ha pronunciato la seguente


                              Ordinanza

nel  giudizio  di legittimita' costituzionale dell'art. 540, comma 1,
del  codice  di  procedura  penale,  promosso con ordinanza emessa il
30 settembre  1998 dal Tribunale di Catanzaro nel procedimento penale
a  carico di Vallone Paolo, iscritta al n. 858 del registro ordinanze
1998  e  pubblicata  nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 48,
prima serie speciale, dell'anno 1998.
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del Consiglio dei
Ministri;
    Udito  nella  camera  di  consiglio  del 22 marzo 2000 il giudice
relatore Cesare Ruperto.
    Ritenuto  che  il Tribunale di Catanzaro - dopo aver pronunciato,
nel  corso  d'un  giudizio  di primo grado, la condanna dell'imputato
alla pena inflitta ed al risarcimento dei danni in favore delle parti
civili  costituite  -  ha  sollevato,  con ordinanza del 30 settembre
1998,  emessa  a  scioglimento  della formulata riserva di provvedere
sull'istanza  delle parti civili per la concessione della provvisoria
esecuzione  del  capo  di  sentenza concernente gli interessi civili,
questione  di legittimita' costituzionale dell'art. 540, primo comma,
del  codice  di  procedura  penale, "limitatamente all'inciso "quando
ricorrono giustificati motivi ";
        che, secondo il rimettente, la norma denunciata, subordinando
alla  ricorrenza  di  "giustificati motivi" la provvisoria esecuzione
del  capo  della sentenza riguardante la condanna al risarcimento dei
danni  od  alle  restituzioni  pronunciata in primo grado dal giudice
penale, contrasta:
          a)  con  l'art. 3  della  Costituzione, per l'irragionevole
disparita'   di  trattamento  rispetto  al  danneggiato  che,  avendo
esercitato  l'azione risarcitoria o restitutoria nel processo civile,
fruisce  del  regime di incondizionata provvisoria esecutivita' delle
sentenze  civili  di primo grado previsto dall'art. 282 del codice di
procedura civile, come novellato dall'art. 33 della legge 26 novembre
1990, n. 353;
          b)  con  l'art. 24  della  Costituzione, per la conseguente
limitazione  della tutela degli interessi civili nel processo penale,
rispetto a quella ottenibile nel processo civile;
        che,  per  il  giudice  a  quo  la sottolineata diversita' di
disciplina  non  potrebbe  trovare giustificazione - contrariamente a
quanto  ritenuto dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 94 del
1996  - in una minore frequenza delle impugnazioni riguardanti i soli
interessi   civili   nel   processo   penale,  perche'  tale  ipotesi
(specificamente  prevista  dagli  artt. 573  e 574, primo comma, cod.
proc.  pen.) comunque non potrebbe essere sottratta alla comparazione
con  i casi simili in un sindacato di costituzionalita' condotto alla
stregua  dell'art. 3  Cost.,  e  neppure nell'asserita estraneita' al
processo  penale  dell'esigenza di scoraggiare impugnazioni meramente
dilatorie  dei  capi  di  sentenza  concernenti gli interessi civili,
perche' - al contrario - la finalita' deflattiva di tali impugnazioni
ricorrerebbe e si prospetterebbe anche in questa evenienza;
        che,  quanto  alla  rilevanza  della  questione, il Tribunale
osserva  che,  non essendo stati nella specie prospettati dalle parti
interessate   ne'  comunque  risultando  altrimenti  i  "giustificati
motivi"   richiesti  dalla  norma  denunciata,  l'accoglimento  delle
prospettate  censure  di  costituzionalita'  impedirebbe  il  rigetto
dell'istanza di provvisoria esecuzione proposta dalle parti civili;
        che  e'  intervenuto  in giudizio il Presidente del Consiglio
dei  Ministri,  rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello
Stato,  concludendo  per  la  declaratoria  di manifesta infondatezza
della  questione,  gia'  dichiarata  infondata  con la sentenza della
Corte n. 94 del 1996.
    Considerato  che questa Corte, con la sentenza n. 94 del 1996, ha
gia'   dichiarato   infondata  identica  questione,  in  primo  luogo
evidenziando   (alla   stregua   della   propria  giurisprudenza)  la
discrezionalita'  riservata al legislatore nel modulare le condizioni
di  accesso  all'esecuzione  dei  provvedimenti  giurisdizionali  nei
diversi  tipi  di  giudizi,  con il solo limite della non irrazionale
predisposizione  degli strumenti di tutela, senza che l'art. 282 cod.
proc.  civ.  possa  assumere  il  valore  di  "precetto inderogabile"
rispetto   al  quale  debbano  necessariamente  modellarsi  le  altre
previsioni  normative  concernenti  il  regime  di esecutivita' delle
pronunce;  in secondo luogo, escludendo che la denunciata norma violi
l'art. 3  Cost.,  per  le  fondamentali  ragioni  che:  a)  una volta
compiuta  dall'interessato  - in piena autonomia e previa valutazione
comparativa  dei vantaggi e degli svantaggi connessi, come consentito
dal  codice  di  procedura  penale  -  la  scelta  di ottenere tutela
risarcitoria  o  restitutoria  nel  processo  penale,  invece che nel
processo  civile,  non  e'  dato  sfuggire  agli  effetti che da tale
opzione  conseguono,  per  via  della  struttura e della funzione del
giudizio  penale,  alle  quali  l'azione  civile deve necessariamente
adattarsi,  in  ragione  delle esigenze di pubblico interesse sottese
all'accertamento  del  fatto reato, dal quale scaturiscono insieme le
conseguenze di carattere penale e civile, ferma la presunzione di non
colpevolezza  dell'imputato,  ai  sensi  dell'art. 27, secondo comma,
Cost.,  sino  al  passaggio in giudicato della condanna penale; b) la
finalita'    di   scoraggiare   impugnazioni   meramente   dilatorie,
perseguibile  attribuendo  la  provvisoria  esecutivita'  a  tutte le
sentenze  di primo grado, appare bensi' coerente con il nuovo modello
strutturale  del  giudizio  civile, ma risulta estranea alla dinamica
del gravame nel processo penale, data l'improbabilita', nella realta'
effettuale, di un pur possibile appello dell'imputato con riguardo al
solo capo di condanna concernente il risarcimento del danno;
        che  il  rimettente  non  prospetta  nuovi profili della gia'
esaminata  questione,  ma si limita a criticare alcune argomentazioni
marginalmente  svolte nella citata sentenza, delle quali non ha colto
il  senso,  che  e'  quello  di  sottolineare come - nel quadro della
necessaria  conformazione  dell'azione civile esercitata nel processo
penale  alla  struttura  e  funzione  di quest'ultimo - l'esigenza di
scoraggiare,   attraverso  la  soppressione  dell'effetto  sospensivo
dell'appello,  impugnazioni  meramente  dilatorie,  si  manifesta con
diversa  evidenza  e  peso  nel  processo civile rispetto al processo
penale,  dove  l'imputato  ha  la  possibilita'  di perseguire il suo
eventuale  intento  dilatorio  con  l'appello dell'intera sentenza di
condanna  penale; per cui non irragionevole e' da ritenersi la scelta
del  legislatore  di  differenziare il regime dell'esecutivita' delle
sentenze di primo grado di condanna al risarcimento dei danni od alle
restituzioni,  a  seconda della loro pronuncia nel processo penale od
in quello civile;
        che   non  sussistono  dunque  ragioni  per  mutare  l'avviso
espresso  con  la  citata  sentenza  n. 94  del  1996 e, pertanto, la
questione va dichiarata manifestamente infondata.
    Visti  gli  artt. 26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  e  9,  secondo  comma,  delle norme integrative per i giudizi
davanti alla Corte costituzionale.