ha pronunciato la seguente


                              Ordinanza

nel  giudizio  di  legittimita' costituzionale del combinato disposto
degli  artt. 186,  comma  4,  del decreto legislativo 30 aprile 1992,
n. 285  (Nuovo  codice  della  strada)  e  379,  comma  1, del d.P.R.
16 dicembre  1992,  n. 495 (Regolamento di esecuzione e di attuazione
del  nuovo  codice  della  strada),  promosso con ordinanza emessa il
6 febbraio  1998  dal  pretore  di  Milano  nel procedimento penale a
carico  di  Centorbi  Francesco,  iscritta  al  n. 353  del  registro
ordinanze 1999 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 25, prima serie speciale, dell'anno 1999.
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del Consiglio dei
Ministri;
    Udito  nella  camera  di  consiglio  del 22 marzo 2000 il giudice
relatore Cesare Ruperto.
    Ritenuto che - nel corso di un procedimento penale a carico di un
automobilista  per guida in stato di ebbrezza - il pretore di Milano,
con ordinanza emessa il 6 febbraio 1998, ha sollevato, in riferimento
all'art. 25,   secondo   comma,   della  Costituzione,  questione  di
legittimita'  costituzionale  dell'art. 186,  comma  4,  del  decreto
legislativo  30 aprile  1992,  n. 285  (Nuovo  codice  della strada),
"nella  parte  in  cui,  anziche' prevedere l'obbligo di una verifica
tecnico-scientifica  (dello  stato di ebbrezza), ne prevede invece la
mera facolta'";
        che,  secondo  il  rimettente,  con  la  norma  impugnata  il
legislatore  avrebbe optato per una nozione "elastica" dello stato di
ebbrezza,  concepito  come  realta'  fisio-psichica  non  ancorata  a
precisi riferimenti quantitativi, ma desumibile da tutta una serie di
indici  di  fatto,  dai  quali  inferire  l'esistenza di uno stato di
consistente  alterazione  di  natura  psichica  caratterizzato  dalla
perdita  di  un'adeguata  capacita'  valutativa  concernente il mondo
fenomenico circostante;
        che  in  cio'  sarebbe  ravvisabile  una distonia rispetto al
quadro   normativo   approntato   dall'art. 379  del  regolamento  di
esecuzione  del nuovo codice della strada, in cui sembra al contrario
che  il  legislatore  si  sia  determinato  ad accogliere una nozione
oggettiva  dello  stato  di  ebbrezza,  vincolata  ad un preciso dato
quantitativo,    consistente    nel   raggiungimento   di   parametri
predeterminati,  potendosi  considerare  l'interessato  in  stato  di
ebbrezza esclusivamente nel caso di raggiungimento della soglia data,
indipendentemente  dalla  presenza o meno di quei sintomi, di profilo
soggettivo,  ritenuti  idonei  ad  evidenziare  il  suddetto stato di
alterazione qualora non si sia fatto uso dell'etilometro;
        che  - rilevato come l'adozione in concreto dell'uno anziche'
dell'altro  criterio sia di fatto affidata ad un'insindacabile scelta
del  pubblico  ufficiale  -  il rimettente sospetta la violazione, da
parte   della   denunciata   norma,   del  principio  di  certezza  e
tassativita'  della  fattispecie  penale,  attesa  la mancanza di una
sufficiente  nitidezza  dei  contorni  della  nozione  dello stato di
ebbrezza,  la  quale  non  puo' che essere unica e non deve risentire
delle opzioni dei singoli organi accertatori;
        che  e' intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri,
rappresentato   e   difeso   dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,
concludendo  per  la  manifesta inammissibilita' o infondatezza della
sollevata questione.
    Considerato   che  identica  questione,  sollevata  dallo  stesso
rimettente  sulla  base di eguali considerazioni, e' stata dichiarata
manifestamente  inammissibile con ordinanza n. 149 del 1998, peraltro
pronunciata   in   data  successiva  alla  proposizione  dell'odierno
incidente di costituzionalita';
        che,  in  tale sede, questa Corte ha rammentato di avere gia'
precisato,  nella sentenza n. 194 del 1996 (ignorata dal rimettente),
che  il  voler ancorare il dubbio di costituzionalita' esclusivamente
al  modo  dell'accertamento  dello  stato  di ebbrezza costituisca il
frutto  di  una deviazione prospettica insita nel non considerare che
"le  indicazioni  circa  le  circostanze  che,  in  mancanza  di  uso
dell'etilometro, inducono a ritenere la presenza di tale stato, altro
non  sono  che  elementi  destinati  a concorrere alla formazione del
convincimento del giudice";
        che  il  rimettente  cade nel medesimo errore, scambiando, in
ultima  analisi, l'a'mbito di discrezionalita' relativa alle tecniche
di  accertamento  del fatto-reato (riguardante in quanto tale il mero
piano  probatorio)  con  l'asserita  mancanza di oggettiva certezza e
tassativita' della condotta sanzionata dalla fattispecie penale;
        che,  d'altronde, va ancora ribadito come solo al legislatore
sarebbe  dato  trasformare  in  obbligo  la  facolta'  prevista dalla
denunciata  norma,  al  fine  del preteso recupero di detta oggettiva
certezza,  trattandosi  infatti  di  previsione  attinente alla sfera
delle  prove,  certamente  non  ottenibile  attraverso  una pronuncia
manipolativa di questa Corte;
        che,  pertanto,  la questione e' da dichiarare manifestamente
inammissibile.
    Visti  gli  artt. 26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  e  9,  secondo  comma,  delle norme integrative per i giudizi
davanti alla Corte costituzionale.