza delle persone sopra indicate, l'indennita' e' attribuita secondo le norme della successione legittima; il quarto comma sancisce la nullita' di ogni patto anteriore alla morte circa l'attribuzione e ripartizione dell'indennita'; la disposizione ha indubbia natura inderogabile, sol che si consideri, da un lato, che non e' consentito disporre in via del diritto in modo difforme quanto ai beneficiari, dall'altro, che nell'ipotesi prevista dal terzo comma, qui ricorrente, l'acquisto avviene iure successionis (Cass. n. 1560 del 1974); e' parimenti acquisito che l'indennita' di buonuscita da corrispondere, alla cessazione del rapporto di lavoro, al dipendente delle Ferrovie dello Stato ha natura retributiva con funzione previdenziale. D'altra parte, il d.-l. 1o aprile 1995, n. 98, art. 13, convertito con legge 30 maggio 1995, n. 204, prevede espressamente che sino al 31 dicembre 1995 il trattamento relativo alla cessazione del rapporto di lavoro dei ferrovieri iscritti all'Opafs alla data del 31 maggio 1994 e' regolato dalla legge n. 829 del 1973; l'art. 21 della legge n. 210 del 1985 stabilisce al comma 4 che "fino a quando non sara' disciplinato l'assetto generale del trattamento previdenziale e pensionistico dei lavoratori dipendenti, rimane fermo il trattamento in atto". In assenza di limitazioni, per trattamento non puo' intendersi, come sostiene l'appellato, solo quello relativo ai criteri di quantificazione, ma tuot court quello risultante dalla previgente normativa, esteso, quindi, anche ai presupposti ed alle condizioni stabilite per l'erogazione; deve, allora, riconoscersi, anche in relazione all'epoca del decesso (aprile 1992), la perdurante vigenza dell'art. 16, comma 6, della legge 14 dicembre 1973, n. 829 (e la legittimita' del riferimento contrattuale), che subordina la possibilita' della successione degli eredi legittimi, nella specie, il fratello, alla vivenza a carico ed al requisito dell'eta' (21 anni), ove non vi sia inabilita' permanente a proficuo lavoro; in tal contesto legislativo, appare rilevante (la norma, nell'attuale formazione, e' decisiva ai fini della delibazione del diritto fatto valere in giudizio dall'appellato, fratello del de cuius, impedendone l'accoglimento in ragione dei requisiti di cui si e' detto, nella specie insussistenti) e non manifestamente infondata la questione di illegittimita' costituzionale della richiamata norma, per violazione dell'art. 3 Cost., quindi per disparita' di trattamento, non solo con riferimento alla disciplina dettata al codice civile, ma anche con l'art. 5 del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1032, che nell'attribuzione, nella stessa situazione, dei diritti iure successionis, prescindono dai richiamati requisiti. Del resto, la Corte costituzionale ha gia' evidenziato l'incostituzionalita' di normative analoghe a quella che dovrebbe qui essere applicata (sent. 14 luglio 1988, n. 821; sent. 10 luglio 1991, n. 319).