LA CORTE DI ASSISE Ha emesso la seguente ordinanza nel procedimento a carico di Arnone Marcello e Molonia Giovanni, imputati dell'omicidio pluriaggravato di Basile Saverio e Morciano Domenico, e dei connessi reati in materia di armi, commessi il 17 agosto 1990 in Messina. Il difensore di Arnone Marcello, all'inizio di questa udienza dibattimentale, destinata, esaurita l'assunzione delle prove di accusa, all'esame del suo assistito, collaboratore di giustizia, ha eccepito la illegittimita' costituzionale, ai sensi dell'artt. 24 e 25 della Costituzione, dell'art. 223 del d.lgs. 19 febbraio 1998. n. 51. Norme in materia di istituzione del giudice unico, cosi' come modificato dall'art. 56 della legge 16 dicembre 1999, n. 479. Il pubblico ministero ha chiesto che la questione sia dichiarata manifestamente infondata. La problematica sottoposta all'esame di questa Corte scaturisce evidentemente dalle modifiche introdotte dalla recente legge 16 dicembre 1999, n. 479, contenente, tra l'altro, modifiche al codice di procedura penale, che ha per un verso inciso radicalmente sulla natura e sulla struttura del giudizio abbreviato, ponendo quale unico presupposto del rito alternativo la richiesta dell'imputato, che puo' essere subordinata ad una integrazione probatoria necessaria ai fini della decisione, che il giudice, che dispone il giudizio abbreviato con ordinanza, reputi effettivamente tale e che appaia compatibile con le finalita' di economia processuale proprie del procedimento (art. 438 del codice di procedura penale, nuovo testo); la modifica dell'art. 223 del d.lgs. n. 51 del 1998, con la soppressione del riferimento alla necessita' dell'acquisizione del consenso del pubblico ministero, e' coerente con il nuovo impianto normativo. Per altro verso il legislatore, con la normativa citata, ha colmato una lacuna del sistema prodotta dalla declaratoria di illegittimita' dell'art. 442 del codice di procedura penale, che la Corte costituzionale, con sentenza del 23 aprile 1991, n. 176, aveva dichiarato in contrasto con l'art. 76 della Costituzione per violazione dei criteri della legge-delega (visto art. 2 n. 53 della legge 16 febbraio 1987, n. 81), nella parte in cui contemplava, al di fuori di una corrispondente previsione della stessa legge, la sostituzione della pena dell'ergastolo, in caso di condanna, con la pena di trenta anni di reclusione; la normativa piu' recente si e' limitata a reintrodurre, con previsione di rango primario che sfugge alle censure perche' frutto di una precisa scelta legislativa, il periodo espunto dalla declaratoria di illegittimita' costituzionale. Tuttavia le modifiche introdotte si riflettono sulla norma transitoria dell'art. 223, rendendone evidenti i limiti di legittimita' alla luce degli artt. 3 e 24 della Costituzione ed imponendo a questa Corte di dichiarare la questione non manifestamente infondata. Secondo la costante interpretazione giurisprudenziale (affermatasi definitivamente a partire da Cassazione S.U. 6 marzo l992, in proc. Piccillo ed altro; vista tra le piu' recenti, ex multis, Cassazione 25 maggio 1998, Aleci ed altro), "per effetto della pronuncia di illegittimita' costituzionale dell'art. 442, comma secondo, ultimo periodo, codice di procedura penale, il giudizio abbreviato" non era piu' "ammesso quando l'imputazione enunciata nella richiesta di rinvio a giudizio concerne un reato punibile con l'ergastolo", difettando il giudice per le indagini preliminari del potere di definire il giudizio con le forme di cui agli artt. 441 e 442 codice di procedura penale anche ove ritenesse di irrogare una sanzione diversa dall'ergastolo. La preclusione insuperabile riguardava peraltro anche il giudice del dibattimento, a cui non era consentito di trarre in questo caso le conseguenze consentite, in generale, da altre due note pronunzie di incostituzionalita', che lo abilitavano ad applicare all'imputato la riduzione di un terzo della pena a dibattimento concluso, ove fosse stato ritenuto ingiustificato il dissenso del pubblico ministero (che era stato obbligato dalla stessa sentenza n. 81 del 15 febbraio 1991 ad enunciare le ragioni di tale dissenso), oppure ove si fosse ritenuto il processo gia' definibile allo stato degli atti dal giudice per le indagini preliminari (sentenza n. 23 del 31 gennaio 1992). Nel caso in esame, anche ai fini della valutazione della rilevanza della questione proposta, va rilevato che la contestazione sub b) concerne un duplice omicidio aggravato ai sensi dell'art. 577, primo comma, n. 3 e n. 4, codice penale (perche' si ipotizza la premeditazione e la futilita' dei motivi), astrattamente punibile con l'ergastolo gia' in virtu' dell'inserimento di una sola delle due aggravanti contestate. Cio' ha determinato, in occasione dell'udienza preliminare sfociata nel decreto che dispone il giudizio del 19 settembre 1996, l'impossibilita' di accedere al rito abbreviato, con il diritto, in caso di condanna, all'abbattimento della pena, e l'eventuale richiesta in tal senso avanzata avrebbe dovuto essere rigettata. Peraltro, modificato l'impianto generale del giudizio abbreviato, e configurato una sorta di vero e proprio diritto pressoche' incondizionato dell'imputato ad ottenere la definizione del procedimento nelle forme del rito speciale e a conseguire, in caso di condanna, la riduzione della pena, la limitazione introdotta dalla norma transitoria dell'art. 223, che consente all'imputato, in una prospettiva che appare esclusivamente deflazionistica, di formulare la richiesta solo prima dell'inizio dell'istruzione dibattimentale, sembra arbitraria e comprime irragionevolmente il diritto di difesa. Sotto il primo profilo la norma, divenuta proponibile, con la legge n. 479 del 1999, la richiesta di giudizio abbreviato anche in presenza di reati puniti con l'ergastolo, risulta discriminatoria, in violazione dell'art. 3 della Costituzione, per gli imputati che a suo tempo la richiesta non avanzarono attesa l'impossibilita' di accedere al rito alternativo, o che si videro per le stesse ragioni rigettare la richiesta, prima ancora di incontrare il dissenso del pubblico ministero, e che, oggi, avendo superato il procedimento che li riguarda il momento finale di proponibilita' dell'istanza, si trovano negata la possibilita' di conseguire, in caso di condanna, la cospicua riduzione della pena prevista dalla legge. Ed invero, anche se l'inizio dell'istruzione dibattimentale, eventualmente in fase di esaurimento, priverebbe lo strumento di effetti concreti sul piano della deflazione dei dibattimenti, la scelta di questa unica prospettiva tralascia di considerare i cospicui effetti, sul piano sostanziale, che comporta la scelta dell'imputato di accettare che assurgano al rango di prova elementi che non possiedono originariamente tale valenza. E sotto tale profilo la norma censurata viola anche l'art. 24 della Costituzione, comprimendo il diritto di difesa e condizionando la produzione di rilevanti conseguenze di ordine sanzionatorio, che vanno certamente al di la' del rito, ad una soglia di ammissibilita' il cui superamento costituisce un dato del tutto casuale, estraneo alle scelte delle parti o dello stesso giudice che procede.