IL TRIBUNALE

    Ha reso la seguente ordinanza;
    Prima   del   compimento   delle   formalita'   di  apertura  del
  dibattimento,  l'imputata,  a  mezzo  difensore  munito  di procura
  speciale,  ha  formulato  richiesta  di  applicazione della pena in
  relazione al reato di cui all'art. 638 c.p., relativo all'uccisione
  del  cane  di  proprieta'  di  Castagna  Germana e, stando a quanto
  asserito  nell'atto  di costituzione di p.c., del di lei convivente
  Ruffo  Angelo,  concordando  col  p.m.  la  pena di lire 100.000 di
  multa. Le pp.cc. hanno presentato nota spese e conclusioni; la p.c.
  Castagna    Germana    ha    chiesto    rigettarsi   l'istanza   di
  "patteggiamento",  ritenendo  l'assoluta incongruenza della pena in
  relazione alla concreta gravita' del fatto.
    La  difesa  ha  eccepito il difetto di legittimazione sostanziale
  del  Ruffo,  in  quanto  proprietario  del cane risulterebbe, dalla
  querela, solo la Castagna.
    Osserva  il  tribunale  che,  in primis, la p.c. e' legittimata a
  interloquire  sulla  accoglibilita' dell'istanza di applicazione di
  pena,  atteso che dalla definizione del processo ex art. 444 c.p.p.
  discende per lei la conseguenza negativa di non poter far valere la
  propria pretesa risarcitoria davanti al giudice penale.
    Osserva  inoltre  che, anche in esito alle innovazioni introdotte
  dalla legge n. 473/1993, deve ritenersi che le norme che sanzionino
  le  offese all'integrita' degli animali - e quindi anche l'art. 638
  c.p.  -  abbiano  a  proprio  oggetto  giuridico  non  il solo bene
  patrimoniale,  ma  anche quello ben piu' rilevante costituito dalla
  normale  pietas  per  gli  esseri  animati: e, nel caso particolare
  degli   animali   di   affezione,   anche   il  rapporto,  di  tipo
  parafamigliare,  che viene a costituirsi tra animale di compagnia e
  chi  con lo stesso viva abitualmente; sotto tale profilo, pertanto,
  deve  ritenersi  comunque legittima la costituzione di parte civile
  del  Ruffo  che, in quanto convivente della Castagna, con la stessa
  condivideva l'abituale rapporto affettivo con l'animale poi ucciso.
    Ritiene  quindi il tribunale che, stando a quanto risultante allo
  stato degli atti, e rilevato che il cane delle pp.cc. appare essere
  stato  bestia  mite  e  di  carattere  generalmente  affettuoso, si
  appalesi  come  evento grave ed odioso la sua uccisione a fucilate,
  sicche'  la  mera  pena della multa - idonea rispetto ad ipotesi di
  mero   maltrattamento  o  "deterioramento",  ma  non  nel  caso  di
  uccisione  di  un animale di affezione inoffensivo e mite - integri
  sanzione manifestamente incongrua.
    Va   quindi  rilevato  che  al  rigetto  della  presente  istanza
  consegue,  ai  termini  dell'art. 34,  comma  2  cpv.  c.p.p., come
  risultante  in  esito alle pronunzie della Corte costituzionale che
  hanno   dichiarato  la  parziale  illegittimita'  di  detta  norma,
  l'incompatibilita'  del  giudice  - che ha rigettato per motivi non
  formali  l'istanza di applicazione di pena - a giudicare nel merito
  dell'imputazione  contestata, con conseguente obbligo di astensione
  dalle   funzioni  di  giudice  del  dibattimento  in  relazione  al
  procedimento in oggetto, ai sensi dell'art. 36, lett. g) c.p.p.
    Va  tuttavia  rilevato  come  con la recente ordinanza n. 232 del
  7-11  giugno  1999,  la  stessa Corte costituzionale, nel rigettare
  questione di incostituzionalita' dell'art. 34 c.p.p. nella parte in
  cui non prevede l'incompatibilita' ad emettere sentenza del giudice
  che   abbia   rigettato,  nella  fase  degli  atti  preliminari  al
  dibattimento,  istanza  di  oblazione,  ha  richiamato propria piu'
  recente   giurisprudenza,  secondo  la  quale  l'imparzialita'  del
  giudice  non  puo' ritenersi intaccata da una valutazione, anche di
  merito,  compiuta all'interno della medesima fase del procedimento,
  "intesa  quale  ordinata  sequenza  di  atti,  ciascuno  dei  quali
  legittima,  prepara  e  condiziona  quello  successivo"  al fine di
  evitare  una  "assurda  frammentazione  del  procedimento  mediante
  l'attribuzione  di ciascun segmento di esso ad un giudice diverso",
  come  gia'  osservato  con  la  ordinanza  n. 24  del 1996 e con la
  sentenza  n. 448  del  1995;  e  va  rilevato  altresi'  che con la
  predetta  ordinanza  n. 232  del  1999  la  Corte costituzionale ha
  espressamente  affermato,  nella  sua veste di giudice delle leggi,
  "che la giurisprudenza di questa Corte, nell'affermare il principio
  generale che l'imparzialita' del giudice non e' pregiudicata da una
  valutazione,  anche  di  merito,  compiuta  nella medesima fase del
  procedimento,  consente  di ritenere superate le conclusioni cui e'
  pervenuta  questa  Corte  nella sentenza n. 186 del 1992, che aveva
  ravvisato  un'ipotesi di incompatibilita' alla funzione di giudizio
  del  giudice  che,  prima  dell'apertura  del  dibattimento, avesse
  respinto  la richiesta di applicazione della pena concordata tra le
  parti.
    Tali   statuizioni  sono  state  ulteriormente  ribadite  con  la
  ordinanza  n. 443/1999,  con  la  quale  la  Corte ha espressamente
  affermato che la incompatibilita' conseguente al compimento di atti
  tipici   della  fase  unitaria  di  cui  il  giudice  e'  investito
  "finirebbe  con  l'attribuire alle parti la potesta' di determinare
  l'incompatibilita' nel corso di un giudizio del quale il giudice e'
  gia'  investito,  sicche'  lo  stesso giudice verrebbe spogliato di
  tale  giudizio in ragione del compimento di un atto processuale cui
  e'  tenuto  a  seguito  dell'istanza di una parte; esito questo non
  solo  irragionevole,  ma  in  contrasto  col  principio del giudice
  naturale  precostituito  per  legge dal quale l'imputato verrebbe o
  potrebbe chiedere di essere distolto".
    Sicche',   premesso   che   e'   da  ritenersi  che  le  sentenze
  interpretative  di accoglimento, emesse dalla Corte costituzionale,
  creino  - col loro effetto parzialmente abrogativo della precedente
  -  una  nuova  norma,  suscettibile  come  ogni altra di censure di
  costituzionalita',  e  ritenuto  pertanto  che l'art. 34 cpp, nella
  formulazione  conseguente  alla  sentenza  n. 186/1992  della Corte
  costituzionale,   appaia   affetta,  alla  stregua  delle  medesime
  motivazioni  addotte  dalla  stessa Corte con la predetta ordinanza
  n. 232/1999,  ribadite  con  la ordinanza n. 443/1999, da manifesti
  vizi  di  incostituzionalita',  per  violazione  degli artt. 3 e 97
  della Costituzione, in quanto realizza una irragionevole disparita'
  di  trattamento  tra  situazioni del tutto analoghe (come, appunto,
  quella  del  giudice  che  abbia  rigettato  istanza  di  oblazione
  speciale  e  quella  del  giudice  che  abbia  rigettato istanza di
  applicazione  di  pena,  in entrambi i casi in forza di valutazioni
  implicanti  un  apprezzamento  del  fatto ascritto all'imputato), e
  contemporaneamente   assoggetta   irragionevolmente  alla  medesima
  disciplina  situazioni  non comparabili processualmente (prevedendo
  l'incompatibilita'   al   giudizio   sia   del  giudice  che  abbia
  legittimamente  espresso  valutazioni  di  merito nell'ambito della
  medesima  fase  processuale,  sia del giudice che le abbia espresse
  nell'ambito  di  fase  processuale diversa); il tutto in violazione
  dei  principi di buona amministrazione, per detta via realizzandosi
  "un'assurda  frammentazione  del  procedimento";  ed  in violazione
  altresi'  del  principio  del  giudice  naturale  precostituito per
  legge,  consentendosi alle parti, mediante studiata proposizione di
  istanze  ex art. 444 c.p.p inaccoglibili, di "sbarazzarsi" del loro
  giudice naturale, costringendolo all'astensione.
    Sicche',   ritenuta   la   rilevanza   della  questione,  dovendo
  altrimenti,  in applicazione dell'art. 34 c.p.p. nella formulazione
  vigente,  questo  giudice  astenersi,  ed  osservato che le riforme
  apportate    dal    d.lgs.   n. 51/1998   alla   disciplina   delle
  incompatibilita'   non  appaiono  mutare  il  quadro  normativo  di
  riferimento  rispetto  alle valutazioni qui espresse e gia' operate
  dalla stessa Corte costituzionale;