ha pronunciato la seguente


                              Ordinanza

nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 6, comma 9, del
d.P.R. 8 aprile 1998, n. 169, avente per oggetto "Regolamento recante
norme  per  il  riordino della disciplina organizzativa, funzionale e
fiscale dei giochi e delle scommesse relativi alle corse dei cavalli,
nonche'  per il riparto dei proventi, ai sensi dell'art. 3, comma 78,
legge  23 dicembre  1996, n. 662", promosso con ricorso della Regione
Siciliana, notificato il 30 luglio 1998, depositato in cancelleria il
6 agosto 1998 ed iscritto al n. 34 del registro ricorsi 1998.
    Visto  l'atto  di  costituzione  del Presidente del Consiglio dei
Ministri;
    Udito  nella  camera  di  consiglio  dell'8 marzo 2000 il giudice
relatore Valerio Onida.
    Ritenuto  che, con atto notificato il 30 luglio 1998 e depositato
il  6 agosto  1998,  la  Regione Siciliana ha proposto ricorso per la
dichiarazione   di   illegittimita'  costituzionale,  in  riferimento
all'art. 36   dello   statuto  speciale  e  alle  relative  norme  di
attuazione  in  materia  finanziaria,  in  particolare all'art. 3 del
d.P.R.  26 luglio  1965,  n. 1074  (Norme di attuazione dello Statuto
della  Regione  Siciliana in materia finanziaria), dell'art. 6, comma
9, del d.P.R. 8 aprile 1998, n. 169 (Regolamento recante norme per il
riordino  della  disciplina  organizzativa,  funzionale e fiscale dei
giochi e delle scommesse relativi alle corse dei cavalli, nonche' per
il  riparto dei proventi, ai sensi dell'art. 3, comma 78, della legge
23 dicembre 1996, n. 662), "nella parte in cui prevede che i relativi
proventi siano devoluti allo Stato";
        che  detto  art. 6  del  d.P.R.  n. 169  del 1998, dopo avere
dettato  una disciplina dell'accettazione delle scommesse sulle corse
di   cavalli,  commina,  al  comma  7,  una  sanzione  amministrativa
pecuniaria  a  carico  dei  contravventori al divieto di accesso agli
ippodromi  e  alle  agenzie  ippiche  che  sia  stato  disposto,  con
provvedimento  dell'autorita' di pubblica sicurezza, nei confronti di
coloro  che  abbiano  accettato  o effettuato scommesse in violazione
della predetta disciplina; e, al comma 8, una sanzione amministrativa
pecuniaria a carico del gestore dell'ippodromo o dell'agenzia che non
denunci immediatamente l'esercizio abusivo di scommesse;
        che  il  successivo  comma  9 stabilisce che la competenza ad
irrogare  le  sanzioni  pecuniarie  di  cui  allo  stesso articolo e'
attribuita al prefetto ed i proventi sono devoluti allo Stato;
        che,   secondo   la   ricorrente,   detto   comma  9  sarebbe
costituzionalmente  illegittimo  nella  parte  in  cui  prevede che i
proventi   delle  sanzioni  pecuniarie  siano  devoluti  allo  Stato:
infatti,  dall'art. 3  del  d.P.R. n. 1074 del 1965, recante norme di
attuazione  dello statuto speciale della Regione Siciliana in materia
finanziaria,   a   cui  tenore  le  entrate  spettanti  alla  Regione
comprendono   "quelle   derivanti   dall'applicazione   di   sanzioni
pecuniarie  amministrative  e  penali",  in  combinato  disposto  con
l'art. 2  dello stesso decreto, che attribuisce alla Regione tutte le
entrate  tributarie  erariali,  salvo  alcune eccezioni, riscosse nel
territorio  regionale,  si evincerebbe che tutte le entrate derivanti
dall'applicazione   di   sanzioni   pecuniarie,  da  qualsiasi  fonte
provengano,  riscosse nell'ambito del territorio regionale, sarebbero
di pertinenza della Regione;
        che  infatti,  ad  avviso  della  ricorrente,  non vi sarebbe
necessario parallelismo fra la potesta' di applicare le sanzioni e la
spettanza  del  relativo  provento; e la devoluzione alla Regione dei
proventi  derivanti  dalla  applicazione  di  sanzioni amministrative
troverebbe  il  suo  fondamento  non  gia' in una correlazione fra la
sanzione  e le materie di competenza regionale, bensi' "nel principio
della  territorialita' della riscossione ai fini della determinazione
della  spettanza  delle  entrate",  come  confermerebbe  la  espressa
attribuzione  alla  Regione  del  provento  delle sanzioni penali, in
assenza di qualsiasi competenza penale della medesima;
        che si e' costituito nel giudizio il Presidente del Consiglio
dei Ministri, concludendo per la inammissibilita' della questione, in
ragione   della  natura  regolamentare  dell'atto  impugnato,  e,  in
subordine, per la infondatezza della medesima.
    Considerato  che  la  disposizione di cui la ricorrente chiede la
dichiarazione  di  illegittimita'  costituzionale  e' contenuta in un
atto,  il d.P.R. 8 aprile 1998, n. 169 (Regolamento recante norme per
il  riordino della disciplina organizzativa, funzionale e fiscale dei
giochi e delle scommesse relativi alle corse dei cavalli, nonche' per
il  riparto dei proventi, ai sensi dell'art. 3, comma 78, della legge
23 dicembre  1996,  n. 662),  avente  natura  di regolamento, come e'
fatto palese sia dalla denominazione, sia dalle premesse del decreto,
adottato con il procedimento di cui all'art. 17, comma 2, della legge
23 agosto  1988, n. 400, sia infine dal tenore dell'art. 3, comma 78,
della  legge  23 dicembre  1996, n. 662, sulla cui base esso e' stato
emanato,  disposizione  quest'ultima  che  attribuisce  al Governo la
potesta'  di  provvedere al riordino della materia dei giochi e delle
scommesse  relativi  alle  corse dei cavalli, per quanto attiene agli
aspetti organizzativi, funzionali, fiscali e sanzionatori, nonche' al
riparto  dei  relativi  proventi, mediante "regolamento da emanare ai
sensi dell'articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400";
        che  pertanto  il  decreto censurato non e' atto con forza di
legge,   come   tale   suscettibile  di  essere  impugnato  ai  sensi
dell'art. 2, primo comma, della legge costituzionale 9 febbraio 1948,
n. 1,  e  dell'art. 32  della  legge  11 marzo  1953,  n. 87: onde la
questione proposta si palesa manifestamente inammissibile.
    Visti  gli  artt. 26,  secondo  comma, e 34, secondo comma, della
legge   11 marzo  1953,  n. 87,  e  9,  secondo  comma,  delle  norme
integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.