ha pronunciato la seguente


                              Ordinanza

nei  giudizi di legittimita' costituzionale degli artt. 459 e 464 del
codice   di  procedura  penale,  promossi  con  ordinanze  emesse  il
29 luglio  1999  dal  Tribunale  (recte:  Pretore) di Napoli, sezione
distaccata  di  Frattamaggiore,  il  12 maggio e il 5 giugno 1999 dal
giudice  per  le indagini preliminari presso la Pretura circondariale
di  Latina  e  il  14 ottobre  1999 dal Tribunale (recte: Pretore) di
Napoli  sezione  distaccata  di Afragola, rispettivamente iscritte ai
nn. 636,  642,  643  e  721  del registro ordinanze 1999 e pubblicate
nella   Gazzetta   Ufficiale  della  Repubblica  n. 48,  prima  serie
speciale,  dell'anno  1999,  e  n. 2, prima serie speciale, dell'anno
2000.
    Visti  gli  atti  di  intervento del Presidente del Consiglio dei
Ministri;
    Udito  nella  camera  di  consiglio  del 22 marzo 2000 il giudice
relatore Gustavo Zagrebelsky.
    Ritenuto  che  con  ordinanza del 29 luglio 1999 (r.o. 636/1999),
emessa  in un giudizio susseguente a opposizione a decreto penale, il
Pretore di Napoli, sezione distaccata di Frattamaggiore ha sollevato,
in  riferimento  agli  artt. 3  e 24 della Costituzione, questione di
legittimita'  costituzionale  dell'art. 459  cod.  proc.  pen., nella
parte  in  cui  non  prevede  la  nullita' della richiesta di decreto
penale  di  condanna,  se  non  preceduta dall'invito a comparire per
rendere   interrogatorio  a  norma  dell'art. 375  cod.  proc.  pen.,
"ovvero"  dell'art. 464  cod.  proc.  pen.,  nella  parte  in cui non
prevede la nullita' del decreto che dispone il giudizio (a seguito di
opposizione  dell'imputato  al  decreto  penale  di  condanna) se non
preceduto dall'invito a comparire per rendere interrogatorio, davanti
al  pubblico  ministero o davanti allo stesso giudice per le indagini
preliminari;
        che  il  rimettente muove dalla riforma apportata dalla legge
16 luglio   1997,   n. 234,   relativa  alle  norme  processuali  che
disciplinano  la  richiesta di rinvio a giudizio (art. 416 cod. proc.
pen.)  o la citazione diretta a giudizio nel rito pretorile (art. 555
cod.  proc.  pen.),  assumendo  che  per effetto di tali modifiche e'
stato introdotto "l'interrogatorio di garanzia ex art. 375 cod. proc.
pen. quale  presupposto  obbligatorio  ai  fini  della procedibilita'
dell'azione  penale",  con  la  corrispondente previsione di nullita'
degli atti sopra detti, in caso di omissione dell'invito all'indagato
a comparire per rendere l'interrogatorio;
        che  peraltro,  poiche'  il medesimo presupposto non e' stato
previsto   in  relazione  al  procedimento  per  decreto  penale,  si
configurerebbe,  secondo il rimettente, una disparita' di trattamento
tra  imputati,  in  danno  di  chi sia sottoposto al procedimento per
decreto,  disparita' tanto piu' ingiustificata sia perche' l'imputato
viene  a  essere  privato  di  uno  strumento  di  garanzia  solo  in
conseguenza   di  una  scelta  processuale  effettuata  dal  pubblico
ministero,  sia alla luce delle caratteristiche del particolare rito,
che  rappresenterebbe  una  "eccezione  nell'ordinamento"  e  che non
consentirebbe all'imputato di difendersi;
        che  con  due  ordinanze di identico contenuto, del 12 maggio
1999  (r.o.  642/1999)  e del 5 giugno 1999 (r.o. 643/1999), emesse a
seguito  di  opposizione degli imputati a decreti penali di condanna,
il   giudice   per   le   indagini   preliminari  presso  la  Pretura
circondariale  di  Latina ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e
24  della  Costituzione,  questione  di  legittimita'  costituzionale
dell'art. 459  cod. proc. pen., nella parte in cui non prevede che la
richiesta  di  emissione  di decreto penale di condanna sia preceduta
dall'invito  all'indagato a presentarsi per rendere interrogatorio, a
norma dell'art. 375, comma 3, cod. proc. pen;
        che  il rimettente rileva come nel vigente sistema il profilo
dell'attuazione  del  principio  accusatorio,  che  informa  l'intero
codice,  in  particolare  quanto alla tutela dell'indagato nella fase
delle  indagini  preliminari,  trovi  svolgimento  in  tutti  i riti,
"ordinario"  e  speciali,  con la sola eccezione del procedimento per
decreto,  che, diversamente dagli altri - variamente imperniati su un
rapporto  processuale a tre: pubblico ministero, indagato, giudice -,
si configura come processo i cui protagonisti sono solo due, la parte
pubblica e il giudice, l'imputato risultando alla fine colpito da una
condanna senza contraddittorio;
        che  questo  sbilanciamento, osserva ancora, e' ulteriormente
ravvisabile  ora  dopo la legge 16 luglio 1997, n. 234 in riferimento
sia  al  rito  direttissimo che a quello ordinario, giacche' la legge
citata,  imponendo  al  pubblico  ministero  di invitare l'indagato a
rendere  interrogatorio  prima  dell'esercizio dell'azione penale, ha
valorizzato  ulteriormente  le  esigenze di parita' tra le parti e di
contraddittorio, escludendo pero' il rito per decreto;
        che  in  questo  quadro  la  mancata  previsione dello stesso
strumento  di  garanzia  stabilito  per gli altri procedimenti, prima
della formulazione da parte del pubblico ministero della richiesta di
emissione   di   decreto   penale,  appare  al  rimettente  priva  di
giustificazione;
        che   non   varrebbero  infatti  a  spiegare  tale  omissione
legislativa  ne'  il  connotato  inquisitorio  del  rito,  ne' l'alta
"premialita'"  che  lo caratterizza, poiche' il diritto di difesa, se
svolto nella fase delle indagini preliminari, potrebbe condurre a una
richiesta  di  archiviazione  o  a  una  sentenza  di proscioglimento
immediato ex art. 129 cod. proc. pen; ne' potrebbe valere l'argomento
della  "modestia" delle materie penali generalmente definite con tale
rito,   poiche'   al  contrario  esso  puo'  coinvolgere  materie  di
particolare  rilevanza sociale (inquinamento, edilizia e urbanistica,
alimenti  e  cosi' via), materie - si aggiunge - che potrebbero anche
rendere necessario l'esperimento di un incidente probatorio (art. 392
cod. proc. pen.), che invece viene ingiustificatamente escluso;
        che infine non potrebbe addursi quale valido argomento quello
del differimento delle garanzie difensive piene e complete nella fase
dell'opposizione,  giacche' esso si risolverebbe in una larvata forma
di  diniego  di  giustizia  e,  a tale proposito, il giudice a quo si
sofferma  criticamente  sulla  motivazione dell'ordinanza (n. 432 del
1998) con la quale la Corte costituzionale ha dichiarato la manifesta
infondatezza  di analoga questione: il rilievo che in detta decisione
e'  dato  alla  caratterizzazione essenziale del rito per decreto, in
termini  di  speditezza ed economia processuale, non e' condiviso dal
rimettente,  che  ritiene  il  ragionamento della Corte tautologico e
comunque  contrario  ai  principi  costituzionali invocati, poiche' -
indipendentemente  dalla  speditezza - la garanzia difensiva non puo'
mai  subire compressioni, e perche' proprio l'invito a comparire e il
contraddittorio  che ne segue potrebbero produrre effetti di economia
processuale, evitando l'opposizione e il dibattimento;
        che  con  ordinanza del 14 ottobre 1999 (r.o. 721/1999) anche
il  Pretore  di  Napoli,  sezione  distaccata di Afragola, in sede di
giudizio  susseguente  a  opposizione  a decreto penale, ha sollevato
analoga  questione sull'art. 459 cod. proc. pen., in riferimento agli
artt. 3 e 24 della Costituzione;
        che  il  rimettente, rilevate le modifiche recate dalla legge
16 luglio  1997,  n. 234,  agli  artt. 416 e 555 cod. proc. pen., che
hanno  sancito  l'obbligo  del  previo invito a comparire per rendere
interrogatorio   quale  requisito  di  validita'  della  citazione  a
giudizio,  censura la disparita' di trattamento che si sarebbe venuta
in  tal  modo  a  creare  nei  confronti  di  chi  sia  sottoposto al
procedimento  per  decreto  penale, nel quale non e' previsto analogo
obbligo:   cio'  priverebbe  l'indagato,  nel  rito  speciale,  della
possibilita' di dedurre circostanze contrarie all'accusa, in vista di
un  esito  diverso  del  procedimento  penale,  e tale impossibilita'
sarebbe  tanto  piu' di dubbia costituzionalita', in quanto la scelta
del rito in discorso e' nella discrezionalita' della parte pubblica;
        che  in  tutti  i  giudizi  cosi'  promossi e' intervenuto il
Presidente   del  Consiglio  dei  Ministri,  rappresentato  e  difeso
dall'Avvocatura  generale  dello Stato, che, rilevando l'analogia tra
le  questioni  sollevate  e  altre precedentemente decise dalla Corte
(con  le  ordinanze  nn. 432 del 1998 e 326 del 1999) nel senso della
manifesta infondatezza, ha concluso nel medesimo senso.
    Considerato  che le quattro ordinanze di rimessione sollevano, in
termini  identici o analoghi tra loro, questioni di costituzionalita'
sostanzialmente  corrispondenti  e  che  pertanto  i relativi giudizi
possono essere riuniti e definiti con unica pronuncia;
        che,  pur  differenziandosi  sul  piano delle disposizioni di
volta in volta denunziate e delle argomentazioni svolte, le ordinanze
di  rimessione individuano, tutte, la possibile lesione del principio
di uguaglianza e della garanzia della difesa nella mancata inclusione
del  procedimento  per  decreto  tra quelli per i quali e' stabilito,
quale  requisito  di  validita' del giudizio, l'obbligo di effettuare
l'invito  all'indagato  a presentarsi per rendere l'interrogatorio, a
norma  dell'art. 375,  comma  3, cod. proc. pen., cosi' come e' stato
previsto  per  il  procedimento  ordinario  a seguito delle modifiche
recate dalla legge n. 234 del 1997;
        che  peraltro,  successivamente alle ordinanze di rimessione,
e'  intervenuta  la  legge  16 dicembre  1999, n. 479 (Modifiche alle
disposizioni  sul  procedimento  davanti al tribunale in composizione
monocratica   e  altre  modifiche  al  codice  di  procedura  penale.
Modifiche   al   codice   penale   e   all'ordinamento   giudiziario.
Disposizioni in materia di contenzioso civile pendente, di indennita'
spettanti  al  giudice  di  pace  e  di  esercizio  della professione
forense), che, nell'ambito di una generale revisione del procedimento
penale  dinanzi  al tribunale, anche in composizione monocratica, ha,
in particolare, modificato sia le norme denunciate sia quelle assunte
dai   rimettenti   quali   termini   di   raffronto   ai  fini  della
prospettazione del dubbio di costituzionalita';
        che,  per  effetto  della  nuova disciplina, il previo invito
all'indagato  a  presentarsi  per  rendere interrogatorio nell'ambito
delle   indagini   preliminari   non   costituisce  piu'  un  obbligo
incondizionato  per il pubblico ministero, bensi' e' previsto solo in
seguito   a   una   specifica   richiesta   in  tal  senso  da  parte
dell'indagato, cui deve essere comunicato l'"avviso della conclusione
delle indagini preliminari" (art. 415-bis cod. proc. pen., introdotto
dall'art. 17, comma 2, della legge n. 479 del 1999);
        che,  in  connessione con la anzidetta diversa configurazione
dell'eventuale  contraddittorio tra pubblico ministero e indagato, e'
stata  correlativamente posta una nuova e diversa disciplina circa la
nullita'  degli  atti  di citazione a giudizio, nei casi di omissione
dell'avviso  e dell'eventuale invito a presentarsi (v. gli artt. 416,
comma -  1, e 552, comma 2 - quest'ultimo "sostitutivo" dell'art. 555
previgente  - cod. proc. pen., quali modificati dagli artt. 17, comma
3, e 44 della legge n. 479 del 1999);
        che,  stante  il  complessivo  mutamento del quadro normativo
assunto    dai    rimettenti    a    premessa    delle   censure   di
incostituzionalita', occorre restituire gli atti agli stessi giudici,
a   essi   spettando  di  valutare  se,  a  seguito  delle  modifiche
intervenute  nella  disciplina  processuale  in  esame,  le questioni
sollevate  siano,  nei  giudizi  principali,  tuttora  rilevanti  nei
termini in cui sono state proposte.